Agostino
Ferrente e Giovanni Piperno – anche
produttori con Antonella Di Nocera – presentano Le cose
belle: documentario che racconta Enzo, Fabio, Adele e
Silvana, adolescenti nel 1999, e adulti 13 anni dopo, in una Napoli
difficile, ma in cui resistere si può, nonostante tutto. Una città
emblema di un paese e di tutte le periferie. Il film è stato visto
alle Giornate degli Autori a Venezia, poi modificato perché, spiega
Ferrente: “Racconta 13 anni di vita, perciò abbiamo sempre
cercato di aggiornarlo”. E’ figlio di un primo documentario,
Intervista a mia madre, che comprendeva la parte
relativa al ’99, girato per Rai Tre e trasmesso all’epoca in prima
serata.
Assenti Silvana e Adele, ci sono
invece Enzo e Fabio, che commentano così:
Enzo: “Il film ha realizzato il
mio sogno: prima cantavo con mio padre, oggi da solo. Ora lavoro io
al suo posto, sto imparando anche a suonare la chitarra, questa per
me è una cosa bella”.
Fabio: “Mi piace rivivere il mio
passato perché così, ora che ho una figlia, posso insegnarle a non
fare i miei stessi errori. Ho avuto una vita difficile, anche per
questo mi fa sempre piacere rivedere i miei bei momenti da
piccolo”.
Come avete
lavorato?
A.F.: “Normalmente il
documentario di creazione si rifà a quello antropologico, col mito
del regista che non interviene sulla realtà. Noi facciamo il
contrario, interveniamo per modificarla, non ci limitiamo a
raccontarla. Ad esempio, abbiamo spinto Enzo a rincontrare Fabio.
Ma ciò che è successo dopo è la verità. Usiamo artifici narrativi,
ricostruiamo con il linguaggio della fiction, ove necessario, il
tipo di emozione di cui ci siamo innamorati nel conoscere i
personaggi”.
Con quali
obiettivi?
A.F.: “Speriamo che questo
lavoro esprima concetti che vanno oltre il territorio in cui è
ambientato. Non abbiamo inseguito la spazzatura o i casi tragici
presenti a Napoli e al sud (ma anche nelle periferie di Torino o
Roma si trova certa omologazione). Volevamo restituire
l’impressione che abbiamo avuto, raccontare i fiori che nascono tra
le rovine, nonostante un disagio effettivo. Questi ragazzi, pur
potendo fare altre scelte, hanno resistito, sono lì a lavorare
dignitosamente. Questa è la loro bellezza.”
Antonella Di Nocera: “L’altra
parola chiave è responsabilità: non si parla spesso delle
responsabilità degli adulti verso i ragazzi, sono quelle che
producono la realtà, ed è ciò che abbiamo voluto affermare.
”
Perché raccontare ancora
Enzo, Fabio, Silvana e Adele?
Giovanni Piperno: “Nel ’99 la
messa in onda c’imponeva tempi stretti e gran parte del tempo fu
utilizzato per il casting. Due settimane per approfondire le vite
dei ragazzi ci sono sembrate troppo poche. Ci era rimasta la voglia
di tornare. Dopo 10 anni siamo riusciti a trovare un finanziamento
della Regione Campania per continuare a girare.”
Com’era Napoli dopo 13
anni?
G.P.: “Indubbiamente, quando
siamo tornati la città era piena d’immondizia, mentre nel ’99 era
una città che sperava in un rilancio. Tornare è stato doloroso, ma
evitiamo l’idea che “prima era meglio”, perché nella catastrofe ci
sono anche dei passi avanti. Il fatalismo era nel dna dei nostri
protagonisti, ma oggi molte cose belle continuano ad esserci,
nonostante tutto.”
Dal 26 giugno in 10 copie, ma sarà
proiettato anche presso arene e scuole.
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