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This Must Be the Place: riprese ad Agosto

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Tutto pronto per le riprese di This Must Be the Place: inizieranno in agosto a Dublino e dureranno dieci settimane  le riprese di This Must Be the Place, di Paolo Sorrentino, con Sean Penn e Frances McDormand…

Trasformes 3: Chicago nuovi video sulle riprese

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Trasformes 3: Chicago nuovi video sulle riprese

Giorni di riprese per le strade di Chicago per Transformers 3, ed ecco arrivare un mucchio di altri video, tra inseguimenti, esplosioni e spettacolari voli di paracadutisti tra i grattacieli!

I primi tre video provengono ancora dalla prima giornata di lavori, e mostrano degli stunt in skydiving mentre usano la zona del parco Lake Shore East Park come pista di “atterraggio”, paracadutandosi da elicotteri i volo tra i grattacieli:

Ieri, invece, è toccato a esplosioni, fiamme e detriti. Nel primo video vediamo Optimus Prime che riesce a evitare una esplosione, mentre il secondo mostra gli Autobot al seguito di tre “Stunticon” (i veicoli Nascar che avevamo visto ieri nelle foto).

I vari filmati e le foto diffuse finora hanno permesso di desumere qualche conferma, tra cui il fatto che l’automobile viola che si vede assieme agli Autobot non è Jolt la Chevrolet, ma una Mercedes E350. Non è ancora chiaro quale personaggio rappresenti. Questo significa comunque che, per ora, abbiamo cinque nuovi Transformer: i tre “Stunticon” (che si suppone siano Decepticon, ma non è ufficiale), la Mercedes (Autobot) e una Chevrolet Tahoe (Decepticon), oltre alla Ferrari Testarossa (Autobot).

FonteBadtaste

Filmati:




Trasformes 3: Chicago nuovi video sulle riprese

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Trasformes 3: Chicago nuovi video sulle riprese

Giorni di riprese per le strade di Chicago per Transformers 3, ed ecco arrivare un mucchio di altri video, tra inseguimenti, esplosioni e spettacolari voli di paracadutisti  tra i grattacieli!

Edward Norton sul suo (non) Hulk

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Dopo la dichiarazione unilaterale di Kevin Feige dei Marvel Studios di due giorni fa, nella quale si confermava che Edward Norton non sarebbe stato nel cast dei Vendicatori per il ruolo di Hulk, ieri l’agente dell’attore ha seccamente replicato a Feige mettendo in chiaro che Norton non aveva avuto alcun ruolo nella decisione.

Festival di Ischia 2010

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Sono stati assegnati i premi del Festival di Ischia. Miglior documentario dell’ottava edizione dell’Ischia Film Festival è Mi vida con Carlos di Germàn Berger Hertz, viaggio autobiografico di un figlio in cerca della memoria del padre assassinato durante la dittatura cilena.

 

Angelina Jolie su Maleficent

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Durante i junkets del suo nuovo spy-thriller Salt  la protagonista Angelina Jolie ha parlato di alcuni progetti che avevano visto il suo nome coinvolto.

 

Shrek e vissero felici e contenti: recensione del film

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Shrek e vissero felici e contenti: recensione del film

Dopo l’eroico salvataggio della principessa, l’avere a che fare con le incombenze di corte e realizzare finalmente che la paternità non è poi il peggiore dei mali, l’orco verde della DreamWorks si trova a fronteggiare, in questo quarto capitolo della sua avventura cinematografica, la famosa e ritrita crisi di mezza età, per quanto possa sembrare un orco piuttosto giovane. Così non resta che barattare un solo giorno della sua monotona vita familiare, con un altro del suo passato, quando faceva spaventare la gente… Questa è la premessa di Shrek e vissero felici e contenti, ultimo (ad oggi) capitolo della storia cominciata ormai 10 anni or sono.

Se nel terzo episodio ci eravamo annoiati tutti in poltrona scommettendo su quale altro personaggio gli sceneggiatori avessero tirato fuori dal mazzo, ora la noia e arginata da un racconto dal pretesto, appunto, pretestuoso ma comunque ordinato e con un logico filo conduttore. Pur se lo svolgimento non è dei più brillanti, interessante la sceneggiatura che conserva una certa freschezza soprattutto per i dialoghi assegnati ai personaggi di contorno, su tutti il Gatto e Ciuchino.

Shrek e vissero felici e contenti, terzo episodio della saga

Questa volta però si è aggiunto il 3D al comico carrozzone e il risultato è sicuramente un bel pacchetto che purtroppo non è all’altezza dei primi due episodi, punta sulla tecnologia per dare una spinta di innovazione al franchise. Anche qui non mancano le citazioni, in alcuni casi quasi letterali, come quella chiarissima de La Bella e la Bestia nel finale, con la clessidra al posto della famigerata rosa stregata.

Si è ripercorsa tutta la strada dal primo incontro tra i due orchi fino al lieto fine ‘e vissero per sempre felici e contenti’ in un cerchio perfetto di una tetralogia che volendo considerare il terzo episodio una sorta di incidente di percorso, sarebbe stata benissimo anche come trilogia. Non resta ora che aspettare di vedere gli incassi del film, per sapere se la parola fine a questa storia è stata scritta al quarto episodio, oppure dovremmo aspettarcene un quinto.

Box Office

Toy Story 3 soffia il primo posto a Eclipse, con un risultato tuttavia non eccezionale. Dietro i due titoli più forti dell’estate, il deserto. Le altre new entry non si piazzano neppure nella top20.

Laureata … e adesso?: recensione del film con Alexis Bledel

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Laureata … e adesso?: recensione del film con Alexis Bledel

Arriva l’estate: il mare, le vacanze, il caldo opprimente, le ragazze in bikini, il gelato ed il cinema. Strano? no, perché cosa c’è di meglio di una allegra e leggera commedia americana per passare una piacevole serata estiva al cinema? Laureata… e adesso?

