Judy Garland
– Il suo destino era scritto ancor prima che
nascesse. I suoi genitori avevano in comune l’aspirazione di
entrare nello show business. Frank Avent Gumm era un tenore che
lavorava al teatro di Superior, nel Wisconsin. Nello stesso teatro,
il pianista era una donna, Ethel Marian Minle, irlandese come lui.
Formarono un duo artistico, Jack e Virginia Lee lavoravano nel
vaudeville. In seguito divennero Mr. e Mrs. Frank Gumm e dalla loro
unione nacquero due bambine: Sue e Virginia. Questa nuova
condizione familiare costrinse Jack e Virginia, gli artisti, a
fermarsi, lasciando spazio ai genitori. Si stabilirono a Grand
Rapids, nel Michigan, dove Frank divenne direttore del teatro
locale.
Ethel addestrava le
piccole Gumm al canto e alla danza e le avviò presto ai primi
spettacoli. In questo breve periodo di stabilità emotiva e
geografica nacque il 10 giugno del 1922 una terza figlia. Frank
avrebbe preferito un maschio, e tutti pensavano che dopo due
bambine, sarebbe arrivato un erede maschio per i Gumm. Tutti erano
pronti a festeggiare la nascita di Francis, invece venne alla luce
un’altra bambina, Frances Ethel, l’unica della famiglia che sarebbe
riuscita a realizzare i sogni di fama e ricchezza dei genitori. La
futura Judy Garland.
Il debutto della piccola Frances
avvenne a soli due anni e mezzo, la sera di Natale del 1924. Questo
particolare aneddoto è diventato quasi leggenda, e come ogni
leggenda che si rispetti, l’occasione è stata più volte rivisitata
e romanzata, ma l’essenza del racconto è rimasta tale. Durante uno
spettacolo delle due sorelle maggiori, la futura Judy
Garland, saltò sul palco e cominciò a cantare l’unica
canzone che conosceva: Jingle Bells. In questa occasione, tutti i
presenti si resero conto che l’unica delle sorelle Gumm a possedere
del talento era proprio lei, la nuova arrivata Frances.
Judy Garland
biografia
Questa scoperta illuminò Ethel che
convinse il marito a trasferirsi a Los Angeles per tentare la
scalata ad Hollywood. I Gumm vendettero la loro casa e partirono da
Grand Rapids nell’estate del 1924. Tra la città del Minnesota e Los
Angeles, Le Sorelle Gumm parteciparono ad ogni spettacolo di
vaudeville che trovavano lungo la strada, e proprio in una di
queste occasioni la piccola Baby incontrò per la prima volta Joe
Jr. Yule, anche lui avviato da piccolo agli spettacoli di
vaudeville.
Judy Garland: film
Dal 1921, quando al cinema uscì
Il Monello (The Kid) di
Chaplin, ad Hollywood si era diffusa la moda degli
attori bambini, ed Ethel, il “capo”del clan Gumm, fu
particolarmente attenta a questa tendenza.
Molti anni dopo, un’affermata Judy Garland
ricorderà con un po’ di tristezza quei tre mesi trascorsi con tutta
la famiglia stipati nel loro furgone per raggiungere “la città
degli angeli”.
I Gumm vissero a Los
Angeles per sei mesi, e Frank divenne direttore di un teatro a
Lancaster, a circa ottanta miglia dal centro della città, Frances
ebbe così la possibilità di crescere guardando film nel
teatro diretto dal padre che veniva adibito anche a sala
cinematografica. Prima della partenza per Lancaster però, la
previdente Ethel iscrisse le sue tre figlie alla Meglin Kiddies,
un’agenzia per bambini attori. Ethel costringeva la piccola Frances
a fare spettacoli d’intrattenimento ovunque, in teatri ed in
ristoranti e nel 1932 decise che doveva provare l’assalto decisivo
ad Hollywood usando come ariete la figlia minore. Convinse il
marito a trasferirsi di nuovo, questa volta nel cuore di Los
Angeles ed iscrisse Frances alla Miss Lawlor’s School of
Professional Children. In questa scuola, uno dei compagni di classe
di Frances fu Mickey McGuire. A questo periodo risale il distacco
dal padre. La madre in persona fu la principale responsabile di
questa prematura separazione, poiché portando le figlie in tour,
lasciava il marito a casa. Le Gumm Sisters si esibirono per una
settimana a Denver e poi passarono a Chicago.
Proprio qui, all’Oriental Theater,
George Jessel, che aveva il compito di compilare i cartelloni degli
spettacoli, ed occupandosi di quello delle sorelle Gumm, sbagliò lo
spelling del nome e scrisse Glumm. L’errore venne subito notato, ma
lo stesso Jessel sostenendo che il nome Gumm fosse poco adatto per
un numero di vaudeville, e poiché in quel momento era in compagnia
del suo amico critico teatrale Roberto Garland, decise, in accordo
con Ethel, di cambiare il nome al trio. Fu così che per la piccola
Frances si profilò l‘inizio del suo nome d’arte. Judy
Garland venne in seguito, in omaggio ad una canzone di
Hoagy Carmichael, molto amata da sua madre.
Nel 1934, quasi per
caso, Judy Garland sostiene involontariamente
il suo primo provino importante. Durante l’estate di quell’anno, la
famiglia Gumm si trasferì al Cal-Nega Lodge a Lake Tahoe per
quattro settimane. Il proprietario del locale le chiese di cantare
per alcuni amici; questi “amici” erano: Lew Brown casting director
per la Columbia Pictures; Harry Akst, famoso compositore; e Al
Rosen, un agente di Hollywood. Alla fine della performance di Judy,
Rosen fece scivolare nella mano della bambina un foglietto con il
suo numero riferendo alla madre di contattarlo a Los Angeles.
Proprio Rosen divenne il suo primo agente, e le procurò un provino
alla M.G.M.
Quel giorno cominciò la grande
avventura di Judy Garland alla Metro:
cantò per Rosen; Rosen chiamò Ida Koverman, segretaria di Louis B.
Mayer; lei chiamò lo stesso Mayer che contattò gli avvocati e le
fece firmare sul posto, lo stesso giorno, un contratto. Si hanno
diverse testimonianze di quell’episodio tutte sommariamente
concordi sui punti importanti; tuttavia, se nei ricordi
di Judy Garland è il padre ad accompagnarla
al piano, nella versione di Roger Edens sarebbe stata invece Ethel,
la madre, ad accompagnare la performance della figlia. È probabile
che il desiderio della presenza paterna in un momento così
importante della sua nuova vita avesse spinto Judy
Garland a sostituirlo madre. Sappiamo infatti che Frank
morì di meningite spinale in pochi mesi, proprio nel momento in cui
la carriera della sua Baby stava assumendo una forma più
concreta.
Poco dopo Judy
Garland cominciò a prendere lezioni private giornaliere da
Edens. Alla Metro Judy ritrovò Mickey Rooney, insieme ad altre
future co-star: Deanna Durbin, Jackie Cooper, Freddie Bartholomew.
Tuttavia per circa un anno cantò solo alla radio oppure a feste e
cene organizzate negli Studios. Finalmente, nel 1936 le diedero una
parte in un film insieme a Deanna Durbin, si trattava di Every
Sunday. Le canzoni vennero affidate a Con Conrad e Herb Magidson.
In questo film, Judy Garland mostrò non solo
la sua grande capacità canora, che già era conosciuta, ma
soprattutto le sue doti di attrice. Vitale e frizzante la
Judy Garland quattordicenne mostra tutto il suo
brio in contrasto con una Durbin allo stesso modo brava ma molto
più composta e pacata.
Dopo Every
Sunday, Judy Garland viene “prestata” alla
20th Century-Fox per la realizzazione del non eccezionale Pigskin
Parade(1936). Nell’elenco del cast Judy
Garland appare nona, ma questa classificazione non è
giustificata dal film dove la maggior parte dei numeri musicali
ruotano intorno a lei. Questa fu la prima ed ultima volta che la
Metro permise a Judy Garland di partecipare a
produzioni esterne.
