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Programma ufficiale

Programma ufficiale

Film d’apertura:

Up, di Pete Docter

Concorso:

Los abrazos rotos, di Pedro Almodovar

Fish Tank,  di Andrea Arnold

Un Prophète, di Jacques Audiard

Shrek: recensione della trilogia

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Shrek: recensione della trilogia

La recensione di Shrek la trilogia diretta da Andrew Adamson & Vicky Jenso, Conrad Vernon, Raman Hui e Chris Miller.

Sinossi: La quiete di un orco di nome Shrek viene sconvolta dall’invasione della sua palude di numerosi personaggi delle fiabe sfrattati dal perfido Lord Farquaad. In cambio della sua palude, Shrek promette a Lord Farquaad di salvare la sua promessa sposa, la principessa Fiona, prigioniera in un castello, tana di un terribile drago. A dargli manforte nella missione è Ciuchino, un asino parlante, loquace tanto da farsi odiare da tutti, ma tanto da far innamorare di sé la draghessa carceraria.

Quando i nostri eroi riescono finalmente a salvare la ragazza e portarla al loro Signore, l’amore fa breccia nel cuore del mostro e anche la bella di lui s’innamora. Il finale non risulta per niente in linea con le classiche fiabe, poiché la bella in brutta si trasforma, “e vissero per sempre mostri e contenti”. Dal primo capitolo si passa ai successivi nei quali Shrek deve fare i conti prima con i suoceri e con un’ostinata Fata Madrina, poi, nel terzo capitolo, imparare addirittura a diventare papà e ad accettare la sua vita casalinga.

Shrek: La Trilogia

Analisi: Shrek è una saga cinematografica d’animazione prodotta dalla Dreamworks Animation basata sul libro Shrek! di William Steig.

Shrek, prodotto e distribuito da DreamWorks si pone come alternativa ai classici Disney, riprendendoli e dissacrandone i principi di kalòs kaì agatòs ai quali i bambini di tutti i tempi sono stati abituati. Questa volta infatti i buoni non sono né belli né gradevoli, essendo capitanati appunto da Shrek, un orco verde e scontroso senza alcun ritegno e senza buone maniere. All’orco (questa volta non cattivo) si affiancano dal primo film Ciuchino, petulante ed irritante quanto divertentissimo asinello, e Fiona, principessa maledetta da un sortilegio che si sciogli nel meno favoloso dei modi: destinata ad avere ‘la forma dell’amore’, scoprirà, alla fine del primo capitolo, che la sua ‘forma’ è quella di orchessa grossa e sgraziata, e non quella di snella principessa delle favole.

Shrek film

Shrek 2 invece vede i due orchi alle prese con la famiglia di lei, immaginate un po’ che sorpresa per due sovrani perfetti vedere la propria figlia sposata ad un orco! E se di morale si può parlare, nel secondo film questa è sicuramente quella di essere fedeli a se stessi, qualunque sia la propria apparenza, purché si stia dalla parte del bene. Infondo, oltre a dissacrare la tradizione, Shrek non si spinge più tanto oltre dopo il finale a sorpresa del primo film, facendo trionfare ugualmente l’amore tra i due protagonisti.

Come è quasi ‘classico’ i cattivi sono sicuramente i personaggi più interessanti, a partire dal ‘normale’ Lord Farquaard, al bel Azzurro (Principe) e a sua madre, infida e spietata Fata Madrina.

New Entry notevole nel secondo capitolo è Gatto con gli Stivali, divertentissima versione animata del famoso personaggi delle favole che intenerisce e diverte allo stesso tempo. A lui sarà dedicato uno spin-off che racconterà probabilmente le sue avventure prima di conoscere Shrek. Ma non soo, numerosissimi i personaggi delle favole, sia trai buoni che trai cattivi: i tre porcellini, il lupo di Cappuccetto rosso, Pinocchio Robin Hood, Peter Pan e tanti altri che hanno anche solo una piccola particina o sono una comparsa…

Come tutte le saghe di successo però si tende, qualche volta, a strafare, così anche per il nostro amico verde il terzo capitolo, pur non rappresentando una delusione economica, è sicuramente un fiasco dal punto di vista della qualità. Sparati tutti i colpi brillanti, la storia si affolla di personaggi in esubero, dagli alberi parlanti, alle Principesse scatenate, fino ai piccoli e chiassosi pargoletti verdi e al piccolo Re Artù che va nientemeno che al college. Troppe idee per un solo film e troppi personaggi per una storia che, come ha dimostrato il primo capitolo, si fa molto meglio con meno, data la qualità dell’idea iniziale. Da un punto di vista tecnico, il valore del film aumenta con il procedere degli episodi, e l’animazione diventa sempre migliore, soprattutto nei dettagli, come il pelo di Ciuchino e le espressioni dei personaggi.

Shrek è stato il primo film d’animazione a vincere l’Oscar in questa categoria per il 2002, anno in cui è stato istituito il premio.
Curiosità: Il film si basa sulla parodia di numerosi classici Disney, mentre il volto del cattivo Lord Farquaad assomiglia a quella dell’amministratore delegato della Walt Disney Company Michael Eisner, che licenziò Jeffrey Katzenberg, uno dei tre fondatori e amministratore delegato della DreamWorks, dall’azienda di Topolino nel 1994.