La trama del film

Laureata… e adesso? racconta la storia della giovane e bella Ryden Malby (Alexis Bledel), appena laureatasi in Lettere e pronta per il suo primo lavoro, magari nel campo dell’editoria a cui lei ambisce. La strada verso il successo è quindi spianata? Come noi italiani ben sappiamo, il groviglio di colloqui fallimentari e delusioni è ben lungi dall’essere breve e Ryden sarà costretta a mettere da parte (momentaneamente) le sue ambizioni nel costruirsi una vita indipendente. Eccola quindi barcamenarsi tra lavoracci nel negozio di valigie del padre, una nonna fin troppo moderna e la scelta sentimentale tra l’amico che le è sempre stato vicino o il passionale ragazzo che le abita accanto.

Un film da manuale della commedia americana perfetta

Laureata… e adesso? segue pedissequamente il manuale della commedia americana perfetta; non affronta mai il tema della disoccupazione con profondità ma lo lascia come sfondo alle disavventure di Ryden facendolo emergere di tanto in tanto, la colonna sonora ben costruita e gli attori bellocci fanno il resto. Al centro dell’attenzione c’è la famiglia Alby, una sorta di guazzabuglio male assortito di parenti strambi che renderanno la vita di Ryden piuttosto movimentata.

Non siamo quindi di fronte alla mediocrità di un A proposito di Steve ma più dalle parti del divertente Ricatto D’amore tanto per rimanere in tema Bullock. Da sottolineare anche la prova efficace e sopra le righe di Michael Keaton nei panni del genitore caciarone e volenteroso, che dona qualche guizzo comico alla pellicola, come la divertente faccenda del gatto del vicino. Quindi se cercate un film senza pretese, divertente e leggero, magari da vedere con il proprio partner, questa potrebbe essere la scelta giusta.

Nuova Rubrica dedicata al mondo dello Sci-FI

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E’ online da oggi nella sezione Rubriche, un nuovo mondo dedicato allo Sci-fi, ovvero alla fantascienza che si mischia con il mistero e la paura. Nella sezione sono già presenti diversi titoli che hanno solcato gli schermi delle recenti stagioni cinematografica, ma non finisce qui, perché nell’immediato futuro arriveranno analisi dei grandi film che hanno fatto la storia del cinema: da Alien a Terminetor, passando per Predators e molto altro. Analizzeremo i lavori di autori come Ridley Scott, Steven Spielberg, James Cameron, Robert Wise e molti altri. Dunque non perdete nulla della nuova rubricha che va ad arricchire la sezione già numerosa con: Horror e dintorni, Gli invisibili, Animazione, Serie Tv, Doc, e Corti.

Sezione: Sci-fi

Il mai Nato di David S. Goyer

Il mai Nato di David S. Goyer

Scritto e diretto da David S. Goyer, acclamato sceneggiatore dei Batman Begins di Christopher Nolan, Il mai nato si presenta come un horror riuscito, che a classici temi di fantasmi, della compresenza del mondo dei morti con quello dei vivi, associa volti nuovi, come quello di Odette Yustman, simbologie e credenze di connessioni tra i gemelli, e temi caratterizzanti, come il misticismo e la cabala ebraica e il tema dell’esorcismo che rimanda a ben più noti e riusciti film di genere.

La trama di Il mai nato si dipana nell’atmosfera fredda e invernale del film, dondogli insolita solidità considerando il genere che spesso e volentieri non da molte spiegazioni. Goyer cerca di dare profondità alla storia anche attraverso il tempo arrivando addirittura a scomodare un bambino morto ad Auswitz. Resta un film di non troppo ampio respiro, pieno di ogni stereotipo tipico del genere, ma si distingue dai vari Scary Movie che non danno troppo importanza alla trama.

 

Straordinario come di consueto Gary Oldman, che tolti i panni dell’ormai commissario Gordon, indossa quelli del coraggioso rabbino esorcista. Interessante e mai scontata è l’idea del male che si nutre della paura della propria vittima, metafora, anche se un po’ troppo stiracchiata, del momento storico che vive il mondo.

G.I. Joe – La nascita dei Cobra: recensione del film

G.I. Joe – La nascita dei Cobra: recensione del film

G.I. Joe – La nascita dei Cobra è il film del 2009 diretto da Stephen Sommers e basato sull’omonima serie di giocattoli. Protagonisti nel cast Dennis QuaidChanning TatumSienna MillerJoseph Gordon-LevittMarlon WayansRachel NicholsRay ParkLee Byung-hunAdewale Akinnuoye-AgbajeSaïd TaghmaouiArnold Vosloo.

G.I. Joe – La nascita dei Cobra, la trama: Nel film che porta al cinema e in live action i celebri giocattoli della Hasbro, G.I. Joe diventa l’acronimo di “Global Integrated Joint Operating Entity”, il nome di una task force internazionale anti-terrorismo con sede a New York. Ambientato 10 anni nel futuro, il film racconterà della lotta tra la task force ed un’organizzazione internazionale nota come COBRA.

Dalle montagne centroasiatiche ai deserti egiziani, attraverso le affollate strade di Parigi fino ai ghiacci del Polo Nord, la squadra di ultra professionisti nota come G.I.JOE si lancia in un’avventura senza sosta, in cui la tecnologia di ultima generazione e il più sofisticato equipaggiamento militare saranno impiegati per combattere il pericoloso trafficante d’armi DESTRO ed evitare che la minacciosa e occulta organizzazione COBRA getti il mondo nel caos.

G.I. Joe – La nascita dei Cobra, l’analisi

Stephen Sommers ci presenta ancora una volta una pellicola d’azione che rispetta le aspettative del pubblico in cerca di intrattenimento senza troppe pretese.

Ancora la Hasbro cerca di guadagnare sfruttando il cinema per i suoi leggendari giocattoli, dopo il travolgente successo di Transformers, che , almeno per il primo episodio, ha decisamente più consistenza e valore di questo film.