Il film successivo
di Judy Garland fu Follie di Broadway 1938
(Broadway Melody of 1938 di Roy Del Ruth, 1937). Ad un party per
celebrare il 36esimo compleanno di Clarke Gable, Judy
Garland cantò “You Made Me Love You” all’attore, e nel bel
mezzo della canzone improvvisò un’ardente dichiarazione d’amore nei
suoi confronti. Questa improvvisazione venne inserita nel film del
1937. In quel numero Judy fu capace di ricreare dal nulla, senza
nessuna previa preparazione, il carattere del fan malato d’amore
per il suo idolo. Quella dedica fu registrata per la Decca con il
titolo di “Dear Mr. Gable” ed ebbe un enorme riscontro sul pubblico
dando a Judy Garland il suo primo vero
successo personale e avvicinandola al regno delle star.
Il film successivo, Thoroughbreds
Don’t Cry (1937), è da notare solo perché segna la prima
collaborazione con Mickey Rooney. Invece Viva l’Allegria (Everybody
Sing di Edwin L. Marin) primo dei tre film che girerà nel 1938, la
vede protagonista. È un’occasione importante per Judy
Garland che però comincia a scoprire il prezzo della
celebrità. Il rapporto con la madre, che Judy ritiene responsabile
della sua prematura separazione dal padre, peggiora poiché è
convinta dell’esistenza di un accordo tra Ethel e Mr. Mayer, che la
costringe a lavorare a tutti i costi. Passa tutto il suo tempo
davanti alla macchina da presa, e quando non lavora, è in giro per
il Paese a promuovere i suoi film.
Listen, Darling, il suo secondo
film del ’38, si ricorda perché nella sua colonna sonora c’è il
primo grande successo di Judy Garland “Zing
Went the Strings of My Heart”. Ancora nel 1938 collabora per la
seconda volta con Mickey Rooney. Andy Hardy (Love Finds Andy Hardy
di George B. Seitz) fa parte di una serie di film incentrati sulla
figura di un giovane, Andy Hardy appunto, interpretato da Rooney.
Louis B. Mayer si interessò a questo personaggio poiché, a suo
parere, rispecchiava il sogno americano essendo le sue avventure
incentrate su una visione sentimentale della vita domestica. Il
personaggio di Judy era Betsy Booth, e lei si ritroverà ad
impersonarlo altre due volte sempre al fianco di Rooney.
Judy Garland Il Mago di OZ
Love Finds Andy Hardy fu
l’ultimo film che Judy Garland interpretò da
semplice attrice bambina; il 1939 fu l’anno de Il Mago di Oz, e
dopo quel film Judy Garland divenne una star.
Il 1938 fu un anno decisivo per Judy. Il Mago di Oz era una favola
ad episodi per bambini, che come filo conduttore aveva il
personaggio di Dorothy, una bambina sperduta nel fantastico Regno
di Oz, che cercava di ritornare a casa, in Kansas. La fama di
questo romanzo era paragonabile a quella di Peter Pan, altra storia
ambientata in un mondo parallelo, L’Isola che Non C’è, con
protagonista un’altra bambina (in questo caso Wendy). Entrambe le
storie portano lo stesso messaggio riguardo ai legami che si hanno
con la propria casa e i propri affetti, e forse proprio questo
messaggio piaceva a Louis B. Mayer, che, essendo un emigrato
dall’Europa dell’Est, non aveva mai avuto una casa. Ma questo
messaggio si avvicinava anche al desiderio di sicurezza che si
stava diffondendo in America e nel mondo all’alba di una nuova
Guerra. La produzione de Il Mago di Oz (The Wizard of Oz) voleva
Shirley Temple per la parte di Dorothy, ma Arthur Freed propose la
Garland. Fortunatamente per lei, esigenze di contratto che legavano
la Temple alla 20th Century Fox le impedirono di andare avanti col
progetto e così Judy Garland divenne (e per
certi versi rimase per tutta la vita) Dorothy. La sua
interpretazione di “Over the Rainbow” è diventata quasi leggenda e
la canzone accompagna la sua memoria come un leit-motiv. Molto
delle sue dichiarazioni successive facevano riferimento a
quell’arcobaleno che voleva rappresentare una felicità perfetta che
in vita non raggiunse mai, e quando nel 1969 morì, la canzone
divenne il suo epitaffio.
Per prepararla anche fisicamente al
suo personaggio, Jack Dawn, direttore del dipartimento trucco, la
acconciò con denti finti ed una parrucca bionda, look che venne
fortunatamente abbandonato dopo tre settimane di riprese, perché la
produzione si decise a mantenere l’aspetto di Judy
Garland il più naturale possibile. Oltre al make-up, un
altro problema riguardante il personaggio di Dorothy era l’età.
L’autore del romanzo, L. Frank Baum, non aveva specificato l’età di
Dorothy, ma era più plausibile che fosse una bambina di dieci anni
(l’età della Temple nel 1938) che una ragazza di sedici (l’età
della Garland), inoltre lo sviluppo fisico di Judy
Garland fu piuttosto precoce. Si usò quindi un corsetto
che le schiacciava leggermente il petto al di sotto del vestito
azzurro.
Il problema riguardante il trucco
dei tre compagni di viaggio di Dorothy risultò molto più complesso.
Ray Bolger, Jack Haley e Bert Lahr, che interpretavano
rispettivamente lo Spaventapasseri, l’Omino di Latta e il Leone
Codardo, dovevano trasformarsi in creature di fantasia, ma dovevano
tuttavia essere credibili nei loro travestimenti. Nel 1933 la
Paramount realizzò Alice nel Paese delle Meraviglie, e il film fu
un disastro sia finanziario che di critica. I personaggi di
fantasia indossavano maschere che li rendevano inespressivi e poco
credibili. Così la produzione de Il Mago di Oz
optò per un trucco applicato al volto dei personaggi insieme a
protesi sintetiche che potessero ricostruire le fattezze degli
esseri magici interpretati dagli attori, che dal canto loro
soffrirono ore ed ore di trucco prima di portare sul set un viso
sofferente per sotto i caldissimi riflettori di scena. Il make-up
ideale venne trovato anche per Margaret Hamilton, la Strega Cattiva
dell’Ovest; una particolare sfumatura di verde brillante con la
quale le dipinsero faccia e mani che le conferiva un aspetto tanto
surreale quanto crudele.
Legato al colore è uno degli
aspetti più interessanti del film; la decisione di usare una
fotografia seppia per le sequenze in Kansas, e di usare invece il
colore vivido del Tecnicolor per le sequenze nel mondo magico di Oz
fu funzionale, ma soprattutto efficace e di grande effetto sul
pubblico ed in particolare sui bambini. Come compagni di viaggio
Bolger, Haley e Lahr sono eccezionali, e anche loro, proprio grazie
all’enorme successo del film rimasero per lungo tempo legati al
loro personaggio.
È probabile che uno dei motivi
principali che determinarono il planetario successo del film sia
riconducibile proprio alla scelta di Judy
Garland per la parte di Dorothy. La sua sincerità di
interpretazione e la sua capacità di emozionare il pubblico non
servirono mai meglio un film come nel caso de Il Mago di Oz. Il suo
fronteggiare la strega con tale ardente coraggio, il suo accorato
saluto agli amici fantastici di Oz, tutto contribuisce ad una
interpretazione davvero eccellente per una ragazza così giovane ma
così dotata.
Si tratta quindi di un film molto
riuscito sia per i risultati al botteghino che per i commenti della
critica che però non si lasciò sfuggire la nota stonata costituita
dalle scimmie volanti della Strega Cattiva dell’Ovest,
eccessivamente grottesche. La 20th Century Fox,
sperando di eguagliare il successo della pellicola targata M.G.M.,
produsse un film fantasy a colori, tratto da una commedia di
Maurice Maeterlinck, The Blue Bird. Il film fu un disastro, e per
la sua protagonista femminile, Shirley Temple, si trattò del primo
grosso insuccesso dall’inizio della sua carriera nel 1933.
