Esclusiva sul set di Krokodyle, nuovo film di Stefano Bessoni
Reduce dalla buona prova di Imago mortis, soprattutto per quel che riguarda l’aspetto estetico, Bessoni ritorna dietro la macchina da presa per regalarci un altro viaggio, come lui stesso ci anticipa, all’insegna del pre-cinema, meta-cinema e un mondo fantastico, popolati da strane creature che sono frutto dei suoi sogni più intimi ma che presto diventeranno reali e tangibili nella prossima sfida registica dell’autore.
La suddetta opera è ancora in fase di ripresa, ma interessa a noi di Cinefilos per molti aspetti, primo fra tutti quello della sperimentazione sia da un punto di vista linguistico che da un punto di vista di mezzo produttivo e di impiego di nuove tecnologia. In un panorama come quello italiano, nel quale a mano a mano che si va avanti si affievolisce la voglia e la forza di osare, è di essenziale importanza per un futuro di crescita porre l’attenzione su quelle realtà produttive messe al margine dal sistema che osano, spinti dalla passione e dalla voglia di far emergere quel lato che per molto tempo è rimasto nascosto ai molti ma ben presente ai pochi, ovvero un genere fatto di sogni, fantasia ed ossessioni profonde che un tempo ci hanno reso celebri ma che ora ci vedono ai margini della cinematografia mondiale.
Ad un primo approccio suonerebbe quasi strano parlare di effetti speciali nell’era del digitale dove tutto o quasi (esclusi quegli autori che della forma ne fanno una religione) viene ricostruito al computer e non viene lasciato nulla di realmente tangibile o ripreso. Sotto questo profilo Krokodyle nel panorama produttivo italiano rappresenta una vera eccezione. Infatti, il film farà largo uso di creature concepite da Bessoni e realizzate artigianalmente dal Leonardo Cruciano Workshop che è anche co-produttore del film. Lo stesso Leonardo ci ha preannunciato che nel film si userà anche l’animatronic per riportare in vita le creature che affollano la mente del Bessoni visionario, supportate laddove serve anche dalla computer grafica.
Interviste con i
Protagonisti di Chiara Guida
Incontriamo Lorenzo Pedrotti nel suo camerino, già pronto per cominciare le sue ultime riprese romane di Krokodyle, film in produzione di Stefano Bessoni, del quale è protagonista principale. “Sono felicissimo di lavorare di nuovo con Stefano – racconta entusiasta – dopo l’esperienza di Imago Mortis, ma qui la mia parte è più impegnativa. Quando studiavo alla Nuct mi intrufolavo alle sue lezioni di regia, ero affascinato dal suo immaginario e dalla sua visione del cinema e del lavoro del regista”.
–Qual è il tuo personaggio?
“Io sono il protagonista, Kaspar, un regista in attesa di poter realizzare un suo progetto e che nel frattempo si da da fare per produrre qualcosa che dia concretezza alle sue idee sul cinema; sono un alter ego di Stefano, e il mio personaggio è circondato da amici con nomi evocativi (valga per tutti Bertold, interpretato da Francesco Martino) che a loro volta sono altri aspetti di Stefano. Insieme formiamo una sorta di mosaico che compone le sue ossessioni e le sue immaginazioni.”
–Lo stile di Stefano, in questo progetto, subisce un cambiamento notevole rispetto a Imago Mortis. Qui ha scelto di usare molto la camera fissa, come ti trovi in rapporto all’obbiettivo che ti guarda in maniera così diretta?
“Ho una formazione teatrale, per cui con la macchina fissa la recitazione cinematografica si avvicina di più a quella del teatro, ma sono ugualmente due linguaggi diversi. Nei miei studi mi hanno insegnato ad usare molto il corpo a teatro, e qui invece è tutto molto diverso. Ma mi piace, è un’esperienza importante e sento che non avrei potuto farla con nessun altro se non con Stefano. Mi piace il suo modo di lavorare e spero che questo progetto per quanto rischioso abbia successo.”
Francesco Martino è un volto abbastanza noto della nostra televisione, anche lui, come Lorenzo Pedrotti ha già lavorato con Bessoni in Imago Mortis, e anche lui condivide con tutto il cast il desiderio di riscatto, desiderio che nelle speranze e nelle intenzioni di tutti verrà esaudito da Krokodyle.
–Chi sei nel film?
“Sono Bertold, un amico di Kaspar, e anche io interpreto un regista. Il mio personaggio è reduce da una delusione artistica, poiché il suo film è stato straziato da decisioni di distribuzione”
–Quello che è successo
nella realtà al primo film di Bessoni…
“Appunto, il mio personaggio è un’altra faccia di Kaspar, e quindi
un altro aspetto di Stefano stesso. Mi sento onorato ad avere la
possibilità di interpretare un pezzetto di lui. È una grande
opportunità che ci viene data. E soprattutto è una grande
responsabilità, questo è il primo film nel quale sono così
coinvolto, ogni componente della troupe e del cast è in qualche
misura produttore, ognuno di noi ci mette la sua parte e speriamo
che poi il prodotto sarà apprezzato”.
