Vessato da critiche e osannato nei festival
di tutto il mondo, con tanto di Coppa Volpi al protagonista Michael
Fassbender, Shame è un film che fa senz’altro parlare di sè.
Real Steel: recensione del film con Hugh Jackman
Real Steel, il nuovo film prodotto dalla DreamWorks Pictures, racconta la storia di un ex pugile, Charlie Kenton, (interpretato da un prorompente Hugh Jackman), che ha visto e subìto la trasformazione della boxe, costretta a piegarsi di fronte alle nuove esigenze del pubblico: violenza indiscriminata e spettacolarizzazione.
La trama di Real Steel
In Real Steel Siamo nel 2020, un futuro non troppo lontano, dove i robot, comandati attraverso speciali telecomandi high-tech e pannelli di controllo, salgono sul ring con un solo scopo: distruggere per non essere distrutti. Girovagando in cerca di grana facile, Charlie si immerge nel circuito degli incontri clandestini, allenando i suoi robot malandati senza passione, alla fine dei conti è proprio per colpa loro che la boxe ha perso la sua poesia ed eleganza, e Charlie il suo lavoro. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Sarà proprio grazie ad un robot molto speciale, Atom, che Charlie riuscirà a riscattare un’assenza durata undici anni, riconquistando l’affetto del figlio Max, (Dakota Goyo) e la fiducia della compagna Bailey, (Evangeline Lilly), uscendo vincitore dalla sfida col destino.

Basato sul racconto Steel del leggendario maestro di fantascienza Richard Matheson, il nuovo e spettacolare film Real Steel diretto dal regista Shown Levy è la storia di tre personaggi, un uomo, un bambino ed un robot, che ritrovando se stessi grazie al perseguimento di una passione, la boxe, arrivano a combattere nella Lega ufficiale, la WRB, (World Robot Boxing League), eludendo le meccaniche schiaccianti dello show-business.
Con Real Steel siamo di fronte ad un film di grande impatto, molto sentito sia dal regista che dagli attori stessi, che non si limita al solo gioco degli effetti speciali, ma ricerca l’aspetto più “umano” della voglia di mettersi in gioco e ricominciare da capo. “Shown ha creato una realtà. Questo è forse il suo film più realistico, con cui si è completamente reinventato come filmmaker” dichiara il produttore esecutivo Steven Spielberg, ed è infatti lo stesso Shown, grande ammiratore della boxe e regista creativo, ad avvalersi di professionisti come Sugar Ray Leonard, per realizzare dei combattimenti avvincenti, dove le coreografie sempre diverse dei robot non hanno nulla da invidiare ai match combattuti da umani in carne e ossa.
L’impegno del regista di lavorare in completa sinergia con gli attori e i tecnici è rintracciabile nell’assoluta morbidezza e spontaneità dell’azione dove l’happy ending, tanto atteso e forse un po’ scontato, è il risultato di una catarsi che lascia allo spettatore un’energia positiva, non troppo edulcorata ma carica di buoni sentimenti, che ben si mescolano con le immagini iperboliche di un film dal sapore “retrò-futuristico”.
Scarlett Johansson passa alla regia
Scarlett
Johansson sta cercando di passare dietro la macchina da presa e
si prepara al suo debutto alla regia portando sul grande schermo un
romanzo di Thruman Capote: Summer Crossing.
Due nuovi banner per The Avengers
I Marvel Studios hanno ufficializzato un nuovo
banner per The Avengers, che come al solito mostra l’intero cast di
spuer eroi in assetto da combattimento.
Jack e Jill – Trailer italiano
Arriva il trailer italiano di Jack
e Jill, una commedia di Dennis Dugan, con Adam Sandler,
Katie Holmes
e Al
Pacino. Dal 10 febbraio al cinema.
The Whistleblower – recensione
The Whistleblower è tratto da una
storia vera e narra le vicissitudini di una poliziotta del Nebraska
(Rachel Weisz) che entra a far parte dei corpi di pace delle
Nazioni Unite nella Bosnia del dopo guerra civile, e che si trova a
portare alla luce uno scandalo di tratta delle bianche che anche
l’ONU cerca di far passare sotto silenzio.
1921 – il mistero di Rookford: recensione del film
Un po’ come quando si parla di morte e visioni e non si riesce a non pensare al Sesto senso. 1921 – il mistero di Rookford richiama per certi versi un po’ tutti questi film che hanno segnato profondamente il sottogenere ghost-story. Quando si affronta una storia di fantasmi, che si svolge interamente in una spettrale villa di campagna in mezzo ad uno sterminato giardino, è inevitabile non pensare a pellicole come The Others o al più recente The Orphanage.