Per Judy Garland
invece si aprirono le porte della Mecca del Cinema. La sua
performance di Dorothy le valse una statuetta speciale agli Academy
Awards, un mini-Oscar, e le garantì un posto di prestigio tra le
star del musical della M.G.M. Judy non era mai stata così famosa, e
per lei incominciò un periodo di duro lavora, ma di grandissimo
successo.
Insieme alla statuetta speciale,
Judy Garland ebbe anche il privilegio di lasciare
le sue impronte nel cemento del marciapiede di fronte al
Grauman’s Chinese Theater. La cerimonia avvenne
nella notte della première del suo secondo film del 1939, Ragazzi
Attori (Babies in Arms di Busby Berkeley), e sancì per la
diciassettenne Judy il suo nuovo status di star, inaugurando il
periodo più proficuo e impegnato di tutta la sua vita. Tra il 1940
e il 1950, Judy Garland divenne la vera
e propria regina del musical al cinema, recitò in circa 20 film e
prese parte a show televisivi e trasmissioni radiofoniche.
Judy Garland è
alla Metro quando lo star system è al suo apice e gli attori,
firmando un contratto con la casa di produzione, si consegnano
totalmente nelle mani dei produttori, in questo caso di Louis B.
Mayer e Arthur Freed. Questo tipo di contratti costringevano
infatti gli attori ad accettare qualunque ruolo venisse loro
assegnato; inoltre potevano essere “prestati” ad altre case di
produzione per una o più produzioni, ma senza ricevere alcun
compenso personale; tuttavia ricevevano lo stesso compenso se
lavoravano sei giorni a settimana oppure se rimanevano a casa
aspettando che venisse assegnato loro un ruolo. Judy
Garland visse il suo decennio più produttivo a queste
condizioni, come molte delle star degli anni ’30 e ’40.
Poiché Judy tendeva ad ingrassare, sin dai tredici anni fu
sottoposta a diete forzate per tenerne sotto controllo il peso, e
fu così che arrivarono le primissime prescrizioni di pillole che
potessero aiutarla a mantenere dimensioni costanti e “adatte” al
mondo dello spettacolo. A questi medicinali si aggiunsero gli
integratori per far si che i piccoli attori-bambini fossero in
grado di lavorare fino a sessantadue ore di continuo, ed i
sonniferi per permettere loro di dormire solo in determinate ore
durante i tour. Fu così, proprio all’inizio della sua sfavillante
carriera che cominciò il lento declino della salute di Miss Show
Business.
I problemi fisici e psicologici di
questa crescita viziata dall’assunzione ad alto dosaggio di
medicinali, si rispecchiarono nella sua caotica vita privata, che
Judy faticò sempre a tenere insieme. Ovviamente gli Studios
cercarono sempre di arginare questa sua instabilità; Judy cominciò
a seguire sedute psichiatriche già all’inizio degli anni ’40.
Tuttavia il controllo che la Metro esercitava sulla vita della sua
giovane miniera d’oro era così invadente che, quando Judy si sposò
per la prima volta nel 1941 con David Rose, l’unione fu vista da
Louis B. Mayer come una limitazione al suo potere su di lei. Si è
detto addirittura che, proprio durante il primo matrimonio, Judy
fosse rimasta incinta, e le pressioni dei produttori (Mayer
in primis) la costrinsero ad abortire, per non rovinare la sua
immagine di “ragazza della porta accanto” sulla quale era stato
costruito il personaggio “Judy Garland”. Questo
evento la lasciò traumatizzata per il resto della vita. Molto
diverso fu invece il comportamento di Mayer nel 1945, quando
Judy sposò in seconde nozze Vincente Minnelli. Il
regista, essendo anche lui “di proprietà” della Metro, ed essendo
uno dei più quotati dell’epoca, riuscì ad ottenere la benedizione
di Mr. Mayer.
Nonostante l’insorgere di queste
prime difficoltà nella vita di Judy Garland,
nel corso della decade d’oro durante la quale lavorò alla M.G.M., nessun segno di
questi problemi è riscontrabile nel risultato finale di un film.
Davanti all’obbiettivo niente riusciva a superare la sua
incredibile naturalezza e sensibilità di recitazione. Rimase sempre
e in qualunque condizione fisica, un’interprete intelligente e
versatile per quanto il suo volto potesse portare i segni della sua
sofferenza. Numerose sono le testimonianze della sua
professionalità dopo il ciak; per uno dei suoi numeri più famosi e
anche complessi, “Be a Clown”, lei e Gene Kelly diedero il meglio
in una sola ripresa, con una previa preparazione di sole quattro
ore. Chiunque abbia mai visto lo splendido numero che chiude The
Pirate di Minnelli, può capire quanto il palcoscenico fosse la vera
casa di Judy Garland.
Arthur Freed, che
ai tempi di The Wizard of Oz era produttore
associato e compositore, e che dall’inizio aveva appoggiato l’idea
che dovesse essere Judy ad interpretare Dorothy, divenne produttore
a tutti gli effetti. Era persuaso che la coppia Garland-Rooney
potesse essere un binomio vincente, e propose di realizzare un
musical con protagonisti i due attori. A questa idea si associò
l’incredibile successo dei film sulla famiglia Hardy, che portarono
Mickey Rooney al successo e al conferimento del soprannome di
money-maker. Dopo la prima collaborazione, i due attori, le cui
vite si erano intrecciate molto prima che i due diventassero delle
star, ritornarono così a lavorare insieme ad un film: Ragazzi
Attori (Babies in Arms di Busby Berkeley; 1939). Arthur Freed si
occupò della colonna sonora: scrisse con il suo vecchio partner,
Nacio Herb Brown, “Good Morning” appositamente per il film, e
aggiunse “I Cried For You” scritta invece con Gus Arnheim; Harold
Arlen e E. Y. Harburg, che avevano già lavorato a The Wizard of Oz,
composero “God’s Country”. La sceneggiatura venne assegnata a Jack
McGowan e ad uno degli scrittori degli show di Andy, Kay Van
Riper.
Questo è i primo di quattro musical
che Judy e Mickey faranno insieme nei successivi cinque anni, prima
del passaggio di lei a ruoli più maturi e dell’arruolamento di lui
nell’esercito. Baby in Arms si ricorda anche perché fu il primo
film alla Metro di Busky Berkeley, che fino a quel momento aveva
lavorato per la Warner. Nel film, Judy e Mickey sono dei talentuosi
ragazzi che vogliono raggiungere il successo nel teatro di
vaudeville andando contro le autorità del loro piccolo paese
impersonate da Miss Steele (ancora una Margaret Hamilton nelle
vesti di cattiva), che invece vuole che i ragazzi stiano lontani
dal mondo corrotto dello show-business. Ovviamente i ragazzi devono
riuscire a mettere in scena uno show non solo per realizzare il
loro sogno ma anche per salvare le loro famiglie
dall’indigenza.
In questo musical i due attori sono
esuberanti e grintosi. Gli occhi di Judy non perdono mai la loro
luce d’innocenza. Riusciva sempre a immedesimarsi nel suo ruolo e,
a mano a mano che matura come donna e come attrice, diventa più
rilassata e composta anche nell’interpretazione. In questo caso è
iperattiva, irresistibile. La sua naturale espressività e il suo
tono drammatico danno a “I Cried for You” una dolcezza di intensità
incredibile considerando la giovane età dell’interprete. Allo
stesso tempo, senza sminuire il mal d’amore del suo personaggio,
riesce a far ridere il pubblico mettendo in evidenza i cliché che
drammaturgicamente vengono utilizzati per inscenare proprio il
medesimo male.