Jun Ichikawa, già protagonista di Cantando dietro i paraventi di Olmi, ha appena terminato le sue riprese. Sembra stanca ma soddisfatta, ci racconta la sua esperienza sul set di Bessoni: “La mia prima esperienza cinematografica è stata con un grande maestro come Olmi, e lui mi ha insegnato a lavorare in armonia con il resto del cast e soprattutto della troupe. Quest’armonia è quella che siamo riusciti a creare su questo set, grazie a Stefano. Siamo riusciti ad essere collaborativi soprattutto grazie al grande rispetto che ci lega”.
–Anche tu, nel film, sei un
alter ego di Bessoni?
“Io sono Helix, la parte femminile di Kaspar.
Sono quella che non ha paura di essere crudele, anche cattiva.
Quello che il suo animo riservato gli impedisce di fare, è concesso
a me. Mi è piaciuto poter essere così diretta, così cruda, è stato
divertente.”
–Cosa ti aspetti dal
film?
“E’ un’operazione coraggiosa, e ovviamente mi aspetto che venga
bene, ma spero che ci sia anche qualcuno che lo guardi e che
apprezzi il lavoro e il coraggio che qui è stato messo in gioco.
Questo film puo’ essere la testimonianza che in Italia si riesce
ancora ad osare, a sperimentare.”
Interviste di Chiara Guida
And the Oscar goes to..
Nell’anno della rivoluzione 3D, è Kathryn Bigelow a trionfare agli 82° Academy Awards. Una donna vince, per la prima volta nella storia degli Oscar vince il premio per la Miglior Regia. Ma le soddisfazioni sono 6 perchè “The Hurt Locker” vince anche la categoria del Miglior Film, Miglior Sceneggiatura, Miglior Montaggio Sonoro, Migliori Effetti Sonori e Miglior Montaggio.
Revanche – Ti ucciderò: recensione del film di GOTZ SPIELMANN
Revanche – Ti ucciderò, è il film di GOTZ SPIELMANN, in corsa agli Oscar per il miglior film straniero. Non è la prima volta, il regista austriaco è già stato selezionato con Lo Straniero (1999) e candidato con lo «scandaloso» Antares (2004) tra i componenti dell’Academy.
Il suo ultimo lavoro racconta la vita serena della campagna rurale austriaca, con le sue famiglie modello – villette, matrimonio, figli, ordine, e naturalmente razzismo. C’è pure la Vienna di sesso, commercio del corpo meglio se «clandestino», bordelli, coca e botte in cui vivono i due protagonisti, Alex e Tamara, lui è stato dentro e ora lavora come tuttofare per il padrone del bordello. Lei è ucraina, ha un debito da saldare e si prostituisce.
I due stanno insieme di nascosto, lui progetta di rapinare la banca del paesino del nonno. Lì abitano anche Suzanne e suo marito Robert, poliziotto, non riescono a avere figli, la colpa è forse di lui, lei è devota iporcita, lui macho, sono razzisti, non adotterebbero mai un bambino – «chissà poi che carattere ha ».
I principi di ordine e pistola, la morale dell’«essere costretti a difendersi», la finta distanza nel livello di crudeltà tra città e mondo rurale sono gli elementi che caratterizzano la pellicola. innestati in una costruzione narrativa canonica: un prologo, il dramma, l’epilogo innestati nel «genere vendetta» – la storia dell’uomo che vuole uccidere l’altro perché a sua volta gli ha ucciso l’amata – col paesaggio sociale e culturale ove pian piano la stessa vendetta si confonde.
Legion: recensione del film con Paul Bettany
La prima impressione che si evince da Legion è una semplice e chiara considerazione: il genere apocalittico non pare proprio voler tramontare. Dopo i vari titoli che si sono occupati di scenari della medesima fattispecie, come il recentissimo The Book of Eli (da noi tradotto maldestramente CODICE GENESI), il cinema Hollywoodiano sembra non volersi fermare a sfornare film di questa caricatura.
Ma dietro a tanta perseveranza in genere dovrebbe esserci quantomeno un riscontro sul mercato, o (sarebbe la cosa migliore) un avvicendarsi di opere di una certa levatura artistica. Se nel film precedentemente citato dei Fratelli Hughes almeno si poteva riscontrare il loro indubbio talento e la bravura di certi attori protagonisti, in questo caso ahimè siamo di fronte a, vale la pena di dirlo, un totale disastro per l’appunto apocalittico. Sin dall’inizio appare chiaro il limite registico che introduce una seppur buona interpretazione di Paul Bettany. Nel deserto del Mojave uno squallido ristorante diventa l’epicentro del giudizio finale per la Terra; Los Angeles, 23 dicembre. Dio si è stancato delle malefatte umane e ha sguinzagliato sulla Terra una legione di angeli per portare l’Apocalisse. L’arcangelo Michael, però, non è d’accordo e vuole salvare l’umanità. Nonostante il buon presupposto, del tutto ottimistico che l’uomo merita di essere salvato, il film a stento decolla.
