“You know nothing Jon
Snow”. La bella e selvaggia Ygritte ha pronunciato per
l’ultima volta la sua celebre battuta ai piedi del Castello Nero e
adesso la sua interprete, Rose Leslie, è libera di far andare avanti la
sua carriera lontano da Game of Thrones. The Hollywood
Reporter ha infatti diffuso la notizia che la rossa attrice si è
unita al cast di Last Witch Hunter,
accanto proprio a Vin Diesel.
Il ruolo di Rose, come è facile
intuire, sarà quello di una strega! Il film sarà ambientato nella
moderna New York e seguirà i due personaggi che cercheranno di
fermare l’ascesa al potere di una malvagia regina delle streghe.
Chissà se Vin Diesel si lascerà zittire e domare
con la stessa facilità di Kit Harington!
Tra pochi giorni, l’11 agosto,
ricorrerà il decennale dalla tragica scomparsa di Robin Williams. In vista di tale occasione,
l’attrice Sally Field ha rivelato una toccante
storia del periodo in cui ha lavorato con l’attore in
Mrs. Doubtfire. Il film vede Daniel Hillard (Robin
Williams) assumere le sembianze di una perfetta tata
di nome Mrs. Doubtfire per poter passare del tempo con i suoi figli
dopo averne perso la custodia in seguito a un divorzio conflittuale
con Miranda (Field). La miscela di commedia esilarante e dramma
sentito ha contribuito a rendere
Mrs. Doubtfire uno dei migliori film dell’impressionante
carriera di Williams.
Vanity Fair ha parlato con molti
co-protagonisti, collaboratori creativi e amici di Williams, tra
cui, appunto, la Field, la quale ha raccontato di come lui l’abbia
aiutata quando ha saputo che suo padre era morto durante le
riprese. “Non ho mai condiviso questa storia prima d’ora. Ero
nel camper fuori dall’aula di tribunale dove stavamo girando la
scena del divorzio. Mio padre aveva avuto un ictus un paio di anni
prima e si trovava in una casa di cura. Ho ricevuto una telefonata
dal medico che mi diceva che mio padre era morto – un ictus
grave.
Mi chiese se volevo che lo
mettessero in rianimazione. Io dissi: “No, non lo voleva.
Lasciatelo andare. E per favore, chinatevi e dite: ‘Sally ti
saluta’“. Naturalmente ero fuori di me. Arrivai sul set
cercando con tutte le mie forze di recitare. Non stavo piangendo.
Robin si avvicinò, mi tirò fuori dal set e mi chiese: “Stai
bene?“. E ha fatto in modo che girassero scene in cui non
ero prevista per il resto della giornata. Ho potuto tornare a casa
mia, chiamare mio fratello e prendere accordi. È un lato di Robin
che la gente conosce raramente: era molto sensibile e
intuitivo“.
A quanto pare un progetto su un eroe
Marvel al femminile che non ha
nulla da chiedere e da invidiare ai colleghi Thor, Iron Man e Cap
fa gola a molte persone. Addirittura un regista ha dichiarato su
Twitter che sarebbe disposto anche a dirigerlo gratis. Si tratta di
Lexi Alexander, regista di Punisher
War Zone.
La regista, durante una sessione di
domande e risposte sul social, ha dichiarato che sarebbe disposta a
dare via la sua paga per dirigere una storia incentrata su Kamala
Khan. Si tratta dell’alter ego di Ms.
Marvel, possiamo quindi dire con un buon margine di
certezza che, dal momento che in cantiere bolle il progetto
Captain Marvel con Carol Danvers
protagonista, è improbabile che nell’immediato futuro ci sia spazio
anche per Kamala.
Staremo però a vedere. Che ne
pensate?
Vi ricordiamo
che Capitan Marvel arriverà al
cinema il 2 Novembre 2018. Al momento non è stato ufficializzato né
regista né attrice protagonista.
Russell Crowe è
ufficialmente entrato nel cast del nuovo film Highlander
e ha dato una risposta brillante. L’attore premio Oscar, che ha
ottenuto il riconoscimento per il suo ruolo in Il gladiatore
(2000), interpreterà l’immortale Juan Sánchez-Villalobos
Ramírez, che nel film originale era la figura mentore di Connor
MacLeod, interpretato da Christopher Lambert. Crowe reciterà al
fianco di Henry Cavill, che interpreterà MacLeod nel
reboot di Highlander, l’epico film del 1986.
In un post sul suo account Twitter
personale, Croweha pubblicato un link all’annuncio di casting di Variety
e ha confermato la notizia. Spiegando che “sono passati
alcuni secoli”, il vincitore dell’Oscar ha sottolineato che
“tornerà nelle Highlands con una spada” quando il film
uscirà ufficialmente. Date un’occhiata al suo post qui sotto:
Negli hashtag alla fine del suo
post, la star ha accennato al coinvolgimento del clan Fraser of
Lovat di Wemyss, così come del clan Macdonald of Clanranald. Ha
anche promesso che “ce ne può essere solo uno”, alludendo
alla missione singolare di tutti gli Immortali nella saga di
Highlander.
Cosa significa questo per il
casting di Crowe in Highlander
Se questo post è indicativo,
Crowe sta già dimostrando di essere all’altezza del suo
casting, il che non è particolarmente sorprendente. Come ha
dimostrato la sua interpretazione vincitrice di un Oscar in Il
gladiatore, è un attore straordinario, capace di conferire
gravitas ai suoi ruoli con apparente facilità. È perfetto nei film
storici epici, avendo recitato in ruoli importanti in 3:10 to
Yuma (2007), Master and Commander: The Far Side of the
World (2003), American Gangster (2007) e nel prossimo
Nuremberg (2025). Crowe ha anche recitato in film horror,
dimostrando di avere la versatilità necessaria per questo
ruolo.
Il ruolo del mentore in
Highlander è particolarmente importante, dato che sarà
proprio Crowe a introdurre MacLeod, interpretato da Cavill, alla
realtà dell’immortalità. Ramírez è anche una figura fondamentale
per la motivazione del personaggio, poiché MacLeod è costretto a
vendicare il suo mentore dopo l’attacco di Kurgan. Il secolare
Ramírez non ha molto tempo a disposizione sullo schermo, il
che significa che deve mantenere una forte presenza per rimanere
impresso nella memoria del pubblico. Crowe è l’attore perfetto per
dare un’interpretazione intensa a un ruolo limitato.
La bibliografia di Stephen King è
stata già ampiamente saccheggiata dal cinema, con esiti alterni e i
titoli che non hanno ancora trovato una trasposizione
cinematografica sono veramente pochi; tra questi vi è “Rose Madder”
che, forse per il suo mescolare realtà e paesaggi fantasy, appariva
di trasposizione un pò complicata… almeno finora, visto che, come
scrive Empire, la Paloma Pictures sembra aver aver messo in
cantiere il progetto.
Il romanzo, uscito nel 1995, narra
una storia di abusi domestici, con la fuga di una donna
continuamente vittima delle violenze del marito, che pian piano si
trasforma in qualcosa di molto diverso, ispirandosi in parte ai
miti greci, mescolando piano reale e fantastico. L’adattamento
dovrebbe essere scritto da Naomi Sheridan. In tema di adattamenti
‘kinghiani’, appare sulla buona strada la miniserie televisiva
basata su “The Dome”, progettata dalla Showtime; il libro
narra di una delle tipiche cittadine descritte nei libri
dell’autore di Portland, che si ritrova improvvisamente separata
dal resto del mondo; a scrivere la serie sarà Brian K. Vaughan, già
scenggiatore di Lost, oltre che prolifico scrittore di fumetti
(suoi, tra gli altri: Y, L’ultimo uomo e Ex Machina).
È stato presentato Fuori concorso
allaMostra del Cinema di
Venezia il film The Palace, il nuovo
lungometraggio del regista premio Oscar Roman Polanski ambientato al
Palace Hotel, uno straordinario castello progettato all’inizio del
1900 che si trova nel bel mezzo di una valle svizzera innevata,
dove ogni anno convergono da tutto il mondo ospiti ricchi e
viziati, in un’atmosfera gotica e fiabesca. La festa di Capodanno
2000 li ha riuniti tutti in un evento irripetibile. Al servizio
delle loro stravaganti esigenze c’è uno stuolo di camerieri,
facchini, cuochi e receptionist. Hansueli, zelante direttore
dell’albergo, passa in rassegna lo staff prima dell’arrivo degli
ospiti, ribadendo che, pur essendo l’alba del nuovo millennio, non
sarà la fine del mondo.
In effetti quella che si prepara è
davvero una guerra combattuta a colpi di stravaganze ed
eccentricità degli ospiti dell’hotel. Le varie storie danno vita a
una commedia assurda, nera e provocatoria. È la fine del 1999: non
solo l’epilogo di un secolo, ma la fine di un intero e controverso
millennio, e nell’aria aleggia il Millennium Bug. Polanski torna
dunque ad uno dei suoi filoni prediletti, quello della satira,
ponendo alla berlina l’umanità e le direzioni da essa intrapresa.
Polanski non è però potuto essere a Venezia per presentare il film,
lasciando dunque tale onore al suo cast di attori, composto da
Luca
Barbareschi, Fortunato Cerlino,
Fanny Ardant, Mickey Rourke,
Oliver Masucci e Milan
Peschel.
L’esperienza di produrre Roman Polanski
“Questo è un film per molto
importante, come lo sono stati gli altri realizzati con Polanski.
– esordisce Barbareschi in conferenza stampa – Èun film di attori, corale, in cui Roman ha voluto dar vita ad
un affresco straordinario di cosa è diventato questo mondo
oggi”. Barbareschi, oltre ad essere tra i protagonisti del
film, ne è anche produttore e proprio di questa esperienza ha
voluto parlare, affermando che “Lavorare con Roman è
meraviglioso, perché produttivamente ha sempre ragione. Produrre un
suo film quindi non è facile ma siamo felici di averlo fatto per
questo che è ben più che una commedia. Un’opera speciale, che dopo
L’ufficiale e la spia propone
una storia molto divertente, quasi balzacchiana”.
“Polanski ha compiuto 90 anni
quest’anno, ma ha un’energia impressionante. Spero di fare presto
un altro film insieme. Penso inoltre che il direttore artistico
della Mostra del Cinema sia stato molto coraggioso ad invitarci,
perché è giusto che un evento come questo punti a rappresentare
ogni sfumature del cinema e dei suoi linguaggi. E penso che non
possa e non debba esserciun giudizio morale
sull’arte.Ancora non mi spiego perché L’ufficiale e la
spia non sia stato distribuito nei paesi anglosassoni, ma poi è
anche così che si scatenano le guerre, negando all’arte di
circolare e toccare il cuore e la mente delle
persone”.
Recitare per Polanski in The Palace
Barbareschi passa poi a parlare del
personaggio da lui interpretato, un anziano porno attore di nome
Bongo. “È un personaggio emblematico di questo secolo, dove il
nuovo Dio è il selfie, ovvero l’egocentrismo. Bongo è un
egoriferito, pensa solo al proprio bagaglio di vita. Ma la cosa
divertente di una pornostar è che invecchiando lo riconoscono solo
i vecchi e quindi si deve confrontare con questo declino. È quindi
anche una metafora di un mondo sessualizzato, dove tutto è
pornografia”. Nel film recita anche l’attrice francese
Fanny Ardant, che ha racconto di aver ritrovato
con The Palace“la gioia di lavorare con un uomo
appassionato, che ricerca l’assoluto in ogni particolare”.