Il numero finale è costituito da
una canzone “God’s Country” che solo una persona eccessivamente
patriottica può apprezzare, considerando che il messaggio finale è
un inno all’America come solo paese dove “ognuno è dittatore solo
di se stesso”.
Il film, costato appena 600.000 $,
guadagnò solo negli Stati Uniti 2.000.000 $. Mickey Rooney fu
candidato all’Oscar per la sua interpretazione, e anche se non
vinse ebbe comunque il piacere di premiare Judy nello stesso anno,
quando ricevette la sua statuetta in miniatura per Il Mago
di Oz.
La coppia Mickey-Judy, dopo lo
sfolgorante successo di Babes in Arms, era ormai diventata una
risorsa nazionale.
Dopo un’altra incursione nel mondo
di Andy Hardy, Musica indiavolata (Strike
up the Band di Busby Berkeley), del 1940, è il secondo musical
della coppia, e anche se i due attori dividono il cartellone, il
film è in realtà lo show di Mickey. Tuttavia Freed e Roger Edens
scrissero appositamente per Judy per questo film “Our Love Affair”
e “I Ain’t Got Nobody” che Judy canta in una silenziosa biblioteca
dopo l’orario di chiusura. Quando Judy, con la sua voce profonda ed
emozionante, comincia a cantare sembra meno bambina di quanto non
sia ancora. C’è un suo numero, in questo film, “La Conga”, in cui
Judy eccelle particolarmente. Consiste in una ripresa continua che
dura cinque minuti, e che viene interrotta solo quando irrompono in
scena gli altri ballerini. Allora l’inquadratura si spezza in
molteplici angolazioni ed anche il ritmo cambia rompendo la magia
creata dalla sua voce. Il finale del film, ancora una volta con
forti accenti patriottici, è una climax con un’ultima inquadratura
che vede Judy e Mickey sovraimpressi alle quarantotto stelle della
bandiera americana.
Arrivò però il momento di cambiare,
e così Freed diede a Judy una pausa dal suo ciclo di film con
Mickey e preparò il suo passaggio da ruoli giovanili a personaggi
più maturi. Andando contro il parere di George M. Cohan, Freed fece
pressione affinché a Judy venisse affidato il ruolo principale in
Little Nellie Kelly, e una volta ottenuti i diritti dell’opera
teatrale, eliminò alcune canzoni originali per scriverne delle
altre. L’aggiunta più vistosa fu quella della famosissima “Singin’
in the Rain” di Freed-Brown. Judy interpreta un doppio ruolo: una
madre che muore dando alla luce una bambina, e la bambina stessa,
una volta cresciuta. Questa è anche l’unica volta in cui la Garland
muore in un film, e quindi il suo doppio personaggio ha quasi il
valore di un rientro in scena.
Anche se Judy non domina
perfettamente il suo film successivo, Le fanciulle delle follie
(Ziegfield Girl di Robert Z. Leonard) del 1941, il suo nome, nel
cartellone del film, viene messo prima di quello delle due sue
co-star più famose: Hedy Lamarr e Lana Turner. Il film prende
il titolo da una serie di spettacoli teatrali dei primi decenni del
secolo. Basandosi su spettacoli teatrali molto elaborati difficili
da trasporre al cinema, la trama del film si concentra sul ”dietro
le quinte” degli spettacoli stessi dove un trio di show-girls delle
follie cerca di risolvere i problemi legati alle loro performance.
Il personaggio di Judy, una ragazza che vuole entrare a far parte
delle follie, ha il suo accento drammatico nel rapporto con il
padre, anche lui artista di vaudeville, e i suoi momenti migliori
nelle sequenze cantate.
Nel 1941 Judy ritorna ancora al
fortunato personaggio di Betsy Booth, nella serie della famiglia
Hardy. Il film è La Vita Comincia per Andy Hardy (Life Begins for
Andy Hardy di George Brackett Seitz) e lei avrà solo un piccolo
ruolo nel film. Registrerà anche quattro canzoni, nessuna delle
quali verrà inserita nel montaggio finale. Questa è la sua ultima
volta per Andy Hardy.
Il terzo musical di Mickey e Judy
fu realizzato sempre nel 1941. I ragazzi di Broadway (Babes on
Broadway di Busby Berkeley) trasse beneficio dal collaudato
rapporto tra i due attori, ma soprattutto dall’affiatata squadra di
curatori delle musiche: Busky Berkeley, Arthur Freed e Roger Edens.
Anche la struttura del film è scandita da momenti chiave molto
simili, se non identici, rispetto a quelli di Babes in Arms, con il
risolutivo trionfo finale dei due interpreti.
Il film risulta gradevole, un show
giullaresco messo in scena da Berkeley con un discreto spirito di
immaginazione, ma ai fini delle nostre intenzioni, è importante
esclusivamente perché segna l’inizio della relazione professionale
tra Judy Garland e Vincente Minnelli. Freed
infatti, lo aveva prelevato dai palcoscenici di Hollywood, sperando
di coltivare a favore della Metro il talento del giovane regista.
Uno dei primi compiti che venne affidato a Vincente fu quello di
supervisionare alcuni dei numeri musicali della Garland.
La politica delle Major durante la
Seconda Guerra Mondiale era quella di promuovere le ragioni di
Stato in merito alla situazione bellica. La M.G.M. non si sottrasse
a questa regola, e così anche Judy, essendo l’attrice di punta
della casa produttrice, divenne un simbolo patriottico, che
sbandierava i valori delle patria e portava con sé il messaggio che
there’s no place like home (non c’è nessun posto come casa),
messaggio che si portava dietro dai tempi di The Wizard of
Oz.
For Me and My Gal del 1942 si
adatta al periodo bellico, tanto che si parla persino di un vincolo
di guerra per Judy, e per tutte le star sotto contratto con la
M.G.M.. Il sacrificio di Judy alla causa della guerra, da parte
della Metro, la costrinse a pianificare con cura ogni sua singola
ripresa, tant’è che quell’anno le sue apparizioni furono limitate
ad un cortometraggio a carattere documentaristico intitolato We
Must Have Music. Il film spiega il modo di lavorare del
dipartimento musical ed è costituito da un parsimonioso uso di
sequenze tagliate da Ziegfeld Girl. Probabilmente per una
confusione di intenti, For Me and My Gal appare come un film
piuttosto discontinuo; rappresenta il debutto al cinema di Gene
Kelly dopo i fasti di Broadway. Kelly era diventato famoso
oltre che per le sue eccezionali doti di ballerino, anche per il
suo personaggio di Pal Joey, che rielaborò rendendolo più
complesso: non più l’avventuriero senza scrupoli con tutte le
caratteristiche del vaudevillian, ma anche un uomo che cerca di
redimersi agli occhi del pubblico attraverso un autentico e
sofferto rimorso.
Il tempo della diegesi è da
ricondursi all’inizio della Prima Guerra Mondiale; ce ne accorgiamo
quando Judy, attraversando un treno da un vagone all’altro,
incrocia Kelly che legge un quotidiano con in prima pagina la
notizia dell’affondamento del Lusitania. Judy interpreta una
cantante e ballerina che lavora in coppia con George
Murphy, mentre Kelly è un egocentrico artista che compare sullo
stesso cartellone del duo artistico Hayden-Metcalf (appunto
Garland-Murphy). L’ostilità iniziale dei personaggi di Judy e Gene
si trasformerà ovviamente in un profondo feeling artistico che
spingerà il precedente partner di Judy a farsi da parte. Le vite
dei tre personaggi finiranno per riunirsi a Parigi, dove Judy
canterà canzoni della Prima Guerra Mondiale per allietare i soldati
mentre Kelly e Murphy, entrambi arruolati dall’esercito americano,
si scontreranno in un corridoio.