Questo fallimento è dovuto a molti aspetti. In primis senza alcun dubbio, la mancata costruzione di una vera e propria climax d’assedio. Infatti, la vicenda ruota tutta intorno ad un’area di servizio nel deserto, dove vive Bob Hanson (Dennis Quaid), proprietario di un ristorante isolato, Charlie (Adrianne Palicki), la bella cameriera del ristorante, prossima al parto del nuovo messia, Sandra e Howard (Kate Walsh e Jon Tenney) e alla loro figlia adolescente Audrey (Willa Holland), capitati lì inseguito alla rottura della proprio autovettura e bloccati in attesa che il figlio di Bob, Jeep (Lucas Black), ripari la loro automobile.
Mentre in casi esemplari come GLI UCCELLI del maestro Hitchcock, il film faceva leva su un carico di tensione che culminava con una insostenibilità dovuta appunto alla costruzione di una climax d’assedio elevatissima, in questo caso il film è ingabbiato in un forzato tentativo di moralizzare il prossimo e perde di vista gli aspetti fondamentali che rendono un film di questo tipo (in)sostenibile. Poi si vanno ad aggiungere la poca originalità del pretesto, ossia proteggere il parto di un bambino che dovrebbe rappresentare l’unico baluardo di un’umanità ormai allo sbando, e la poca credibilità del tentativo retorico del mezzo cinematografico. Peccato perché i presupposti per un buon film almeno nella base di partenza c’erano tutti.
Nuoce gravemente a LEGION anche una precaria regia che amalgama malamente le varie vicissitudini che accompagnano i personaggi. Alcune note positive si possono riscontrare nell’efficace scelta iniziale di utilizzare la comunicazione come primo segnale di isolamento, la comparsa di un’insolita vecchietta che da il via alle danze, e la scena del bambino che da un punto di vista spettacolare sono di grande effetto. In ultimo la volontà di rifarsi all’iconografia rinascimentale dei due arcangeli tipica dei dipinti di quel periodo. In definitiva, LEGION è un film molto debole che rasenta il ridicolo in alcune scene lasciando poco margine ad una riflessione di altro genere.
Oscar: momenti memorabili
Ecco una carrellata dei momenti più memorabili della storia
degli Oscar.
Per noi italiani rimane indimenticabile la premiazione di Roberto
Benigni, che nel 1999 vinse l’Oscar come miglior attore
protagonista e per il miglior film straniero con “La vita è
bella”.
Oscar ci siamo!
Tutto è pronto per la serata più importante del mondo cinematografico, la notte degli Oscar, che vedrà l’assegnazione del più importante premio del mondo del Cinema.
Alice in Wonderland: recensione del film di Tim Burton
Alice in Wonderland è indubbiamente uno dei film più attesi del 2010, avendo suscitato l’entusiasmo generale a partire dalla pre-produzione. Ma le enormi aspettative dei fan di Tim Burton, della storia tratta dai romanzi di Lewis Carroll, o della versione Disney degli anni cinquanta non vengono soddisfatte del tutto.
Alice in Wonderland è infatti un film che presenta diversi aspetti negativi, a partire dalla sceneggiatura: dopo quindici minuti dall’inizio apprendiamo immediatamente che Alice è destinata a riportare la pace nel Sottomondo sconfiggendo, nel giorno Gioiglorioso, il Ciciarampa, restituendo così la corona alla Regina Bianca e liberando il regno dalla dispotica Regina Rossa. Il tutto è scritto sull’Oraculum, il che evidenzia che il ruolo di Alice, attesa da anni dagli abitanti del Sottomondo, è soggetto a un destino al quale lei dovrà attenersi: dunque ben poco spazio è lasciato al libero arbitrio. In tal modo lo spettatore è già consapevole di come si concluderà il film, eliminando ogni potenziale colpo di scena.
Alice dovrà realizzare che ciò che sta vivendo non è un sogno, ma il compimento del proprio destino nel “Paese delle Meraviglie”, dove si intravede il nonsense, anche se non risulta dominante: l’assurdo e la follia si palesano nel personaggio del Leprotto Bisestile, nel martellante indovinello (no, non si tratta della domanda “Perché i tramonti son pupazzi da legare?”, bensì del quesito: “Perché un corvo somiglia a una scrivania?”) e nello straordinario Cappellaio Matto.
Alice in Wonderland, il film
Uno degli aspetti che rende godibile il film è proprio il cast, a partire dal trasformista Johnny Depp, che ci regala l’ennesima interpretazione indimenticabile: il suo personaggio potrebbe apparentemente sembrare un mix tra Jack Sparrow e Willy Wonka, ma in realtà è originalissimo nella mimica, nell’atteggiamento, oltre che nell’aspetto variopinto, e la caratteristica più interessante è la facilità con cui cambia d’umore, passando da battute divertenti e risate ai suoi tratti più oscuri ed inquietanti, rivelati nel cambiamento di colore delle iridi e nelle ombre violacee sotto gli occhi.