Barbareschi non è stato però l’unico
italiano a recitare nel film, dove possiamo ritrovare anche
Fortunato Cerlino, nel ruolo di Tonino,
receptionist dell’albergo. “È statoun grande
privilegio aver lavorato con un simile maestro.– ha
dichiarato l’attore – Mi piace associare questo film ad
una commedia dell’arte. Ogni personaggio porta sostanzialmente una
maschera e così nel corso del racconto ci ritroviamo davanti agli
occhi qualcosa di molto buffo ma anche profondamente tragico.
Perché come diceva Cechov, quando sei davanti a qualcosa di
estremamente tragico allora non puoi che ridere”.
La parola passa poi a Oliver
Masucci, interprete del diretto del The Palace:
“volevo lavorare con Roman e cercavo di farlo da tempo.
Inizialmente per il personaggio che interpreto in The Palace aveva
pensato a Christoph Waltz, il quale però non ha potuto partecipare.
Così sono arrivato io e lavorare con Roman è stato come trovarsi in
teatro, dove puoi provare più volte le scene, trovare il giusto
punto di vista.” Anche Milan Peschel si
unisce alle lodi nei confronti di Polanski, affermando di aver
trovato in lui un regista aperto all’improvvisazione e capace di
comunicare molto con poco.
Il regista Matteo Garrone
arriva per la prima volta in concorso alla Mostra del
Cinema di Venezia per presentare il suo nuovo film,
Io Capitano (qui la recensione), storia
dell’avventuroso viaggio di Seydou (Seydou
Sarr) e Moussa (Moustapha
Fall), due giovani cugini che decidono segretamente di
lasciare Dakar, capitale del Senegal, per raggiungere l’Europa, con
l’obiettivo di poter inseguire il sogno di diventare celebrità nel
campo della musica. Lasciandosi alle spalle le proprie famiglie,
per i due ha così inizio un’Odissea contemporanea attraverso le
insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e
i pericoli del mare.
Io Capitano, una storia che arriva da lontano
“La storia mi è venuta in mente
diversi anni fa, quando mi fu raccontato di questo adolescente che
da solo aveva guidato un’imbarcazione con circa 250 persone a
bordo. – racconta Matteo Garrone – Una
volta arrivato a destinazione, travolto dall’emozione di aver
portato tutti in salvo ha iniziato a gridare “io capitano, io
capitano”. Però mi sentivo in imbarazzo, da borghese, a pensare di
raccontare quella storia e i suoi retroscena. Poi, qualche anno
dopo, ho incontrato il ragazzo che quel finale lo ha vissuto, il
cui nome è Fofanà, e quell’incontro mi ha riavvicinato a quel
racconto, motivandomi a riprenderlo in mano”
“A quel punto abbiamo deciso di
costruire questo film seguendo i canoni del racconto d’avventura e
del viaggio dell’eroe e così spero sarà accessibile anche ai più
giovani che potranno sensibilizzarsi all’argomento”, continua
Garrone. “Bisogna infatti sapere che ci sono tanti
tipi di immigrazione, quella raccontata in Io Capitano è legata al
fatto che il 70% della popolazione africana è composta da giovani e
questi giovani sono influenzati dalla globalizzazione occidentale,
di cui penso sia importante raccontare gli effetti sulle
popolazioni.” – afferma poi Matteo Garrone, aprendo la
conferenza stampa.
“Hanno dunque il desiderio
legittimo di voler accedere ad un futuro migliore, così come noi da
giovani volevamo scoprire l’America. A noi però bastava prendere un
aereo per arrivare lì, mentre loro devono affrontare un viaggio
rischioso e potenzialmente mortale. Il film affronta quindi una
parte di immigrazione di cui a volte si parla meno ma che esiste,
ovvero quella dei giovani che vogliono scoprire il mondo e avere
maggiori opportunità e che non per forza scappano da situazioni di
guerra”, conclude il regista.
La scrittura della sceneggiatura e la ricerca degli attori
Tra gli autori della sceneggiatura,
oltre a Garrone, Massimo Gaudioso e Andrea
Tagliaferri, vi è anche Massimo
Ceccherini. Il regista ha dunque speso due parole per
chiarire il ruolo avuto da quest’ultimo nella realizzazione del
progetto. “Massimo mi ha aiutato molto nella scrittura di
questo film, che è un racconto di avventure popolari. – spiega
Garrone – Massimo viene dal popolo e quindi quando abbiamo
scritto la sceneggiatura ha apportato la sua conoscenza di certe
dinamiche che a me sono estranee. In sostanza, m ha aiutato a
ricercare una purezza del racconto che si sposa con quella dei
protagonisti”.
Fondamentale però è stato anche il lavoro di ricerca sul campo,
necessario affinché si potesse raccontare la verità su ciò che
avviene durante questo viaggio verso l’Europa. “Abbiamo fatto
un grosso lavoro di documentazione, durato qualche anno, e poi per
cercare di raccontare questa storia ci siamo affidati a chi queste
vicende le ha vissute in prima persona. – racconta Garrone –
È stato un lavoro assolutamente collettivo, reso possibile
grazie a persone come Mamadou Kouassi, che mi hanno raccontato le
loro storie al servizio delle quali io ho potuto mettere le mie
conoscenze tecniche“.
La parola passa allora proprio a Kouassi, collaboratore alla
sceneggiatura, che afferma: “ho vissuto l’esperienza di quel
viaggio, delle prigioni libiche, della paura e degli orrori e tutto
questo l’ho ritrovato in Io Capitano. Matteo ci porta davvero nel
mondo dell’immigrazione e sono orgoglioso di aver potuto
contribuire a dare voce a chi non ce l’ha. Sostanzialmente,
raccontiamo la storia di ogni singolo immigrato che ha vissuto
questa avventura. Partire vuol dire andare incontro alla morte,
veramente questa è la realtà che si verifica ma scegliamo di
affrontarla perché è giusto perseguire i propri diritti. Siamo
obbligati, in un certo senso”.
Riguardo gli interpreti dei
due giovani protagonisti, Seydou Sarr e
Moustapha Fall, Garrone racconta di averli cercati
dappertutto, giungendo infine ad una consapevolezza inevitabile.
“Abbiamo cercato gli attori giusti in tutta Europa, – racconta
il regista – ma alla fine li abbiamo trovati in Senegal. Ci siamo
infatti resi conto che lo sguardo di una persona di lì ha
naturalmente una qualità diversa sull’argomento“. Parlando dei
due protagonisti, Garrone riconosce infine che “qualcosa di
Pinocchio c’è in questo film, che si sposa con la storia di questi
ragazzi. Collodi cercava di mettere in guardia i piccoli dai
pericoli del mondo circostante. I protagonisti qui inseguono il
paese dei balocchi, tradendo i propri cari e poi finiscono con lo
scontrarsi con una realtà molto dura, che richiama un po’ anche
Gomorra“.
Io Capitano, dal 7 settembre al cinema
Garrone ha infine parlato di come
abbia a lungo rimandato la realizzazione di questo film non
sentendosi sicuro di avere il diritto di raccontarla, in quanto non
avendo vissuto quel tipo di esperienza. La sua opinione è però poi
cambiata nel tempo, arrivando ora a poter affermare che “il
film nasce da un lavoro collettivo tra il mio sguardo e le loro
testimonianze e da sempre credo che l’arte sia legata a delle
contaminazioni, un artista non deve parlare solo di ciò che
riguarda la sua vita, altrimenti l’arte si impoverirebbe. Penso sia
giusto giudicare l’opera in base alla sua sincerità e non a chi
l’ha fatta. L’opera rimane, noi no”.
Non si dovrà aspettare molto prima
di poter vedere film che, dopo la prima proiezione pubblica a
Venezia il 6 settembre, uscirà nelle sale italiane, con 203 copie,
dal 7 settembre, distribuito da 01
Distribution. È stato inoltre confermato che il film non
presenterà un doppiaggio italiano, una caratteristica a lungo
valutata ed infine scelta per rispetto nei confronti dei
protagonisti di questo racconto e ai loro interpreti, i quali
meritano di essere sentiti esprimersi nella loro lingua natìa.
L’attrice Scarlett
Johansson ha fornito una risposta decisamente schietta
alle domande su di un suo possibile ritorno nel Marvel Cinematic Universe
come Black Widow. La Johansson, che è stata
una delle principali protagoniste dell’MCU, debuttando come Black
Widow in Iron Man 2 nel 2010, ha interpretato il ruolo
fino al suo film da solista, Black Widow, del 2021,
che si è configurato come una storia prequel che ha introdotto la
possibile sostituzione nell’MCU di Natasha Romanoff con sua sorella
Yelena Belova, interpretata da Florence Pugh.
Come noto, Black Widow ha sacrificato la propria vita in
Avengers: Endgame, ed è lì che il suo
arco narrativo si è concluso.
Parlando con la collega e
co-protagonista dell’MCU Gwyneth Paltrow su
The goop Podcast, la Johansson è stata ora abbastanza
chiara sul fatto che il suo tempo come Black Widow sia a tutti gli
effetti giunto al termine.“Ho finito. Quel capitolo è concluso.
– ha dicharato l’attrice – Ho fatto tutto quello che
dovevo fare. Inoltre, tornare e interpretare un personaggio ancora
e ancora, nell’arco di un decennio, è un’esperienza così
unica”. Sembra dunque che la Johansson sia piuttosto decisa a
non tornare nei panni di tale personaggio e c’è già chi sostiene
che i contrasti legali intercorsi tra
l’attrice e la Disney possano aver contribuito a questa sua
decisione.
Ai fan non resta dunque che voltare
pagina come fatto da Scarlett Johansson, abbracciando però
l’ingresso nell’MCU di Yelena Belova, che come confermato dalla
scena post-credits di Black Widow è pronta ad unirsi alla
squadra nota come Thunderbolts. Il film
dedicato a questo gruppo, descritto come “la Suicide Squad della Marvel”, presenterà infatti
la Belova interpretata da Florence Pugh affiancata da Bucky Barnes
(Sebastian Stan), l’agente degli Stati Uniti
(Wyatt Russell), Taskmaster (Olga
Kurylenko), Red Guardian (David Harbour)
e Ghost (Hannah John-Kamen). La Belova, dunque,
potrebbe a tutti diventare la nuova Black Widow dell’MCU.
Mark Hamill ha chiarito le
sue recenti dichiarazioni sul ritiro da Star
Wars, insistendo sul suo entusiasmo per il futuro del
franchise. L’ultima apparizione di Mark Hamill
nella serie risale a “Il libro di Boba
Fett“, sebbene la tecnologia di ringiovanimento lo
abbia inserito nella parte della linea temporale di Star Wars che
fa riferimento alla Nuova Repubblica. Per quanto riguarda i film di
Star Wars, l’ultima apparizione di Hamill risale a Star
Wars: L’ascesa di Skywalker del 2019, in cui il suo
Fantasma di Forza ha trasmesso il nome Skywalker a Rey,
interpretata da Daisy Ridley. Dopo aver commentato
il suo ritiro dal franchise, Hamill ha però chiarito alcune
cose.