Il film diretto da Berkeley,
risulta terribilmente limitato. Oltre ad essere la vetrina
cinematografica di Kelly, For Me and My Gal è anche un tributo ad
un ‘american love’: lo spettacolo di Vaudeville. Il duetto “Ballin’
Jack” e l’assolo “After You’re Gone” furono incisi per la Decca e
diventarono hits .
Il 1943 comincia per Judy con
Presenting Lily Mars. Il progetto era stato pensato all’inizio dal
produttore Joe Pasternak come un ruolo drammatico per Lana Turner,
che venne poi modificato in un musical per Judy
Garland. Il personaggio di Judy è una giovane donna di
provincia che vuole avere successo nello show business.
Nello stesso anno, la produzione
mise in cantiere un nuovo film, Girl Crazy, dove veniva riproposta
ad un pubblico accondiscendente la coppia Rooney-Garland. In questo
caso, però, per divergenze produttive, a Berkeley venne affidata
solo la direzione dei numeri musicali, mentre la regia del film fu
curata da Norman Taurog. Questa sarà l’ultimo volta insieme per
Judy e Mickey. Il film nasce da uno spettacolo di Broadway del
1930, nel quale Ethel Merman interpreta la sensazionale canzone “I
Got Rhythm”. Il terzo film di Judy nel 1943 è Thousands Cheer, un
altro musical patriottico degli anni della guerra, ancora con Kelly
che interpreta un ex circense che non lavora per lo Zio Sam.
Il suo film successivo,
Incontriamoci a San Louis (Meet Me in Saint Louis; 1944),
costituisce una fase importantissima per la sua carriera,
segnando il suo passaggio definitivo a ruoli più maturi. Non solo a
livello artistico, ma anche a livello economico, il film segna un
importante tappa nella storia della Metro, e Judy, essendo la
principale fautrice di questa successo, ne trarrà giovamento non
solo per la sua carriera di attrice, ma anche per un miglioramento
ulteriore del suo status di star. A questo film ho dedicato il
primo approfondimento nella seconda parte.
Dopo lo zuccheroso lieto fine di
Meet Me in Saint Louis, Judy si cimenta, ancora diretta da
Minnelli, nel suo unico film drammatico interpretato per la Metro,
Ora di New York (The Clock; 1945). Questo fu anche per Minnelli il
primo confronto con il dramma, e questa volta fu proprio Judy a
volerlo come regista, chiedendo che venisse chiamato per
rimpiazzare Fred Zinnemann. I protagonisti sono Judy e Robert
Walker.
Una segreteria e un soldato in
licenza per 48 ore si scontrano alla Pennsylvania Station, si
piacciono e si innamorano, passano una notte e un giorno insieme e
si lasciano. Minnelli cerca di fare di New York un terzo
personaggio dando una caratterizzazione all’ambiente. I due attori
protagonisti offrono delle belle performance e si nota con piacere
che le caratteristiche di grande attrice bambina di Judy, sono
cresciute con lei. Il suo controllo perfetto di tutto il suo corpo
le permette di essere straordinaria non solo sul palcoscenico,
cantando e ballando in modo divino, ma anche in questa isolata
parte drammatica. Nello specifico del film, la scena della sua
colazione silenziosa è di grande tenerezza. Grande è la sua abilità
di sostenere la scena con il silenzio.
La sensibilità di Judy ne ha fatto
una attrice davvero particolare e proprio questo aspetto della sua
recitazione le ha permesso di ottenere, nel suo film successivo, Le
ragazze di Harvey (The Harvey Girls; 1946), un risultato davvero
affascinante. Si tratta di un western ambientato nel XIX secolo,
nel quale una serie di sub plot si intrecciano al filo conduttore
del film che è la storia d’amore tra Judy e John Hodiak. Proprio
questo sembra essere il difetto del film, che appare troppo
“occupato”, affollato di temi e personaggi da sembrare quasi un
film ad episodi. Il film vinse un Oscar per la miglior canzone: “On
the Atchinson, Topoeka and the Santa Fe”.
Il film successivo la vede ancora
collaborare con Minnelli, che aveva sposato nel 1945. Si tratta di
Ziegfeld Follies (1946), un film ed episodi in cui Judy interpreta
il segmento intitolato A Great Lady Has ‘An Interview. Il film è
composto da una dozzina di sequenze, tra comiche e musicali,
interpretate da un artista diverso. La maggior parte delle sequenze
musicali è diretta da Minnelli, mentre le altre vedono la
collaborazione di altri registi come George Sidney, Roy Le Ruth e
Robert Lewis. Lo stesso Minnelli ha scritto riguardo alla
difficoltà di portare avanti progetti di questo genere; si trattava
infatti di seguire i vari attori che avrebbero dovuto prendere
parte al film, e chiedere loro un po’ di tempo libero per
realizzare la sequenza che a loro spettava. Un lavoro poco
organico, quindi, difficile da organizzare e da realizzare più per
problemi legati alla disponibilità del cast artistico che alle
effettive difficoltà di resa del film.
La pellicola ebbe un enorme
successo, ostentava una ricchezza quasi eccessiva nelle sequenze
musicali, fortemente in contrasto con quelle comiche, che invece
apparivano come scarne e prive di scenografia, quasi si trattasse
di cattiva televisione. Per quel che riguarda Judy, questo piccolo
segmento, che potrebbe sembrare solo una stravagante
interpretazione di una grande artista, è in realtà molto di più.
Kay Thompson e Roger Edens scrissero del materiale appositamente
per lei, e mai come in questo caso, Judy si trovò ad interpretare
una parte che così palesemente poco le si addiceva. La sua Great
Lady parla ad una folla di giornalisti e fotografi dei suoi futuri
progetti, dice che deve essere sempre drammatica e mai apprezzata
per il suo corpo. Dietro la sua entrata fluttuante e il suo boa di
piume si nasconde un’aspra satira.
Ancora Minnelli la dirige in Nuvole
passeggere (Till the Clouds Roll By; 1946). La loro relazione
professionale fu davvero rara, una vera e propria collaborazione
che ha dato alla luce film davvero notevoli. In questo caso,
Minnelli si occupò esclusivamente dei due numeri musicali di Judy,
mentre il resto del film venne diretto da Richard Whorf. Il film è,
infatti, disomogeneo se si confrontano le sequenze dei numeri
curate da Minnelli rispetto al resto del film diretto da Whorf.
Essendo una biografia del compositore Kern, il film si basa
fondamentalmente su un medley di sue canzoni tenuto insieme da una
trama piuttosto esile. Jerome Kern morì poco prima che il film
entrasse in produzione, per questo si è pensato che fosse un
tributo alla sua memoria, ma non è questo il caso. Garland
interpreta Marilyn Miller, un’attrice di commedie musicali degli
anni ’20 e ’30.
Il pirata (The Pirate del 1948),
colorata e sfarzosa avventura esotica, sarà l’ultima collaborazione
di Judy e Vincente. Anche questo film è stato oggetto della mia
analisi, come conclusione del periodo durante il quale Judy ha
lavorato con Vincente Minnelli.
Ti amavo senza saperlo (Easter
Parade di Charles Walters 1948) ebbe un successo eccezionale.
Questo è l’unico film in cui due icone del cinema musicale come
Judy Garland e Fred Astaire recitano insieme. La
loro collaborazione fu il frutto di un caso; infatti i protagonisti
del film dovevano essere Gene Kelly e Cyd Charisse. Purtroppo
entrambi subirono degli infortuni durante la lavorazione e furono
sostituiti appunto da Judy e Fred. Il loro successo al box office
fu così folgorante che spinse Betty Comden e Adolph Green a
scrivere appositamente per loro The Barkley of Broadway.