Il grande successo ottenuto nel 2001 dal film ha lanciato la DreamWorks come la prima rivale della Disney (in particolare della Pixar, ad essa legata) nel campo dell’animazione, in particolare in quello dell’animazione al computer.

La colonna sonora del film include pezzi degli Smash Mouth, Eels, The Proclaimers, Jason Wade e Rufus Wainwright.  All’inizio del film, nella scena in cui si celebrano le nozze tra Shrek e Fiona, si vede un fabbro che forgia la Fede Nuziale, questa scena è un chiaro riferimento alla Trilogia Il Signore degli Anelli. La scritta “Far far away” (cioè “Molto molto lontano”) sulla collina antistante al palazzo richiama Hollywood.

La Fata Madrina, durante il primo dialogo con il re, fa fermare la carrozza per prendere del cibo ad un fast-food simile al McDrive
Nella scena in cui la fata madrina canta insieme a Fiona nel castello reale si nota chiaramente in uno specchio, l’immagine di Carlo di Inghilterra.

All’inizio del film, durante la rappresentazione del Principe Azzurro, il rumore dello zoccolio del cavallo al galoppo viene simulato dallo sbattere tra loro di due metà di noce di cocco, chiara citazione del film dei Monty Python: Monty Python e il Sacro Graal.

La scena in cui Shrek e Fiona vengono “tirati a lucido” ricorda il film dei fratelli Farrelly Scemo e più scemo (il taglio delle unghie di Shrek). Mago Merlino appare a Shrek sotto forma di ologramma esattamente come il “profeta” che risponde alle domande del piccolo bambino-robot nel film A.I. – Intelligenza Artificiale di Steven Spielberg, interpretato da Jude Law e Haley Joel Osment.

Nel 2009 è entrato in cantiere la produzione di un capitolo numero 4, anche se la DreamWorks non ne ha ancora annunciato l’uscita.

Premiati della 66 esima edizione


Saranno assegnati durante la cerimonia che inizierà intorno alle 19:00 dalla Giuria presieduta da Ang Lee il Leone d’Oro del miglior Film e gli altri Premi della 66ma Mostra di Arte Cinematografica. Questo l’elenco dei premi che sarà aggiornato con i nomi dei vincitori dai nostri inviati al Festival.


Applausi per A single man


Amore e morte in una storia gay nell’esordio alla regia dello stilista Tom Ford, oggi in concorso alla Mostra del cinema di Venezia. Alla prima proiezione stampa di questa mattina ‘A single man’ e’ stato accolto con applausi, ma anche qualche dissenso. Il film, tratto dal romanzo di Christopher Isherwood e ambientato negli anni ’60, racconta l’elaborazione del lutto di un professore universitario (interpretato da Colin Firth) che perde in un incidente d’auto il compagno di vita.

Clooney e tante star al lido

Dopo il presidente venezuelano Hugo Chavez, anche l’attore americano George Clooney e’ arrivato al Lido di Venezia in elicottero. Con lui c’era la fidanzata Elisabetta Canalis. I due sono scesi mano nella mano. Certa a questo punto la presenza anche della showgirl italiana alla festa di domani sera ai giardini del Casino’ di Venezia, per festeggiare la prima del film Medusa fuori concorso ‘The men who stare at goats’, di Grant Heslov, con Clooney ed Ewan McGregor protagonisti.

 

Aladdin: recensione del film

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Aladdin: recensione del film

La recensione del film d’animazione Aladdin diretto da Ron Clements & John Musker e targato Walt Disney Pictures.

Sinossi: La sorte di un giovane vagabondo, Aladdin, si trasforma quando entra in possesso di una lampada magica, nella quale è racchiuso un genio onnipotente che può esaudire tre desideri. L’amore condurrà il giovane poveraccio a recitare la parte del principe per far innamorare la principessa Jasmine, ma dovrà fare i conti con il perfido gran visir Jafar e con la sua brama di impossessarsi della lampada magica.

Analisi: Liberamente ispirato alla favola de Le Mille e Una Notte, Alì Babà e i 40 ladroni, Aladdin è una storia di amore e avventura, ma anche amicizia e lealtà, che mostra nella maniera più banale ma allo stesso tempo nella più efficace quanto sia importante nella vita essere se stessi e quanto allo fine questo paghi.

Aladdin: recensione del film

AladdinAll’inizio la struttura si mostra come un racconto di racconto e presenta da subito le parti: il perfido Jafar, che cerca disperatamente la lampada, e subito dopo in una assolata Agrabah il giovane straccione che si arrabatta per un tozzo di pane, e dopo tanta fatica lo divide con due bambini altrettanto poveri. Il bene e il male nettamente separati che non impediscono al film di mantenere il suo fascino, immerso com’è in atmosfere orientali e comicità spiazzante soprattutto da parte del Genio, splendidamente doppiato da Gigi Proietti (Robin Williams in originale), che non rinuncia anche all’aspetto più serio e problematico della sua condizione di schiavo, sintetizzato nel memorabile “fenomenali poteri cosmici in un minuscolo spazio vitale”.

Coloratissima trasposizione di un’antica leggenda, Aladdin è uno dei primissimi film d’animazione in cui la Disney usa la computer grafica, ancora rozza all’epoca specialmente nella sequenza della caverna. Ma vero punto forte del film è la colonna sonora, che racchiude i toni e le mille voci del film, straordinaria, premiata con due premi oscar: Miglior colonna sonora e Miglior Canzone Originale A Whole New World, in italiano Il Mondo è Mio, sottofondo della bellissima sequenza del giro del mondo sul tappeto volante.