In un’intervista con
TODAY,Mark Hamill è stato interrogato sulle sue
recenti dichiarazioni sulla sua conclusione con Star Wars. Hamill
ha ribadito che i suoi commenti derivavano dal fatto che la sua
storia in L’Ascesa di Skywalker“sembrava una
conclusione. Il mio personaggio aveva una conclusione completa;
sono morto… e una volta terminata la trilogia degli Skywalker, per
loro [Lucasfilm] è iniziata un’era completamente nuova”.
Hamill ha poi aggiunto:
“George ha dato loro questa
fantastica tela, l’intera galassia, possono fare western, gialli,
commedie, qualsiasi cosa all’interno del regno di Star Wars, e
stanno andando così bene… Ho avuto il mio tempo. Sono davvero
grato, ma guardo al futuro per tutti questi nuovi progetti. Ho
visto titoli: ‘Mark Hamill lascia Star Wars’. Beh, lasciatemelo
dire, non me l’hanno chiesto. Non è che mi abbiano detto: ‘Per
favore, torna’. Quanto si può fare con un Fantasma di Forza? Vorrei
un film ambientato interamente nel regno dei Fantasmi di Forza.
Potrei conversare con Alec Guinness… Dalle tue labbra alle orecchie
di Dio.”
Sebbene Hamill ammetta che la porta
rimanga in qualche modo aperta, data la sua idea per un film sui
Fantasmi di Forza, è chiaro che ritiene che Luke Skywalker abbia
fatto il suo corso in una galassia lontana, lontana.
Mark Hamill sente che la sua storia
di Star Wars è finita
Come già accennato, i commenti di
Hamill sono nati semplicemente da una riflessione sul suo passato
in Star Wars. Come sottolinea giustamente, Luke Skywalker è morto
in Star Wars: Gli Ultimi Jedi dopo essere
diventato tutt’uno con la Forza. La sua apparizione come Fantasma
di Forza di Star Wars ne L’Ascesa di Skywalker ha
portato un senso di chiusura, con Luke e Leia che tramandano
l’eredità della loro famiglia a una nuova generazione. Da questa
prospettiva, è difficile non essere d’accordo con Hamill quando
afferma che la storia di Luke Skywalker è finita.
Ecco un nuovo spot decisamente
lusinghiero per Guardiani della Galassia,
che viene apostrofato addirittura come il miglior Marvel Movie di sempre. Dal momento
che Iron Man 3 a Thor the
Dark World a Guardiani, passando per
Captain America The Winter Soldier,
questa affermazione continua a ripetersi, in corrispondenza con un
miglioramento visibile della qualità del film, immaginiamo che i
Marvel Studio stiano davvero imparando e canonizzando un nuovo tipo
di cinema.
Trama: L’audace esploratore Peter
Quill è inseguito dai cacciatori di taglie per aver rubato una
misteriosa sfera ambita da Ronan, un essere malvagio la cui
sfrenata ambizione minaccia l’intero universo. Per sfuggire
all’ostinato Ronan, Quill è costretto a una scomoda alleanza con
quattro improbabili personaggi: Rocket, un procione armato; Groot,
un umanoide dalle sembianze di un albero; la letale ed enigmatica
Gamora e il vendicativo Drax il Distruttore. Ma quando Quill scopre
il vero potere della sfera e la minaccia che costituisce per il
cosmo, farà di tutto per guidare questa squadra improvvisata in
un’ultima, disperata battaglia per salvare il destino della
galassia.
Per quanto fosse inaspettato e
vagamente respingente, a quanto pare l’Imperatore Palpatine ha
fatto sesso, in un passato relativamente lontano. L’attore che lo
interpreta, Ian McDiarmid, ha infatti parlato
“dell’elefante nella stanza” che nessuno aveva mai trovato
il coraggio di commentare.
La risposta di
McDiarmid è stata esilarante. Come visto nel film
finale di L’Ascesa di Skywalker, è stato rivelato che
Rey era un discendente dello stesso Palpatine, la nipote
dell’Imperatore che era rimasta nascosta su Jakku per molti anni.
Tuttavia, questo ha anche aperto le porte a un concetto riguardante
il passato di Palaptine a cui moltitudini di fan preferirebbero non
pensare mai.
In un’intervista con Empire per celebrare i 25 anni
dei prequel di Star
Wars, l’attore che interpreta Palpatine Ian
Mcdiarmid ha espresso la sua opinione sull’Imperatore e su
come sia riuscito ad avere non solo una nipote ma anche
(ovviamente) un figlio, il padre di Rey. Ecco la dichiarazione
rilasciata a Empire: “Basta,
prendere l’esistenza di Rey di Daisy Ridley, che si rivela essere
la nipote di Palpatine in L’Ascesa di Skywalker, come prova che
all’Imperatore piaceva… beh… farlo. Ma sì, [fa sesso]. È un’idea
orribile pensare che Palpatine faccia sesso in qualsiasi
forma”.
Per quanto riguarda invece il
ritorno di Palpatine, Ian McDiarmid ha
commentato con entusiasmo la decisione della produzione di
riportare l’Imperatore in scena, valutando il fatto che
effettivamente una creatura così potente doveva avere un piano di
riserva:
“Avevo la sensazione che
Palpatine avesse da sempre un piano B – probabilmente anche un
piano C, D, E ed F… Ed era un esperto nella clonazione… La cosa che
mi fa più piacere, e sai, solo questa è giunto al culmine quando mi
hanno chiesto di tornare per L’Ascesa di Skywalker, è che ogni
singolo atto malvagio in tutto il franchise di Star Wars è
direttamente o indirettamente dovuto a quel personaggio… Lui è il
male totale, e questo è stranamente soddisfacente come arco
narrativo.”
La serie limitata della HBO The
Penguin con Colin Farrell nei panni di Oz Cobb, il suo
personaggio di The
Batman, ha molto da offrire. Tuttavia, nonostante i
talenti che scrivono, dirigono e recitano nella serie, il trucco
prostetico progettato da Mike Marino è quasi un personaggio a sé
stante. In effetti, l’attore che ha interpretato Francis Cobb, la
madre di Oz, preferisce Oz all’attore incredibilmente bello e
curato che lo porta in vita.
Deirdre O’Connell si è unita alle
sue co-star Christin Milioti, Rhenzy Feliz, Farrell, Marino e la
showrunner Lauren LeFranc alla conferenza stampa della serie. In
quell’occasione, le è stato chiesto se avesse incontrato solo “di
recente” il vero Colin Farrell e non l’uomo che è
diventato dopo tre-cinque ore di trucco ogni mattina. Farrell ha
subito scherzato dicendo che la sua co-star “non era una fan” del
vero personaggio. Lei non lo ha disconosciuto, almeno non
subito.
“Sono decisamente del Team Oz, è
strano. Non mi piace il bel ragazzo. Non mi piacciono i bei
ragazzi, non fanno per me. Mi piacciono quelli più duri,
sai, con più cicatrici. Mi piace. Mi piace l’oro nei denti. Mi
piace un uomo più grande. Mi piace un uomo ferito”, ha detto
Deirdre O’Connell ridendo, aggiungendo subito:
‘Sto scherzando’. In effetti, la O’Connell aveva già
incontrato il suo co-protagonista senza trucco, ma non era stato un
incontro lungo.
“Non sono mai stato antipatico
con tanto favore”, ha detto Colin Farrell, ridendo, a Dierdre
O’Connell.
“Penso che ci siamo incontrati
per 10 minuti e ci siamo detti ‘ciao‘“, ha detto lei,
aggiungendo: ‘Sono stata molto, sai, colpita dal ’bastone di
Colin Farrell’ di sicuro”. Ha detto di essere “una grande
fan e… era un po’ terrorizzata” dal fatto che l’affermato
attore sarebbe stato il suo partner di scena per la maggior parte
dello show. O’Connell ha detto che il ruolo di Farrell in The
Batman è stato come “un parafulmine” e che se dovesse recitare con
lui “forse… anch’io avrei quell’elettricità”. L’attrice ha
detto che l’interpretazione di Farrell nel ruolo di Oz l’ha fatta
“immedesimare” nel personaggio stesso. “Lo adoro”, ha detto,
aggiungendo di aver ‘riso così tanto, così tante volte’ sul set tra
una ripresa e l’altra e durante le riprese. Farrell “era così
spaventoso e solo l’appetito della [sua interpretazione] era così
emozionante da guardare”, ha detto O’Connell. “Mi sono sentita come
se avesse scatenato qualcosa di delizioso” e lei era ‘molto
eccitata’.
Anche Christin Milioti ha un
forte affetto per il pinguino
Il rapporto di Oz con la madre
Francis è una parte centrale della serie, ma in quanto protagonista
condivide lo schermo con molti degli attori della serie. Christin
Milioti interpreta Sofia Falcone, con la quale Oz ha un rapporto
profondamente complicato, a volte conflittuale. Tuttavia, dopo aver
girato la serie, fa ancora fatica a separare l’uomo che conosce
come Colin Farrell dal personaggio che ha interpretato, anche se i
due si sono “incontrati un paio di volte” prima che lui vestisse i
panni di Oz Cobb.
“È molto
inquietante”, ha detto Milioti alla conferenza stampa. È
sempre un po’ strano perché associo i suoi occhi e la sua voce a
una persona che per me è molto reale, perché ho girato con lui
tutto il tempo per otto mesi”. È molto bello e… non so in quale
altro contesto avrei vissuto questa [esperienza]”. Ha poi aggiunto
che è stata una prova sia dell’interpretazione di Farrell che del
lavoro meticoloso di Mike Marino con le protesi. Tuttavia, per
quanto Colin Farrell possa essere affascinante e gentile nella vita
reale, è piaciuto molto anche agli attori che hanno lavorato con
“Oz Cobb”.
“Non è Max. È HBO.”
Variety parafrasa la famosa pubblicità per commentare la nuova
politica di Casey Bloys, CEO di
HBO e Max Content, che sta
cambiando la definizione tra cosa sia uno “spettacolo HBO” e un
“spettacolo Max”, spostando la maggior parte dei prossimi progetti
IP Warner Bros. ad alto budget di Max sotto l’ombrello della
HBO.
Ciò significa che la prossima serie
tv Harry
Potter, così come la serie prequel di
ItWelcome
to Derry e l’adattamento di Lanterna
Verde appena annunciato Lanterns
ora saranno tutti marchiati come HBO
Originals.
HBO e Max separano le loro identità creative
Si tratta di un cambiamento rispetto
alla decisione più recente di inserire tutte le serie basate sulla
proprietà intellettuale di Warner Bros. nel segmento Max, stabilita
per la prima volta quando Bloys ha aggiunto la supervisione di Max
nel 2020.
“Ci sentivamo come se dovessimo
distinguere tra uno spettacolo della HBO e uno spettacolo di
Max”, ha detto Bloys di questa distinzione iniziale.
“L’idea di utilizzare la proprietà intellettuale della Warner
Bros. come delineazione per Max sembrava giusta. Almeno questo ti
dà una corsia libera. Ma quando abbiamo iniziato a produrre quegli
spettacoli, stavamo usando gli stessi metodi, lo stesso tipo di
pensiero, su come avremmo affrontato gli spettacoli della HBO. In
molti casi, gli stessi talenti che ha lavorato negli spettacoli
della HBO.
