Volto inconfondibile del
cinema italiano, “attore, autore e essere umano” come lui stesso si
definisce, Nicola Nocella è stato il presidente di
Giuria dell’edizione 2022 di
Cinemambiente, che si è svolto dal 13 al 21 giugno ad Avezzano,
in Abruzzo.
Lo abbiamo raggiunto al
telefono e ci ha raccontato come ci si trova a stare dalla parte di
chi “giudica”, lui che da attore e creativo è più a suo agio nella
parte di colui che invece è giudicato.
“Giudicare è sempre
sbagliato – esordisce Nocella – partiamo dall’idea che non
si possono mettere sullo stesso piano dei film molto diversi per
budget, per motivazioni e intenti, per argomento. E poi c’è la
differenza fondamentale tra gusto e sapore, se qualcosa ha un
determinato sapore, lo sai e sai perfettamente a cosa corrisponde.
Invece il gusto è sempre molto soggettivo. È un compito complesso,
ma per fortuna non lo faccio da solo, c’è la giuria popolare, una
giuria di esperti, c’è il direttore artistico del festival, Paolo
Santamaria, che prende parte alle decisioni con la sua opinione. In
qualità di presidente di giuria io sono quello che conteggia più
che giudicare, e il mio parere vale esattamente come quello di
tutti gli altri. Le giurie sono meravigliose perché creano
situazioni divertenti, si discute, si parla di cinema, diventano
una scusa per entrare nello specifico del cinema.”
La biografia di
Nicola Nocella sul sito di
Cinemambiente Avezzano recita: “Radicato come un ulivo,
stagliato come un ulivo, produttivo come un ulivo (…) attore e
autore con le radici nella terra e i rami verso il cielo.” Ma cosa
tiene Nicola Nocella radicato e cosa lo fa crescere verso
l’alto?
“Ancestralmente, mi
tiene radicato la terra. È sempre complesso spiccare il volo,
perché sai, io peso 130 chili però tendo ad andare verso l’alto
perché ho scoperto la leggerezza. Tendo a librarmi come una
mongolfiera, che è enorme, sicuramente è pesante, però vola perché
è alimentata da un fuoco. Ecco, io pur essendo molto grosso, sono
alimentato dal fuoco, e dalla passione, che mi fa tendere verso il
cielo. Quello che invece mi tiene radicato è il mio passato, non in
senso nostalgico ma nel senso di imparare da quello che è successo.
Tutte le volte che ho provato a spiccare il volo senza rimanere ben
piantato a terra è stato un disastro. Se ti dimentichi che cosa
sei, se tradisci te stesso, è quello il momento in cui non riesci a
librarti in aria. Non tradire se stessi vuol dire rimanere
radicati. E poi, come dice Ibrahimovic, puoi
togliere il ragazzo dalla Puglia, ma non puoi togliere la Puglia
dal ragazzo.”
In che momento
della tua carriera hai capito che quella dell’attore poteva essere
la strada giusta, quando hai capito che ce la potevi
fare?
“Alla fine del primo
giorno di riprese di Il Figlio più Piccolo. Quel giorno ho capito
che ce la potevo fare. Ci avevo messo quattro anni per entrare al
Centro Sperimentale, poi ho seguito il corso di tre anni, poi
ancora la gavetta, le piccole cose, e poi
Pupi Avati mi ha ribaltato la vita. Alla fine di quel primo
giorno di riprese, tornando a casa, ero in macchina con mio padre,
ci siamo guardati e io ho detto ‘Ok, allora è vero, si può fare’
come fossi in
Frankenstein Junior! Fu un giorno faticoso,
anche emotivamente, ma l’abbraccio di Pupi a fine giornata, il suo
‘ci vediamo domani’, mi ha fatto capire che ce la potevo fare,
molto di più rispetto a quando poi sono arrivati i premi. Quando è
arrivato il primo Nastro d’Argento, che era una menzione come
miglior attore esordiente, di sicuro non poteva che essere un punto
di partenza. Quando poi è arrivato, l’anno dopo, un altro Nastro
per il migliore attore in un corto, ho capito che ogni volta che ti
fermi sei fregato. Il sogno della mia vita è vincere il David di
Donatello, quando sono stato nominato ma non ho vinto (ha vinto
Carpentieri, che è quello che avrei votato anche
io), ho capito che l’obbiettivo non poteva essere solo vincerlo, ma
continuare a fare dei bei film.”