Oltre Depp spicca l’interpretazione della signora Burton: la Regina Rossa di Helena Bonham Carter conquista il pubblico e suscita simpatia molto più della sorella Regina Bianca, una Anne Hathaway a tratti ridicola che, con la sua esagerata leggiadria dei modi, sembra prendere in giro le principesse Disney. Se la cava bene la giovane Mia Wasikowska nei panni della protagonista, bionda e diafana al punto giusto, anche se la sua performance è talvolta sottolineata da un doppiaggio non all’altezza, che fa desiderare di vedere il film in lingua originale, anche per sentire le voci di Alan Rickman, Stephen Fry e Michael Sheen, rispettivamente nei panni del Brucaliffo, dello Stregatto e del Bianconiglio (i primi due sono personaggi riusciti alla perfezione).
Rovina un po’ la performance del Fante di Cuori (Crispin Glover) la sua camminata legnosa, che rende palese, anche a chi non ne fosse a conoscenza, che l’attore ha dovuto costantemente misurarsi con i trampoli per riprodurre l’imponente altezza del personaggio. In effetti le sproporzioni sono altri aspetti che caratterizzano altri soggetti, dalla testa ingigantita della Regina Rossa agli occhi ingranditi del Cappellaio.
Gli aspetti migliori del film sono di natura tecnica: le sontuose scenografie e gli ottimi effetti speciali, gli splendidi costumi e la strepitosa colonna sonora di Danny Elfman. Quanto al 3D, esso risulta efficace in alcune scene (come la caduta di Alice nel buco e le evaporazioni dello Stregatto), talvolta fastidioso (creando immagini doppie) e in altri casi del tutto assente; di certo è impossibile paragonarlo al 3D di Avatar, anche perché Alice è stato rimasterizzato in stereoscopia soltanto in post-produzione.
E la regia? Ecco l’altro aspetto dolente. La visionarietà di Tim Burton risulta frenata, limitata, non molto riconoscibile (forse per volere della Disney), e Alice in Wonderland non è certamente il suo capolavoro: nel finale ci sono alcuni momenti imbarazzanti, in altri casi è chiaro che il film vuole conquistare innanzitutto il target infantile, e infatti piacerà sicuramente ai bambini. Noialtri possiamo limitarci a trascorrere due ore d’intrattenimento, con l’amarezza di non essere stati completamente catturati da un mondo che speravamo fosse più onirico di quanto sia in realtà.
Anche McAdams per Woody Allen
Vi avevamo appena comunicato che Marion Cotillard avrebbe affiancato Owen Wilson nel film ancora senza titolo che Woody Allen girerà in estate.
Robert De Niro in Dark Fields
Robert De Niro sarà tra i protagonisti del thriller Dark Fields, il nuovo film che verrà diretto dal regista di The Illusionist Neil Burger.
Uscite al cinema 5 marzo
Shutter Island: 1954, dall’ospedale psichiatrico Ashecliffe, situato sull’isola di Shutter Island a largo di Boston, scompare misteriosamente una donna, Rachel Solando, una maniaca depressiva accusata di aver ucciso i suoi tre figli. Il fatto è inspiegabile, oltre ai vari sistemi di sicurezza, alla sorveglianza di infermieri e guardie, l’isola è circondata dall’oceano e battuta da violenti uragani il che rende impossibile qualsiasi tipo di fuga.
Indiana Jones 5 ha una storia
C’è accordo tra Steven Spielberg, George Lucas e Harrison Ford su un’idea di soggetto per un quinto film che vedrà protagonista il personaggio di Indiana Jones. A dichiararlo è stato lo stesso attore nel corso di un’intervista alla BBC, aggiungendo però che i tempi per l’eventuale realizzazione del film non saranno brevi.
“Funziona così,” ha raccontato Ford. “Ci mettiamo d’accordo su un’idea di base e poi George si occupa di svilupparla da solo per un tempo piuttosto lungo. E poi torniamo a partecipare ancora Steven e io.”
Sinceramente non sentivamo molto il bisogno di un altro film della serie, visto il risultato dell’ultimo Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo, ma evidentemente i 786 milioni di dollari incassati dal quel film in tutto il mondo pesano un po’ di più del nostro giudizio personale.
Fonte:comingsoon
Marion Cotillard per Woody Allen
Ci sarà anche la splendida Marion Cotillard nel nuovo film che Woody Allen girerà a Parigi quest’estate, quello che vedrà protagonista Owen Wilson e conterà sulla partecipazione di Carla Bruni Sarkozy.
Box office Italia: Avatar perde la prima posizione!