In Lanterns,
ad esempio, gli sceneggiatori includono Chris
Mundy, che ha lavorato a
True Detective della HBO, e Damon
Lindelof, la cui produzione HBO ha incluso The
Leftovers e Watchmen. Anche il
co-responsabile dei DC Studios, Peter Safran, ha
descritto Lanterns come “un enorme evento di
qualità HBO” che è “molto sulla scia di ‘True
Detective'”.
“Ciò che abbiamo ottenuto sono
serie di questa portata e scala che sembrano fantastici, e grandi
narrazioni e talenti con cui abbiamo lavorato”, ha aggiunto
Bloys. “L’idea della delineazione ha iniziato a sembrare
inutile. Tipo, perché lo stiamo facendo? Chiamiamoli semplicemente
per quello che sono: programmi HBO.”
Il cambiamento entrerà ufficialmente
in vigore con il lancio le serie previste per il 2025. Ciò
significa che “The
Penguin” e “Dune:
Prophecy”, entrambi presentati in anteprima entro la
fine dell’anno, dovrebbero essere ancora chiamati Max
Originals. Quegli spettacoli erano già stati venduti
all’estero con l’etichetta Max – e anche la scorsa settimana, HBO
ha inviato un teaser di “Penguin” che includeva ancora il marchio
Max.
“Inizieremo nel 2025, anche se
‘The Penguin’ sarebbe ovvio come un originale HBO”, ha detto
Bloys. “Sfortunatamente, il processo di concessione della
licenza a livello internazionale è già iniziato.”
Spiegando i tempi della
decisione di riallineare la scuderia delle serie HBO e Max
Originals, Bloys ha osservato che gli è diventato ancora più chiaro
che questi grandi spettacoli avrebbero dovuto ottenere l’etichetta
HBO mentre Max ha iniziato a sviluppare serie che sono più nella
tradizione televisiva. Tra questo tipo di serie ci sono il medical
drama The
Pitt, con Noah Wyle, così come il thriller poliziesco
Duster, di J.J. Abrams e
LaToya Morgan, che rimangono entrambi la serie
Max.
Le possibilità di vedere Robert Pattinson interpretare la versione
DC
Universe di Batman sono
ancora vive dopo un nuovo aggiornamento. Ci sono state molte voci
su chi interpreterà Batman nella DCU, da nomi come la star di
The Boys
Jensen Ackles a Brandon Sklenar di 1923 e persino
Robert Pattinson. Quest’ultimo dovrebbe
rimanere separato dal
DCU’s Chapter One, recitando nella trilogia The Batman
del regista Matt Reeves. Tuttavia, sembra che ci sia ancora una
possibilità che i due franchise possano fondersi.
In un’intervista a Rolling Stone, James
Gunn ha lasciato aperta la porta a Robert Pattinson per
interpretare Batman nella DCU, anche se è improbabile. Secondo
Gunn, le possibilità che Pattinson interpreti Batman in The
Brave and the Bold per la DCU sono superiori allo zero,
affermando: “Non si può mai sapere”. Tuttavia, ciò non
significa che il regista stia anticipando che ciò accadrà
sicuramente, poiché Gunn afferma: “Non è affatto
probabile”.
Quello che si sa per certo è che,
sebbene la sceneggiatura di The Batman
2 stia richiedendo molto tempo, il film non è stato cancellato.
Ecco la citazione completa:
“Non direi mai zero,
perché non si può mai sapere. Ma non è probabile. Non è
affatto probabile. Vorrei anche dire che Batman Part II non è stato
cancellato. È l’altra cosa che sento dire continuamente, che Batman
Part II è stato cancellato. Non è stato cancellato. Non abbiamo una
sceneggiatura. Matt è lento. Lasciategli il tempo. Lasciategli fare
quello che sta facendo. Dio, la gente è cattiva. Lasciategli fare
il suo lavoro, ragazzi”.
Cosa significano i nuovi
commenti di James Gunn su Robert Pattinson per il Batman della
DCU
Il regista statunitense James Gunn arriva alla premiere di Los
Angeles della Warner Bros. ‘The
Flash’ tenutasi al TCL Chinese Theatre IMAX il 12 giugno 2023 a
Hollywood, Los Angeles, California, Stati Uniti. — Foto di
imagepressagency – DepositPhotos
Le voci su Robert Pattinson che
entra a far parte del DCU circolano da un anno. Anche se l’attore
ha 39 anni, otto in più dell’attore che interpreta Superman, David
Corenswet, Pattinson si adatta all’idea che il
franchise ha di Bruce Wayne. Dopotutto, il Cavaliere Oscuro
sarà il padre di Damian Wayne in The Brave and the Bold, con altri
membri della Bat-Family che appariranno nel film. A 39 anni,
Pattinson potrebbe interpretare realisticamente quella versione di
Batman, il che consentirebbe alla DCU di differenziarsi nettamente
dal franchise The Batman di Reeves.
In The Batman, il Cavaliere
Oscuro di Pattinson era ancora all’inizio della sua carriera di
eroe. La versione di Batman della DCU sarà più esperta e, se
Pattinson dovesse interpretare entrambi i ruoli, la DC potrebbe
distinguere i due franchise. I commenti di Gunn lasciano aperta la
porta a Pattinson per interpretare Batman della DCU, ma il regista
sembra anche credere che la strada migliore sia quella di
scritturare un nuovo attore, dato che la DC rimane fiduciosa nei
piani di Matt Reeves per The Batman Universe. L’opzione di
utilizzare Pattinson c’è, ma non è in primo piano nella mente di
Gunn.
… who’s the fairest of them all?”
è una delle frasi più famose al mondo, la perentoria domanda che la
perfida Regina rivolge al suo Specchio. Quest’anno la sentiremo al
cinema per due volte: la prima verrà formulata da Julia Roberts in
Mirror Mirror di Tarsem. Hollywood si immerge nelle fiabe,
recupera i classici e li reinventa. Nostalgia dell’infanzia o
mancanza di idee?
“Gli organizzatori di questo
evento hanno un’idea ben precisa di come dovrebbe svolgersi la
cosa. Dovremmo starcene qui a guardare spezzoni dei miei film per
poi commentarli. Niente di tutto ciò accadrà”. È un
Russell Crowe euforico quello che si presenta
all’annunciata masterclass a lui dedicata e organizzata da
Alice nella Città, sezione parallela e autonoma
della Festa del Cinema di Roma. L’attore, accolto
da una calorosa ovazione, racconta di essere venuto nella capitale
italiana non solo per presentare il suo nuovo film da regista,
Poker Face, ma anche
per incontrare e parlare con gli studenti di cinema, ed è
letteralmente questo che intende fare nel corso dell’evento.
Microfono alla mano, Crowe scende
dunque dal palco e dà vita ad un incontro che infrange ogni
possibile scaletta e prevedibilità, passeggiando amabilmente tra i
tanti spettatori presenti nell’Auditorium della Conciliazione,
raccontando episodi significativi della propria vita con la sua
solita voce calda, profonda e ben modulata e poi passando
personalmente il microfono ai presenti quando qualcuno di questi
(ma solo se effettivamente studenti di cinema, chiede lui) vuole
porgli una domanda. “Voglio parlare di cinema, parlare di
narrazione, dello stare davanti o dietro la macchina da presa.
– chiarisce Crowe – Non voglio ricevere domande del tipo cosa
ho mangiato a colazione”.
Russell Crowe, dai primi ruoli ai
film da protagonista
“Ho cominciato a recitare che
avevo solo sei anni. – inizia dunque a raccontare l’attore –
Era il 1970. Mia mamma si occupava del catering sui set
cinematografici. Un giorno vado a trovarla sul lavoro e stavano
girando una scena per cui non c’erano bambini a sufficienza. Così
mia madre mi fece recitare e da lì è iniziato un percorso di vita
che porto avanti ancora oggi. Non ho mai frequentato una scuola di
recitazione, tutto quello che so l’ho imparato sul lavoro,
recitando per la televisione e il teatro ma mantenendomi lavorando
come DJ, barman e cameriere”.
“Ero ossessionato dalla
performance. – continua l’attore – Passavo dal palco del
teatro alla console da deejay di un pub all’altro. Dunque, questo
sono io. Questa è la realtà. Non sono venuto fuori da nessuna
fottuta Hollywood o roba del genere. Quando avevo 25 anni, infine,
è arrivato il mio primo ingaggio per un lungometraggio. Diventare
un attore protagonista però non mi ha fermato dal seguire anche la
passione per il teatro e la musica. Le persone tendono a dire che
bisogna concentrarsi su una cosa sola… non ascoltate queste
stronzate. Accettate ciò chi siete davvero. Chi sa di avere una
passione, non deve lasciarla andare.”
Da Il gladiatore a
Noah, i ruoli più iconici di Russell Crowe
Crowe inizia poi a rispondere alle
domande del pubblico, le prime delle quali sono dedicate ai segreti
del mestiere dell’attore. “Il lavoro dell’attore non è
semplice. – racconta Crowe – Personalmente vivo delusioni
su base quotidiana. Ogni volta che recito una scena, poi torno a
casa, ci ripenso e se mi viene in mente un modo migliore in cui
avrei potuto interpretare quella scena, ecco che sono deluso da me
stesso. Accade ogni volta e posso solo conviverci. Ma l’importante
è compiacere il regista, la sua visione, e se ti chiede una cosa tu
devi dargli precisamente quella cosa.”
“Io sono stato fortunato nel
saper dare a Ridley Scott
ciò che egli voleva sul set di Il gladiatore.
Allo stesso tempo non si può essere totalmente senza controllo.
L’attore è il burattinaio di sé stesso, deve sapere come
controllarsi per raggiungere un determinato obiettivo. Ad esempio,
proprio sul set di Il gladiatore Scott mi chiese di tirar fuori una
serie di emozioni particolarmente forti nel momento in cui Massimo
Decimo Meridio vede il corpo di sua moglie morta. Per riuscirci ho
dovuto far affidamento a tutto il mio autocontrollo, un’esperienza
estremamente difficile e dolorosa. A ripresa ultimata ero stremato
e Scott estremamente soddisfatto, solo che poi mi ha chiesto di
ripetere il tutto ancora una volta”.
Foto tratta dal profilo Instagram di Alice nella
Città.
“Per quanto riguarda il ruolo
più complesso che abbia mai dovuto affrontare, – continua poi
l’attore – questo è sicuramente quello di John NashinA BeautifulMind. Dovevamo mostrare i numerosi
tic che il personaggio sviluppa al peggiorare della sua malattia e
così sono arrivato al punto in cui mentre recitavo dovevo
ricordarmi di mostrare tutti e 16 i suoi tic. Da un punto di vista
fisico, invece, certamente Noah è stato un
film molto complesso. Abbiamo girato per 70 giorni e la metà di
questi eravamo sotto la pioggia artificiale, con un freddo estremo
e in più dovevi recitare le tue battute”.
“Prima parlavamo di delusioni,
– conclude poi Crowe – Les
Miserablesè ad esempio un film di cui sono
deluso. Chiariamoci, l’esperienza è stata straordinaria, recitare
in quel cast magnifico e potersi mettere alla prova con il canto.
Il film in sé mi piace molto, ciò che non mi piace è il modo in cui
è stato trattato il mio personaggio. Al montaggio hanno tagliato
molte cose ed è venuto fuori qualcosa che non riconoscevo più come
mio. All’anteprima di New York ho lasciato la sala per questo
motivo, ero troppo deluso”.