Accanto al già menzionato genio, vanno portati all’attenzione alcuni dei personaggi meglio riusciti dell’intera filmografia disneyana: la scimmietta Abu e il tappeto volante (scendiletto per Genio) che, come personaggi non parlanti, esprimono di più di molti altri attori in carne e ossa, e soprattutto Jago, perfido pappagallo aiutante di Jafar, davvero esilarante.

Precursore delle trilogie oggi tanto di moda, il primo Aladdin è stato seguito da due film, Il ritorno di Jafar e Aladdin e il principe dei ladri, entrambi minori rispetto all’originale.

La Bella Addormentata nel Bosco: recensione del classico Disney

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La Bella Addormentata nel Bosco: recensione del classico Disney

La recensione del film d’animazione La Bella Addormentata nel Bosco diretto da Clyde Geronimi e con le voci di Mary Costa (Princess Aurora); Bill Shirley (Prince Phillip); Eleanor Audley (Maleficent); Verna Felton (Flora); Barbara Luddy (Merryweather); Barbara Jo Allen (Fauna).

Ne La Bella Addormentata nel Bosco Il Re Umberto e la sua Regina danno alla luce una bambina, Aurora. Per festeggiare il lieto evento, tutti i nobili del regno sono invitati ad omaggiare la bimba, solo Malefica, oscura regina del male, non viene invitata. La mancanza desta le ira della perfida regina che maledice la fanciulla e la costringe a vivere isolata e lontana dai suoi affetti più cari, sorvegliata e protetta dalle tre buone fate, fino a quando Aurora non incontra uno sconosciuto nel bosco…

La Bella Addormentata nel Bosco, Uno dei più grandi successi Disney di tutti i tempi

Uno dei più grandi successi Disney di tutti i tempi, La Bella Addormentata nel Bosco racchiude in sé tutti gli elementi della fiaba classica, disposti in bell’ordine e perfetta successione, sino al lieto fine immancabile. Per quanto lo stile dei disegni sia piuttosto schematizzato, quasi geometrico, se si considerano le fattezze delle tre fate buone, il film mantiene sempre il suo fascino di sempreverde catturando i più piccoli, specialmente le bambine, con l’etereo e per la verità piatto personaggio di Aurora, principessa in difficoltà soccorsa da un bellissimo, e mai come in questo caso, definito principe Filippo, raro caso di principe  Disney che gode di un nome.

Ma il vero pregio del film risiede nel reparto magico: le tre fatine, Flora Fauna e Serenella, e la splendida quanto perfida Malefica sono alcune delle figure più riuscite di tutta la produzione disneyana, che oltre a conservare la netta e classica divisione tra bene e male, regalano anche pochi ma piacevoli momenti di ilarità, specialmente nella figura di Serenella da un lato e in quella del ‘diletto’ corvo di Malefica dall’altro.

Menzione d’onore alla colonna sonora, in special modo alle voci dei due interpreti principali, voci classiche e splendide come una volta il vecchio Walt era solito far doppiare i suoi personaggi.

Leone D’oro alla Carriera a John Lasseter

”Le emozioni prima di tutto” a questo risponde la legge della Pixar, oggi Disney Pixar, secondo John Lasseter. Il papa’ della Pixar ricevera’ oggi, con i colleghi Peter Docter, Andrew Stenton, Lee Unkrich e Brad Bird, i Leoni d’oro alla carriera. ‘Importa chi sei, non come usi la tecnica, ed e’ questo che fa la differenza’, ha detto Lasseter sostenendo di ‘amare ogni tecnica d’animazione’, ma ‘la tecnologia e’ uno strumento al servizio della storia, non viceversa’.

 

 

Le Follie dell’Imperatore: recensione del film

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Le Follie dell’Imperatore: recensione del film

La recensione del film d’animazione Le Follie dell’Imperatore di Mark Dindal con le voci di David Spade (Kuzco); John Goodman (Pacha); Eartha Kitt (Yzma); Patrick Warburton (Kronk).

Sinossi: Kuzco, giovane e viziato imperatore di una civiltà ignota e fantastica, viene trasformato per sbaglio in lama da Yzma, la sua perfida consigliera che intendeva invece ucciderlo. Con l’aiuto dell’allevatore Pacha, l’imperatore Kuzco farà di tutto per ritornare alla sua regia e riacquistare le sue sembianze umane.

Le Follie dell’Imperatore: recensione del film

Le Follie dell’Imperatore, 40° lungometraggio di casa Disney, si differenzia dai prodotti standard della famosa casa di produzione ”per ragazzi” per l’atipicità della struttura e soprattutto dei contenuti che si rivelano principalmente divisi su due fronti: il lato comico, accentuato soprattutto dai personaggi “cattivi” Yzma e Kronk, e il lato avventuroso, che si risolve in inseguimenti e cacce al tesoro tipiche più dei personaggi animati della Warner Bros che degli eroi Disney.