Ambientato nell’Inghilterra del 1921, alla fine della Prima Guerra Mondiale, 1921 – il mistero di Rookford racconta la storia di Florence, una donna estremamente razionale e molto scettica che viene chiamata in una scuola di campagna per investigare su un inspiegabile crimine. Un ragazzo è morto e alcune foto successive del cadavere rivelano sullo sfondo una misteriosa figura sfocata. Tanti ragazzi parlano di presunte apparizioni di un fantasma nella scuola. Florence quando crede di aver confutato la teoria del fantasma, si imbatte in una creatura soprannaturale che abbatte tutte le sue credenze razionali.
1921 – il
mistero di Rookford: recensione del film
Pur rimanendo un gradino sotto all’ultimo The Orphanage, e nonostante l’abusato tema che tratta, il film opera prima nel cinema di Nick Purphy riesce nell’intento di raccontare una storia a tratti originale senza per questo rinunciare a richiami formali e contenutistici ad altre opere del genere. Questo avviene grazie anche a una sceneggiatura non impeccabile per intreccio ma interessante per i particolari e per gli espedienti con i quali racconta gli avvenimenti. Se poi aggiungiamo a ciò la bravura del cast femminile del film, è facile giudicarlo positivamente. Su tutti spicca la bravissima Rebecca Hall, che ancora una volta conferma di possedere un talento sobrio, capace di regalarci un personaggio che si muove in una cornice colma di sofferenza con straordinaria eleganza.
La sua interpretazione possiede quella sottigliezza e quella profondità che rendono del tutto credibili le cose soprannaturali con le quali viene in contatto. Al suo fianco Imelda Staunton, un nome noto ai fan di Harry Potter, che con il suo viso spigoloso impreziosisce il cast. A chiudere il quadro, c’è la poetica partitura di Daniel Pemberton che riesce a donare al film un tocco di profondità in più, l’uso del violino infatti fa eco alla sofferenza dei personaggi che si muovono in un’ambiente, la casa, che nell’horror ha un ruolo privilegiato di luogo del perturbante (valga per tutti gli Invasati di Robert Wise).
Nota dolente è la prima parte del film, che a stento riesce a trovare i giusti tempi di suspense. Fortunatamente la svolta arriva ben presto riuscendo a dare quell’azione che serve per percorrere il binario del terrore. I più avvezzi al genere riusciranno a godere di un discreto thriller con sprazzi di orrore.
Miracolo a Le Havre: recensione del film di Aki Kaurismäki
In Miracolo a Le Havre Marcel Marx un tempo era uno scrittore, ma ha abbandonato da anni la vita artistica per dedicarsi a una più modesta attività, quella di lustrascarpe nella città portuale di Le Havre; Idrissa è un giovanissimo ragazzino africano, sbarcato per caso in Normandia dentro un container diretto a Londra, dove vive sua mamma. L’incontro fortuito tra questi due sradicati e l’aiuto spontaneo che Marcel offre a Idrissa è solo la prima scintilla che spinge tutta la comunità a darsi da fare per mostrare un po’ di solidarietà, mentre le autorità lo cercano come fosse un soggetto pericoloso.
È di pochi saper trattare temi alti con sincerità e al tempo stesso leggerezza, e in questo sta la grandezza di Kaurismaki: nel riflettere sull’Europa senza frontiere e sull’immigrazione clandestina, sull’identità e sulla solidarietà sociale, rinuncia da subito ai toni predicatori e conferisce a Miracolo a Le Havre la giocosità di un fumetto. A questo fanno pensare sia il suo stile di regia, fatto di immagini quasi sempre fisse ma con colori così netti e vividi, sia la caratterizzazione dei personaggi, sempre fortemente tipizzati: il lustrascarpe vietnamita, il rocker Little Bob, il vicino spione, l’esilarante Commissario Monet che mantiene il suo volto impassibile anche girando per Le Havre con un ananas in mano. Il regista finlandese è aiutato in questo da un cast straordinario, con molti habitué dei suoi film, dei quali asseconda minuziosamente ogni gesto e mimica facciale.