Russell Crowe: un attore devoto ai dialoghi
In conclusione dell’incontro, a
Crowe viene chiesto cos’è che lo motiva nello scegliere un ruolo
piuttosto che un altro e l’attore non ha dubbi: i dialoghi. “Io
amo i dialoghi. Mi innamoro delle battute che devo recitare. Non
importa se questo comporta doversi alzare alle quattro del mattino
a patto che io poi possa avere la possibilità di dire le battute di
cui mi sono innamorato. Ciò non vuol dire che il mio personaggio
debba essere necessariamente il protagonista. Posso avere anche
solo due battute in tutto il film, ma quelle battute devono essere
oro.Naturalmente mi interessa anche che la storia sia
buona, ma fondamentalmente sono uno che per un buon dialogo si
venderebbe”.
L’ultima volta che l’attrice
Emma Watson è
stata vista sul grande schermo è stato per il film Piccole donne, diretto
da Greta Gerwig nel 2019. Da quel momento, l’ex
Hermione Granger di Harry Potter non ha più preso parte a
nessun progetto, né cinematografico né televisivo. Dopo anni di
assenza, la Watson ha ora rivelato il perché di questo
allontanamento, affermando di essersi sentita come imbavagliata
durante tutta la sua carriera di attrice, accennando anche alla
mancanza di motivazione per promuovere progetti su cui “non
aveva molto controllo“.
“Non ero molto felice, se devo
essere onesta“, ha raccontato l’attrice. “Penso di essermi
sentita un po’ in gabbia. La cosa che ho trovato davvero difficile
è stata che dovevo uscire e promuovere qualcosa su cui non avevo
molto controllo. Stare di fronte a un film e avere ogni giornalista
che ti chiede: “In che modo questo è in linea con il tuo punto di
vista?” È stato molto difficile essere il volto e il portavoce di
cose in cui non sono stata coinvolta nel processo“.
Gradualmente, dunque, l’attrice è diventata disillusa nei confronti
di tale settore.
“Sono stata ritenuta
responsabile in un modo che ho iniziato a trovare davvero
frustrante, perché non avevo voce, non avevo voce in capitolo. E ho
iniziato a rendermi conto che volevo essere accostata solo a cose
dove se qualcuno mi avrebbe criticato, avrei potuto dire: ‘Sì, ho
fatto un casino, è stata una mia decisione, avrei dovuto fare di
meglio.‘”, ha concluso poi l’attrice. Ad ora sembra dunque che
la pausa dalla recitazione dell’attrice sia destinata a continuare
finché non troverà un nuovo progetto dove potersi sentire coinvolta
dall’inizio alla fine.
Potrebbe per lei essere l’occasione,
trovando la giusta storia, per passare dietro la macchina da presa,
come in più occasioni dall’attrice stessa contemplato. Nel 2022,
infatti, l’attrice ha compiuto un piccolo debutto alla regia
dirigendo lo spot Prada Paradoxe per Prada.
Nell’attesa dunque di scoprire se e quando Emma Watson tornerà al
cinema e in quale ruolo, ricordiamo che oltre ad aver recitato
nella saga di Harry Potter, si è distinta anche per i film
Noi siamo infinito, Bling Ring, Noah, Regression, Colonia, The Circle e, in
particolare, La bella e la bestia,
dove ha interpretato una versione moderna della protagonista Belle,
sulla cui costruzione ha notoriamente avuto maggior voce in
capitolo.
Dopo la prima mondiale di Wakanda
Forever a Hollywood, che ha ottenuto
un’accoglienza complessivamente positiva dai primi spettatori,
Rihanna ha condiviso il suo singolo principale intitolato “Lift Me
Up” dalla prossima colonna sonora originale del film Black
Panther: Wakanda
Forever.
Il brano è stato co-scritto da
Tems, dal vincitore dell’Oscar Ludwig Göransson, da
Rihanna e dal regista candidato all’Oscar Ryan
Coogler come tributo alla vita straordinaria e all’eredità
del compianto Chadwick Boseman, che ha interpretato Re
T’Challa in quattro film Marvel. I film degli Studios prima
di morire tragicamente nel 2020 dopo una battaglia durata quattro
anni contro il cancro al colon.
In una dichiarazione sull’ideazione
della canzone, Tems ha detto: ” Dopo aver parlato
con Ryan e aver ascoltato la sua direzione per il film e la
canzone, volevo scrivere qualcosa che ritraesse un caloroso
abbraccio da tutte le persone che ho perso nel mio vita. Ho
cercato di immaginare come mi sentirei se potessi cantare per loro
ora ed esprimere quanto mi mancano. Rihanna è stata
un’ispirazione per me, quindi sentirla trasmettere questa canzone è
un grande onore. ” La nuova uscita dovrebbe
anche inaugurare una nuova era nella carriera di Rihanna, segnando
il tanto atteso ritorno alla musica del vincitore di 9 Grammy Award
dopo una pausa di sei anni.
Il sequel del MCU onorerà il
defunto Chadwick Boseman mentre continuerà l’eredità
del suo personaggio, T’Challa. Black
Panther: Wakanda Forever arriverà nelle sale l’11
novembre 2022. Il presidente dei Marvel Studios,
Kevin Feige, ha confermato che T’Challa, il personaggio
interpretato al compianto Chadwick
Boseman nel primo film, non verrà interpretato da
un altro attore, né tantomeno ricreato in CGI.
Nel film Marvel Studios
Black Panther:
Wakanda Forever, la Regina Ramonda (Angela
Bassett), Shuri (Letitia
Wright), M’Baku (Winston Duke), Okoye (Danai
Gurira) e le Dora Milaje (tra cui Florence Kasumba)
lottano per proteggere la loro nazione dalle invadenti potenze
mondiali dopo la morte di Re T’Challa. Mentre gli abitanti del
Wakanda cercano di comprendere il prossimo capitolo della loro
storia, gli eroi devono riunirsi con l’aiuto di War Dog Nakia
(Lupita
Nyong’o) e di Everett Ross (Martin
Freeman) e forgiare un nuovo percorso per il regno del
Wakanda. Il film presenta Tenoch Huerta nel ruolo
di Namor, re di Talokan, ed è interpretato anche da
Dominique Thorne, Michaela Coel, Mabel Cadena e
Alex Livinalli.
L’attore Russell Crowe
ha fornito un sincero ricordo delle sue esitazioni iniziali
riguardo all’accettare il ruolo di Massimo Decimo Meridio in
Il gladiatore di Ridley
Scott. Il film, vincitore in totale di cinque premi Oscar,
tra cui quello per il miglior attore per la performance di Crowe, è
ampiamente considerato ancora oggi come uno dei migliori film
dell’attore ed è stato determinante nel riaccendere l’interesse di
Hollywood per le epopee storiche. Nonostante questo successo, la
produzione originale del film è notoriamente stata afflitta da
problemi, molti dei quali derivanti da una sceneggiatura incompiuta
che ha richiesto più riscritture anche mentre le riprese erano in
corso.
Crowe è tornato a parlare proprio di
quei problemi di sceneggiatura, affermando che: “lasceneggiatura era spazzatura, assoluta spazzatura. Aveva tutte
queste strane sequenze. Una di queste riguardava i carri e come
famosi gladiatori avevano accordi di sponsorizzazione per l’olio
d’oliva e cose del genere, ed è tutto vero, ma non sarebbe mai
andato bene per gli spettatori moderni, avrebbero detto: “Che cazzo
è tutto questo?“. “Ho pensato più volte che forse la mia
migliore opzione fosse semplicemente salire su un aereo e andarmene
da lì”, ha aggiunto poi Crowe. “Sono state le mie
continue conversazioni con Ridley a darmi fiducia“, ha
concluso l’attore.
Come noto e già riportato poc’anzi,
il film si è poi rivelato un grande successo, riuscendo a rimediare
o nascondere alle mancanze della sceneggiatura. Dopo oltre
vent’anni, si attende ora il sequel ufficiale, con il ritorno di
Scott come regista, il quale seguirà Lucius Verus, interpretato da
Paul Mescal, figlio ormai adulto dell’imperatrice
romana Lucilla. Anche il due volte vincitore del premio Oscar
Denzel Washington è stato confermato in un ruolo
non rivelato, mentre sembra che Barry Keoghan
interpreterà il controverso imperatore romano Geta. Ricordiamo che Crowe non sarà
presente in esso, ma l’attore è attualmente al cinema con il
film L’esorcista del
Papa.
Moon Knight ha debuttato su Disney+ nel 2022 e, sebbene la
maggior parte dei fan sembrasse apprezzare la serie, a tratti è
stata caotica quanto la psiche di Marc Spector. Le scene ambientate
nel manicomio non avevano molto senso (forse era proprio questo il
punto), e Arthur Harrow di Ethan Hawke era ben
lungi dall’essere il miglior cattivo che abbiamo visto
nell’MCU.
Il lavoro di Hawke è stato stellare,
però, così come quello di Oscar Isaac.
Moon Knight si è concluso con l’emergere di una
terza personalità, Jake Lockley, ma il personaggio non è più stato
visto da allora e al momento non si prevede che venga preso in
considerazione in Avengers: Doomsday.
Se la variante di Kang Rama-Tut
fosse ancora in gioco, probabilmente lo avrebbe fatto. Tuttavia, i
piani cambiano, cosa che Jeremy Slater, sceneggiatore capo di
Moon Knight, ha chiarito in una recente intervista
con ComicBook.com. A quanto pare, il Moon
Knight che ha scritto era molto diverso da quello che
abbiamo visto tre anni fa.
“Alla fine, [Marvel] ha preso
una direzione diversa e il regista ha messo insieme il suo team di
sceneggiatori”, ha spiegato. “Sai quando ti ritrovi a
giocare in un mondo così grande che… prendi in prestito i
giocattoli di qualcun altro per un breve periodo di tempo e, alla
fine, non ti appartengono. Lo sai già, quindi non è stata una
sorpresa.”
“L’obiettivo era che se Marc
Spector fosse stato l’Avatar di Khonshu, avremmo preso Bushman e lo
avremmo trasformato nell’avatar di una divinità egizia diversa,
lasciando che se la vedessero”, ha detto lo sceneggiatore a
proposito dei piani abbandonati per uno dei nemici più popolari di
Moon Knight.
Ha aggiunto: “Il problema che
continuavamo a incontrare era che Black Panther era appena uscito e
Michael B. Jordan era così dannatamente bravo nei panni di
Killmonger in quel film, che proiettava un’ombra così grande… che
tutto ciò che scrivevamo finiva per sembrare un po’
derivativo”.
Il personaggio di Bushman era stato
accennato in Moon Knight, quindi la porta è aperta alla
possibilità che i Marvel Studios rivisitino il personaggio in
futuro. Tuttavia, se e quando ciò accadrà, Slater non ha alcuna
intenzione di essere coinvolto.
“Se ci sarà un altro Moon
Knight, la palla sarà nel campo di Kevin Feige e Oscar Isaac”,
ha osservato lo sceneggiatore. “Una volta che Kevin avrà capito
il modo migliore per usare quel personaggio, qual è la storia
giusta e chi sono i narratori giusti per darle vita, sarei
scioccato se non lo rivedessimo a un certo punto”. Ha poi
aggiunto che, per ora, è più concentrato sulla regia e non ha
intenzione di tornare nell’MCU.
