Pare che siamo arrivati alla fine.
Oggi ultimo giorno di Festa (ehi, ho imparato a chiamarla così.
Sicuramente l’anno prossimo cambieranno di nuovo diciture), c’è il
sole, Vì è tornata e –sia lode a Chtulhu – non c’è una premiazione
finale. Il film più bello lo decideranno i ventiquattro spettatori
che sono accorsi qui a questa manifestazione, e dunque problemi
loro, significa che noi addetti se ci va di culo siamo perfino
liberi di andarcene a cena in un orario decente e pregustare ‘sto
mezzo week-end di riposo che in finale ci siamo meritati prima di
partire per le prossime avventure (per me Lucca Comics, per altri
Torino).
Oggi devo seguire Il
Piccolo Principe. Il film l’ho già visto a Cannes, il
che mi avvantaggia di due ore di tempo libero. Purtroppo ieri nella
fretta ho guardato il programma a cazzo, e ho confuso gli orari di
proiezione e conferenza, quindi arrivo comunque in orario per la
proiezione, cioè con un paio d’ore d’anticipo. Che potevo usare per
dormire, passeggiare, fare altro. Niente, è il destino del
festivaliero. Fino all’ultimo, la kermesse ti risucchia con
intricati giri d’eventi e tu non puoi sottrarti nemmeno se vuoi. E
quindi andiamo di bilancio, che è un po’ quel che dicono tutti.
Che sarà vero che sta Festa sembra
più una fiera di paese che un evento internazionale, che gli ospiti
sono stati in generale di poca caratura, ma i film in media erano
belli, insomma almeno due tre da consigliare io me li porto.
Probabilmente è vero che “l’essenziale è invisibile agli
occhi”.
Ah, tra parentesi, il
film di oggi col Piccolo Principe c’entra abbastanza sega, è una
cosa spielberghiana, alla Hook, volendo,
ma le parti del romanzo che tutti abbiamo amato da bambini si vede
solo in alcune scene d’intermezzo realizzate con gli origami – tra
l’altro ben riuscite – per il resto è tutta animazione moderna
simil-Pixar, dove Antoine de Saint-Exupéry compare nel ruolo di
sé stesso e in guisa di vecchio rincoglionito.
Nel pomeriggio un documentario su
La grande bellezza – pure
bellino e con il merito di durare solo 60’, che per la stanchezza
un po’ de cecagna me piglia – articolo, e poi se Nicolas Cage vuole è finita. Come
sempre a mancarci saranno soprattutto gli incontri più o meno
fugaci con la bella gente del festival, come quello che abbiamo
fatto ieri al Tiepolo, un noto locale della capitale dove ti danno
la patata, e infatti è sempre pienissimo.
S’è scoperto che parte della
tavolata già lo frequentava abitualmente e che aveva un gruppo
Whatsapp nominato ‘Quelli del Tiepolo’. Noi ci siamo ribattezzati
‘Figli del Tiepolo Minore’, in onore di tanti personaggi ‘minori’
che circolano da ‘ste parti e che per un motivo o per l’altro ci
vogliono corteggiare con insistenza o picchiare. Di solito Vì
ottiene il primo trattamento, io il secondo, ma non è detto.
Ma ora basta chiacchiere,
il momento che aspettavate è arrivato, perché per il gran finale,
Vì è di nuovo tra noi!
- Premio Realizzazione Tecnica Demmerda alle macchinette per la
traduzione in sala conferenze. Il segnale sfancula in continuazione
e non c’è modo di sentirle se non alzando a palla, con sommo
disappunto di chi non le usa.
(Ang)
E infatti sono tornata, in realtà
non so nemmeno da dove perché in realtà non mi sono mai fermata.
Praticamente ormai sono un essere mitologico mezza donna e mezza
rotaie. In ogni caso ieri sera ero qui di nuovo in diretta da
questa festa splendida a fare un bagno di folla, a sgomitare per
trovare posto, a fare file immense per riuscire a vedere qualcosa,
praticamente ce stavamo solo noi, lo sapete. Noi e i parenti di
Cupellini.