Oltre alla levità di cui si è detto c’è un messaggio ottimista di fondo che, se ai più cinici può apparire forzato nella realtà attuale dell’Unione Europea, è in realtà sintomo di un umanesimo incrollabile: così come Marcel ha scelto di fare il lustrascarpe per vivere in mezzo alla gente (seguendo “i precetti del discorso della montagna” secondo le sue stesse parole), Kaurismaki racconta il quotidiano in modo essenziale e mai artificioso, ama tutti i suoi personaggi indistintamente perché vuole mostrarci come i gesti individuali abbiano un valore assai più incalcolabile della cecità dei sistemi e delle autorità costituite. Se la polizia di Le Havre non sa far altro che accogliere a mitra spianati dei poveracci che muoiono di fame, Marcel è lì a ribadirci che forse la scelta migliore è farlo con un panino al formaggio.
Ligabue Campovolo 3D: un treno per i fan dritto all’anteprima di Roma!
Inti-Illimani – Dove cantano le nuvole. Incontro con la stampa
Inti-Illimani: dove cantano le nuvole
Kirsten Dunst in Red Light Winter di Adam Rapp
Kirsten Dunst, premiata come miglior
attrice femminile al Festival
di Cannes 2011 per l’interpretazione di Justine in Melancholia
di Lars von Trier, entra
Niente Django Unchained per Michael K. Williams
Michael Kenneth Williams, l’Omar di The Wire, attore apprezzato e versatile, era stato inizialmente in lizza per il ruolo principale di Django Unchained, il nuovo film di Quentin Tarantino. Per questioni d’agenda, la parte era andata a Jamie Foxx. In seguito, era nata l’idea di un ruolo minore in Django per M. K. Williams. Tuttavia, ora pare ormai certo che, a causa degli impegni con la serie Boardwalk Empire, non vedremo l’attore afroamericano nel western di Tarantino. Niente paura per i fan dell’Omar Little di The Wire: nel 2012 sarà ugualmente sui grandi schermi con Snitch di Ric Roman Waugh.
Fonte: Deadline
Hugh Jackman: a Broadway con gli artigli di Wolverine
Hugh Jackman ha cominciato con Wolverine. Si può tranquillamente prendere per buona questa affermazione, se consideriamo che quello del mutante è il suo primo ruolo di una certa importanza e che gli ha dato anche notorietà. La sua carriera cinematografica, cominciata con il quasi sconosciuto Paperback Hero nel 1999, subisce nel 2000 una svolta decisiva con il film di Bryan Singer, e quest’anno, con un piccolo cameo in X Men: L’inizio, ha compiuto il suo undicesimo anno e chiuso una sorta di cerchio ideale.
Quella col personaggio di Wolverine è la tipica ‘identificazione’ che rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio: certo l’interpretazione, riuscitissima, del personaggio ha dato a Hugh Jackman una popolarità che forse altrimenti non avrebbe avuto, tuttavia vi è sempre il rischio che certi ruoli finiscano per ‘imprigionare’ l’attore, impedendogli di mostrare pienamente le proprie potenzialità.
A guardarli nel loro insieme, nel corso di questi undici anni abbiamo visto Hugh Jackman (nato a Sidney nel 1968) impegnato in due filoni principali: da una parte l’azione, quella certo della trilogia degli X-Men (meglio forse il primo e il terzo, più debole il secondo capitolo), ma anche di un film ambizioso quanto dagli esiti abbastanza scontati come Codice Swordfish, o il più riuscito Van Helsing, in cui ha vestito i panni del cacciatore di vampiri in una rilettura (forse un pò troppo libera) del personaggio di Bram Stoker. All’opposto, vi sono i film della categoria ‘commedie romantiche’, come Qualcuno come te, che lo ha visto recitare a fianco di Ashley Judd, o Kate & Leopold con Meg Ryan, in cui il nostro ha interpretato un gentiluomo ottocentesco catapultato ai giorni nostri.
Ma è nel musical che Hugh Jackman trova la sua vera vocazione. Nel 2002 canta il ruolo di Billy Bigelow nell’edizione di Carousel presentata alla Carnegie Hall mentre nel 2003 debutta a Broadway come protagonista dell’acclamato spettacolo The Boy from Oz. La sua interpretazione del musicista Peter Allen riceve grandi apprezzamenti da parte di pubblico e critica, ottenendo, nel 2004, il Drama Desk Award e il Tony Award come miglior interpretazione maschile in un musical. Per tre stagioni successive (2003, 2004 e 2005) presenta la cerimonia di premiazione dei Tony Awards (vincendo, nel 2004, l’Emmy come miglior presentatore). Nel 2003 la sua interpretazione di Peter Allen nell’ edizione newyorkese di The Boy from Oz gli vale il Tony Award come miglior interprete maschile e nell’estate del 2006 riprende il ruolo Peter Allen nello show Boy From Oz – Arena Spectacular, (un’ edizione speciale del musical, diretta da Kenny Ortega). Sempre nel 2006 esce una tripletta di lavori che, grazie soprattutto al livello della regia, hanno senz’altro contribuito alla crescita professionale dell’attore, che si è dedicato alla recitazione dopo gli studi di giornalismo: Scoop, secondo film londinese di Woody Allen, The Fountain (in italiano: L’albero della vita di Darren Aaronofsky) e soprattutto The Prestige di Christopher Nolan dove, complice anche il dividere la scena con Christian Bale, Jackman ha offerto una delle sue interpretazioni più convincenti.