Sebbene molti saranno delusi
dall’assenza di Bushman, sembra che Slater non sia riuscito a
trovare un nuovo approccio al villain. Questo è probabilmente uno
dei motivi per cui è stato reclutato un nuovo team di
sceneggiatori, una mossa arrivata in un momento in cui i Marvel
Studios stavano ancora cercando di adottare un approccio
cinematografico per lo sviluppo della serie.
Tutti glòi episodi di Moon Knight sono disponibili in streaming su
Disney+.
Presentato Fuori Concorso alla
Mostra del Cinema di
Venezia, The Penitent – A
Rational Man è il nuovo film da regista di
Luca
Barbareschi, presente al Lido anche in qualità di
produttore di The
Palace, il film di Roman
Polanski presentato anch’esso nella sezione Fuori
Concorso. Intervistato per presentare la sua nuova fatica da
regista, Barbareschi spiega innanzitutto il perché abbia scelto di
adattare per il grande schermo un testo del drammaturgo David Mamet, da lui già portato in
teatro.
In esso si racconta di uno
psichiatra di nome Carlos David Hirsh, che vede
deragliare la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi
rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente violento e
instabile che ha causato la morte di diverse persone.
L’appartenenza alla comunità LGBT del giovane paziente, il credo
ebreo del dottore, la fame di notizie della stampa e il giudizio
severo della legge, aggravati da un errore di stampa dell’editor di
un giornale, sembrano essere gli elementi che fanno scatenare una
reazione a catena esplosiva, che costringerà Hirsh a dover lottare
per la verità.
“Ho scelto questo testo perché
racchiude, grazie all’opportunità di un fatto di cronaca, tutta
l’imbecillità e la violenza che c’è nei confronti di un pensiero
diverso, che non dico che sia giusto ma penso che tutti abbiano
idee diverse e non per questo siano necessariamente meglio o
peggio, anzi è interessante avere un’idea diversa – spiega
Barbareschi. “Questo film doveva farlo un altro attore, ma alla
fine Mamet mi ha detto “secondo me sei più bravo tu, perché non lo
fai?” e a quel punto mi sono trovato a confrontarmi con un
personaggio in cui mi sono ritrovato moltissimo”.
“Proprio come capita al
protagonista, tante volte è capitato anche a me di essere stato
linciato dalla stampa e ho visto quanta sofferenza questo tipo di
situazioni provoca. Alla fine non c’era più differenza tra quello
che dicevo e quello che facevo e questo film è uno dei rari
privilegi in cui il meccanismo della finzione, della
rappresentazione, dà un’opportunità di offrire una restituzione
affettiva allo spettatore, mediata da una realtà dei fatti molto
forte”.
Mostra del Cinema di Venezia, tra
omologazione e controversie
Barbareschi passa poi a parlare più
in generale della Mostra di quest’anno, dove sono presenti autori
controversi come il già citato Polanski e Woody
Allen con Coup de
Chance. Proprio durante il red carpet di
quest’ultimo si è svolto un piccolo evento di protesta per la
presenza del regista newyorkese. “Vedere insultato in quel modo
Woody Allen mi ha fatto male al cuore. Se in quel gruppo ci fosse
stato Gabriel Garcia Marquez, Joyce e Dante Alighieri, allora
sarebbe stata un’interessante sfida ermeneutica tra giganti della
letteratura che danno del mascalzone ad uno dei più grandi registi
della terra”.
“Invece erano un branco di
imbecilli a cui la stampa ufficiale dà voce. Il giornalismo è
importante se mantiene il sacerdozio della sua funzione, cioè della
responsabilità”, continua a spiegare Luca Barbareschi.
“Non ci può essere un giudizio morale sull’artista, peggio
ancora un avviso di garanzia al passato. L’arte non è criticabile
moralmente. Alberto Barbera penso abbia preso seriamente questa
cosa e ha avuto il coraggio di presentare in questa Mostra, ovvero
un’esibizione di arte, registi provocatori”.
“Io vorrei fosse ancor più
provocatoria in realtà, vorrei essere stupito, anche disturbato!
Sono cresciuto vedendo film dove non si capiva nulla ma uscivi
dalla sala e sapevi di esserti confrontato con qualcosa che dice
effettivamente delle cose. Troppo spesso invece il cinema si
omologa, così come si è omologata la critica”.
Il ruolo della critica cinematografica
Luca Barbareschi passa allora a
parlare della critica cinematografica, affermando che: “un
tempo la critica proponeva dei saggi così precisi e chiari da
riuscire davvero ad influenzare il pubblico. Nel tempo lo spazio
per questo tipo di scrittura si è però ridotto, si è corrotto, si è
mercificato e si è autoreferenzializato”.
“Nel momento in cui tu ti metti
davanti al film, tu crei uno stallo per cui non è più importante il
quadro, è importante il fatto che io guardi il quadro. –
continua a spiegare il regista – Diventa più importante chi
guarda dell’artista. Questo nella critica cinematografica è grave.
Tu puoi parlar male di un film, ma non puoi dire “è peggio di
Vanzina”, perché allora sei un imbecille, perché primo devi
rispettare Polanski e poi analizzare il film se sei capace di
farlo. Liquidare un’opera con poco svilisce la critica, la
delegittima e alla fine è un danno per tutti”.
“Io credo che nessuno sappia le
differenze tra le lenti che ho usato per The Penitent – A Rational
Man. Se non lo sai vedi sfocata l’immagine sullo schermo e pensi
sia un errore, mentre l’obiettivo era quello di tenere apposta una
sfocatura per dare un senso di destabilizzazione. Questa è sapienza
narrativa, io ho studiato per usare queste robe qua. Mi andrebbe
bene che mi dicessero “Luca perché usi questo tipo di lenti che è
come fare un errore sintattico?”, allora ti rispetto. Se no non ha
valore il tuo giudizio, a quel punto tanto vale che ci leviamo la
giacca e veniamo alle mani”, conclude Luca Barbareschi.
Che Terrence Malick
fosse un’entità scostante e quasi eterea, era cosa nota; si
potrebbe quindi quasi giustificare l’incauto giornalista che, non
avendolo mai visto, non ne riconosce le fattezze e scambia il
produttore del suo ultimo film, Knight of
Cups, che presenzia alla conferenza stampa del film
al Festival di Berlino 2015, proprio per il regista.
Peccato però che non sia stato
l’unico a non riconoscerlo. Ecco cosa è accaduto durante la
conferenza stampa del film, con sommo divertimento di un
Christian Bale in gran forma!
Per tutti i curiosi che non
conoscono il viso di Malick e che, incontrandolo, potrebbero non
riconoscerlo, ecco di seguito una foto del regista, uno dei
rarissimi scatti che circolano in rete.
Così sarete preparati in caso di un
fortuito e fortunato incontro!
Figura portante della sesta
generazione del cinema cinese, il regista Jia
Zhang-Ke è stato protagonista, insieme alla moglie e
attrice Zhao Tao, di un incontro ravvicinato con
il pubblico all’interno della Festa del Cinema di
Roma. Per questa occasione, la coppia è stata intervistata
riguardo gli esordi nell’industria cinematografica, arrivando poi a
parlare nel dettaglio dei film che li hanno resi celebri.
“Dall’inizio degli anni novanta
mi sono avvicinato al mondo del cinema. – esordisce
Jia Zhang-Ke – A quel tempo c’era un grande
fervore all’interno dell’industria cinematografica cinese. In quel
periodo, attraverso le opere della quinta generazione di registi,
mi resi conto di come il cinema poteva essere un strumento di
incredibile valore. Decisi così di dedicarmi a quest’arte, ma c’era
solo un modo per farlo, ovvero entrare all’accademia del cinema di
Pechino.”
“Sono nato alla fine della
rivoluzione culturale che si diffuse in Cina tra gli anni sessanta
e settanta. – continua il regista – Questo ha permesso
l’arrivo nel Paese di alcuni film stranieri che mi segnarono
profondamente. Il primo fu senz’altro Ladri di Biciclette, di
Vittorio De Sica. Non mi era mai capitato di vedere protagonisti di
un film dei ladruncoli, come quelli che potevo incontrare
abitualmente per le strade della mia città. Erano personaggi di
vita quotidiana, e pur appartenenti ad una cultura diversa li
sentivo a me particolarmente vicini.”
Il regista passa poi a raccontare
delle prime difficoltà incontrate nel realizzare i suoi primi film.
Più di una volta infatti si è trovato ostacolato dalla censura
ancora vigente negli anni novanta. “All’epoca in Cina c’erano
soltanto sedici studi cinematografici, ed erano tutti a gestione
pubblica. Pertanto era difficile che questi permettessero di
raccontare storie di ladri, di gente ai margini, insomma storie di
vita quotidiana. Mi resi conto che fare i film che volevo era più
difficile del previsto. Perciò intrapresi la strada dei film
indipendenti, trovando i mezzi e i metodi per esprimere le mie
idee.”
Jia Zhang-Ke passa poi a raccontare
dell’incontro con Zhao Tao, divenuta attrice dei
suoi film, musa ispiratrice e sua moglie. “Il mio secondo film
si intitolava Platform. Per poter girare questo film mi occorreva
un’attrice protagonista che corrispondesse ai miei criteri.
Occorreva infatti che sapesse parlare il dialetto della provincia
di cui sono originario, perché desideravo girare lì il film. Dopo
alcune ricerche, incontrai proprio Zhao Tao.”
“Capii che era perfetta per i
miei film quando durante il set decisi di non seguire più il
copione, che non trovavo più soddisfacente, e di proseguire sulla
base di un improvvisazione il più spontanea possibile. La
spontaneità per me è tutto. Tao seppe adattarsi senza problemi a
tutto ciò, anzi in più di un’occasione mi aiutò a gestire e
indirizzare il film sulla strada giusta.”
È poi proprio l’attrice a raccontare
dal proprio punto di vista l’incontro che le cambiò la vita:
“Ero terrorizzata quando Jia mi scelse per il suo film. Non
avevo mai recitato prima, non sapevo cosa mi aspettasse. Però
decisi di provare, ed evidentemente il mio non essere
professionista si sposò a meraviglia con la sua ricerca di
spontaneità. La collaborazione si rivelò così un
successo.”
Il regista spiega poi la sua
attrazione per gli attori non professionisti, particolarmente
ricorrenti all’interno dei suoi film. “Ci sono diversi motivi
per cui preferisco lavorare con attori non professionisti. Il primo
è che voglio che recitino in dialetto. La Cina è un paese
grandissimo, con numerosissimi dialetti. Si tendeva però a recitare
esclusivamente in cinese mandarino così da poter essere compresi in
ogni angolo del Paese.”
“Questo però non faceva per me,
io volevo che si usassero i dialetti e le loro sottili sfumature.
Ciò poteva essere ottenuto solo con attori non professionisti. Un
altro motivo è che questi sanno essere spontanei, sono dotati di
una naturalezza tipica della vita quotidiana. Con loro posso poi
sapere se la sceneggiatura è sufficientemente realistica o se ha
bisogno di essere modificata. Anche i movimenti di macchina sono
dipendenti dai loro movimenti naturali, non il contrario. Tutto
deve mirare ad una sincera fedeltà della vita a cui si assiste ogni
giorno per strada.”