In G.I. Joe – La nascita dei Cobra a storia è quella dei Joe, una squadra speciale che deve salvare il mondo da un gruppo di cattivi. Niente di nuovo nella forma e nella sostanza, anche se qualche scena ben congeniata riesce ad interessare lo spettatore, vedi la scena dell’attacco a Parigi.

I personaggi di G.I. Joe – La nascita dei Cobra, sono quasi tutti volti emergenti del nuovo panorama cinematografico, riesco a convincere, chi più chi meno, nei ruoli loro assegnati, su tutti la bella Rachel Nichols, la rossa Joe. Bello il personaggio di Snake Eyes, interpretato da Ray Park, che ricorda un po’ della malinconia degli X-Men.

Sommers si tira dietro un po’ di cast della Mummia, Brendan Fraser e Arnold Vosloo, e combina diversi elementi action e comedy, per creare un film che senza pretese intrattiene, ma non convince e si dimentica presto. Anche visivamente, numerose sono le immagini e le suggestioni che ricordano Transformers, segno che forse le ambizioni di Sommers erano superiori a quelle poi avveratesi.

G.I. Joe – La nascita dei Cobra è un film d’azione che sfrutta la tecnologia spettacolare per realizzare scene ben ritmate ma non destinate a passare in fretta nella storia del cinema e nell’immaginario degli spettatori.

The Mist, il film diretto da Frank Darabont

The Mist, il film diretto da Frank Darabont

Dopo un tremendo nubifragio, una fittissima ed anomala nebbia (The Mist del titolo) scende su una cittadina americana. Questo il misterioso prologo diThe Mist , che vede tornare alla regia Frank Darabont (Le ali della libertà), dopo quasi dieci anni dall’uscita di Il Miglio Verde. Proprio come dieci anni fa, il regista si occupa della trasposizione di un romanzo di Stephen King, anche se ne modifica l’andamento e soprattutto il finale, con l’entusiasta approvazione di King stesso.

La pubblicità di The Mist ci ha fatto credere che il film fosse l’ennesimo splatter – horror fantascientifico con disgustosi mostri che divorano indifesi esseri umani. Tuttavia il film non si risolve affatto in questo.

The Mist, tra suspance e fantascienza

The MistCon un lavoro di scrittura molto accurato, anche se a tratti didascalico, Darabont entra nel supermercato, scena principale del film, ed osserva le persone da vicino. Frequenti infatti, molto più del necessario, i primi piani. Quello che viene fuori è l’incondizionata e ingiustificabile cattiveria umana. In The Mist, oltre ai terribili mostri nascosti nella nebbia, sono gli esseri umani che mostrano la loro peggiore essenza, la loro mostruosità. Numerose le caratteristiche del racconto che ricordano la presenza di King alla base della storia, come l’esistenza di un mondo parallelo ed ostile, oppure come la figura della fanatica religiosa (una Marcia Gay Harden particolarmente in forma, inquietante), che genera il panico e che scatena la violenza degli uomini contro i loro simili, indice efficace di quello che nella cronaca quotidiana è l’integralismo religioso.

I tipi, i caratteri umani vengono messi in scena nelle loro peggiori varianti, tutti i difetti dell’uomo vengono portati a galla dalle circostanze, anche se non manca poi l’eroe, l’uomo integerrimo e coraggioso, che cerca di risolvere le cose nella maniera più ragionevole possibile. Proprio questa figura, il protagonista, sarà quello punito nella maniera più crudele alla fine del film, e non dagli extraterrestri. Finale pessimistico, quindi, per un film che pur avendo qualche momento di tensione, può essere considerato un horror perché fa paura, ma anche perché mette a nudo l’essere umano nelle sue sfaccettature peggiori, e genera appunto orrore e senso di distacco nello spettatore.

Con un discreto risultato al box office il film si posiziona al quinto posto nella classifica italiana dei film più visti. La resa del film è basata esclusivamente su inquadrature ravvicinate con cambi frequentissimi di fuoco, probabilmente con l’intento di pilotare l’attenzione dello spettatore a seguire gli spostamenti dell’azione nello stesso quadro, ma che non sono al servizio della storia.

Il film potrebbe essere molto di più di un horror poiché mette nudo i moti dell’animo umano, prevalentemente cattivo, tuttavia il suo limite risiede nel voler spiegare attraverso i dialoghi ciò che le immagini e la storia mostrano in modo molto più efficace. La cattiveria, la violenza, mostrate nella loro crudeltà non hanno bisogno di essere spiegate, si mostrano autonomamente nella loro incomprensibilità.

Terminator Salvation con Christian Bale

Terminator Salvation con Christian Bale

L’attesissimo sequel di Terminator, Terminator Salvation è arrivato nelle sale, promettendo adrenalina spettacolo, soprattutto un approccio più moderno rispetto all’originale, che resta l’indimenticato primo film.

A volte le promesse non si mantengono, altre volte si, altre volte ancora si esagera e si finisce col portare nelle sale film che risultano fastidiosi. E’, purtroppo, il caso di Terminator Salvation, che lungi dall’essere un film totalmente negativo è troppo immerso nell’universo machista che fa di Christian Bale un soldato urlatore e spara-tutto, insulso ed egoista nel suo personaggetto di Jhon Connor, che avrebbe meritato un trattamento ben migliore. Ma non diamo la colpa al Christian che invece si impegna diligentemente, com’è suo solito, a portare a termine la missione pur con qualche capriccio di troppo sul set.

Chi mai incolperemo per aver fatto di uno dei film più attesi della stagione un clamoroso fiasco (non al bottighino…)? Gran parte della colpa è senza dubbio di McG, il regista che dopo un inizio esaltante, vedi il piano sequenza dell’elicottero che precipita con Bale all’interno, si concentra tutto sullo spara spara contro le cattivissime ed attrezzatissime macchine. Un abbozzo di storia decisamente interessante che crolla su se stesso, senza risparmiare nemmeno il ben costruito personaggio di Sam Wartinghton, umano meccanico che ruba la scena al povero Christian Bale che già ne Il Cavaliere Oscuro si era fatto offuscare dal talento di Heath Ledger.

