Buongiorno dai vostri supereroi in
trasferta, vi vogliamo bene, lo sappiamo che ci sostenete. Poi vi
mandiamo l’Iban per i bonifici.
Mi serviranno dei liquidi infatti,
sappiatelo, che qui sto a morì disidratata. Siccome il supermercato
è in culonia e al Lido piove persino Spritz ormai
non tocco acqua dall’Italo che ho preso 4 giorni fa. Senza contare
che una leggenda del posto sostiene che l’acqua faccia ruggine, e
noi ne abbiamo già troppa a casa.
Mi sono svegliata in preda al
panico, abbiamo scoperto di vivere in una strada ad alto tasso di
criminalità.
VENEZIA 72, FOTO: EDDIE REDMAYNE, AMBER HEARD…
Una lite furibonda tra cosche rivali
questa mattina – si vocifera sul corretto modo di gettare il
pattume- ha terrorizzato tutta la nostra palazzina, io temevo
un’incursione della Gabanelli e le telecamere di Report. Leader
della spedizione punitiva un vecchiodemmerda del posto, che non ne
può più dei soprusi dei villeggianti del festival che si ribellano
a usi e costumi della comunità che li accoglie (tipo le biciclette
che te devono arotà, gli autobus che te lisciano per poco, i
veneziani che ti imbruttiscono se apri bocca, cose così, ce devi
stà, la legge è legge) e ha sbroccato in mezzo alla strada, io
pensavo di sentire ancora gli acuti di
Marguerite in fase rem.
Ma va bene. Affronto con questo
stato d’animo The Danish Girl che so già
mi darà grandi spunti per le prossime cronache.
Invece parliamo di ieri sera che
merita. La vostra eroina ha visto un film che definiremo
‘necessario’, e mo’ ve spiega perché. Parlo di
Equals, meraviglioosa pellicola distopica con
Kristen Stewart, ispirato come arcinoto da un
libro, il dizionario della lingua italiana, nello specifico sulla
definizione di ‘banale’. Gli arguti sceneggiatori hanno lavorato
duramente per mantenere intatto il significato originale, usando lo
schema tecnico di Syd Field:
Emmò come famo? Vabbè pigliamo
un po’ de robe telefonate di Romeo e Giulietta, vestiamoli tutti
uguali non sia mai un po’ di personalità… ah poi sai che famo?
Spargiamo la voce che è fantascientifico e che strizza l’occhio a
Orwell così facciamo pure gli impegnati e poi mettiamo la Stewart
che fa le solite due espressioni, una cor ciuffo e una senza, e amo
fatto.
E infatti hanno fatto un
film necessario, perché voi non lo sapete ma questa pellicola era
legata a una fantastica operazione di
crowdfunding. Ogni tweet de na groupie della
Steward che s’incazza coi critici che, giustamente eh, potrebbero
avere qualcosa da ridire, va in un fondo messo a disposizione per
rifare il guardaroba veneziano di Johnny Depp, così la smette di
sembrare il Cosplay di Geronimo Stilton (grazie
Marco Lucio Papaleo per la dritta e per la
vignetta che sta facendo giustamente il giro della rete, come al
solito senza creditare l’autore. Ci pensiamo noi).
Vado a scrivere in sala stampa, e
poi ho un’altra cosa necessarissima da fare: me serve un
parrucchiere.
Ce la farà la vostra eroina a non
sembrare reduce dall’ice bucket challenge?
Chi lo sa. Per ora è tutto, a te
Ang.
(Vì)
Ormai siamo nel vivo e su facebook è
tutto un chiedere ‘com’è questo film, com’è quest’altro?’. Insomma,
il pubblico vuole le recensioni. Facile dì ‘Le recensioni’. Io
al quarto giorno di festival tra le corse forsennate, il sonno
limitato e l’alimentazione poco corretta (per quanto ieri sera
abbiamo finalmente individuato l’unico ristorante del Lido che non
arrechi sull’insegna il bollino qualitativo ‘Vi trattiamo
di merda dall’82’ – cit. Eva Carducci)
sinceramente faticherei a distinguere un film di Akira
Kurosawa da Two Girls One Cup.
Se non avete mai sentito parlare di quest’ultimo, cercate pure in
rete e informatevi, ma mai, dico mai, per nessuna ragione al mondo,
aprite un link video. Io v’ho avvertito e badate che è come non
dare da mangiare dopo la mezzanotte ai
Gremlins.
Con questo non voglio certo
insinuare che le capacità cognitive degli insigni colleghi della
critica siano offuscate quanto le mie (magari sottintendendo che la
positività o la negatività di un giudizio di un film durante il
festival sia pesantemente influenzata da come hanno magnato,
dormito o fatto la cacca la sera prima). Anche perché qua tra
blogger, youtuber, influencer e altre nuove
categorie dai nomi bizzarri che farebbero invidia a un bestiario di
Dungeons & Dragons (mi è parso di scorgere in
Darsena anche un beholder e un Catoblepa), che dichiarano pure con
fierezza “io non faccio il critico” manco fosse
una malattia, di critici veri e propri ne sono rimasti pochini.
“E allora che cazzo parli a
fa?” l’avete pensato voi da soli e non c’è bisogno che
infierisca. Di Equals ne ha già parlato
Vì. Mi sento solo di spezzare una lancia nei confronti di
Kirsten Stewart, che non è cessa quanto tutti
dicono. Aspettate un attimo, come non detto. Stavo guardando una
foto di Nicholas Hoult, il suo partner su schermo.
Vabbè, nel film vestiti uguali sono tipo Topolino e Minnie, l’unica
differenza sono le ciglia di lei. Comunque da solo su un’isola
deserta con loro due sinceramente avrei difficoltà a scegliere con
chi accoppiarmi. The Danish Girl invece
per me ha rappresentato una grossa delusione. E’ bello, quindi
prenderlo per il culo è difficile. Quindi mi ritiro a provare il
dispositivo di realtà virtuale che hanno messo nella Hall
dell’Hotel Excelsior e che simula la camminata su un cavo
sottilissimo appeso tra le Torri Gemelle (che nella finzione ancora
esistono), naturalmente senza rete e con la visione sul baratro.
Dico ‘vabbè è un giochetto, che sarà mai’.
Stacco.
Per poco non mi accricco. Finalmente
provo l’ebbrezza di sentirmi idiota come i protagonisti di
Everest, sicché scopro che anche questa
iniziativa è legata all’uscita di un film, anch’esso ispirata alla
vicenda reale di un tizio che desidera ardentemente morire
spiaccicato.
Ora, dato che me la sono quasi fatta
addosso, vado al bagno, che quello è veramente
necessario. (Ang)