A prendere la parola è poi
nuovamente Zhao Tao, che racconta dell’esperienza avuta sul set
italiano del film Io sono lì, girato nel
2011 dal regista Andrea Segre. Per la sua
interpretazione nel film l’attrice ha vinto un David di Donatello
come miglior attrice protagonista. “Fino a quel momento le mie
esperienze cinematografiche si limitavano ai film di Jia, e lui
raramente lavora con una sceneggiatura. Per cui ero spaventata dal
dovermi confrontare con un metodo diverso di regia.”
“Con Andrea facemmo prove per un
mese intero. Era un lavoro completamente diverso da quello a cui
ero abituata, ma mi permise di entrare in stretto contatto con gli
altri attori, finendo con il sentirmi sempre meno una straniera.
Alla fine quel mese di prove, unito alla recitazione spontanea a
cui ero abituata, si combinarono particolarmente bene e riuscì a
dar vita ad un mio metodo, fatto di preparazione ma allo stesso
tempo di naturalezza.”
Per concludere l’incontro, l’autore
cinese parla di uno dei temi più ricorrenti nel suo cinema: quello
del silenzio. “Il silenzio per me è la lingua che contiene il
maggior numero di informazioni. Questo è legato anche ad una
caratteristica tipica del popolo cinese e di come esprimono o meno
i propri sentimenti. L’abitudine, nel parlare di questi, è quella
di rimanere in silenzio, e fare in modo che siano gli altri a
cercare di comprenderne il contenuto. Quello che tento di fare è
portare sullo schermo questo particolare modo di esprimersi. Il non
detto è fondamentale, permette agli altri, agli spettatori, di
cercare una spiegazione tramite le proprie emozioni. Solo così può
crearsi un’interazione attiva con il film.”
Anteprima romana di “Il loro
Natale” di Gaetano Di Vaio alla Casa del Cinema – Mercoledì 23 febbraio 2011 alle ore 17.30 verrà
presentata l’anteprima romana del film documentario “Il loro
natale” diretto da Gaetano Di Vaio alla Casa del Cinema a Villa
Borghese, Largo Marcello Mastroianni, 1 in sala Deluxe. L’anteprima
del film inaugura la rassegna di documentari italiani “In Questo
Paese” curata da Maurizio Di Rienzo.
Durante l’intervista, Evans è stato
chiesto se fosse strano vedere Downey Jr. interpretare uno dei
cattivi più iconici della Marvel, e l’ex protagonista di Captain
America ha condiviso quanto segue, spiegando anche a Johnson come
sia possibile questo casting:
Chris Evans:Voglio dire, non vedo l’ora di
vedere cosa farà. Sono sicuro che sarà incredibile.
Dakota Johnson:Adesso è un cattivo?
Chris Evans:Sì, adesso è il Dr. Doom.
Dakota Johnson:Si può fare? Si può
semplicemente scegliere?
Chris Evans: Quando l’ho sentito per la prima volta, ho
pensato: “Eh?”. Ma è quasi come il formaggio e la crosta.È come dire: “Non c’è più niente da fare con questa pizza”, e
poi pensi: “Oh, cavolo. Sai? Cos’altro? E se facessimo così? (fa un
movimento di capovolgimento). Wow”.
Chris Evans:Ottima domanda. Potrei
anche dire Downey. Ho fatto film per 10 anni prima di salire sul
treno della Marvel.
ScreenRant:Perché è stato lui a chiamarti,
giusto?
Chris Evans:Sì. È stato lui a convincermi. Non
volevo accettare il ruolo. Ho detto di no un paio di volte ed è
stato lui a farmi capire.
Dakota Johnson:Non volevi essere Capitan
America?
Chris Evans:Ho detto di no diverse volte. Lo
so. Semplicemente non volevo farlo. Avevo paura, ero intimidito.
Non sapevo. Era un impegno importante e stavo pensando di lasciare
la recitazione in generale. Non lo so.
Cosa significano i commenti
di Chris Evans su Robert Downey Jr.
Molti si aspettavano che un
nuovo attore fosse scelto per interpretare Victor von Doom nell’MCU
quando fosse arrivato il momento di introdurre quel personaggio nel
franchise, soprattutto considerando il potenziale di una storia
così lunga sullo schermo. Ecco perché la Marvel Studios è diventata
una delle notizie più importanti, se non la più importante, del San
Diego Comic-Con 2024 quando Downey Jr. ha svelato la sua identità
nella Hall H. La reazione di Evans è, per molti versi,
rappresentativa di come molti fan hanno reagito nel vedere l’ex
attore di Iron Man tornare nel MCU per Avengers: Doomsday e
Avengers: Secret Wars, ma con quello che è forse il colpo di scena
più grande di tutti i tempi per la Marvel Studios.
È anche importante ricordare che
Evans non è nuovo al personaggio di Doctor Doom, avendo già
interpretato la Torcia Umana nei film della Fox Fantastic
Four, dove il cattivo Marvel era interpretato da Julian
McMahon. Considerando che il Doctor Doom di Downey Jr.sarà molto diverso quando apparirà per la prima volta in
Avengers: Doomsday, sarà sicuramente un’esperienza surreale, per
non dire altro. Allo stato attuale, sembra che dare al Dottor
Destino dell’MCU lo stesso volto di Tony Stark, un eroe che ha dato
la vita in Avengers: Endgame, porterà una certa
tensione emotiva in Avengers: Doomsday.
Molti dei film dello sceneggiatore e
regista Christopher
Nolan sono caratterizzati da narrazioni complesse e
non lineari, caratteristica che ha reso il suo cinema dotato di una
forte personalità. Il regista, il cui nuovo film
Oppenheimer (qui la recensione) arriverà in
Italia il 23 agosto, ha ora spiegato perché si avvicina alla
narrazione per cinema in questo particolare modo. Sebbene
ampiamente noto per il suo lavoro sulla trilogia de Il cavaliere oscuro,
molti dei film di Nolan, come The Prestige, Inception e fino al recente
Tenet, richiedono più visioni per poter
essere veramente compresi.
In una recente intervista con il
canale YouTube HugoDécrypte per promuovere il
suo nuovo film, Nolan, usando la battuta presente in
Tenet,“Non cercare di capirlo, sentilo”, come
premessa alla sua spiegazione, ha dichiarato che: “Non vedo i
film in termini di equilibrio tra semplicità e complessità, penso
che sia più una questione che ha a che fare col mistero. Le nostre
aspettative nei confronti dei film, grossomodo per tutta la mia
vita, ma soprattutto dagli anni ’50, sono state influenzate dalla
televisione e dalle sue aspettative. E a volte non è il
massimo“.
“Per questo spesso uso strutture
non cronologiche, non lineari. – ha poi continuato a spiegare
Nolan – Questa cosa era un espediente che veniva sfruttato
molto nell’era del cinema muto, nei primi film sonori, fino
all’arrivo della televisione. Poi la televisione ha imposto un
approccio più lineare e semplice, a causa del modo in cui abbiamo
iniziato a guardarla dagli anni ’50 in poi. In seguito, quando sono
arrivati l’home video e i DVD e ora lo streaming, siamo nuovamente
tornati a essere più avventurosi perché puoi guardare qualcosa,
fermarlo, riavvolgerlo e rivederlo. E possiamo creare narrazioni
più dense e complesse“.
“Ma a conti fatti, –
conclude Nolan – la cosa fondamentale riguardante l’esperienza
di una sala cinematografica piena di persone, è che dovrebbe essere
un’esperienza incentrata sul mistero. Non desideri capire l’intera
storia fin dall’inizio. Altrimenti, non c’è nulla da svelare e
scoprire. Quindi, in realtà, il compito del regista è cercare di
essere un po’ avanti rispetto al pubblico, non troppo avanti, non
troppo indietro. Quando sei indietro rispetto al pubblico, il
pubblico capisce le cose prima che tu le spieghi, e il pubblico
rimane frustrato in un altra maniera.”
Tutto quello che sappiamo sul
film Oppenheimer
Scritto e diretto
daChristopher Nolan,
Oppenheimer è un
thriller storico girato in IMAX che porta il pubblico
nell’avvincente storia paradossale di un uomo enigmatico che deve
rischiare di distruggere il mondo per poterlo salvare. Il film è
interpretato da Cillian
Murphy nel ruolo di J. Robert Oppenheimer e
da Emily
Blunt nel ruolo della moglie, la biologa e
botanica Katherine “Kitty” Oppenheimer. Il premio
Oscar Matt
Damon interpreta il generale Leslie Groves Jr.,
direttore del Progetto Manhattan, e Robert Downey Jr.
interpreta Lewis Strauss, commissario fondatore della Commissione
statunitense per l’energia atomica. La candidata all’Oscar Florence
Pugh interpreta la psichiatra Jean Tatlock,
Benny Safdie interpreta il fisico teorico Edward
Teller, Michael Angarano interpreta Robert Serber
e Josh Hartnett
interpreta il pionieristico scienziato nucleare americano Ernest
Lawrence. Il film è anche interpretato dal vincitore
dell’Oscar Rami
Malek e questo film vede Nolan riunirsi con
l’attore, scrittore e regista otto volte candidato
all’Oscar Kenneth
Branagh. Il cast comprende anche Dane DeHaan
(Valerian e la città dei mille pianeti), Dylan
Arnold (serie Halloween), David Krumholtz
(La ballata di Buster Scruggs), Alden Ehrenreich
(Solo: A Star
Wars Story) e Matthew Modine (Il Cavaliere
Oscuro – Il ritorno).
Il film è tratto dal libro vincitore
del premio Pulitzer American Prometheus: The Triumph and
Tragedy of J. Robert Oppenheimer di Kai Bird
e del compianto Martin J. Sherwin. Il film è
prodotto da Emma Thomas, Charles
Roven di Atlas Entertainment e Christopher Nolan. Oppenheimer è girato sia
in IMAX 65mm che in pellicola di grande formato 65mm che include,
per la prima volta in assoluto, sezioni in fotografia analogica
IMAX in bianco e nero. I film di Nolan, tra cui Tenet, Dunkirk, Interstellar, Inception e la
trilogia del Cavaliere Oscuro, hanno incassato più di 5 miliardi di
dollari al botteghino mondiale e sono stati premiati con 11 Oscar e
36 nomination, tra cui due nomination come miglior film.
Comandante, diretto da
Edoardo De Angelis, con Pierfrancesco
Favino, è il nuovofilm
d’apertura, in prima mondiale in
Concorso, dell’80. Mostra Internazionale
d’Arte Cinematografica della Biennale di
Venezia. Il film è ambientato all’inizio della Seconda
guerra mondiale, ed ha per protagonista Salvatore Todaro, comandante del
sommergibile Cappellini della Regia Marina. Nell’ottobre del 1940,
mentre naviga in Atlantico, nel buio della notte affronta un
mercantile armato che viaggia a luci spente e lo affonda a colpi di
cannone. Ed è a questo punto che il Comandante prende una decisione
destinata a fare la storia: salvare i 26 naufraghi belgi condannati
ad affogare in mezzo all’oceano per sbarcarli nel porto sicuro più
vicino, come previsto dalla legge del mare. Per accoglierli a bordo
è costretto a navigare in emersione per tre giorni, rendendosi
visibile alle forze nemiche e mettendo a repentaglio la sua vita e
quella dei suoi uomini.