Si capisce bene, considerando la travagliata vicenda della sceneggiatura, la richiesta di soccorso inviata a Jonathan Nolan, per risollevare le sorti del film. Il buon Jonathan Nolan arriva sul set, consola l’amico Christian e mette mano alla sceneggiatura modificandone l’ultima parte. Il finale infatti si salva parzialmente anche se, come per tutto il film, resta quel qualcosa di inespresso che una storia comunque bella poteva dare. Bello il cameo di Shwarzy, ovviamente ricostruito in digitale, come è ‘espressivo’ lui nel ruolo di macchina mortifera nessuno! Risultato complessivo appena sufficiente, si salva infatti l’aspetto visivo del film…ma dopotutto non si tratta di un quadro, e una fotografia azzeccata non solleva un film mediocre.

Il mondo dei repplicanti

C’era una volta Sigmund Freud che nella sua opera “Totem e tabù” dichiarava: «l’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza» – sicurezza che in Surrogates gli uomini sembrano aver trovato in macchine che rispecchiano i loro canoni estetici e se ne vanno in giro in loro vece a vivere la vita, mentre l’operatore, comodamente rilassato nell’imperturbabilità della propria casa, controlla ogni sua movenza.

Star Trek

Star Trek

Uno sfavillio di luce galattica avvolge lo spettatore che si lascia prendere da una storia di nascita e origini. ancora una volta, come già accaduto per il batman di nolan, per il restyling del mito si torna alle origini dell’uomo (o nel caso, del vulcaniano), alla nascita e all’educazione, per capire i ruoli i rapporti i sentimenti che legano gli eroi che tante avventure hanno attraversato insieme sull’enterprise tra tv e cinema.

J.J. Abrams ochestra tutto con maestria ed equilibrio, misurando emozione e phatos, adrenalina e battaglie, prediligendo lo spostamento della camera al cut della pellicola, per farci seguire con lo sguardo, per accompagnarci nei meandri di una storia bella e ben raccontata, da un punto di vista visivo ma soprattutto da quello narrativo, merito di due sceneggiatori di tutto rispetto roberto orci e alex kurtzman che insieme avevano già dato prova di sapere il fatto loro con transformers, usando la commedia per entrare nell’action puro e per arrivare attraverso di esso ai sentimenti primordiali del bene e del male, dimensioni talvolta banalizzate ma sempre attuali.

Merito anche di un cast convincente, il film si dipana in tutta la sua notevole durata, senza pesare minimamente sullo spettatore, dosando con reminisenze (oso dire) kubrikiane riferimenti ben più calzanti e vicini come star wars e coinvolgendo lo spettatore che esce dalla sala soddisfatto, con gli occhi pieni di immagini poderose ed emozionanti.

District 9: recensione del film di Neil Blomkamp

District 9: recensione del film di Neil Blomkamp

Prendi un po’ de “La cosa” di Carpenter, lo spunto visivi di “Cloverfield” e un po’ della visione Spielberghiana del mondo alieno ed ecco che per magia appare District 9. Ma veniamo a noi e appunto al film. Ambientato nel natio Sudafrica, a Johannesburg, lasciata da Blomkamp all’età di 18 anni per il Canada, District 9 parte come un reportage su un evento ormai cristallizzato: la presenza di una gigantesca nave aliena sospesa sul cielo della capitale sudafricana.

Trovate in fin di vita, disidratati e affamati a bordo, centinaia di migliaia di “clandestini” vengono curate e rinchiuse in un ghetto alla periferia della città. Un ghetto vero, sporco e malsano, in cui queste creature insettiformi sopravvivono mangiando cibo per gatti, vittime dei traffici dei boss nigeriani della zona (anche questo basato su una situazione reale a Johannesburg, senza connotazioni razziste). Quando la situazione diventa esplosiva, il governo affida a una corporazione privata, la MNU, il compito di evacuare e bonificare la zona, per spostare gli alieni altrove. Da lì prende le mosse, tra un’intervista e un reportage televisivo, che danno alla storia uno straordinario carattere di film verità nella prima parte (forse l’unico spunto interessante dell’opera), la trama che vede protagonista un ambizioso ma ingenuo dipendente della MNU e un alieno col figlio, determinato a far funzionare la tecnologia che li riporterà alla nave madre e quindi in patria.

Se qualcuno si aspettava più originalità e rivoluzione nel genere Sci-fi, rimarrà un po’ deluso. Il film per l’appunto pecca di originalità, soprattutto riguardo all’evolversi della storia, troppo convenzionale e più delle volte prevedibile. Chi si aspettava un re-start per il genere Sci-fi che tanta soddisfazione ha dato con film come Alien e Predator deve fare ammenda di fronte ad un film lontano da quelle dimensioni.

District 9, il film

District 9

Tuttavia, il film contiene degli ottimi spunti registici, che per buona parte del film mantengono alta l’attenzione. L’inizio in stile documentario incuriosisce e al tempo stesso da un tocco sottile ed intrigante alla vicenda, e sotto questo punto di vista il regista si dimostra bravo ad amalgamare i vari pezzi tra il doc e la fiction, riuscendo nell’impresa di tirare fuori un buon prodotto fruibile dal grande pubblico in quella che ha detta di molti, anzi a dette di tutti è la natura del cinema: l’intrattenimento. In aggiunta c’è anche spazio alla riflessione degli avvenimenti sociali che caratterizzano gran parte della contemporaneità e la sua situazione a dir poco spiacevole su ciò che riguarda la clandestinità, razzismo a cui si vanno ad aggiungere problemi di natura di diversità religiose etc.

In definitiva il film rappresenta un tentativo sufficiente a riproporre un genere che ha affascinato le menti di molti giovani e che proietta il debuttante Blomkamp verso un futuro assai migliore, sempre che James Cameron con il suo Avatar non si piazzi in mezzo e dica: “ehi sono io il maestro del genere”. Di fronte a ciò nemmeno lo stesso Blomkamp riuscirebbe a contraddirlo, visto che Alien è il suo film preferito.