Dopo sette weekend consecutivi in cui ha mantenuto il primato al box office italiano, Avatar perde la prima posizione. Al primo posto si è infatti classificato Genitori & Figli: Agitare bene prima dell’uso, con 2,7 milioni: un risultato non particolarmente esaltante, considerando i primi weekend delle altre pellicole di Veronesi. Segue Invictus, che tutti davano per terzo: il nuovo film di Clint Eastwood si piazza secondo con 1.941.000 euro, dimostrando l’apprezzamento del pubblico italiano per l’acclamato regista americano.
Avatar si accontenta del terzo posto: con 1,8 milioni raccolti in questo weekend, il kolossal di James Cameron diventa ufficialmente il film di maggiore incasso nella storia del cinema italiano, arrivando allo stupefacente totale di 63 milioni di euro e superando dunque il risultato di Titanic. Cameron può dunque continuare a festeggiare, dopo aver inoltre abbattuto worldwide l’incredibile somma di 2,5 miliardi!
Quarto posto per Codice Genesi: la pellicola apocalittica con Denzel Washington e Gary Oldman debutta con il buon risultato di 1,3 milioni. Calo dunque per Wolfman, arrivato a 3,5 milioni con i 883.000 euro di questo weekend. Seguono due pellicole italiane, i cui risultati si rivelano sotto le aspettative: Il figlio più piccolo arriva ancora al totale di 1,7 milioni con altri 456.000 euro; Scusa ma ti voglio sposare giunge a quota 6,5 milioni con i 453.000 euro di questo weekend.
All’ottavo posto si piazza Che fine hanno fatto i Morgan?, che raccoglie altri 420.000 euro e arriva a 1,5 milioni. Regge ancora nella top10 Il concerto, che con 254.000 euro giunge a 2,1 milioni, un risultato soddisfacente considerando il genere non particolarmente amato in Italia. Chiude la top10 Alvin superstar 2 (233.000 euro per un totale di 5,8 milioni). A partire da oggi, a cambiare sensibilmente la situazione, arriva l’attesissimo Alice in Wonderland di Tim Burton.
Chartier fuori dalla cerimonia degli Oscar
Il quarto produttore di The Hurt Locker, Nicolas Chartier, è stato punito per il suo comportamento. La scorsa settimana Chartier aveva inviato (contravvenendo alle regole dell’Academy) delle mail ad amici e conoscenti (non tutti membri dell’associazione che conferisce gli Oscar) invitandoli a votare per la sua pellicola e soprattutto facendo commenti discutibili sul budget di Avatar.
Per queste
ragioni, l’Academy (che ha saggiamente atteso la deadline per la
consegna delle schede di voto, indicando in questo modo di non
considerare responsabili tutti i realizzatori del film, ma soltanto
l’autore del gesto) ha deciso che Chartier non sarà
presente alla cerimonia di premiazione che si svolgerà
domenica 7 marzo. Questo significa che, nel caso The Hurt Locker
dovesse vincere, Chartier ovviamente non salirà sul palco per
ritirare la statuetta, che invece gli verrebbe consegnata in
seguito. La soluzione è un compromesso anche accettabile per
Chartier, considerando che qualcuno lo voleva anche eliminare dalla
lista dei nominati (in cui aveva fatto peraltro molta fatica a
entrare).
Optimus e Bumblebee cambiano look
Scott Farrar, supervisore agli effetti visivi di Transformers, ha parlato del terzo episodio ai VES Awards, e ha spiegato che attualmente la Industrial Light and Magic sta lavorando sodo per migliorare il design dei personaggi, e modificare in meglio due protagonisti come Optimus Prime e Bumblebee:
I nostri due protagonisti, Optimus e Bumblebee, dovevano essere aggiornati per il prossimo capitolo della serie. Bumblebee è maturato un po’, quindi stiamo apportando delle leggere modifiche al suo fisico, per farlo crescere.
Prime avrà molti piccoli dettagli in più che lo spettatore medio potrebbe non notare, ma che i fanboy vedranno. Darete un’occhiata in luoghi dove prima c’era una cosa, e ora vedrete che ce ne sarà un’altra. Modificheremo dei dettagli per proporzionare il personaggio e renderlo più pratico e agile, in modo da facilitare il lavoro degli animatori. Alla fine, vogliamo sempre che i robot siano più belli di quanto lo erano l’ultima volta, quindi sarà tutto un po’ più eroico.
Farrar ha aggiunto anche qualche aggiornamento sullo script di Ehren Kruger, ancora segretissimo:
C’è una bozza per la storia e l’intero script è ormai quasi pronto. Non ci è stato ancora consegnato completamente, perché vogliono tenerlo al riparo da occhi indiscreti, comunque abbiamo abbastanza. L’art department a Los Angeles è in pieno lavoro. E abbiamo un reparto alla ILM dedicato appositamente a questi film.
Bill Murray ‘odia’ Ghostbusters3 ?
Bill Murray ha già parlato di Ghostbusters 3 in passato confermando al Sunday Mail alcune voci che lo volevano ritornare nella serie sottoforma di fantasma. Ora l’attore, ospite al Late Show With David Letterman, commenta per la prima volta la notizia in pubblico, e sentendolo parlare di persona il suo atteggiamento dimostra un forte disinteresse nei confronti del film.