Il punto forte de Le Follie dell’Imperatore è senza dubbio il lato comico che nella persona di Kuzco raggiunge picchi addirittura sarcastici, più adatti sicuramente ad un pubblico adulto che a bambini. La cura del dettaglio e dei caratteri fa di Le Follie dell’Imperatore uno dei film più interessanti del panorama Disney, proprio per l‘atipicità che lo contraddistingue, l’irriverenza che fa le boccacce a tutte le romantiche ed eroiche storie fino ad ora proposte, ma che non rinuncia nel finale al buonismo del viaggio di iniziazione durante il quale il giovane e viziato imperatore impara ad apprezzare il valore dell’amicizia e della semplicità, l’umiltà di essere una persona normale pur essendo imperatore, la capacità di prendersi le proprie responsabilità senza demandare ad altri i propri doveri.

A metà strada tra La Bella e La Bestia e Il Re Leone, strizzando l’occhio al pubblico, al quale spesso si ci rivolge direttamente, Le Follie dell’Imperatore, è un piccolo gioiello nella sterminata e preziosa produzione Disney, che diverte senza pretendere. Notevole nella traduzione italiana il doppiaggio della Marchesini per il bellissimo personaggio di Yzma.

Programma 2010 della Fondazione Cinema

Dopo l’annuncio del presidente di giuria della prossima edizione, oggi si è svolta a Roma la conferenza di presentazione del programma della Fondazione Cinema per Roma del 2010, che culminerà con la V edizione del grande evento internazionale.

Susan Sarandon e Wes Anderson, Isabella Ragonese e Alba Rohrwacher, anteprime cinematografiche per il pubblico e per le scuole. La Fondazione Cinema per Roma inaugura nel 2010 un programma di attività che si svolgeranno durante tutto il corso dell’anno e che anticiperanno la quinta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma (28 ottobre – 5 novembre).

 

Primi annunci per L’edizione 2010

Dopo la la recente esclusione dalla corsa all’Oscar per il miglior film straniero, Giuseppe Tornatore, per il regista  arriva ora una notizia che avrà sicuramente un effetto balsamico sul suo ego.

Il regista siciliano è stato infatti scelto per presiedere la Giuria Internazionale del Festival del Film di Roma 2010, che si svolgerà dal 28 ottobre al 5 novembre.

 

Conferenza stampa di chiusara edizione 2009

Si è tenuta stamattina la conferenza stampa di bilancio per la IV edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. Erano presenti Gian Luigi Rondi (presidente), Piera Detassis (direttore artistico), Roberto Cicutto (Direttore del Mercato Internazionale del Film di Roma) e Francesca Via (Direttore generale).


Riassunto dell’Edizione 2009

Con le proiezioni dei film vincitori, che si stanno tenendo oggi,  si può considerare davvero finita la IV edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. E’ tempo di bilanci dunque, non solo quelli dei numeri, che la Fondazione ha reso pubblici già ieri in serata, ma anche quelli di gradimento verso un evento che tanto coinvolge la città e il pubblico.

Cominciamo quindi dai numeri. A partire dal budget complessivo di quest’anno 12.5 mln rispetto ai 15.5 della scorsa edizione e dal numero degli accreditati (7.720 quest’anno, 7.558 nel 2008) si possono tirare già le prime somme ‘economiche’ di un evento che, stando ai dati resi noti, è andato abbastanza bene.

 

Premiati dell’edizione 2009

Si è conclusa stasera la quarta edizione del Festival del Film di Roma. Alla cerimonia di premiazione super affollata, hanno potuto partecipare tutti i possessori di biglietto e pochi fortunati accreditati messisi in coda circa due ore prima dell’inizio dell’evento.

Premiato un gran bel film danese, Brotherskab. Per gli attori la Mirren e il nostro Castellitto hanno ricevuto il riconoscimento come migliori attori nella categoria dei film in concorso della selezione ufficiale.

 

Intervista a Raoul Bova e Moccia

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D: Partiamo della genesi di questo tuo sequel di “Scusa ma ti chiamo amore”. Qual è stato il tuo obiettivo?
FEDERICO: “Scusa ma ti voglio sposare” è un film che cerca di far convivere al meglio dinamiche di coppie che rappresentano gli elementi più diversi dell’amore: la passione, la voglia di buttarsi in una nuova storia,

 

Scusa ma ti voglio sposare: recensione del film con Raoul Bova

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Scusa ma ti voglio sposare: recensione del film con Raoul Bova

Scusa ma ti voglio sposare è il seguito della storia d’amore tra Alex (Raoul Bova), pubblicitario trentanovenne di successo, e Niki (Michela Quattrociocche), ora ventenne, conosciuta in un incidente stradale. AI faro si sono promessi amore eterno, e adesso, dopo 3 anni, Alex capisce che nonostante la differenza di età, lei è la donna che vuole sposare. Ritroviamo i loro amici di sempre, ognuno con le proprie storie, ognuno con le proprie attività, ognuno a confronto con la propria crescita, i propri sogni e progetti per il futuro. Alex chiede a Niki di sposarlo, e lei, all’inizio felice, con l’avvicinarsi della data, sente una paura crescente che le fa fare un passo sbagliato: manda a monte il matrimonio.

E’ sicuramente difficile recensire un film di Federico Moccia senza passare per superficiale, anche perchè volente o nolente il buon Moccia si è inserito velocemente nella sacra triade italiana dei registi più criticati assieme a Vanzina ed a Muccino. Ed è proprio a quest’ultimo che questo Scusa ma ti voglio sposare sembra fare il verso ora che Alex e Niki vogliono convolare a nozze.

