Sucker Punch uscirà in Italia il 25 Marzo e si presenta come un film ad altissimo impatto visivo. E’ un fantasy d’azione diretto da Zack Snyder, il regista di Watchmen, controverso e poco noto fumetto di Alan Moore, e del più celebre adattamento della graphic novel 300, un film che sulla potenza dell’immagini e poco altro ha fondato il suo fascino, estetizzante fino all’eccesso.
La storia di Sucker Punch è fatta di mondi immaginari incastonati dentro altri mondi immaginari ma la struttura è talmente schematica da sembrare solo il pallido riflesso di esempi notevoli come quelli offerti da Lynch o Nolan. Babydoll (Emily Browning) è l’alter ego immaginario di una ragazza rinchiusa ingiustamente in un manicomio criminale. Lei, nella sua realtà trasfigurata, è prigioniera in un bordello. Qui convince altre quattro ragazze (Rocket, Blondie, Amber, Sweet Pea) a unire le forze per fuggire. Le sue armi sono la fantasia e la determinazione. Il piano che ordisce è scandito da quattro prove da superare. Lo spettatore non le vedrà direttamente ma solo attraverso le trasfigurazioni della sua immaginazione.
Arti marziali, mondi fantastici e onirici, un gruppo di giovani eroine sexy, sono gli ingredienti su cui si fonda Sucker Punch. La storia, scritta dallo stesso Snyder insieme a Steve Shibuya, sembrerebbe molto invitante per chi ama un cinema d’intrattenimento ricco d’azione e tecnicamente di alto livello. Le scenografie hanno la firma del premio Oscar Rick Carter (Avatar) mentre direttore della fotografia (Larry Fong), costumista (Michael Wilkinson) e montatore (William Hoy) sono gli stessi che con Snyder hanno lavorato proprio in Watchmen e 300.
Sucker Punch, il film
Sucker Punch invece, nonostante il tripudio di scene d’azione, i virtuosismi della regia e gli effetti speciali, finisce col dimostrare come un immenso talento tecnico fine a se stesso non può bastare a coinvolgere e appassionare lo spettatore. La storia è banale e prevedibile e sfiora momenti di eccessivo infantilismo. Snyder eccede in stilemi da videogame e videoclip, con utilizzo di cover musicali scontatamente allusive come Sweet Dream e White Rabbit. E dire che spesso, quando l’aspetto narrativo ha più respiro, Snyder riesce a creare atmosfere intese, come nelle primissime scene, dove l’utilizzo di immagini e musica è usato in modo efficace per raccontare le violenze subite dalla protagonista.
Il cast offre una prova nel complesso positiva. Del resto le sexy eroine e i cattivi di contorno non hanno tratti particolarmente psicologizzati. Emily Browning (The Uninvited) è adatta nella parte di Babydoll. La sua costituzione minuta ed esile viene sfruttata dalla regia: gli ambienti e le figure umane che la sovrastano la mostrano inerme e fragile. Abbie Cornish (Elizabeth: The Golden Age; Un Ottima annata e, ad Aprile, nelle sale con De Niro in Limitless) interpreta Sweet Pea, Jamie Chung (Una notte da leoni 2 e prossimamente Premium Rush di David Koech ) è Amber, Vanessa Hudgens (Thirteen; High School Musical 2 e 3) ha il ruolo di Blondie e Jena Malone invece è Rocket. Dignitosa Carla Gugino (Sin City ; Watchmen) nella parte di Vera Gorski mentre Oscar Isaac (Robin hood; Agorà) risulta poco incisivo nel ruolo di Blu Jones, il cattivo subdolo e collerico. Immaturo e noioso, Sucker Punch ( letteralmente “pugno del fesso” ) non sembra il migliore dei colpi che Zack Snyder potesse sferrare.









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Nella mia mente
Un barbiere ebreo partecipa alla Prima Guerra Mondiale, dove ha un incidente aereo e perde la memoria. Viene così rinchiuso in un ospedale per vent’anni, dove non viene a conoscenza di nulla, nemmeno del fatto che nel suo Paese, la Tomania, si è instaurata una dittatura per opera di Adenoid Hynkel, il quale tra le tante atrocità, perseguita gli ebrei. Il barbiere conosce Annah, donna tenace dai tanti sogni e desideri. Ma i tempi in cui vivono sono difficili e il loro quartiere è sovente preso di mira dalle autorità. Il barbiere e il dittatore vivono due vite parallele, col primo che patisce le decisioni del secondo. Ma accadrà qualcosa di imprevedibile, che in qualche modo cambia le sorti del barbiere e forse dell’umanità intera. Almeno nel film.
D’altronde si parla sempre di un periodo tragico e Chaplin lo sa bene. Gli unici riferimenti non diretti nei confronti della Germania nazista, forse per non calcar troppo la mano contro il regime, sono i nomi dei personaggi (comunque facilmente riconducibili), i simboli della “doppia X” al posto della svastica nazista, e l’uso di parole di fantasia nelle iscrizioni del ghetto ebraico (come la parola “Restauraciz” per ristorante) oppure in esperanto, seppur a volte sgrammaticato (come “Ĉambroj” o “Vestaĵoj”, in esperanto ispettivamente “Camere” e “Vestiti”).








