Il critico d’arte André
Chastel era solito affermare che l’elemento indicatore
dell’acquisizione di fama e notorietà altro non è che il numero
delle imitazioni e parodie che nascono attorno ad un qualunque
oggetto o soggetto, decretandone di fatto l’ingresso dell’universo
della cultura popolare. Molto spesso però accade (ed è accaduto)
che a raggiungere lo status di icona pop o di fenomeno
cult possa essere una figura o un elemento capace di
collocarsi nel pericoloso quanto magico confine fra il grottesco di
consumo e la più elevata forma di espressione artistica, dividendo
aspramente pubblico e critica. La lunga tradizione artistica del
nostro paese conta una più che nutrita schiera di maschere popolari
che, al di là della personale modalità di espressione e dei
contenuti del loro progetto, si sono impresse indelebilmente nel
nostro immaginario collettivo, il più delle volte ricorrendo
sapientemente all’arma della risata e dell’intelligente
esasperazione del reale.
Fin dalle celebri macchiette
nostrane che furono Petrolini e
Tecoppa, passando per i personaggi dialettali di
Gilberto Govi e del sommo Totò,
si è giunti, a cavallo fra gli anni ’70 e ’90 ad una nuova
generazione di mattatori che hanno saputo sempre meglio incarnare
le bruttezze e le idiosincrasie dell’italiano medio-basso,
transitando verso un universo surreale e tragicomico nel quale le
bruttezze e le contraddizioni del nostro Bel Paese si sono
incarnate in figure laide e grottesche ma di efficace comprensione.
Nell’Olimpo di queste personalità sgangherate e buzzurre un posto
d’onore non può che essere riservato al più che celebre personaggio
di Fantozzi, una macchietta nazionale divenuta
celebre non solo per aver saputo dar corpo e (rauca) voce alle
peripezie della classe media italica post-boom economico, ma grazie
alla mimesi indissolubile nei confronti del suo creatore e
burattinaio Paolo Villaggio è riuscita a nel
difficile intento di far più volte ragionare con l’arma tagliente
della satira socio-culturale.
Il ragionier Fantozzi, o come vuole
l’intestazione ufficiale della sua occupazione “Ugo Rag.
Fantozzi”, è una personalità che incarna appieno il senso più
puro della mediocrità della classe media italiana, un misero tapino
senza pregi e capacità particolari che si ritrova, suo malgrado, a
doversi districare all’interno di un ambiente lavorativo dove
impera la più rigida e svilente forma di servilismo e soggezione al
potere burocratico, per non parlare di un nucleo familiare degno di
una commedia surreale di Bertolt Brecht. Il povero Fantozzi (o
Fantocci, come spesso viene storpiato da colleghi e amici)
si porta addosso il peso di una società arrivista e schizofrenica
dalla quale viene continuamente vessato e costretto a subire
soprusi e angherie senza poter far nulla, il tutto sempre
all’insegna di un umorismo cinico ed esasperato che ha saputo dar
vita ad alcune delle più celebri e spassose gag di tutta la storia
del cinema comico italiano.
Era il lontano il 1968 quando,
durante la celebre trasmissione televisiva Quelli della
domenica trasmessa su Programma Nazionale, il comico
genovese Paolo Villaggio divenne celebre per i
suoi monologhi dedicati alla società e al mondo del lavoro che
vedevano come protagonista di terza persona un certo ragionier Ugo
Fantozzi, chiara evocazione autobiografica del suo breve periodo di
occupazione negli uffici dell’azienda Italsider, una realtà
grottesca nella quale il povero impiegato si trova a doversela
cavare in mezzo a situazioni buffe e scapestrate che hanno però
tutte un occhio di riguardo per i problemi reali della cultura
dell’epoca. Usando il cognome di un suo vecchio compagno di
scrivania e iniziando a delineare fin da subito un surreale
microcosmo di personaggi e situazioni che ritorneranno ben più
avanti nelle successive trasposizioni cinematografiche, Villaggio
inizia a scrivere alcuni racconti ispirati proprio a questo
personaggio reso (indirettamente) celebre dalle apparizioni
televisione rigorosamente evocative e mai fisiche, e dopo una prima
pubblicazione sul quotidiano l’Europeo,
nel 1971 uscì nelle librerie la prima antologia di racconti dal
titolo Fantozzi, divenendo ben presto un libro
richiestissimo e di grande successo, tanto da far vincere al suo
autore il premio Gogol come “miglior scrittore in
cirillico” alla rassegna letteraria di Mosca.