Murray immediatamente definisce questo sequel “il suo incubo”, e dopo aver spiegato nuovamente la richiesta fatta ai produttori di essere ucciso nella primissima parte del film per tornare come fantasma, parla del progetto come di “una follia”. Insomma, è possibile che tutta la storia del suo ritorno come fantasma altro non sia se non una beffa dell’attore nei confronti di un progetto verso il quale non nutre alcun interesse, così come è possibile che, nonostante lo scarso entusiasmo, decida infine di accettare la parte alle sue condizioni.
Cella 211: recensione del film di Daniel Monzòn
“Forse si mettono a un uomo i ferri ai piedi solo perché non fugga o ciò gli impedisca di correre? Niente affatto. I ferri non sono altro che un ludibrio, una vergogna e un peso, fisico e morale. Così almeno si presuppone. Essi non potranno mai ad alcuno impedire di fuggire. Il più inesperto, il meno abile dei detenuti saprà ben presto, senza gran fatica, segarli o farne saltare la ribaditura con un sasso.” Così Dostoevskij, in Memorie da una casa di morti e nell’incipit di questa recensione. In Cella 211, in cui si parla proprio di detenuti che riescono a fare saltare i propri ferri, tutto inizia però con una ferita, quella di un detenuto che si taglia le vene e tutto prosegue con un buon livello di tensione emotiva.
Il regista stesso Daniel Monzòn (El corazon del guerriero, El robo mas grande jamàs contado, La caja Kovak) ha parlato di ferite a proposito del film, ferita che scava dentro e fa male come poche perché “spiega la nostra fragilità e parla di come la vita di ognuno di noi sia appesa ad un filo.” Questa ferita è la storia di Juan Olivier, che dovrebbe iniziare il suo lavoro come secondino per un carcere di massima sicurezza. Dovrebbe, perché un frammento di intonaco del braccio più turbolento del carcere gli cade addosso e lo colpisce alla testa. Le guardie lo distendono temporaneamente nella cella 211, quella del detenuto morto suicida, ma non hanno il tempo di rianimarlo che i detenuti più pericolosi, guidati dal loro leader Malamadre, scatenano una rivolta e assumono il pieno controllo del carcere. Una volta rinvenuto, Juan non avrà altra scelta che fingersi detenuto a propria volta, tentando così di salvarsi, ma il gioco si rivelerà estremamente pericoloso…
Cella 211 uscirà nelle sale italiane il 16 aprile, distribuito dalla Bolero film. Il film è stato presentato all’ultimo Festival di Venezia nelle giornate degli autori e ha vinto 8 premi Goya nel suo paese d’origine, tra cui quello per Miglior Film, Miglior Regia e Miglior Attore. Il film è tratto dal romanzo di Francisco Pèrez Gandul, che ha affascinato molto affascinato il regista con la sua tensione e i suoi colpi di scena nonché per la descrizione di un universo realistico e di grande umanità.
Per filmare questo universo, la mdp (non è mai superfluo ricordare che si tratta di una digitale) si mette a servizio dei personaggi, priva di tecnicismi lambiccati e artifici stilistici, adottando uno stile di ripresa che alterna la macchina a mano a inquadrature fisse, intensissimo ed essenziale, ma sicuramente non povero di spettacolarità, per quanto il modello registico di Monzòn fosse, a suo dire, il documentario. Del resto, il regista ha all’attivo dei film particolarmente dinamici, forti di azioni spettacolari.
C’è una parte della critica che si sente chiamata a storcere pressoché aprioristicamente il naso dinanzi a quelle opere europee che peccano nell’avere un sapore simile ai blockbuster USA (e getta). In effetti il film appartiene a un genere largamente sperimentato dall’industria hollywoodiana, quello carcerario, e c’è da dire che spesso gioca a infilare scene madri –pestaggi, morti, e il rapporto tra Juan e Malamadre – una dietro l’altra (perdonabili, comunque, perché almeno non stupidamente gratuite), ma sarebbe un errore, bollarlo negativamente solo perché in parte riconducibile a una cinematografia hollywoodiana ad alto tasso spettacolare. Del resto, perché vergognarsi di essere spettacolari (o competitivi sul mercato che è dominato dagli USA), se si riesce a fare comunque un film valido?
Perché Cella 211 non è un capolavoro ma è un film interessante e ricco di tensione. Interessante, anche per come mostra luci e ombre degli esseri umani (di nuovo Dostoevskij, che certo Monzòn non ha scomodato) a contrasti forti come nella fotografia del folgorante incipit, contrasti che sono tanto dei detenuti quanto dei secondini e politicanti impegnati nelle trattative coi carcerati, tutti un po’ doppiogiochisti, chi più chi meno.