Indubbiamente il regista scrittore ha il merito di aver riportato in massa gli adolescenti al cinema e sui libri e di aver messo in discussione il loro universo in relazione anche ai genitori che si sono sentiti in un certo qual modo messi sotto osservazione. Ciò non toglie che fare cinema è un arte e presuppone la crescita di un artista di pellicola in pellicola e non una serie di storie in antitesi con la parola evoluzione e crescita artistica. Fondamentalmente la coppia protagonista non è più così al centro dell’attenzione come nel prequel, attorno a loro vive un sottobosco di personaggi (amici di lei e di lui) in piena crisi di coppia o di identità.

Così come sottolineato dallo stesso regista scrittore in sede di intervista, si è voluto dare spazio a tutti i personaggi del libro cercando di mantenere il film snello e breve per non appesantire lo spettatore, purtroppo il tutto è visto con poca profondità, senza svelare cambiamenti, percezioni, paure che nella vita di una persona sono basilari e meriterebbero ben altra analisi, ecco quindi che il tutto assume le sembianze di un frullato mal congegnato e pieno di stereotipi tra l’altro (le divergenze tra le famiglia ricca di Niki e quella popolana di Alex ad esempio). Non sembrerà quindi strano  veder tornare all’unisono i quattro amici quarantenni dalle loro amate, spinti, si direbbe dal film, esclusivamente dalla pochezza della loro vita insieme in un appartamento di uno di loro.

Moccia si avvicina a Muccino quindi? Sicuramente il romanticismo esasperato della prima pellicola qui viene messo in secondo piano dando spazio principalmente ai dubbi ed alle perplessità di chi sta per compiere un passo fondamentale nella sua vita, sia essa una gravidanza, un matrimonio  o un divorzio, una pellicola quindi che punta ad un target più eterogeneo rispetto a Scusa ma ti chiamo amore. 

Ogni tanto la luce si accende con la gag ben congegnate di Pino Quartullo, qui nei panni di Roberto il padre di Niki, che qualche risata riesce a strapparla senza problemi, ma è troppo poco in un film che vuole far riflettere sulla vita di coppia ma non dà gli elementi per farlo.

I numeri degli incassi precedenti parlano da soli e sicuramente spianeranno la strada per ulteriori pellicole sulla stessa falsariga, gli integralisti del cinema “mocciano” apprezzeranno appieno anche questa nuova creatura del Federico nazionale, chi invece non ha mai gradito l’immobilismo artistico e la povertà di contenuti del regista romano ne stia tranquillamente alla larga.

Jessica Hausner parla di Lourdes

E’ una Jessica Hausner allegra e loquace quella che si presenta alla Casa del Cinema in Roma forte anche delle critiche molto positive che sta ricevendo il suo “Lourdes” in giro per il mondo.
Ad accompagnarla, il Presidente nazionale dell’Unitalsi Antonio Diella e il distributore e amministratore delegato di Cinecittà Luce Luciano Sovena.

Paranormal Activity: recensione del film Oren Peli

Paranormal Activity: recensione del film Oren Peli

Prima di ogni cosa, Paranormal Activity è senza alcun dubbio l’esempio più eclatante di come una sana e costruttiva campagna virale possa essere remunerativa sul piano degli incassi e eccezionale sul piano dell’attenzione proiettata verso il titolo. Detto ciò, fermo restando che non è un cattivo film per chi fosse alla ricerca di facili emozioni , va anche detto che  non vale la nomea di nuovo Blair Witch Project e  senz’altro in nessun caso, né nell’uno né nell’altro  si è stati e si è di fronte al miracolo. Per molti motivi.

Uno. Se nel primo caso si era di fronte ad un nuovo e sensazionale modo di vedere il cinema e la visione, in questo caso siamo già ad un quinto/sesto tentativo in pochi anni. Due. Anche se il film presenta alcune sequenze molto efficaci e sorprendenti non è per nulla dotato di una struttura narrativa ,perlomeno sostenibile per 86 minuti. Tre. Visivamente parlando dice tutto di già visto e nulla di veramente nuovo. Nessuna qualsivoglia caratterizzazione dei personaggi.

Traendo le conclusioni verrebbe da chiedersi se questo non è solo il frutto di un sorprendente e  divino piano commerciale messo in atto, e che in sostanza, levando il fumo non vi sia nient’altro da mettere sotto i denti ma soltanto misere briciole da sgranocchiare.

Paranormal Activity, il film

Di un film come questo, a low Budget, ci si aspetta almeno nella parte narrativa e registica il moto pulsante del racconto, ma è proprio in questo il limite maggiore per il film. Totalmente privo di una vera e propria struttura (si ha la sensazione di vagare fra atteggiamenti, attimi ed emozioni totalmente slegate le une dalle altre), sicuramente avrebbe aiutato o quanto meno  non sarebbe stato male aggiungere qualche altro personaggio, a parte la figura dello studioso che forse non è sfruttata al meglio.  Invece, si ha solo la geniale intuizione di soffermarsi (mentre si è nel pieno della notte in una camera) sul quel bel espediente che è il fuoricampo e che gente come Shyamalan, Hitchcock, lo stesso Spielberg, Polanski, hanno reso terrificantemente sublime. Qui diventa a tratti interessante, ma poi senza sostegno narrativo si perde su se stesso e diventa frutto di un protrarsi dell’attesa che rivelerà solo gli ultimi buoni dieci minuti di paura.

