Il regista Marco
Segato presenta assieme al cast, con Marco
Paolini protagonista, produttore (Jolefilm) e
sceneggiatore assieme a Segato ed Enzo Monteleone,
il suo esordio La pelle dell’orso, tratto
dall’omonimo romanzo di Matteo Righetto. Un dramma ambientato negli
anni ’50 in un paesino delle Dolomiti, dove asprezza e bellezza
convivono nella natura e nella comunità contadina che lo abita. Una
caccia all’orso tra i boschi è l’occasione per un padre e un figlio
di ritrovarsi.
L’orso e Pietro (Paolini),
due figure in via d’estinzione nell’Italia anni ’50?
Marco Segato: “Sì, sono due
rappresentanti di un mondo, quello precedente agli anni ‘60, che si
confrontano con un futuro incerto, in cui forse non ci sarà più
asilo per una natura in parte ancora selvatica e per un uomo non
socievole”.
Come ha lavorato alla
scrittura e all’interpretazione del personaggio?
Marco Paolini: “Pietro è una
figura paterna certamente non positiva, non educativa, ma forse ci
si affeziona perché a una persona così ci si può attaccare, come ad
un sasso, è un corpo solido in una società liquida”. “È un
uomo che prima della guerra andava a caccia, poi c’è stata la
guerra ed è successo qualcosa di sballato. Ma non abbiamo
esplicitato tutto, il nostro è uno sguardo su un modo chiuso, in
cui tutti sanno tutto degli altri, ma agli estranei si dice
pochissimo. Lo spettatore è nella stessa condizione del forestiero
che guarda da fuori quel mondo. Lì la reputazione conta ed è
chiara. Per gli altri Pietro è solo un uomo cattivo, che si gioca
tutto in una scommessa. Ma forse lui è anche altro: non dà molto
valore alla sua vita, ma non è un aspirante suicida che cerca una
fine gloriosa. Se la sta giocando con un po’ di dignità”.
Marco Segato e
Marco Paolini presentano La pelle
dell’orso
Quindi c’è molto non
detto?
Segato: “Volevamo fare un film
con pochi dialoghi, abbiamo pensato ad alcuni bei film così,
essenziali, ma che funzionano. La scommessa era liberare due
personaggi che parlano poco in un bosco per tre quarti di pellicola
e lavorare sulle sfumature del racconto, piccole variazioni che si
spera il pubblico riempia con la propria esperienza e
immaginazione”.
È un film di genere, d’avventura e intrattenimento per
tutta la famiglia?
Segato: “L’idea del genere nasce
prima del film. Intendevamo creare un buon prodotto di
intrattenimento senza rinunciare alla qualità del cinema d’autore.
Siamo partiti dalla comune passione per il western e da meccanismi
narrativi consolidati, tra i quali innestare un paesaggio anomalo –
quello alpino – aggiornando il tema e riproponendo idee universali,
come il rapporto padre-figlio, in un contesto diverso”.
Come vede il suo personaggio
femminile?
Lucia Mascino: “Il western per
me è un invito a nozze, se riesco a tendere sempre più a Clint Eastwood sono contenta. Questo ambiente
così potente, misterioso, crudo, gli anni ’50, mi fanno sentire a
mio agio. Il mio personaggio è una specie di enzima, che rende
possibile il ritrovarsi di padre e figlio. Era molto bella l’idea
di legare, di scaldare, in mezzo a quel gelo, a quegli ambienti non
rassicuranti, e di interpretare un ruolo femminile che non fosse
per forza una madre o una sorella”.
Questo è un film di
territorio, come altre opere di Jolefilm, legate soprattutto al
Veneto, ed è dedicato a Carlo Mazzacurati.
Francesco Bonsembiante:
“Jolefilm è padovana e produce, oltre ai lavori di Paolini, i
film di Andrea Segre, alcuni documentari e ora questo esordio.
Tutto in questo territorio nasce dal seme di Mazzacurati. Questo
film è animato dal rapporto di amicizia e stima che tutti avevamo
con lui, ha nel paesaggio, nei personaggi, nella ricerca delle
comparse, elementi che nascono dal cinema di Carlo. Segato poi è
stato suo assistente ne La giusta distanza e
quando ha pensato di dedicare il film a lui, ne siamo stati ben
felici”.
La pelle dell’orso
arriverà in sala dal 3 novembre.