Hugh Jackman: a Broadway con gli artigli di Wolverine
Poi è il turno di una
scelta sbagliata: nel 2008 Baz Luhrmann mette
insieme un cast di australiani per portare al cinema una grande
epopea su quella terra, in stile
Via Col Vento. Purtroppo però il film
è un vero fiasco e Hugh si ritrova con la collega
Nicole Kidman a dare volta al più brutto film
di Luhrmann.
Non appare casuale, quindi, che il nostro sia spesso tornato ‘sul luogo del delitto’, interpretando a più riprese Wolverine, fino al film omonimo dedicato alle origini del personaggio, forse per restare ‘fedele’ (o cementare la fedeltà) del suo pubblico.
Nel corso di questi undici anni Hugh Jackman si è tolto qualche soddisfazione ‘importante’, come la conduzione della cerimonia degli Oscar nel 2009, qualche altra più ‘frivola’, come l’elezione a uomo più sexy del mondo da parte di “People” nel 2008, e ha forse visto svanire ‘l’occasione della vita’, essendo stato per qualche tempo trai ‘papabili’ per il ruolo di nuovo ‘007’, assegnato a Daniel Craig.
Più recenti sono i
ruoli ne
Il ventaglio segreto e in
Real steel, variazione futuristica sul rapporto
‘padre – figlio’ che vedremo e breve sugli schermi italiani.
Per Hugh Jackman sembra che non sia ancora arrivata la grande occasione al cinema, uno di quei ruoli che consacrano un attore, e quindi per ora si impegna affinchè arrivi al cinema ancora una volta il suo personaggio feticcio, quel Wolverine che l’ha reso noto, con una produzione che però fatica a decollare. Per ovvie ragioni d’età non sappiamo quanto a lungo Hugh potrà ancora contare sul mutante artigliato, tuttavia speriamo che la sua vocazione musicale non venga accantonata.
Amy Adams in trattative per Trouble With the Curve
Robert Lorenz, produttore dei film di
Clint Eastwood degli ultimi dieci anni, sta
preparando Trouble with the Curve,
Sharon Stone nel biopic su Linda Lovelace
Sharon
Stone interpreterà la madre di Linda Lovelace
(1949-2002) nel film biografico Inferno: a Linda Lovelace Story,
diretto da Matthew Wilder. Il film, che avrà come protagonista la
svedese Malin Akerman (Watchmen), sarà basato sul libro Ordeal: An
Autobiography by Linda Lovelace with Mike McGrady.
La Stone, prima di dedicarsi a Inferno, prenderà parte a The Mule, un thriller firmato Michael Radford.
Picchiarello sul grande schermo
Django Unchained: ecco montatore e direttore della fotografia
Quentin Tarantino, nel settembre 2010, ha perso la fedele montatrice di tutti i suoi film, Sally Menke, scomparsa a soli 56 anni. Ora sembra averne individuato il successore in Fred Raskin, che con Tarantino ha già collaborato in qualità di assistente al montaggio nei due Kill Bill.
Sciolto anche il nodo del direttore della fotografia: toccherà a Robert Richardson, già agli ordini di Tarantino nella saga di Bill e in Bastardi senza gloria, nonché vincitore di due premi Oscar per la miglior fotografia con The Aviator e JFK.
Fonte: Collider
Scrat’s Continental Crack-Up — Part 2 è online!
Brave: il trailer dell’ulitmo film Pixar
Titanic 3D: il trailer
Da Roma a San Francisco: incontro con Daniele Luchetti
Il NICE (New Italian Cinema Event)
torna negli Stati Uniti. Il festival, fondato a Firenze nel 1991,
era nato con l’idea di promuovere il nuovo cinema italiano
all’estero, obiettivo che svolge eccellentemente da 21 edizioni.