Ciò in realtà a posteriori non può
che far sorridere, se si pensa che alcuni anni dopo proprio il
personaggio cinematografico incarnato da Villaggio sarà
protagonista di una delle più esilaranti e celeberrime
de-mistificazioni del glorioso cinema sovietico degli anni ’20, nel
momento in cui proprio Fantozzi de Il secondo tragico
Fantozzi (1976), durante un dibattito culturale a
seguito di una terribile ed interminabile rassegna cinematografica
d’essai arriverà a pronunciare la celebre sentenza
critica: “Per me…la corazzata Kotiomkin… è una ca***a
pazzesca!!!”.
Dopo la pubblicazione di altri due
volumi di grande successo, nel 1975 il regista Luciano
Salce riuscì a convincere Villaggio a realizzare una
versione cinematografica dei primi due libri dedicati al suo
strampalato personaggio, ma inizialmente per il ruolo erano stati
proposti nientemeno che gli amici e colleghi Ugo
Tognazzi e Renato Pozzetto. Dopo il
cortese rifiuto di entrambi i comici, Salce convinse infine
Villaggio a vestire lui stesso i panni di una macchietta che tanto
conosceva bene per averle dato i natali, e perciò venne alla luce
Fantozzi (1975), primo capitolo di un
ciclo di ben nove pellicole destinate a divenire uno dei fenomeni
cinematografici più discussi e amati della metà del decennio,
soprattutto grazie alla spassosa e indimenticabile
caratterizzazione dello sfortunato impiegato e della sua
sgangherata combriccola di compagni, anch’essi archetipi distorti e
volutamente esasperati dei soggetti più comuni della vita
quotidiana: la mostruosa e scimmiesca figlia Uga, la flemmatica e
sciatta mogliettina Pina (interpretata da una indimenticabile
Milena Vokotic), la formosa e profittatrice
signora Silvani (una scoppiettante Anna
Mazzamauro) e il più che celebre ragionier Filini,
personaggio entrato nel culto popolare e fortemente autobiografico,
mutuato dall’unione di due differenti personaggi della saga
letteraria di Villaggio, tra cui l’organizzatore di viaggi Fracchia
(divenuto col tempo un personaggio cinematografico collaterale ed
alter-ego di Fantozzi stesso).
Nel giro dei primi due film diretti
da Salce fra il 1975 e il 1976 (Fantozzi
e Il secondo tragico Fantozzi),
considerati come i migliori di tutta la serie, e i successivi sette
orchestrati da Neri parenti sino al 1996
(Fantozzi contro tutti,
Fantozzi subisce ancora,
Superfantozzi, Fantozzi va in
pensione, Fantozzi alla
riscossa, Fantozzi in
paradiso e Fantozzi – il
ritorno), Villaggio e i suoi collaboratori seppero
delineare progressivamente le caratteristiche fisiche e
comportamentali di questo povero relitto umano, facendoli assumere
in tratti fumettistici e caricaturali di un tipo lavoratore medio
pressato attraverso varie e fantasiose forme di mobbing lavorativo
e accidenti quotidiani. Fantozzi è un uomo basso, ben tarchiato e
panciutello tanto da ricordare uno dei due fratelli gemelli
Tweedledum e Tweedledee di Alice nel paese delle
meravilgie; porta un piccolo basco sulla testa (copricapo che
ricorda però più quello indossato dai camalli genovesi) che non si
toglie mai neppure dal dottore o nella vasca da bagno; si veste
sempre in maniera sciatta ma elegante (come il suo antico
corrispettivo chapliniano) ed esterna i le sue emozioni e pensieri
con versi gutturali e soffocati, quasi onomatopeici, fino ad
indicare la propria eccitazione erotica sporgendo vistosamente la
lingua da un lato della bocca ed emettendo mugugni.
Il povero Fantozzi viaggia su una
Fiat 500 “Bianchina” mezzo distrutta ma che ben identifica
lo status economico-sociale a cui appartiene; mangia abbondanti
piatti di spaghetti al sugo e, soprattutto col progredire della
saga cinematografica, abbassa notevolmente il proprio livello
culturale ed espressivo sino a ruttare rumorosamente e ad emettere
altri allusivi rumori corporei. Il ragionier Ugo non riesce quasi
mai ad averla vinta su niente e nessuno, è un eterno perdente che
forse, proprio per questo, passa sopra ad ogni cosa senza troppe
preoccupazioni, trovandosi sempre nel mezzo di situazioni degne di
un fumetto per ragazzi o delle comiche del cinema muto.