Trasformes 3: Bonaventura parla di Megan Fox

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Trasformes 3: Bonaventura parla di Megan Fox

Intervistato da ComingSoon.net all’anteprima stampa di Salt, il super-produttore Lorenzo Di Bonaventura ha parlato dell’allontanamento di Megan Fox da Transformers 3, avvenuto pochi giorni prima dell’inizio delle riprese del film di Michael Bay. La produzione aveva già uno script finito, e tutto era pronto per il ritorno dell’attrice quando improvvisamente i rapporti si sono spezzati..

Trasformes 3: Bonaventura parla di Megan Fox

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Trasformes 3: Bonaventura parla di Megan Fox

Intervistato da ComingSoon.net all’anteprima stampa di Salt, il super-produttore Lorenzo Di Bonaventura ha parlato dell’allontanamento di Megan Fox da Transformers 3, avvenuto pochi giorni prima dell’inizio delle riprese del film di Michael Bay. La produzione aveva già uno script finito, e tutto era pronto per il ritorno dell’attrice quando improvvisamente i rapporti si sono spezzati..

 

Incontrerai uno Sconosciuto Alto e Bruno trailer

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E’ online il trailer di Incontrerai uno Sconosciuto Alto e Bruno, il nuovo film diretto da Woody Allen  con Naomi Watts, Antonio Banderas, Anthony Hopkins, Josh Brolin e Freida Pinto…

La città verrà distrutta all’alba di Breck Eisner

La città verrà distrutta all’alba di Breck Eisner

La città verrà distrutta all’alba è il remake dell’omonimo film del 1973 diretto dal maestro  George Romero (titolo originale “The Crazies). Alla regia c’è Breck Eisner, regista statunitense non alle prime armi col genere horror e che già ha mostrato le sue abilità in molti sceneggiati televisivi in terra americana, come produttore esecutivo ritroviamo Romero che dovrebbe in un certo senso garantire una certa qualità sotto la sua supervisione.

La trama del remake La città verrà distrutta all’alba

La trama di  La città verrà distrutta all’alba è presto detta: Ogden Marsh è una cittadina americana dove tutto scorre tranquillamente, gli abitanti sono i classici cittadini modello e lo sceriffo non ha grossi grattacapi finché un giorno durante una partita di baseball, l’agricoltore Rory Hamill non decide di entrare sul campo con un fucile senza un non ben precisato motivo se non quello che di uccidere qualche sconosciuto, Dadid Dutton è quindi costretto ad ucciderlo per non rischiare la vita di nessun innocente.

La cosa sembra finire lì ma ben presto la maggior parte degli abitanti comincia a comportarsi stranamente per poi nel giro di 48 ore diventare degli assassini senza scrupoli.
Lo sceriffo decide quindi, in una città allo sbando totale, di fuggire insieme a pochi superstiti non contagiati.

La questione sembrerebbe già complicata così, se non che il governo venuto a conoscenza della situazione cittadina, decide di intervenire con forze armate alla disinfestazione e all’uccisione di chiunque mostri i sintomi della pazzia.

Devo dire che La città verrà distrutta all’alba è uno dei pochissimi remake in grado di migliorare le pellicole da cui prendono spunto, sarà che i mezzi odierni hanno permesso notevoli migliorie per gli effetti speciali e che la regia di Eisner non è niente male regalando anche alcune scene particolarmente affascinanti (una per tutte la moglie dello sceriffo illuminata dai fari della trebbiatrice abbandonata) sta di fatto che la pellicola scorre senza problemi ricalcando in pieno lo spirito che faceva parte dell’originale.

Certamente non vi è nulla di nuovo sotto al sole e per chi conosce bene le regole di questo genere cinematografico non vi è nulla di innovativo, ma una buona dose di colpi scena e una tensione sempre vivida rendono la pellicola piacevole e sopra la sufficienza.

Predators con Adrien Brody

Predators con Adrien Brody

Più che un sequel, il nuovo Predators, prodotto da Rodriguez, diretto da Antal e interpretato da Adrien Brody, ha tutta l’aria di essere un remake o reboot del primo capitolo. Ed è certamente la prova che se un film lo si fa con spiccato talento ed un pizzico di furbizia, non importa poi così tanto che sia un remake o un rifacimento di una precedente opera.

Senza alcun dubbio uno dei punti forti del film è proprio la regia; equilibrata nella giusta maniera, senza eccessive stramberie,  riesce a mantenere alto l’interesse per le vicende, sin dalle prime battute fino ad arrivare ad un finale forse un po’  scontato.  Buona anche l’idea di mantenere le stesse ambientazione del primo famoso capitolo e in molti punti stessa trama.

Se da un lato quest’opera ha il pregio di partire con un inizio molto enigmatico ed interessante, dove non vi è traccia dei mostruosi Predators e di futili morti senza senso, successivamente l’eccessivo dilungarsi di un’assente vera caccia all’uomo e forti echi derivanti dai vari LOST, per dirne qualcuno, o addirittura dello spilberghiano Jurassic Park, ma senza bambini, sminuisce un po’ le intenzioni e ridimensiona decisamente il film.

Nonostante ciò la sceneggiatura regge molto bene e diventa quasi funzionale nella seconda parte a cui faranno seguito scene di pura azione e adrenalina, mantenendo giustamente un’aurea enigmatica che da un tocco più intrigante al film. Da qui si può evincere un altro punto forte dell’opera, ovvero la buona costruzione dei personaggi, partendo da quello di Adrien Brody che interpreta egregiamente l’ex militare Royce, mercenario impassibile che diventa leader della squadra di violenti assassini bloccati nel pianeta, anche se ad insidiare la sua prova c’è un gruppo ben nutrito di caratteristi che sanno il fatto loro e in molti momenti emergono vincendo il confronto con il protagonista. Mi riferisco a Danny Trejo (fidato collaboratore di Rodriguez) trafficante messicano di droga di Los Zeta, esperto di guerra fra bande; Mahershalalhashbaz Ali, membro della squadra della morte della RUF in Sierra Leone, e anche lo stesso Laurence Fishburne, che interpreta magistralmente Noland, da tempo abitante nel pianeta di caccia dei Predator, che malgrado tutto riesce a sopravvivere nascondendosi.