Ieri, e non so perché devo essere
completamente rincoglionita, ho deciso di andare a vedere
Sport, un docufilm in cui quattro
registi, israeliani e palestinesi, hanno girato dei minicorti sul
tema appunto dello sport.
Che uno che un minimo mi conosce sa
benissimo che a me fottepropriosega di qualunque roba sportiva. Non
che non lo sia, attenzione. Tutt’altro. È che trovo mostruosamente
noioso guardare gare e robe simili. È come se vi costringessi a
guardarmi mentre corro sul tapis roulant, per dire, o pretendessi
l’applauso dopo che ad aerobox corco di legnate il mio avversario,
o che vi propinassi due ore di visione di me che faccio squat in
pantaloncini. Per non parlare del calcio, che per me il derby è al
massimo un succo di frutta, capiamoci. Insomma, detto questo,
posseduta da chissà quale demone (un po’ come la mia macchina, ma
questa è un’altra storia), mi avvio in questa sala e iniziamo
malissimo. Il primo corto è proprio sul calcio e per di più una
filippica mediorientale stile documentario. Inizio a boccheggiare,
soprattutto perché ero scesa dal frecciargento due ore prima,
capite bene che ero un po’ stremata. Ma poi, sorprendentemente, con
gli altri episodi sono stata totalmente rapita da questo lavoro,
tant’è che sono uscita felicissima, spingendolo a tutti, ma che
bello lo sport!
Restano irrisolti alcuni punti
cruciali. Perché c’era un corto su due in prigione che fanno
yoga?
Ah, anche quello non è un succo di
frutta? Dite?
Po’ esse’, bravi, vi meritate un
like.
Come se lo meritano il mio fido
socio e tutti quelli che mi hanno aspettata, i lettori che si sono
lamentati con me perché ho trascurato Ang, è vero, mi farò
perdonare. Intanto ieri sera ‘i figli di un Tiepolo minore’ hanno
deciso che oggi faranno un reportage di vita reale, proprio lì dove
vige il sordido, svelandovi volti e nomi sui veri retroscena del
festival. Oggi puntiamo a un selfie con la Stefania, santa donna
del kebabbaro-universal (si qui è brandizzato, come il mio
meccanico ‘Tonino’ che se chiama Daniele, ‘Tonino’ è il brand) che
mi nutre e mi avvolge di tante cure. Durante la cena delle patate
ieri abbiamo ricordato molto le sue gesta. Questo Festival è nato
sotto il segno del calendario cinese delle patate. Se fate i bravi
un giorno vi spiegheremo perché.
Adesso scappo, vado a
prendere Ang, andiamo a vedere l’ennesima versione de
La Grande Bellezza, dall’originale titolo
Cercando la grande bellezza. Un film in
cui ‘un regista minore’ (scusate, è una citazione meta-testuale
sulla serata di ieri, non è dispregiativo, noi amiamo i registi
minori, almeno quelli che non vogliono mena’ Ang) in cinque
capitoli che cerca di ricostruire il modo di pensare e di fare il
cinema di Paolo Sorrentino. Quindi ci ubriacano tutti prima di
entrare in sala.
Detto questo, lo sapete che scherzo,
come dico più volte Sorrentino per me può girare pure il menu di
Cesare al Casaletto, anche se epica la frase (di gelo) di mia madre
oggi: ‘ancora a vedere roba su ‘la Grande Bellezza?’ ‘Cosa ti
dovranno mai dire che non sono riusciti a far passare in 5 ore di
pellicola?’ ‘Ma cos’è in realtà un sequestro?’
Mamma ti amo, ti volevo salutare che
qua ci teniamo a ringraziare i cari. Scappo, addio, o forse
arrivederci Roma. Non lo so, ci pensiamo domani.
(Vì)