I problemi di salute impedirono a
Judy di partecipare al film e al suo posto fu chiamata Ginger
Rogers. Il film si basa su una scommessa che il personaggio di
Astaire, Don Hewes, fa con Peter Lawford, poiché abbandonato dalla
sua partner Nadine, giura di riuscire a far diventare una semplice
corista di un nightclub una star. Ovviamente sceglierà a caso la
prima ragazza che vede esibirsi su un palcoscenico di questi
piccoli locali e ovviamente la prescelta è proprio Hannah Brown
(Garland). Nel suo tentativo di istruire Judy, Fred fa di tutto per
farle assomigliare alla sua precedente partner, e Judy, che invece
è molto diversa da Nadine, fa fatica ad adattarsi a vestiti ampi e
sfarzosi ed a movimenti pomposi caratteristici del personaggio di
Nadine (Ann Miller).
In una delle loro prime
partecipazioni ad uno spettacolo, lei vestita elegantemente in un
abito lungo e azzurro, risulta impacciata e va avanti a ballare con
una ridicola espressione attonita, portata avanti solo da un
eroico, quanto stoico Don. Molto divertente è anche la scena in cui
Don vuole testare il sex appeal di Hannah, quando le chiede di
camminare da sola e di fare in modo che gli uomini si voltino a
guardarla. La mdp posizionata dietro ad Astaire mostra i passanti
che si voltano a guardare Hannah/Judy. Quando poi l’inquadratura
mostra l’attrice in viso, si capisce che gli uomini si voltano, non
perché lei sia particolarmente affascinante, come succedeva con
Nadine all’inizio del film, ma perché Hannah fa delle smorfie
davvero ridicole che incuriosiscono (più che affascinare) i
passanti.
La scena per cui il film è rimasto
famoso è il numero “Couple of Swells”. La canzone e i costumi
furono poi introdotti da Judy in molti dei suoi spettacoli a
teatro.
Merita una nota anche
l’interpretazione di Ann Miller nel ruolo di Nadine, che proprio
grazie a Easter Parade ha collezionato il suo numero più richiesto
e famoso: “Shakin a Blues Away”.
Probabilmente come un cattivo
presagio, questo è il primo film nel quale si cominciano a vedere
improvvisi cambiamenti nel peso di Judy. Infatti mentre in tutto il
film appare in forma, nel numero “Alabam’” è visibilmente più in
carne.
Questo è il più piccolo di molti
altri problemi sui quali ormai Judy non riesce più ad esercitare il
suo controllo.
The Barkley of Broadway, che doveva
rappresentare la seconda collaborazione di Judy con Fred Astaire,
diviene invece l’ultimo film della coppia Astaire-Rogers, e il
primo di una lunga serie di film ai quali Judy deve rinunciare, o
per i suoi problemi di salute, o perché, pur avendo cominciato le
riprese, è incapace di portarle a termine.
Nel 1948 Judy prende parte a Words
and Music, per il quale gira una piccola scena da special guest,
dove interpreta se stessa. Tuttavia è comunque per lei una
soddisfazione, considerando il suo fallimento nella realizzazione
della precedente pellicola. Ma questo film è anche l’inizio della
fine per lei alla Metro, e una delle sue ultime interpretazioni per
la casa produttrice. Anche se il suo partner in Words and Music è
Rooney, il loro feeling non funziona più come ai tempi di Babies in
Arms. Judy è cresciuta, e la recitazione scanzonata di Rooney, che
tanto si addiceva alla sua fisicità minuta e che tanto piaceva alla
generazione di adolescenti americani, non è più credibile in un
attore di ventisei anni. I numeri di Judy sono due: un duetto con
Mickey e un assolo. Appare molto stanca in viso, ma i suoi modi
sono rilassati e la sua voce sempre splendida. Questo è l’ultimo
film in cui Mickey e Judy appaiono insieme.
Dopo una breve pausa, ritorna ad un
lavoro vero e proprio, Fidanzati sconosciuti (In the Good Old
Summertime di Robert Z. Leonard; 1949), un remake di un altro film
della Metro del ’40 The Shop Around the Corner. Dopo l’immenso
successo di Meet Me in Saint Louis, Judy torna in un film in
costume, ed anche la melodia iniziale del film ricorda vagamente le
note di Saint Louis. I cambiamenti sostanziali rispetto
all’originale del 1940 sono pochi; l’azione viene spostata da
Budapest alla Chicago di inizio secolo e il negozio del titolo
viene trasformato in un negozio di musica. Inoltre la trama viene
complicata introducendo personaggi secondari. Il film ha un
discreto successo, dovuto più alla presenza di Judy nel cast che a
particolari qualità specifiche. Lei interpreta una commessa di un
negozio di musica, insieme a Van Johnson. Le parti cantate stentano
ad avere un vero e proprio posto nel film, tanto che per quattro
volte all’interno della pellicola, Judy sembra cominciare a cantare
senza soluzione di continuità con il resto della storia. Questa sua
interpretazione testimonia il fatto che, nonostante la sua grande
sensibilità da attrice, Judy fosse fondamentalmente una grandissima
cantante.
Il film è certamente gradevole, ma
c’è poco del marchio distintivo dei precedenti musical
di Judy Garland. Da sottolineare nel film la
presenza di Buster Keaton in un ruolo minore.
Questo film fu realizzato mentre si
aspettava il via alla produzione di Annie Get Your Gun. Per questa
pellicola, Judy Garland aveva già registrato
le canzoni, e quando nell’aprile del 1949 cominciarono le riprese,
lei doveva solo registrare le scena recitate. Tuttavia, da
dichiarazioni solo di recente rese pubbliche, Judy
Garland sul set appariva affaticata, in alcune riprese
addirittura totalmente disorientata. È comprensibile quindi il
fatto che un giorno, dopo una pausa pranzo, Judy non fu in grado di
ritornare sul set, ottenendo un periodo di riposo dalla M.G.M..
Judy si ricoverò al Peter Bent Brigham Hospital presso il quale
rimase per undici settimane. Il film fu completato da Betty Hutton,
un’attrice della Paramount. Fortunatamente per la Metro, il film
divenne un incredibile successo, anche senza Judy.
Ancora a riposo, quando arrivò la
possibilità di recitare in L’allegra fattoria (Summer Stock di
Charles Walters 1950) per Joe Pasternak, Judy lasciò prematuramente
l’ospedale per prendere parte alla realizzazione della pellicola.
Durante la sua pausa, Judy era ingrassata visibilmente.
In Summer Stock, Judy
Garland torna ai tempi di Babies in Arms mettendo su uno
spettacolo in una fattoria. Il suo ultimo film alla Metro non è
eccezionale, ma è godibile. Malgrado i suoi collassi nervosi, Judy
è di nuovo lei, ancora eccezionale regina della scena.
Le riprese di Summer Stock andarono
avanti per sei mesi, Judy si presentava tardi sul set, o non si
presentava affatto. Alla fine delle riprese, Pasternak decise che
per la scena della festa nell’aia della fattoria era necessaria un
altro numero. Judy registrò più magra di quasi sette chili il
numero “Get Happy”, e il drastico cambiamento di peso in così poco
tempo diede adito a delle voci riguardo al fatto che quel numero
fosse già stato registrato per un precedente film e poi usato
successivamente. Era infatti shockante per gli spettatori vedere
per tutta la durata del film una Judy ingrassata e diversa da
quella che erano abituati a conoscere, e poi alla fine del film,
rivederla come all’inizio della sua carriera.
Ebbe un’altra opportunità di
lavorare ancora con Fred Astaire. Fu chiamata per sostituire June
Allyson in Royal Wedding, ma le sue assenze sul set spinsero la
M.G.M. a rimpiazzarla con Jane Powell.
Senza dubbio la sua salute, mentale
e fisica, si stava deteriorando e il suo matrimonio con Minnelli
era allo stadio finale. Judy tentò il suicidio cercando di
tagliarsi le vene dei polsi. Non riuscì a togliersi la vita a causa
delle ferite poco profonde, ma fu chiaro ormai a tutti che il
‘caso’ Judy Garland era diventato davvero grave. A
seguito del suo tentato suicidio, la Metro la svincolò dal
contratto, ufficialmente per il suo bene, e per la prima volta in
tutta la sua giovane vita, Judy si ritrovò senza un lavoro. Lasciò
la sua casa, nella quale viveva con Vincente, e si trasferì al
Beverly Hills Hotel con la figlia Liza. Madre e figlia partirono
per New York.