In definitiva, da polpettone americano, sparattutto e fracassone, e negli ultimi rifacimenti abbastanza vuoto, il nuovo Predators,  si presenta invece come un buon prodotto, godibile da un pubblico più vasto, coraggioso nel scegliere un approccio più “classico” in senso  lato, riprendendo i punti forti dei primi film e imbastendo un’operazione che se non altro si presta ad un analisi più stimolante.

 

The Final Destination 3D

The Final Destination 3D

In un periodo dove sbucano come funghi trilogie, remake e prequel, non poteva mancare un nuovo pargolo come The Final Destination 3D, ultimo capitolo dell’omonima serie sulla morte composta ad oggi da ben quattro pellicole. C’era quindi bisogno di questa nuova pellicola?

E’ fuori di dubbio che il primo Final Destination avesse già detto tutto (risultando anche piuttosto gradevole e ben fatto), detto ciò , l’ultimo arrivato arriva trainato dal carrozzone sfavillante degli effetti 3d, qui usati per la prima volta ed in modo massiccio.

I personaggi cambiano ma la storia ricalca fedelmente quelle passate: Nick O’Bannon (Bobby Campo) ha una visione mentre assiste ad una gara automobilistica, di lì a pochi minuti ci sarà un incidente che ucciderà molti spettatori tra cui lui, la sua ragazza Lori (Shantel van Santen) e una coppia di amici; Hunt (Nick Zano) e Janet (Haley Webb).

Nick riesce appena in tempo e con difficoltà a portare fuori dall’autodromo i suoi compagni, che nello stadio si conferma la sua tragica visione. Dopo alcune morti sospette, Nick si convince che tutti coloro che sono scampati all’incidente, siano destinati comunque a morire seguendo l’ordine cronologico con cui perivano nella sua visione.

L’unico modo per salvare lui ed i suoi amici è quello di “spezzare” la catena salvando la vita ad almeno una persona destinata a morire prima di loro, Nick avrà ogni volta una visione che gli darà alcuni indizi sul modo in cui sarà colpita la prossima vittima.

Come marchio di fabbrica della serie non mancano momenti di puro splatter, così come sono sempre presenti le morti più assurde ed il salvataggi all’ultimo istante, ciò nonostante la pellicola soprattutto per chi ha già visto i precedenti Final Destination sa di trito e ritrito lontano un miglio.

I personaggi sono tutti preconfezionati, dal classico spavaldo che se ne infischia del pericolo a Nick ragazzo coraggioso dal cuore d’oro (pure troppo); alla fine il divertimento si riduce esclusivamente nel capire in quale modo bislacco sopraggiungerà la morte dello sfortunato di turno.

E se questo poteva bastare nel primo film della serie nel trasmettere un po’ di pathos, giunti ormai alla quarta “riedizione”, si fa una fatica tremenda a trovare un motivo valido per vederlo sino alla fine.

Il prodotto (perchè di questo si tratta) è confezionato per gli adolescenti in vena di emozioni facili, con attori bellocci e inquadrature che esaltano le curve delle bellone di turno e non bastano purtroppo dei buoni (e tamarrissimi) effetti 3d a rendere Final Destination 3d un horror che sarà ricordato in futuro.

Il quarto tipo: il film horror con Milla Jovovich

Il quarto tipo: il film horror con Milla Jovovich

Prendendo in considerazione l’idea che mai come adesso siamo di fronte ad una contaminazione fra due tipologia di film ben differenti (Fiction e Doc), e fermo restando che nella storia questa pseudo contaminazione era già avvenuta a vari livelli sia da una parte che dall’altra, ora con Il quarto tipo siamo davvero arrivati ad un inedita estensione di questa contaminazione dove la realtà e la finzione si mischiano in maniera totalmente angosciosa ed inquietante.

Avevamo ampiamente avuto modo di vedere esempi quali District 9 e Cloverfield, ma questa operazione è qualcosa che va oltre la rappresentazione stessa della storia in modalità documentaristica, qui siamo di fronte all’utilizzo vero e proprio di materiale registrato dalla protagonista della storia che anch’essa appare nel film intervistata dal regista stesso della pellicola e che nella finzione è interpretata da Milla Jovovich.

Il quarto tipo, il film

In Il quarto tipo la storia è quella di una psicologa americana -Abbey Tyler- che durante una ricerca su una serie di disturbi del sonno che affliggevano alcuni abitanti della città di Nome, in Alaska, si trovò di fronte a una serie di coincidenze inspiegabili e fu vittima in prima persona di eventi particolarmente traumatici.

Durante il suo studio la dottoressa Tyler registrò molte delle sedute di ipnosi con supporti audio e video che il regista abilmente e in maniera del tutto inedita, monta ed accosta in modo diretto (tramite lo split screen) con la ricostruzione cinematografica, quasi a voler creare una sorta di parallelo fra il mondo reale e quello di finzione, in cui il labile confine che divide i due mondi diventa pressoché inesistente. In questo caso siamo di fronte ad un film che è visibilmente tratto da una storia vera, senza nessun affabulazione di sorta. E la sensazione è quella di non potersi dissociare dal film e dalla sua rappresentazione, perché non è finzione.

