1999: Adele,
Silvana, Enzo e Fabio. Quattro adolescenti napoletani si raccontano
davanti alle telecamere. Come tutti alla loro età, hanno sogni, ma
anche situazioni familiari ed economiche difficili. Tredici anni
dopo, gli stessi ragazzi sono adulti disillusi e forse rassegnati,
in una città lasciata a sé stessa. Un lavoro precario, o una
famiglia da reggere sulle proprie spalle, o un dolore difficile da
sopportare: un futuro fin troppo prevedibile è ora il presente. Ma
non hanno perso il coraggio e la dignità con cui affrontano la
vita, cercando nella quotidianità le cose belle.
Questo documentario di
Agostino Ferrente e Giovanni
Piperno prosegue Intervista a mia
madre (1999), in cui i registi avevano filmato i
quattro ragazzi e la Napoli dell’epoca, problematica ma in
fermento. Da qui è tratto il materiale relativo al ’99 presente nel
film. Amalgamandolo con quello sull’oggi, in un montaggio efficace,
tra digitale e super 8, si ottiene questo piccolo gioiello,
apprezzato a Venezia, poi in vari festival, anche internazionali –
tra i riconoscimenti ottenuti, Nastro d’Argento speciale e premio
al miglior documentario a Taormina.
Forte l’impatto dei protagonisti e
delle loro storie: storie di vera e propria resistenza in un
contesto tra i più duri, scelte difficili come quella di una vita
onesta, quella di assumersi le proprie responsabilità, anche se il
lavoro manca, anche se soluzioni più semplici sono a portata di
mano.
Il tema di Le cose
belle, non è solo Napoli, è universale: la fine
dell’adolescenza e il passaggio all’età adulta, la caduta dei sogni
che lascia il posto a un disincantato realismo, è qualcosa che
tutti in qualche modo conoscono. In particolare, chi è stato
adolescente all’epoca dei protagonisti e oggi, come loro, è
adulto.
Perché negli ultimi tredici anni non
solo Napoli, ma l’Italia ha offerto sempre meno ai giovani, non ha
investito sul futuro. Il film sa raccontare il passaggio da fine
anni ’90 – in cui, già alle spalle i goderecci anni ’80, con la
consapevolezza di tempi più cupi, c’era però voglia di
ricominciare, e per il futuro, ancora moderato ottimismo – ad oggi,
al paese dei problemi irrisolti, apparentemente senza prospettive,
in crisi.
Mostra però, a partire dai
protagonisti, “le cose belle” che comunque ci sono, anche se
potrebbe sembrare il contrario, come la forza di tornare a
determinare sé stessi, magari riprendendo le proprie passioni,
anche se con aspettative ridimensionate.
Una sicura regia dà un taglio
preciso al materiale, restituisce uno sguardo personale,
potenziando e non indebolendo l’efficacia documentaristica del
lavoro. La Napoli dei cumuli di spazzatura, o da cronaca nera resta
sullo sfondo. In primo piano, scritte sui muri e una periferia
vitale, pur nelle sue contraddizioni.
Da cercare in una decina di sale,
dal 26 giugno.
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