Non è un caso che, più che il
cinereo Buster Keaton, la mente degli spettatori più scafati passi
immediatamente in rassegna il ricco bagaglio (panto)mimico di
Charlie Chaplin, poiché entrambi i due personaggi, seppur
chiaramente appartenenti a due epoche e a due standard culturali
diversi, intraprendono un rapporto originale e anticonvenzionale
con il mondo circostante, sapendo reinventare abilmente l’uso e
consumo degli oggetti che li attorniano. Dopo l’ultima (a dire il
vero non proprio eccelsa) apparizione in Fantozzi 2000
– La clonazione (1999) diretto da Domenico
Saveri, la stanca e fiaccata macchietta fantozziana decise
di non sopravvivere al nuovo secolo che si approssimava e perciò
scelse di eclissarsi con stile, ben consapevole che i tempi erano
cambianti ma che, in fondo, tutto era e sarebbe rimasto più o meno
come prima, solo con l’illusione di una felicità e di una ricchezza
che l’uomo medio mai riuscirà a raggiungere.
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FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2015
La nuvoletta dell’impiegato che,
proprio come in una slaptick comedy o un fumetto satirico,
rincorre il povero ragioniere nei momenti più difficili e topici, è
divenuta di buon grado una metafora della perenne e pressante
sfortuna che a volte (o molto più spesso) sembra attaccarsi come
una zecca a ciascuno di noi, una sfortuna simbolica che il Fantozzi
della finzione cinematografica è costretto a subire per davvero,
sempre però con il gusto della risata amara e della satira pungente
che molto spesso vale da sola più di un trattato di sociologia.
Sull’onda della grande popolarità del suo personaggio, per altro
fonte di almeno una mezza dozzina e più di cloni e imitazioni
(ufficiali e apocrife), Villaggio decise di riesumare un altro
celebre personaggio della sua personale saga umoristica, quel certo
Fracchia che nell’universo letterario aveva costituito l’embrione
del futuro ragionier Filini, scegliendo però di affidargli un posto
tutto suo in ben due lungometraggi, Fracchia la belva
umana (1981) e Fracchia contro Dracula
(1985), entrambi diretti da Neri Parenti, questa
volta dando vita ad un alter-ego crepuscolare e molto più cinico
del Fantozzi d’altri tempi.
Lo stesso Villaggio poi si troverà
a impersonare, nel corso della sua carriera, personaggi e maschere
nella quale gli venne richiesto espressamente di replicare le
movenze e addirittura le gag già sperimentate nella saga
fantozziana. Nel corso degli anni ’70 la figura di Fantozzi ispirò
il celebre fumetto a sfondo erotico
Pancozzi, e a partire dal 1993 sul
giornale per ragazzi “Corrierino” lo scrittore
Antonio Orecchia e la disegnatrice Lola
Airaghi decisero di realizzare una serie a fumetti
ispirata al rocambolesco impiegato genovese, seguita poi da una
celebre apparizione in un numero speciale della saga di
Topolino (“La tragica avventura di Paperon de
Paperozzi” del 1988) e una graphic novel
commemorativa dal titolo “Fantozzi
Forever”, edita nel 2014 e ideata da Villaggio stesso
assieme a Francesco Schietrona per raccontare le
vicessitudini di un vecchio e stanco Fantozzi alle prese coi più
contemporanei problemi sociali e culturali. Sono passati ormai
esattamente quarant’anni da quando, in quel lontano 1975, la
corpulenta e sgraziata figura del ragionier Ugo Fantozzi apparve
per la prima volta sullo schermo dei cinema italiani, forse senza
avere il ben che minimo sentore del grande successo internazionale
che ne sarebbe derivato e senza sapere che decenni dopo il suo
battesimo di celluloide, l’Italia del 2015 avrebbe continuato a
ridere e a sganasciarsi per le avventure di un piccolo e mesto uomo
comune, un uomo che ci fa tenerezza e simpatia proprio perché
incarna l’omuncolo che vive in ognuno di noi.