Il quarto tipo

Il risultato è un’opera che, a prescindere dalle opinioni in merito al tema dei rapimenti alieni, è profondamente inquietante e riesce ad aprire la porta a dubbi e interrogativi che l’uomo e la nostra società bigotta cercano di accantonare e di rimuovere o ancor peggio di nascondere. Sotto l’aspetto linguistico, Il quarto tipo segue un buon ritmo sin dall’inizio, veicolando abilmente (va detto) la tensione dello spettatore, fortemente incuriosito (paurosamente) dal materiale della psicologa, soprattutto dall’intervista con la vera Tyler che come una voce narrante racconta gli accadimenti così come sono avvenuti. Ma ancor più interessante è il fatto che di fronte a tutto ciò, il film non cerca mai di giudicare o di prendere una posizione netta e chiara.

Per spiegare ciò la frase di chiusura è emblematica: “Alla fine siete voi padroni di credere o non credere”. Con quest’ultimo accenno, con astuzia e caparbietà, Osunsanmi lascia a noi la facoltà di esprimerci, rendendo il gioco ancora più indecifrabile e rendendo l’ Audience tremendamente attivo.

In chiusura, il riferimento alla pazzia o comunque al malessere interiore dei protagonisti e le continue panoramiche sulle montagne innevate e l’ambientazione in genere, rimandano a quelle “….montagne della follia” ed al genio del suo autore, H.P. Lovecraft, padre incontrastato di certa letteratura fantastica.

Lasciami Entrare di Tomas Alfredson

Lasciami Entrare di Tomas Alfredson

Dal 1897, data di uscita di Dracula di Bram Stoker, ad oggi, molti sono stati gli scrittori ed i registi che si sono lasciati ispirare dal grandissimo romanzo gotico dello scrittore irlandese. Chi più chi meno, tutti hanno mantenuto i tratti affascinanti del terribile e sanguinario conte Dracula, pur con nomi diversi e varianti tra il serio ed il faceto. Tuttavia, mai come nel caso di Lasciami Entrare (Låt den rätte komma in di Tomas Alfredson) , il mito del vampiro è stato stravolto ed allo stesso tempo conservato con tali tratti di grazia e gradevolezza.

La trama di Lasciami Entrare

E’ la storia di una bambina, una piccola vampira, che viene accudita da un uomo (probabile che non si tatti del padre), che la notte caccia per lei, affinché possa sopravvivere. Questo piccolo gioiello svedese conserva una fedeltà quasi romantica al romanzo e, pur sembrando un film che starebbe bene nella selezione delle pellicole per il Giffoni Film Festival, assume tratti inquietanti ed allo stesso tempo misteriosi, uscendo dal genere splatter-horror che purtroppo imperversa nelle sale cinematografiche, per elevarsi ad un horror, oserei dire raffinato, raccontato con toni intimisti ma freddo nel rappresentare la ferina violenza che caratterizza la natura della piccola protagonista.

L’inquietudine del titolo si concentra in due scene, in cui Eli la vampira chiede ad Oscar di invitarla ad entrare, altro tratto di fedeltà letterale al romanzo originale. L’interpretazione delle conseguenze di un ingresso, per così dire, senza invito, passate sotto silenzio in Stoker, vengono interpretate qui in maniera inquietante, senza però scadere nello splatter, mantenendo ancora una volta una delicatezza più unica che rara in film con questa tematica. Anche la potenzialità sessuale e sensuale del vampiro, viene affrontata qui in toni teneri e delicati, soprattutto a causa della giovane età dei personaggi.

Lasciami Entrare è un film godibile, anche per chi non ama l’horror, che pur distanziandosi  dal genere, vi rimane perfettamente collocabile.

San valentino di sangue 3D di Patrick Lussier

San valentino di sangue 3D di Patrick Lussier

Prima di iniziare con l’analisi del film San valentino di sangue 3D, vorrei porre l’accento sul successo questo film sta avendo: le sale sono sempre piene, e in alcuni casi è doveroso prenotare i biglietti ed entrare quanto prima per godere di un buon posto; gli spettatori non sono soltanto i cultori del cinema horror,  bensì giovani d’ogni sorta curiosi di vedere la violenza in 3d. Considerato lo scarso successo di molte film horror, che al cinema vedono incassi soprattutto grazie ai cultori,viene da chiedersi cosa spinge lo spettatore a scegliere di subire la violenza in maniera così diretta.

È ovviamente tutto consequenziale all’avanzamento tecnologico che ci travolge e ci investe in maniera così distruttiva da  coinvolgere anche la dimensione emotiva: l’espressione affettiva è infatti sempre più mediata dal mezzo(che sia un PC o un telefonino cellulare); il contatto viene a mancare, ed internet impera all’insegna delle nuove relazioni virtuali. Considerando ciò, è chiaro come la terza dimensione al cinema si confaccia alle esigenza di una generazione aliena sempre di più al contatto fisico.

San Valentino di Sangue 3D si inserisce direttamente nella linea dei nuovi videogames che mirano sempre più alla simulazione del reale, e all’interazione diretta tra uomo e macchina: mi riferisco in maniera specifica a tutti quei giochi che simulano attività sportive, allontanando sempre di più l’uomo dalla propria fisicità; la soddisfazione è grande le nuove generazioni impazziscono per i videogiochi di calcio al punto da preferire la finzione dallo sport reale. Tenendo conto di tutto ciò, è chiaro il motivo che spinge i giovani ad affollare le sale che proiettano San Valentino di Sangue 3D piuttosto che un “banale” horror movie che si limita a mostrare la violenza entro le due dimensioni: la terza dimensione colloca lo spettatore direttamente dentro la violenza, sempre però tenendolo al sicuro da qualsiasi contatto fisico.

La violenza è quindi sempre più realistica ma non reale, e rispetta le esigenze di un pubblico portato alla ricerche di esperienze virtuali.    Le due dimensioni non ci bastano più.
Sempre più dentro lo schermo e sempre più fuori dal corpo.

Ora, dopo questa piccola digressione, passiamo all’analisi del film.