Inauguratosi all’Anthology Film Archives-Courthouse Theatre a New
York il 10 novembre, si è trasferito a San Francisco al Landmark
Embarcadero Center Cinema, il 13 novembre.
Il buono, il matto, il cattivo: recensione del film
Il buono, il matto, il cattivo Kim Ji-woon è uno dei registi coreani più interessanti che ci sono in circolazione, noto per lo stile adrenalinico e sanguinolento dei suoi notevoli lungometraggi. Questa volta il talentuoso regista affronta il western alla Sergio Leone (citato sin dal titolo e ricordato nelle spettacolari sequenze iniziali della corsa del treno che danno il via alla storia), regista che rappresenta una inesauribile fonte di ispirazione per tantissimi maestri del cinema.
Ne esce un bizzarro action movie ambientato tra le valli desertiche della Manciuria durante gli anni ’30, che ricorda tanto il mitico Far West fasullo (e spagnolo) degli spaghetti western, popolato di loschi banditi mossi da avidità e sete di potere. Un bizzarro individuo (il matto del titolo, ossia la star Kang-Ho Song molto apprezzata in film come “Thirst”,“The host”, “Secret sunshine” e “Mr. Vendetta”) ruba ad un ricco contrabbandiere una famosa mappa che porterebbe al nascondiglio di un immenso tesoro nascosto nell’antichità.
Quest’ultimo assolda un killer (il cattivo, Byung.Hun Lee, attore feticcio di Kim Ji-woon che lo ha diretto sia in “Bittersweet life” che in “I saw the devil”) per recuperarla, ma sulle tracce di entrambi giunge un famoso e abilissimo cacciatore di teste (il buono), non del tutto indifferente all’idea di un bel malloppo di cui impadronirsi che si andrebbe da aggiungere alla taglia che pende sui due malviventi.
Lo scontro e la fuga tra i tre protagonisti sono rocamboleschi e si snoda in un crescendo di inseguimenti e sparatorie. Si deve ammettere che Ji-woon convince di più nei magnifici thriller che hanno preceduto questa bizzarra pellicola ma è importante ricordare che in Corea è conosciuto come un regista pop, capace di alternare horror e noir girando storie che viaggiano sempre a grandi velocità, tanto che in estremo oriente i suoi film sono dei blockbuster annunciati.
Il buono, il matto, il cattivo è un vero e ossequioso omaggio agli spaghetti western, in cui la ricerca di personaggi iconici sono parte di un teatrino variopinto e grottesco, in cui si possono intravedere le tracce di Sukyiaki Western Django di Takashi Miike. Mescolando il western e la pura avventura Kim stupisce soprattutto per le scelte registiche al limite dell’acrobatico, con piani sequenza ed altri spettacolari movimenti della macchina da presa che rivelano le grandi abilità tecniche del regista. Il buono, il matto, il cattivo arriva in Italia dopo aver incassato nel mondo ben 44 milioni di dollari, e vederlo in sala (rendendosi sempre conto che Sergio Leone è tutt’altra cosa) è la classica occasione da non perdere.
Il trailer di Luck, la serie tv diretta da Michael Mann
Il Giorno In Più – Trailer Ufficiale
Tratto dal bestseller di Fabio Volo,
dal 2 dicembre al cinema. La storia di Giacomo Bonetti: bravo nel
lavoro, con le donne e soprattutto nell’evitare accuratamente ogni
sorta d’impegno affettivo e sentimentale. La sua vita cambia quando
incontra una ragazza su un tram (Isabella Ragonese): un’apparizione
improvvisa in mezzo ai passeggeri, uno scambio di sguardi, una
bellezza sfugg…ente che divengono presto una vera e propria
ossessione. La incontra tutte le mattine andando a lavorare sul
trenta barrato che attraversa la città. Ma si può amare una donna
di cui non si conosce nemmeno il nome? Quando finalmente riesce a
parlarle e passare una serata con lei viene a sapere che si chiama
Michela e che è il suo ultimo giorno in Italia; sta per andare a
vivere a New York dove le hanno offerto un incarico in una
prestigiosa casa editrice. Un bacio lunghissimo e poi più niente,
solo un saluto dal finestrino di un taxi. Si sono incontrati troppo
tardi. A Giacomo propongono un grosso affare in Sud America, lui
accetta, ma durante il trasferimento l’aereo fa scalo in una città
non troppo distante da New York. È un attimo, un impulso
irresistibile. È il cuore a comandare. Giacomo scende dall’aereo.
La va a cercare…