Nella Grande Mela scoprì che non
c’era lavoro per lei, la notizia del suo tentato suicidio e il suo
comportamento poco professionale sul set contribuirono a non farle
avere ingaggi. A lei vennero attribuiti i costi elevatissimi di
produzione dagli Studios che la ritraevano come una diva
capricciosa e poco affidabile.
Judy, per la prima volta, si trovò
a dipendere solo da se stessa e non aveva più nessuno che la
supervisionava dall’alto. Aveva recitato in ventinove film ed aveva
apposto la sua firma su dozzine di canzoni. Ora la sua carriera
cinematografica sembrava virtualmente finita. Il 10 giugno del
1950, esattamente una settimana prima della sua definitiva rottura
con la Metro Goldwyn Meyer, celebrò il suo ventottesimo
compleanno.
Durante il suo periodo di riposo,
Judy conosce Sid Luft, ex pilota, ex produttore e agente teatrale
ed ex marito di Lynn Bari. Diventò l’agente personale di Judy e,
nel 1952 il suo terzo marito. Fu proprio da questa unione, ancora
una volta per Judy professionale e sentimentale, che nacque l’idea
di un tour europeo che si protrasse per tre mesi e che cominciò al
London Palladium. Per il numero finale di questo primo spettacolo,
Judy indossò lo stesso costume che aveva indossato in Easter Parade
quando con Fred Astaire si esibì in “A Couple of Swells”, e seduta
al bordo del palcoscenico cantò “Over the Rainbow”, tra il delirio
degli spettatori.
Gli echi dei suoi successi europei
spinsero Sol Schwartz, presidente della RKO, a chiederle di
replicare i concerti al leggendario Palace Theatre di New York, che
aveva smesso di essere palcoscenico da vaudeville dal 1932. Per il
ritorno di Judy, l’edificio venne ristrutturato e riportato allo
splendore originario da Edward F. Albee.
Judy era rimasta a lungo in un
angolo, e il momento per il suo ritorno era psicologicamente quello
giusto.
Sid Luft curò nei minimi dettagli
tutta la produzione dello show. Tutto il personale della M.G.M. che
aveva lavorato in passato con lei venne richiamato per allestire lo
spettacolo al meglio. Charles Walter, regista di Summer Stock e
Easter Parade, la diresse sulla scena; Irene Sharaff disegnò i suoi
costumi, e Hugh Martin, compositore di “The Trolley Song”,
l’accompagnò al pianoforte. Molte delle canzoni in programma erano
parti delle colonne sonore dei molti film che aveva realizzato per
la Metro, inoltre, il pubblico, a conoscenza della sua tormentata
vita privata, le fu particolarmente d’aiuto.
La notte del 16 ottobre del 1951,
per la prima di Judy al Palace venne srotolato il tappeto rosso. Un
grande cartellone vecchio stile riportava il programma della
serata: la seconda metà era tutta per Judy. Il suo arrivo sul palco
venne accolto da un’ovazione, e la sua performance fu intensa così
come se l’aspettavano i numerosi spettatori. Precedentemente
pensato per delle repliche di quattro settimane, lo spettacolo
venne messo in cartellone per il doppio del tempo.
Durante la domenica mattina della
quarta settimana di repliche, Judy non si presentò sul palco, e
Vivian Blaine e Jan Murray mandano avanti lo spettacolo. La
temporanea assenza dal palcoscenico del Palace causò una nuova
ovazione quando Judy ritornò in scena. A fine spettacolo, dopo il
bis, il pubblico si rifiutò di andar via poiché non era ancora
stanco di lei, della sua voce, delle sue interpretazioni
magnetiche. Judy lasciò il palco in lacrime di gioia.
Jack L. Warner dichiarò che fu lui
a proprorre il remake di E’ nata una stella (A star is born di
George Cukor; 1954) alla Garland. In realtà, molti produttori erano
interessati al progetto, già prima che Luft avesse contattato la
Warner per proporre una coproduzione. A Star is Born del 1937 era
un film già molto prestigioso che collezionò sei nomination
all’Oscar e che fruttò molti riconoscimenti al regista, William
Wellman, e agli attori protagonisti, Janet Gaynor e Fredric March.
Anche questa sceneggiatura era stata tratta da un piccolo film
precedente, What Price Hollywood? del 1932, diretto sempre da
George Cukor. Proprio per Judy venne riscritta la parte della
protagonista Esther Blodgett, che diviene una star del cinema sotto
il nome di Vicki Lester, solo per perdere suo marito, la vecchia
gloria del cinema Norman Maine che cade nel baratro
dell’alcoolismo, interpretato da James Mason. Il film
necessitò di un periodo di riprese pari a circa dieci mesi, e
questa volta i ritardi non furono attribuibili a Judy. Infatti la
produzione decise di girare in CinemaScope, e questo rese più
complessa la realizzazione del film.
Judy Garland fece il suo
ritorno al cinema in grande stile.
In questa riscrittura
dall’originale, la protagonista è una cantante con una piccola
band. Norman Maine invece è un attore di Hollywood alle prese con
problemi di alcolismo. Una giorno sente cantare Esther in un club e
riconosce in lei “quel qualcosa in più” che secondo la divina Ellen
Terry caratterizzava un vero artista. La porta all’attenzione di
Oliver Niles, interpretato da Charles Bickford, che la provina.
Così comincia la carriera di Vicki Lester, questo il nome d’arte
che lo studio decide per la stella nascente. La carriera di Vicki
assume un andamento inversamente proporzionale a quella di Norman
che cade nell’alcolismo e nella depressione e alla fine si toglie
la vita annegandosi.
Il ruolo di Vicki Lester non
aggiunge nulla che non si sapesse già delle doti interpretative di
Judy, tuttavia questa resta senza dubbio la sua migliore
interpretazione perché è la più completa e la più complessa.
Il film offre anche a Judy una
nuova splendida canzone: ”The Man That Got Away”. Ci troviamo in un
momento cruciale del film, è qui che Norman si accorge delle
qualità di Esther. Se il numero non avesse funzionato, tutto il
film sarebbe stato in un certo senso mutilato. Il numero è
perfetto. È probabilmente il numero musicale di maggior successo
dell’intera carriera di Judy. La canzone è particolare, così come
la sua interprete, e Judy la canta in maniera sublime,
sottolineando ogni nota emozionale, senza mai forzare nessuna
battuta. E quando la canzone finisce, il suo sospiro di
soddisfazione per una canzone ben eseguita aggiunge il giusto tocco
di realtà alla scena.
Il film risulta migliore nella
seconda parte, quando scopriamo le grandi qualità di Esther e la
seguiamo nella sua scalata ad Hollywood.
Come Esther e Norman, Judy e James
sono superbi, la vera forza del film sta nella loro interpretazione
di coppia. Dimostrano uno straordinario feeling, Judy non aveva mai
avuto un partner maschile così adatto a recitare al suo fianco.
Quando A Star is Born esce al
cinema, nel settembre del 1954, i critici si soffermano, incantati,
sulla performance di Judy, dandole il bentornato nel regno delle
stelle del cinema. Fu nominata all’Oscar come migliore attrice
protagonista (unica volta nella sua vita), ma il premio andò a
Grace Kelly per The Country Girl.
Purtroppo ci è impossibile vedere
la versione originale di questo film. Infatti dopo il montaggio
finale il film durava 182 minuti, troppi per la proiezione al
cinema. Così la casa di distribuzione, la Warner Bros, si curò di
far tagliare 26 minuti dalla versione originale, che andò
persa irrimediabilmente. Probabilmente furono tagliate alcune scene
della parte iniziale che mostrano l’evoluzione del rapporto tra
Esther e Norman.