Dedito al genere horror, Patrick Lussier, già regista di Dracula legacy e White Noise the light, si prodiga in un remake di un film di culto degli anni ’80 molto amato da Tarantino. Assistiamo ad uno dei rari casi in cui il rifacimento supera l’originale, non solo dal punto di vista tecnico – visto l’uso del 3d – ma anche e soprattutto grazie ad una sceneggiatura più solida. Il prodotto non potrebbe essere più classico di questo, presentando quelli che sono i topoi  del genere slasher: scene di nudo esplicito; efferati omicidi ai danni di coppie indifese; corse ed inseguimenti per  il bosco; un killer che ritorna a sconvolgere un piccolo centro dopo molti anni; e naturalmente la final girl, al centro del dramma e superstite alla strage dell’assassino.

Un horror piuttosto standard, che non sovverte le regole, né sperimenta nuovi meccanismi di tensione, ma che però riesce in ogni caso a catturare in maniera prepotente l’attenzione dello spettatore, grazie ovviamente all’uso della tecnologia 3d: la violenza è tanta, e si protende fino a quasi toccare lo spettatore, divertendo ed entusiasmando i sadici fautori del cinema estremo, impressionando e soddisfacendo le pulsioni masochiste dei più timorosi, e le curiosità dei meno vicini al cinema di questo genere.

Martyrs: recensione del film di Pascal Laugier

Martyrs: recensione del film di Pascal Laugier

In Martyrs una bambina spaventata e ferita, corre urlando lungo una strada di periferia. Quella bambina, accolta in un centro per l’infanzia, continua ad essere sempre spaventata e ad avere spaventose visioni. Dopo qualche anno, una famiglia apparentemente tranquilla viene trucidata da due giovani donne.

E’ questo l’inizio di Martyrs, che si aggiunge al nutrito filone horror-splatter che imperversa nelle sale cinematografiche contemporanee.Un film che basato su una trama ai limiti del possibile, mette a nudo un maldestro tentativo da dare un fondo di misticismo ad un film che rimane tuttavia ancorato al genere senza offrire nulla più che intrattenimento, il quale in verità è molto relativo, considerando che a metà film, se non prima, la maggior parte delle persone in sala ha lasciato vuota la propria poltrona.

Presentato al Festival Internazionale del film di Roma nella sezione Extra curata da Mario Sesti, il film presenta in questo la sua unica nota positiva: un film di genere horror splatter presentato ad un festival. Tuttavia si tratta del contesto e non del film, il quale invece a detta degli esperti del genere, non è assolutamente all’altezza dei primi due Saw o di The Ring. Deludente.

Paranormal Activity: il film di Oren Peli

Paranormal Activity: il film di Oren Peli

Prima di ogni cosa, Paranormal Activity è senza alcun dubbio l’esempio più eclatante di come una sana e costruttiva campagna virale possa essere remunerativa sul piano degli incassi e eccezionale sul piano dell’attenzione proiettata verso il titolo.

Detto ciò, fermo restando che non è un cattivo film per chi fosse alla ricerca di facili emozioni , va anche detto che  non vale la nomea di nuovo Blair Witch Project e  senz’altro in nessun caso, né nell’uno né nell’altro  si è stati e si è di fronte al miracolo. Per molti motivi.

Uno. Se nel primo caso si era di fronte ad un nuovo e sensazionale modo di vedere il cinema e la visione, in questo caso siamo già ad un quinto/sesto tentativo in pochi anni.

Due. Anche se il film presenta alcune sequenze molto efficaci e sorprendenti non è per nulla dotato di una struttura narrativa ,perlomeno sostenibile per 86 minuti.

Tre. Visivamente parlando dice tutto di già visto e nulla di veramente nuovo. Nessuna qualsivoglia caratterizzazione dei personaggi.

Traendo le conclusioni verrebbe da chiedersi se questo non è solo il frutto di un sorprendente e  divino piano commerciale messo in atto, e che in sostanza, levando il fumo non vi sia nient’altro da mettere sotto i denti ma soltanto misere briciole da sgranocchiare.

Di un film come questo, a low Budget, ci si aspetta almeno che la storia e la regia siano il moto pulsante del racconto;  Invece la pellicola non riesce ad appagare nemmeno la base principi cardini del cinema dell’orrore e questo diventa essere il limite maggiore del il film. Totalmente privo di una vera e propria struttura (si ha la sensazione di vagare fra atteggiamenti, attimi ed emozioni totalmente slegate le une dalle altre), in Paranormal Activity una visione d’insieme più netta e definita sicuramente avrebbe aiutato o quanto meno avrebbe reso l’operazione più interessante.

Quel che ne consegue è invece la sensazione che il film si basa solo ed esclusivamente sulla geniale intuizione di soffermarsi (mentre si è nel pieno della notte in una camera) sul quel bel espediente che è il fuoricampo e che gente come Shyamalan, Hitchcock, lo stesso Spielberg, Polanski, hanno reso terrificantemente sublime. L’utilizzi di questo espediente in questo film a low budget diventa a tratti interessante, ma anche questo aspetto senza il giusto senza sostegno narrativo si perde su se stesso diventando una ripetizione che andrà poi a scemare, facendo perdere l’interessa anche nell’unica soluzione interessante presente.

La più grande delusione di Paranormal Activity, è proprio nell’aspettativa che tenta di creare e che si concretizza solo come suddetto in un’unica bella sequenza. Pochissimo per un film che attraverso il fuoricampo dovrebbe creare un crescendo di tensione insostenibile e che dovrebbe culminare con il momento rivelatore per l’intera trama e il film.  In sostanza l’unica nota positiva che si ha è il finale che non risulta per niente scontato e che forse diventa l’unico momento in cui il fuori campo diventa insostenibile.

Rff 2010: considerazioni a posteriori

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Rff 2010: considerazioni a posteriori

Ieri sera c’è stata la cerimonia finale del Roma Fiction Fest 2010. Dopo aver seguito il festival era d’obbligo essere presenti alla serata finale, anche perchè, pure per noi ‘giornalisti’ di Cinefilos, dopo tante sudate e sbalzi di temperatura tra umidità amazzonica ed aria condizionata sconsideratamente gelida, un po’ di mondanità ci voleva.

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