La più grande delusione di Paranormal Activity, è proprio nell’aspettativa che tenta di creare e che si concretizza solo come suddetto in un’unica bella sequenza. Pochissimo per un film che attraverso il fuoricampo dovrebbe creare un crescendo di tensione insostenibile e che dovrebbe culminare con il momento rivelatore per l’intera trama e il film. In sostanza l’unica nota positiva che si ha è il finale che non risulta per niente scontato e che forse diventa l’unico momento in cui il fuori campo diventa insostenibile.

Lourdes: recensione del film di Jessica Hausner

Lourdes: recensione del film di Jessica Hausner

Dopo una sfilza di premi ricevuti in giro per l’Europa tra i quali, ahimè, è mancato quello a Venezia, sbarca l’11 febbraio 2010 (stesso giorno della prima visione di Bernadette a Lourdes) nei cinema nostrani l’ultima creatura di Jessica Hausner, talentuosa regista austriaca arrivata al suo terzo lungometraggio. Lourdes è la storia di Christine che trascorre la sua vita su una sedia a rotelle a causa di sclerosi multipla. Recatasi a Lourdes per un pellegrinaggio religioso, si scopre dopo pochi giorni miracolata ed in grado di camminare.

Christine dovrà quindi affrontare la gelosia e l’ammirazione degli altri pellegrini ma anche l’amore di un affascinante membro dell’Ordine di Malta, che incomincerà a interessarsi a lei dopo la miracolosa guarigione. Allo stesso tempo il comitato medico preposto all’esame dei presunti miracoli, resta incerto in quanto la malattia alla quale è soggetta la ragazza è imprevedibile e legata anche a rapidi quanto brevi miglioramenti. Già dal precedente film “Hotel”, la Hausner sembra prediligere ambienti chiusi e situazioni soffocanti, non a caso entrambe le protagoniste sotto una parvenza distaccata nascondono un animo sensibile ma anche forte.

Lourdes pone interessanti questioni senza però conferirne un aspetto preciso ma preferendo stimolare nello spettatore una riflessione sui contenuti filosofici – religiosi del lungometraggio. La protagonista Christine non esce mai di casa, le uniche possibilità di “svago” sono i viaggi di pellegrinaggio.

Con uno spirito disincantato e non profondamente devoto affronta il viaggio a Lourdes con le insicurezze tipiche di chi vive in uno stato di disabilità e non riesce a trovare le risposte nella chiesa. “Perché è successo proprio a me?” – “Perché alcuni guariscono e altri no?” , il lungometraggio ci mostra crudelmente come un prete che accompagna il gruppo della ragazza non riesca a trovare risposte esaurienti a questi quesiti, risultando spesso evasivo e involontariamente ironico.

“Se il Signore è buono e contemporaneamente onnipotente perché non guarisce tutti? Forse non è buono ma cattivo” questo si chiede uno dei tanti credenti accorsi nelle piscine miracolose di Lourdes, la Hausner ci trasmette quindi tutte le perplessità di chi, magari anche più volte all’anno, compie viaggi della speranza e col tempo vede scemare quest’ultime, ma ci mostra anche l’ipocrisia di tanti che a dispetto di dettami cattolici ben precisi non si fanno problemi a sbeffeggiare il prossimo se “miracolato”, il tutto è girato con tanta naturalezza e originalità con uno stile che ricorda molto Dreyer e Bresson ma anche Bunuel citato dalla stessa regista.

Lourdes

Maria, una giovane e bella volontaria che accudisce Christine durante tutte le giornate a Lourdes è l’archetipo della sua vita ideale, socievole e allegra, preferisce frequentare i suoi coetanei, è attratta dall’affascinante guardia dell’Ordine di Malta ed è sfuggevole nei confronti della malattia della protagonista, durante il film l’invidia farà un tragitto andata e ritorno nel rapporto tra i due personaggi e Christine si appoggerà alla signora Hartl, burbera e solitaria vecchietta senza alcun malanno fisico che tenta a Lourdes di ritrovare un senso alla sua vita o quella che nel film viene sbandierata più volte come “cura dell’anima” dal sacerdote di turno.

Alla fine Christine, nonostante un repentino peggioramento delle sue condizioni fisiche, sentirà la necessità di non abbandonare i suoi sogni e di credere nel “miracolo”,  mantenendo intatto la positività che l’aveva contraddistinta.

 

Bangkok Dangerous: recensione del film con Nicolas Cage

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Bangkok Dangerous: recensione del film con Nicolas Cage

Bangkok Dangerous – Il codice dell’assassino rappresenta l’ennesima operazione (fallita) di remake di film asiatici made in USA. Il film infatti ricalca l’omonimo film del 1999, anch’esso diretto dai fratelli Pang (Oxyde e Danny).

Certo, tra il film di dieci anni fa e questo, le differenze di budget sono evidenti. Basti ricordare che il ruolo del protagonista – Joe – è interpretato dal pagatissimo Nicolas Cage. Non è difficile immaginare – leggendo il titolo – che lo scenario del film sia proprio Bangkok. In questo paradiso arriva il killer professionista Joe, ingaggiato dal boss Surat per fare fuori quattro suoi antagonisti.

Bangkok Dangerous

Per portare a termine la sua missione, Joe decide di assoldare il ladruncolo Kong. La svolta sarà l’incontro con la farmacista sordomuta Fon, della quale Joe si innamora. E tanto basta per fargli mettere in discussione il suo modo di vivere schivo e solitario. Le vicende si complicano quando il boss Surat decide di liberarsi di lui.

