Bonifacio Angius,
già premiato autore di corti, presenta – anche da sceneggiatore –
il suo primo lungometraggio, Perfidia.
Produzione e distribuzione indipendenti, uscito in Sardegna, da
domani a Roma al Nuovo Cinema Aquila, da venerdì a Milano e da
gennaio in altre dodici città italiane.
Come nasce il
progetto?
Bonifacio Angius: “Nasce dalla
necessità di raccontare una storia che mi appartenesse
profondamente: il film racconta situazioni che ho anche vissuto e
personaggi che conosco bene. Potrei essere uno di loro. La prima
versione della sceneggiatura è stata scritta di getto. Poi ho
incontrato Fabio Bonfanti, con cui abbiamo continuato a lavorarci.
Al produttore Francesco Montini è piaciuta e si è convinto a
produrre il film, pur rendendosi conto che non era un racconto
appetibile dal punto di vista commerciale. Con l’aiuto della
Regione Sardegna, della Film Commission e della mia società di
produzione, Il Monello Film, abbiamo messo insieme il budget per
realizzarlo”.
Il film racconta un
“bamboccione” un po’ sinistro?
A.: “Possiamo continuare a
descrivere i trentenni italiani come “bamboccioni”, ma non credo lo
siano. Semplicemente è una generazione che vive in un mondo
difficile, perché a molti di loro non sono stati dati i mezzi per
affrontare la realtà, non è stata data una forza propulsiva verso
il futuro. Qui, l’elemento protettivo in famiglia è dato dalla
madre, mentre il padre è assente e si accorge tardivamente del
figlio, che è uomo, ma in realtà è un bambino non
cresciuto”.
La dimensione politica del
film è cupa
A.: “Mi sono attenuto a ciò che
vedo: molto spesso si è abituati ad agire attraverso un sistema
clientelare. Ciò è profondamente radicato nella nostra società. Nel
film c’è la percezione della politica che ha il personaggio del
padre: a lui non interessano la politica, le sue dinamiche. Sa solo
che entrandovi potrebbe provare a sistemare il figlio. Molte
persone di quella generazione, in provincia, ragionano così, lo
fanno senza malignità, né cattiveria”.
Il protagonista dice: “Gesù
ha sbagliato tutto”
B.A.: “Le convinzioni del
protagonista e il suo approccio alle figure religiose sono
assolutamente infantili. Identifica il bene e il male con il
diavolo e Gesù. Questo rappresenta la sua inadeguatezza e la
difficoltà a capire il mondo che lo circonda. Cerca di dividere
bene e male, mentre questi convivono. Inconsapevolmente, poi,
riesce anche a dire qualcosa di intelligente: la frase “Gesù ha
sbagliato tutto” e le parole che seguono, possono avere tante
interpretazioni, anche molto profonde”.
Come hai preparato il
personaggio?
Stefano Deffenu: “Abbiamo
pensato a un moderno Charlie Chaplin. È un personaggio inizialmente
quasi autistico, che poi cresce e va verso quella che per lui è una
vittoria, mentre in realtà è l’inizio della fine”.
Riferimenti
cinematografici?
B. A.: “Non ho pensato a
I pugni in tasca – anche se viene citato spesso da
chi vede il film – ma a Taxi driver, mi è stato
più congeniale per raccontare una storia di solitudine e mi ha
aiutato nella struttura narrativa. Il cinema che mi piace è quello
con cui sono cresciuto: Fellini, Leone, Scorsese”.