Nicola Nocella e John
Belushi
Nicola Nocella ha
legato il suo nome a quello di John Belushi, non solo per una
spiccata somiglianza fisica, ma anche perché lo ha interpretato a
teatro e perché tra rubriche di cinema e account social, il suo
nick name è sempre BelushiVive. Cosa ti lega
all’attore americano?
“Io detesto il mondo
che dimentica le cose. Credo sia bello che invece le azioni e i
pensieri rimangano, anche quando le persone non ci sono più, come
nel caso di Belushi. È bello che qualcuno porti avanti il suo
ricordo. Nel 2000, quando ho cominciato al Centro Sperimentale, fu
il mio tutor, Giannini, a chiamarmi per la prima volta Belushi, e
io non sapevo neanche chi fosse. Poi, il 23 dicembre vidi per la
prima volta Blues Brothers e quella sera stessa scoprii che mi
avevano preso al Centro Sperimentale, l’ho preso come un segno.
Quando ho cominciato, cercare un attore con la mia fisicità che
facesse dei ruoli da protagonista, in Italia, era impossibile.
Quindi per avere un riferimento dovevo guardare all’estero, così
facendo ho trovato lui e da lui ho imparato tantissimo. Oltre che
un riferimento culturale, per me è stato un riferimento attoriale,
perché era un attore con i contro fiocchi, eccezionale. Quando ho
compiuto 34 anni, ho scritto a sua moglie su Twitter, e le ho detto
che avevo fatto l’unica cosa che mi poteva riuscire meglio rispetto
a lui, ovvero compiere 34 anni (dal momento che Belushi si è spento
a 33, ndr). E lei mi ha risposto ‘Si vede che sei stato più bravo a
fare la spesa nei negozi di liquori’. La verità è che ora sono
sempre più simile al Belushi che invecchia, e sto scoprendo tanti
momenti di calma, che forse lui non ha conosciuto. Io devo fare i
conti con il fatto che sto invecchiando.”
Nicola Nocella
sogna, un giorno, di passare dall’altro lato della macchina da
presa?
“Io penso che per
fare l’attore bisogna studiare tantissimo, e per fare il regista
bisogna studiare ancora di più. In tutti questi anni, ogni volta
che non ero sul set, ho studiato sia sceneggiatura che regia, come
un matto. Per adesso, usciranno un paio di progetti co-scritti da
me. Per quanto riguarda la regia, invece, diciamo che fino ad ora
ho aspettato la storia giusta, e forse è arrivata. Se dovessi
esordire oggi alla regia, sicuramente non lo farei in un film in
cui sono anche protagonista, perché ho scoperto che farsi dirigere
è, come direbbe Jerry Calà, una
libidine.”
Se avessi la
possibilità di parlare con te stesso da bambino, cosa gli
diresti?
“Non ho mai subito
bullismo, ma da piccolo ero innegabilmente il ciccione, quello che
si sentiva brutto. Ho scoperto, negli anni, che vieni percepito
dagli altri esattamente come ti senti. Ecco, una cosa che ho
imparato da John Belusci è lo stare bene con se stessi, nonostante
i tumulti e i travagli. Io mi sento costantemente inadeguato e
inadatto, però alla fine rimani da solo con te stesso. Quindi al me
ragazzino direi di non preoccuparsi, perché arriverà un momento in
cui si sentirai bene con se stesso. Mi consiglierei di fare scelte
più ponderate a inizio carriera, di non sentirmi mai arrivato. E
soprattutto di fidarmi del mio agente, Massimiliano Vitullo,
insieme al quale discuto delle mie scelte professionali, perché di
natura sono curioso. Ho fatto il film con Zalone perché volevo
vedere da vicino come lavora un genio della comicità. Ho fatto
tutta una serie di scelte per soddisfare la mia curiosità.
Giannini dice sempre
che il nostro lavoro in inglese si dice play e in francese jouer,
se smetto di divertirmi non ha più senso nulla. Se devo dare conto
solo a me stesso, allora che mi diverta. La mia libertà ha un
grande prezzo, la solitudine, ma mi permette anche di rifiutare
ruoli molto ben pagati per progetti che mi incuriosiscono di più.
Al me bambino direi anche questo, di continuare a essere curioso,
di non smettere mai di crederci, perché sono tantissime le volte in
cui vorresti mollare, di imparare a capire di chi fidarsi, e gli
direi anche basta con tutti questi carboidrati a 16
anni!”.
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