Si può lamentare, in effetti, il fatto che questo film non sia sceso tanto nel profondo lì dove poteva insistere di più, cioè proprio sui rapporti tra i personaggi, che sembrano a tratti ovvi e non compiutamente sviluppati e lasciati a un cliché di amicizia virile. Ma più che lamentare quello che a un film manca, e prima di rimpiangere altri grandi oggi dimenticati che si sono cimentati con il film carcerario senza essere americani né europei (Yilmaz Guney: chissà come e che film girerebbe oggi e se fosse accusato di essere anche lui vittima dello stereotipo carcerario hollywoodiano), è bene dire di quanto invece offre.
Se condividiamo le parole di Samuel Fuller nel godardiano Pierrot le fou, secondo cui un film è un campo di battaglia con amore odio violenza morte, in una parola “emozione”, ecco che siamo confermati nella nostra prima impressione a proposito di questo film. È una ferita. Ed emoziona!
Remember Me Premiere
Ieri 1 Marzo a New York c’è stata la proiezione premiere di Remember Me, ultimo film dell’amatissimo Robert Patinson.
Ecco qualche foto della serata:
Per gli amanti del gossip…alla proiezione era presente anche Kristen Stuart, che è volata fino a NY nello stesso aereo di Rob, e ha occupato la poltrona al suo fianco in sala…
La Fox 2000 per Incarceron
La Fox 2000 è riuscita ad avere i diritti di Incarceron, primo volume della trilogia fantasy di Catherine Fisher, che quindi sbarcherà presto al cinema.
Il romanzo
dell’autrice inglese è uscito nel 2007 nel Regno Unito, diventando
subito un piccolo cult per gli appassionati del genere. Il romanzo,
rivolto a un pubblico tardo-adolescenziale, è uscito da poco anche
negli Stati Uniti, e ha suscitato l’interesse di vari studios
cinematografici.
Ora la Fox spera di avviare una saga che possa prendere il posto del franchise di Harry Potter, ormai avviato verso la sua naturale conclusione.
Nel frattempo è uscito anche il secondo volume della saga, Sapphique. I romanzi non sono ancora stati pubblicati in lingua italiana.
Di seguito la trama e il booktrailer:
Incarceron è una prigione così vasta che contiene non solo celle, ma anche foreste di metallo, città abbandonate e grandi terre selvagge. Finn, un prigioniero diciassettenne, non ha ricordi della sua infanzia, ma è sicuro di essere nato fuori da Incarceron. Ma sono in pochi a credere all’esistenza di un Fuori, quindi la fuga sembra impossibile. E poi Finn trova una chiave di cristallo che gli permette di comunicare con una ragazza di nome Claudia, che afferma di vivere Fuori: è la figlia del Guardiano di Incarceron, dice, ed è condannata a un matrimonio combinato. Finn è deciso a evadere dalla prigione, e Claudia crede di poterlo aiutare. Ma non sanno che Incarceron nasconde molti segreti, e che per fuggire servirà tutto il loro coraggio; e che la fuga costerà più di quanto possano immaginare. Perché Incarceron è vivo.
Immaginate
una prigione vivente, così vasta da contenere corridoi e foreste,
città e mari. Immaginate un prigioniero senza ricordi, certo di
provenire da Fuori, anche se la prigione è sigillata da secoli e
soltanto un uomo – per metà vero e per metà leggenda – è mai evaso.
Immaginate una ragazza in un grande maniero, in una società che ha
proibito il tempo, imprigionando tutti in un mondo seicentesco ma
controllato dai computer; condannata a un matrimonio che non vuole,
coinvolta in una congiura assassina che teme e desidera allo stesso
tempo. Uno dei due è dentro, l’altra è fuori. Ma entrambi in
catene. Immaginate una guerra che ha scavato la Luna, sette anelli
a forma di teschio che contengono anime, una nave volante e una
muraglia ai confini del mondo. Immaginate l’impensabile. Immaginate
Incarceron.
The Hobbit in 3D?
Sul forum del sito TheOneRing.net, del Toro ha mantenuto la promessa di tenere i fan aggiornati sulla questione, scrivendo che, proprio in virtù degli straordinari risultati del film di Cameron, la produzione ha iniziato a chiedere a lui e a Peter Jackson se anche i loro due film tratti dal romanzo di Tolkien possano essere girati in 3D.
127 ore per Danny Boyle
Dopo la gloria e i premi che ha raccolto con The Millionaire, Danny Boyle è stato ricoperto di importanti offerte per dirigere film grossi e importanti, ma ha deciso di dedicarsi a un progetto molto più piccolo e, sicuramente, molto complicato.