Salvatore Todaro, il comandante che salvava l’uomo
“Mi commuove l’idea della forza
intesa come la intendeva Salvatore Todaro, ovvero come la capacità
di correre in soccorso di chi è più debole. Questo è l’uomo forte e
ho voluto raccontare nella sua storia.”, spiega il regista
Edoardo de Angelis. “Era il 2018 quando ci
siamo imbattuti in essa, l’abbiamo ascoltata dall’Ammiraglio
Pettorino, che in occasione della celebrazione dei 123 anni della
Guardia Costiera aveva l’esigenza di dare un’indicazione ai suoi
uomini su come comportarsi in mare e scelse la strada della
parabola, raccontando la storia di Salvatore Todaro, che affondava
il ferro nemico ma salvava l’uomo e a chi gli chiedeva perché lui
rispondeva ‘lo facciamo perché siamo italiani’. Ecco,
quando ho conosciuto Salvatore Todaro ho pensato che se è
questo che significa essere italiano, allora voglio essere
italiano!”
“Nell’estate in cui è scoppiato
questo disonore, io lo considero un disonore, ovvero di
disattendere le più elementari e millenarie regole del mare, cioè
di soccorre chi è in necessità, c’era un clima piuttosto pesante e
sprezzante. – racconta il co-sceneggiatore Sandro
Veronesi – La storia di Salvatore Todaro era una
risposta perfetta, come ce ne sono tante, perché la storia del
nostro popolo, ma direi della civiltà a cui apparteniamo, è una
storia di soccorsi. Poter lavorare a questa storia, con il miracolo
di avere a disposizione, grazie alla famiglia, degli effetti
personali di Todaro, ci ha permesso di essere molto fedeli ad essa
e capire meglio l’uomo che ne è protagonista e che ha posto il
rispetto delle regole del mare davanti al servire la
patria”.
“Mentre stavamo ultimando il
montaggio del film, a inizio 2023, è avvenuto un fatto che mi ha
molto colpito. – racconta poi De Angelis, approfondendo
ulteriormente i valori del film – Un natante russo in
balia delle onde dell’Oceano è stato posto in salvo da un piroscafo
con bandiera panamense con capitano ed equipaggio ucraini. Il
marinaio russo ha poi dichiarato ‘Siamo tutti alla stessa distanza
da Dio, la distanza di un braccio, quello che ti salva’. Ecco,
volevo che fosse quello l’inizio del film. Per ricordarci che così
come Todaro si sente lo stesso uomo che duemila anni prima guidava
una triremi romana, anche noi possiamo sentirci lo stesso salvatore
Todaro che salvava gli uomini inermi”.
Credits: Giorgio Zucchiatti, La Biennale di Venezia – Foto
ASAC
Un film dal potenziale internazionale
“Considero il cinema italiano
come internazionale e credo che questo film, ad esempio, possa
mostrare che siamo pronti per film che possono andare oltreoceano e
spero se ne potranno fare sempre di più. –
afferma Pierfrancesco Favino,
chiamato a dire la sua sullo stato del cinema italiano in rapporto
alle produzioni estere. – Questa produzione, quella
diComandante,è stata particolarmente
coraggiosa per la nostra industria. Inoltre, vorrei che sempre più
attori e attrici italiane trovino la possibilità fossero presenti
in produzioni estere, specialmente se si tratta di interpretare
personaggi italiani. È un problema quando attori americani, ad
esempio, interpretano personaggi italiani al posto nostro. Ci sono
tanti bravi attori e attrici nel nostro paese e sono tutti in
attesa del giusto ruolo”.
Passa poi la parola agli altri due
attori presenti alla conferenza stampa, Silvia
D’Amico e Johan Heldenbergh.
“Essere salita a bordo su questo film è stata un’esperienza
incredibile, al di là dei suoi valori politici. – afferma la
D’Amico – Sono stata accompagnata dalla sensibilità di Edoardo
e dalla sua capacità di gestire i ruoli femminili. Il mio
personaggio non è solo la moglie di Todaro che lo aspetta a casa,
ma un punto fermo ricorrente nel suo viaggio. Fondamentali è stato
poi potermi confrontare con la figlia del comandante Todaro, che ha
reso questa un’esperienza ancor più formativa”. La parola
passa poi a Heldenbergh, interprete del capitano belga nel film.
“Sono sempre stato innamorato del mio paese ma questo
non vuole dire che ne sia anche orgoglioso. Ed è questo senso di
amore ma non orgoglio che ho ritrovato nel film, decidendo dunque
di farne parte!”
“Se sono preoccupato dalle
reazioni del ministro Matteo Salvini quando guarderà il film? È
chiaro che le reazioni di chi guarda un film trascendono il
controllo di chi il film lo ha fatto. Mi auguro che chiunque lo
guarderà converrà sul fatto che esistono delle leggi eterne,
immutabili, come la legge del mare e che sono leggi che non vanno
infrante. Mai”. Così si conclude la conferenza stampa di
Comandante, diretto da Edoardo De
Angelis e da lui scritto insieme a Sandro
Veronesi. Il film è una produzione Indigo
Film e O’Groove con Rai
Cinema, Tramp LTD,
V-Groove, Wise Pictures, in
associazione con Beside Productions, in
collaborazione con la Marina Militare Italiana e
Cinecittà. Il film sarà distribuito da 01
Distribution nelle sale italiane dal 1
novembre.
Secondo Matthew
Vaughn, regista di X-Men: L’Inizio, i
problemi del MCU saranno risolti all’uscita di
Deadpool 3.
Nelle parole di Vaughn, il film riporterà in vita il corpo morto
del MCU.
Marvel è reduce da qualche passo
falso, a giudicare principalmente dall’accoglienza di pubblico e
critica delle sue ultime produzioni (The
Marvels e Ant-Man and the Wasp: Quantumania). Tuttavia
il suo unico film che uscirà nel 2024, Deadpool 3, potrebbe rimettere in carreggiata il
suo percorso.
Deadpool
3 è il film che chiuderà la trilogia del
Mercenario Chiacchierone che vede protagonista Ryan Reynolds nel ruolo del protagonista e
questa volte il pubblico è ancora più ansioso di vederlo in scena
per via del fatto che con lui torna anche Hugh Jackman
nel ruolo di Wolverine. Ora, nel corso della promozione del suo
ultimo film, Argylle,
Matthew Vaughn si è sbilanciato dicendo che questo
film potrebbe essere la salvezza del MCU:
“Questo sarà lo shock…
l’universo Marvel sta per subire uno shock e riporterà in vita quel
corpo… penso che Ryan Reynolds e Hugh Jackman stiano per salvare
l’intero universo Marvel.”
Chi c’è in Deadpool
3?
Deadpool 3
riunisce il protagonista Ryan Reynolds con Shawn Levy, regista di
Free Guy e The Adam Project, che ha firmato la regia
dell’atteso progetto. Hugh Jackman
uscirà finalmente dal suo pensionamento da supereroi per riprendere
il ruolo di Wolverine. Sebbene i dettagli
ufficiali della storia di Deadpool 3, con
protagonista Ryan Reynolds,
non siano infatti ancora stati rivelati, si presume che la trama
riguarderà il Multiverso. Il modo più semplice per i Marvel Studios di unire la
serie di film di Deadpool – l’unica parte del
franchise degli X-Men sopravvissuta all’acquisizione
della Fox da parte della Disney – è stabilire che i film di
Reynolds si siano svolti in un universo diverso.
Ciò preserva i film degli X-Men
della Fox nel loro universo, consentendo al contempo a Deadpool e
Wolverine, di nuovo interpretato da Hugh Jackman,
viaggiare nell’universo principale dell’MCU. Nel film saranno poi presenti anche personaggi
presenti nei primi due film di Deadpool, come Colossus e
Testata Mutante Negasonica. Da tempo, però, si vocifera che anche
altri X-Men possano fare la loro
comparsa nel film, come anche alcuni altri supereroi della
Marvel comparsi sul
grande schermo nei primi anni Duemila, in particolare il Daredevil di Ben
Affleck.
Una voce recente afferma che anche
Liev Schreiber
sia presente riprendendo il suo ruolo Sabretooth. Di certo,
Morena Baccarin
(Vanessa), Karan Soni (Dopinder), Leslie
Uggams (Blind Al), Rob Delaney (Peter) e
Shioli Kutsuna (Yukio) torneranno tutti nei panni
dei rispettivi personaggi, e a loro si uniranno i nuovi arrivati in
franchising Emma Corrin (The Crown) e Matthew
Macfadyen (Succession), i cui ruoli sono ancora
segreti. Un recente report afferma inoltre che la TVA di Loki,
incluso l’agente Mobius (Owen Wilson) e
Miss Minutes, saranno coinvolti nel film. Deadpool 3
uscirà nei cinema il 26 luglio 2024.
Trent Reznor,
compositore di colonne sonore da Oscar (The Social
Network) e leader dei Nine Inch
Nails, ha affidato a Rolling Stones il suo ricordo
dell’artista, collega e mentore David Bowie,
scomparso lo scorso 10 gennaio.
Ecco cosa ha ricordato Trent:
La sua musica mi ha aiutato a
relazionarmi con me stesso e a capire chi ero. Era un enorme fonte
d’ispirazione, in termini di cosa un artista dovrebbe essere, non
ci sono regole.
Poi a metà degli anni ’90 si
rivolse a me e disse “Faremo un tour insieme”. È difficile
descrivere quanto fu convalidante e surreale l’intera esperienza
legata a quel tour – incontrare quell’uomo in carne ed ossa e
scoprire, con grande gioia, che aveva superato ogni mia
aspettativa. Il fatto che avesse questo elegante e felice carattere
impavido è stato molto d’ispirazione per me.
Durante quel tour, onestamente,
ero molto incasinato. Ci fu il primo grande successo dei Nine Inch
Nails, in termini di fama. E questo in qualche modo distorse la mia
personalità [..] La sottile linea tra il ragazzo sul palco e quello
che ero realmente iniziava ad offuscarsi. Affrontai la vita
intorpidendo me stesso con alcol e droghe, perché mi faceva sentire
meglio e in grado di affrontare tutto. [..] Non ero pienamente
consapevole di quanto male mi stessi facendo, ma nel mio cuore
sentivo che era uno spericolato e insostenibile percorso
autodistruttivo.
Quando incontrai David lui era
felice, in pace con se stesso, aveva una moglie che chiaramente
amava. Alcune volte ci siamo trovati da soli e lui ha condiviso con
me dei pezzi di saggezza che ancora porto con me: “Sai, c’è un modo
migliore, non deve finire tutto nella morte o nella disperazione,
in fondo”.
Pochi anni dopo venne a L.A. ed
io ero sobrio da una discreta quantità di tempo. Lo volevo
ringraziare per l’aiuto che mi aveva dato. [..]. Ho ritrovato lo
stesso amore ed affetto. Iniziai a dire “Ehi senti, sono pulito
da..”, probabilmente non finii nemmeno la frase e lui mi diede un
forte abbraccio e disse “Lo sapevo, sapevo che lo avresti fatto.
Sapevo che ne saresti uscito”. Ho ancora la pelle d’oca se ripenso
a quel momento.