Bangkok Dangerous – Il codice dell’assassino è un film brutale, crudo, che non si fa mancare momenti di puro splatter. La produzione hollywoodiana e la sceneggiatura rivisitata da Jason Richman, non arricchiscono la pellicola del 1999. Ritmo e tensione infatti appaiono pressoché identici, anche se per quanto alcune scene siano inverosimili, la spettacolarità non manca.

La trama è già vista: uno spietato killer in piena crisi esistenziale si redime e trova anche l’amore. Banale, troppo. Neanche Nicolas Cage appare in gran spolvero. In evidente imbarazzo, Cage risulta pesante e poco credibile. Un remake evitabile, che consiglio di evitare.

Alvin Superstar 2: recensione del film con Jason Lee

Alvin Superstar 2: recensione del film con Jason Lee

Dagli anni ’60 con i primi dischi, agli anni ’80 con la serie aniata fino al 2007 con il primo lungometraggio a loro dedicato Alvin, Simon e Theodore sono dei Chipmunks di successo, vuoi per la loro età che abbraccia più di una generazione, vuoi per il loro innato talento a cacciarsi nei guai. Ed ora eccoli in un nuovo Squeakquel in Alvin Superstar 2, non un sequel o un prequel, ma qualcosa di personalizzato nel quale, dopo una prima esperienza in solitaria, ritornano sul grande schermo con le Chippettes, il loro corrispetivo al femminile, grintose colorate e…neanche a dirlo, canterine.

E fondamentalmente questo secondo film dedicato alle stelline del rock si riduce a questo, l’incontro tra i due schieramenti e il conseguente, sebbene breve, scontro che porterà poi all’inevitabile amicizia tra ‘maschietti e femminucce’. Non c’è niente che non ci sia già stato, nè altre cose in più: solo i piccoli scoiattolini che si affacciano alla vita degli umani, vanno a scuola e affrontano le loro paure, sempre cercando di tenere unita quella loro famiglia atipica ma affiatata.

Alvin Superstar 2

Di più e più lunghi i numeri musicali, perchè se nel primo film erano in tre, adesso sono in sei a far ballare ugole e piedini sulla scena. E se è vero che Alvin Superstar 2 presenta una sceneggiatura quasi abbozzata che lascia correre gli eventi senza una vera e propria sostanza, è pur vero che i personaggi hanno il loro fascino, sono pur sempre dolci e piccoli batuffoli di pelo e si potrebbe essere nel giusto se si afferma che nonostante i citrici più snob possano storcere il naso, il film porterà al cinema un bel po’ di gente.

Il quarto tipo: recensione del film con Milla Jovovich

Il quarto tipo: recensione del film con Milla Jovovich

Prendendo in considerazione l’idea che mai come adesso siamo di fronte ad una contaminazione fra due tipologia di film ben differenti (Fiction e Doc), e fermo restando che nella storia questa pseudo contaminazione era già avvenuta a vari livelli sia da una parte che dall’altra, ecco ora siamo davvero arrivati ad un inedita estensione di questa contaminazione dove la realtà e la finzione si mischiano in maniera totalmente angosciosa ed inquietante. Avevamo ampiamente avuto modo di vedere esempi quali District 9 e Cloverfield, ma Il quarto tipo è qualcosa che va oltre la rappresentazione stessa della storia in modalità documentaristica, qui siamo di fronte all’utilizzo vero e proprio di materiale registrato dalla protagonista della storia che anch’essa appare nel film intervistata dal regista stesso della pellicola e che nella finzione è interpretata da Milla Jovovich.

Il quarto tipo, tra doc e fiction

La storia è quella di una psicologa americana – Abbey Tyler- che durante una ricerca su una serie di disturbi del sonno che affliggevano alcuni abitanti della città di Nome, in Alaska, si trovò di fronte a una serie di coincidenze inspiegabili e fu vittima in prima persona di eventi particolarmente traumatici.

Durante il suo studio la dottoressa Tyler registrò molte delle sedute di ipnosi con supporti audio e video che il regista abilmente e in maniera del tutto inedita, monta ed accosta in modo diretto (tramite lo split screen) con la ricostruzione cinematografica, quasi a voler creare una sorta di parallelo fra il mondo reale e quello di finzione, in cui il labile confine che divide i due mondi diventa pressoché inesistente. In questo caso siamo di fronte ad un film che è visibilmente tratto da una storia vera, senza nessun affabulazione di sorta. E la sensazione è quella di non potersi dissociare dal film e dalla sua rappresentazione, perché non è finzione.

Il risultato è un’opera che, a prescindere dalle opinioni in merito al tema dei rapimenti alieni, è profondamente inquietante e riesce ad aprire la porta a dubbi e interrogativi che l’uomo e la nostra società bigotta cercano di accantonare e di rimuovere o ancor peggio di nascondere. Sotto l’aspetto linguistico, il film segue un buon ritmo sin dall’inizio, veicolando abilmente (va detto)la tensione dello spettatore, fortemente incuriosito (paurosamente) dal materiale della psicologa, soprattutto dall’intervista con la vera Tyler che come una voce narrante racconta gli accadimenti così come sono avvenuti. Ma ancor più interessante è il fatto che di fronte a tutto ciò, il film non cerca mai di giudicare o di prendere una posizione netta e chiara. Per spiegare ciò la frase di chiusura è emblematica: “Alla fine siete voi padroni di credere o non credere”. Con quest’ultimo accenno, con astuzia e caparbietà, Osunsanmi lascia a noi la facoltà di esprimerci, rendendo il gioco ancora più indecifrabile e rendendo l’Audiance tremendamente attivo.