Il film in questione è 127 Hours, la storia dello scalatore Aron Ralston, che rimasto intrappolato per sei giorni sotto un macigno si è poi amputato da solo un braccio riuscendo a sopravvivere. Nel ruolo del protagonista è già stato scritturato James Franco, e se l’attore in sé è una garanzia, restano molti dubbi su come il regista riuscirà a sviluppare in modo convincente una storia che ha un unico personaggio bloccato nello stesso posto per tutta la durata del film. In un’intervista a Empire, Boyle ha ammesso la “follia” intrinseca in un progetto del genere, ma ha spiegato le sue idee per rendere la cosa interessante:
Abbiamo pensato che, dal momento che ci sono così pochi personaggi, useremo due direttori della fotografia: Anthony Dod Mantle, che ha fatto 28 giorni dopo, e Enrique Chediak, che ha fatto 28 settimane dopo. Uno è nordeuropeo e l’altro sudamericano. Daranno al film apporti differenti, come in un film convenzionale dove ci sono un personaggio comico e un cattivo.
Sicuramente un’idea interessante, che però ancora non basta a
rassicurare circa l’assenza di personaggi di supporto e di
dialoghi. Nel cast compaiono anche Amber Tamblyn e Kate Mara come
personaggi di contorno. In realtà, come ci spiega il regista,
l’assenza di dialoghi con altri personaggi non implica però
l’assenza di… monologhi:
Ci sono dialoghi all’inizio e alla fine, ovviamente, ma per tutto
il film non ha nessuno con cui parlare. Ciò che abbiamo scoperto
però è che [Ralston] aveva con sé una videocamera, e che ha
registrato sei o sette messaggi, rivolti a coloro che pensava si
sarebbero rattristati per la sua scomparsa, essenzialmente dei
messaggi di addio. Abbiamo avuto modo di vederli, anche se lui
tende a non mostrarli a nessuno. Quindi se volete sì, c’è del
dialogo, con un futuro che lui pensa di non avere.
Jolie per Aronofsky?
Dopo aver abbandonato il sequel di Wanted per recitare (forse) in Gravity di Alfonso Cuaron, Angelina Jolie è ora in trattative con Darren Aronofsky per il suo nuovo film, intitolato Serena…
Capitan America a giugno
Un nuovo casting call di The First Avenger: Captain America, ripreso da Feature Film Casting, svela altri dettagli sull’inizio delle riprese del film di Joe Johnston, che negli ultimi giorni è stato oggetto di rumors scoraggianti riguardo alla possibilità che il regista si fosse allontanato dal progetto e le riprese fossero state rinviate.
In realtà il casting call conferma le riprese per l’estate 2010, e anzi fissa una data precisa:
“Le riprese inizieranno il 28 giugno 2010, l’uscita è fissata per il 22 luglio 2011.”
Gli studios coinvolti nella produzione sono Paramount Studios, Arad Productions e Marvel Studios. Nel giro di poco tempo, dunque, dovremmo scoprire chi interpreterà il protagonista Steve Rogers.
Prime immagini dal set di Knockout
Dal set di Knockout arrivano le prime immagini, il nuovo film di Steven Soderbergh, con protagonista Gina Carano, lottatrice di arti marziali, insieme a Ewan McGregor e un barbuto Antonio Banderas…
The Wolfman: recensione del film con Benicio Del Toro
Due premi oscar riuniti per The Wolfman, il remake del celebre uomo lupo di Lon Chaney jr datato 1941 e diretto da George Waggner, Benicio Del Toro nei panni di Lawrence Talbot ed Anthony Hopkins in quelli del padre padrone John Talbot. Ormai era rimasto uno dei pochi classici senza remake e la moda di oggi non poteva risparmiarsi dal ripescarlo a dispetto di una crisi di idee che sembra circondare il settore cinematografico pieno com’è di sequel, prequel e compagnia bella.
Questa pellicola ha avuto una lavorazione difficoltosa, dal regista Mark Romanek che lascia la direzione per problemi col cast, a molte scene rigirate varie volte fino alla laboriosa e complessa resa del make up “lupesco” di Benicio Del Toro affidato al leggendario truccatore Rick Baker vincitore di ben 6 premi Oscar. The Wolfman come detto, ricalca fedelmente la sceneggiatura del predecessore, aggiungedovi elementi per così dire “modernistici”, volti forse ad avvicinare un pubblico di teenager, i riferimenti vanno alle numerose scene dal sapore splatter ad una atmosfera decisamente tetra che ricorda da vicino Il mistero di Sleepy Hollow di Tim Burton.
The Wolfman però scorre via senza suscitare particolari entusiasmi, rimanendo sì un’opera piacevole, ma priva di particolari picchi; sarà anche colpa dell’avvicendamento alla regia, il buon Johnston non osa granché ma anzi resta sulla falsariga di un canovaccio narrativo forse troppo poco “esplosivo” per un film horror.
Restano comunque le ottime interpretazioni di un Hopkins in stato di grazia, profondamente dentro al suo ruolo, una doppia personalità resa credibile anche dal trucco che lo invecchia decisamente, ed un Benicio Del Toro che rende bene le inquietudini del suo personaggio in preda alle pulsioni animalesche, così come alle paure che ne discendono. Poteva essere un gran film ma è riuscito solo a metà restando su una sufficienza che forse farà felici solo coloro che cercano le classiche due ore da passare con un blockbuster americano.