La casa di produzione di Luft, che
aveva fondato insieme a Judy, non produsse più alcun film insieme
alla Warner dopo A Star is Born. Infatti la Garland sparì di nuovo
dal grande schermo, per poi ritornarci nel 1961, quando ebbe un
nuovo breve periodo di visibilità. Gli anni ’50 furono un periodo
di relativa quiete, debuttò in televisione nel 1955 con lo show
“The Ford Star Jubilee”. L’anno successivo debutta al Las Vegas’
New Frontier Hotel.
Nel 1956 Judy ritornò al Palace per
uno spettacolo con cinque settimane di repliche, ma una laringite
la costrinse a saltare parecchie date.
In questo stesso periodo però ebbe
anche problemi finanziari e coniugali, c’erano infatti frequenti
liti in casa Luft che sfoceranno nella separazione agli inizi degli
anni ’60.
Nel 1959 si esibì per una settimana
al Metropolitan Opera House di New York. In quel periodo il suo
aspetto era molto peggiorato, era sovrappeso e molto affaticata.
Non fu una sorpresa quando di li a poco, si sarebbe dovuta
ricoverare a causa di un’epatite per una degenza di cinque mesi.
Poi trascorse quattro mesi di riposo nella sua casa a Beverly
Hills, e successivamente, con i tre figli e Sid, partì per Londra,
dove visse l’anno più tranquillo della sua vita.
Alla fine del 1960 Judy si sentì
pronta per ritornare. Il 28 agosto di quell’anno si esibì ancora al
Palladium e cantò 30 canzoni ad una folla di più di duemila
persone. Questo concerto fu seguito da un tour per le provincie
inglesi e da due date a Parigi, al Palais de Chaillot Theatre.
Al suo ritorno a Londra, un altro
uomo si affacciò nella sua vita, Freddie Fields, che aveva fatto
parte della Music Corporation of America, ed ora lavorava in
proprio come agente musicale, circondandosi di una stretta e
selezionata cerchia di clienti. Judy Garland
divenne una di questi. Con Fields, la sua carriera ebbe una breve
rinascita. Fu lui infatti a procurarle un piccolo ruolo in un film
di Stanley Kramer, Vincitori e vinti (Judgment at Nuremberg; 1961),
il suo primo film dal 1954. Ma con ancora maggior successo Fields
le organizzò un tour per sedici città compresa New York, dove si
esibì alla Carnegie Hall. Proprio questo concerto newyorkese del 23
aprile 1961 divenne storico. Judy cantò ventisei canzoni ad una
platea entusiasta, e i due dischi registrati quella sera conservano
non solo l’intero concerto, ma anche l’incredibile atmosfera che
quella sera si respirava nell’aria. Judy era capace di instaurare
un rapporto speciale con gli spettatori, e quella sera si creò
un’alchimia tra pubblico ed interprete tale da innalzare la stessa
Judy allo stadio non più di Star, ma di leggenda. I dischi
registrati schizzarono in cima alle classifiche degli album più
venduti, e in qualunque città si recasse con la sua voce, replicava
quel successo.
Nel film di Kramer, che sigla il
suo ritorno al cinema, interpreta una tedesca testimone al famoso
processo di Norimberga. L’idea parte da una produzione televisiva
che Abby Mann adattò per il grande schermo, ed il film vanta un
cast straordinario: Spencer Tracy, Burt Lancaster, Richard Widmark,
Marlene Dietrich e Maximilian Schell. Oltre ovviamente a
Judy Garland e Montgomery Clift, ai quali vennero
affidati piccoli ma importanti ruoli. Come si evince anche dal
titolo originale, il film è incentrato sul processo del 1948 che
subirono i generali tedeschi a causa del loro supporto ad Hitler.
Judy è una tedesca imprigionata per aver avuto una relazione con un
uomo di origini ebraiche. Per la sua interpretazione l’Academy
decise di nominarla all’Oscar come migliore attrice non
protagonista.
Il suo lavoro successivo la vide
protagonista di un cartoon come doppiatrice di una gattina in Gay
Purr-re(1962). Judy si occupò sia delle canzoni che del doppiaggio
del personaggio.
Nel 1963 invece venne diretta da
John Cassavetes in Gli esclusi (A Child is Waiting). Il film,
prodotto da Stanley Kramer, era tratto ancora da un lavoro
televisivo di Abby Mann che si occupò ancora della sceneggiatura.
Partner di Judy fu di nuovo Burt Lancaster. Il suo personaggio è
una donna, Jean Hansen, che entra a far parte dello staff di una
scuola per bambini con ritardo mentale. Jean Hansen è convinta che
una sorta di rivincita, di successo, è possibile anche per quei
bambini. Judy interpreta bene un ruolo a dire il vero non molto
complesso. La sua Jean Hansen si prodigherà per uno dei suoi
allievi in particolare, un bambino più problematico degli altri che
non riceve mai alcuna visita dai genitori. Queste sue attenzioni
particolari verso il bambino le procureranno dei problemi con Dr.
Clark (Lancaster). Per tutto il film, il suo ruolo è quello di
osservatrice che non riesce a fare nulla di concreto per aiutare i
bambini. Anche il suo aspetto risulta peggiorato, appare sovrappeso
e il make-up non riesce a nascondere un volto rovinato dalla sua
cattiva salute.
Ombre sul palcoscenico (I Could Go
On Singing di Ronald Neame;1963) è il suo ultimo film. Ci sono
elementi autobiografici, poiché si tratta della tormentata storia
di una cantante di fama mondiale impegnata con un tour che
interessa sei nazioni europee, ed in più ha dei problemi con un
marito e con il suo unico figlio. La sua ultima canzone del film è
quella che da il titolo alla pellicola “I Could Go On Singing” ed
in sé racchiude quasi l’essenza di Judy, di una donna che solo
cantando riusciva ad amarsi e ad essere amata.
L’anno successivo, Judy
Garland viene ingaggiata dalla CBS per
una serie televisiva. Vennero registrati sequenze per
ventisei ore, materiale sufficiente per diverse puntate, e proprio
Judy insistette affinché nel primo episodio fosse presente anche
Mickey Rooney. Tuttavia lo show non ebbe successo,
anche a causa di un altro programma molto amato dagli spettatori,
una serie western intitolata Bonanza, che andava in onda negli
stessi orari.
Dopo il fallimento di quest’ultimo
progetto, Judy partì per un tour in Australia dove però non venne
apprezzata, e dopo 45 minuti di spettacolo fu costretta ad
abbandonare il palcoscenico. Nel 1965 invece, al Palladium di
Londra, sostenne un concerto con la figlia Liza, che segnò il tutto
esaurito, spingendo i fan a chiedere una replica che ugualmente
registrò la fine dei biglietti in vendita in pochissimo tempo.
Judy Garland: la morte
Negli ultimi anni della sua
vita, Judy Garland si sposò due volte con due
uomini molto più giovani di lei. Il primo fu Mark Herron, un
giovane attore. Poi fu la volta di Mickey Deans, che era con lei
quando morì. Quando Judy Garland invitò Liza
al suo quinto matrimonio, la ragazza rispose che non ci sarebbe
potuta essere, ma che sicuramente ci sarebbe stata per il
matrimonio successivo.
Judy Garland
trascorse gli ultimi mesi della sua vita a Londra con Deans,
tenendo qualche sporadico concerto nel Continente. La sua ultima
apparizione in concerto fu a Copenhagen. Ma il suo aspetto era
davvero dei peggiori in quel periodo, troppo magra e molto fragile.
Il 22 giugno del 1969, Mickey Deans la trovò morta in bagno.
L’autopsia dichiarò che la causa della morte era stata una overdose
accidentale di sonniferi. Aveva 46 anni.