In chiusura, il riferimento alla pazzia o comunque al malessere interiore dei protagonisti e le continue panoramiche sulle montagne innevate e l’ambientazione in genere, rimandano a quelle “….montagne della follia” ed al genio del suo autore, H.P. Lovecraft, padre incontrastato di certa letteratura fantastica.

Il mondo dei replicanti: recensione del film con Bruce Willis

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Il mondo dei replicanti: recensione del film con Bruce Willis

C’era una volta Sigmund Freud che nella sua opera “Totem e tabù” dichiarava: «l’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza» – sicurezza che in Surrogates gli uomini sembrano aver trovato in macchine che rispecchiano i loro canoni estetici e se ne vanno in giro in loro vece a vivere la vita, mentre l’operatore, comodamente rilassato nell’imperturbabilità della propria casa, controlla ogni sua movenza. Il mondo dei replicanti prende le mosse dall’uccisione del figlio del dottor Lionel Canter (James Crownell), uno dei principali artefici del progetto Surrogates. Sulle tracce del suo assassino, si mettono i detective dell’FBI Greer (Bruce Willis) e Peters (Radha Mitchell) che indagheranno sui segreti della VSI, azienda produttrice dei robot-surrogati.

In un mondo ormai privo di crimine, una serie inaspettata di morti di operatori, collegati al proprio surrogato, desta non poche perplessità, generando psicosi. Si è diffuso un virus che mette a rischio la vita degli operatori e dei surrogati a loro connessi. Le vicende del detective Greer si intrecciano con la sua vita personale, in particolare  è in primo piano il rapporto conflittuale con la moglie Maggie (Rosamund Pike), ormai intrinsecamente legata a proprio surrogato.

La donna entra in crisi proprio quando un malvivente distrugge il suo “replicante”, costringendola a ritornare alla vita fuori dalla sicurezza di casa sua. Maggie è così costretta a tornare sulla strada e a mettersi alla ricerca della verità. In questo mondo di automi, la minaccia non viene da un altro pianeta. Il nemico non è l’alieno malvagio che vuole impadronirsi del nostro pianeta (come in “La guerra dei mondi”), il nemico – in questo caso – è dentro di noi ed è, quindi, più pericoloso: siamo noi stessi che abbiamo deciso di non vivere la nostra vita e delegato macchine “perfette”, ma senz’anima, a farsi carico dei rischi della quotidianità.

Il mondo dei replicanti diretto da Jonathan Mostow, è uscito nelle sale italiane l’8 gennaio di quest’anno ed è subito entrato nella classifica dei primi dieci film del mese più visti al cinema. Mostow vince al botteghino, confezionando un buon action-movie adrenalinico, che – tuttavia – vede nella povertà di spunti introspettivi e nella superficialità dell’analisi di tematiche antropologiche il suo più grande limite.

Di Antonio Adelfio

Tra le nuvole: recensione del film di Jason Reitman

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Tra le nuvole: recensione del film di Jason Reitman

Il vincitore della seconda edizione del Festival di Roma, Jason Reitman, si presenta allo stesso pubblico capitolino con una commedia (Tra le nuvole) dal gusto vagamente cinico e decisamente disincantato insieme alla super star George Clooney e a la Vera Farmiga, altra vecchia conoscenza del Festival per The Departed.

In Tra le nuvole Clooney è un uomo che si occupa di licenziare impiegati per conto di altri, viene ‘assoldato’ da diverse imprese e viaggia nel mondo in aereo, le nuvole sono la sua casa più dello squallido monolocale che ha come quartier generale a Oahama. La sua vita è perfetta, niente legami, niente rimorsi, solo una valigia piccola e compatta dentro la quale con metodo rinchiude tutto il suo mondo. Tutto questo dura fino a che la minaccia di un progetto di licenziamenti via internet non lo metterà all’erta, e l’incontro con una bella viaggiatrice non farà tremare le sue fondamenta di scapolo impenitente.

Tra le nuvole – recensione del film di Jason Reitman

Scrivendo magistralmente e dirigendo con la sua personale impronta, Reitman regala un altro film frizzante e divertente, ben costruito e recitato con leggerezza. Come già ci ha abituati in passato con Juno e Thank You for Smoking, Reitman constuisce la storia su solide premesse (in genere la presentazine del personaggio principale attraverso le sue stesse parole) poi comincia il racconto che per quanto acuto e divertente si possa presentare non scade mai nel già visto, riservando sempre un finale a sorpresa che non ci si aspetta e che regala, soprattutto per questo film, un finale agrodolce, vagamente cinico ma con l’ottimismo che risiede nel cambiamento e nella redenzione.

Riti magie nere e segrete orge nel trecento di Renato Polselli

Riti magie nere e segrete orge nel trecento di Renato Polselli

Riti magie nere e segrete orge nel trecento è il film cult del 1973 diretto da Renato Polselli e vede protagonisti nel cast gli attori Rita Calderoli,  Mickey Hargiay, Consolata Maschera.

Riti magie nere e segrete orge nel trecento, la trama

A dispetto del titolo, il film non si svolge nel trecento ma nel contesto contemporaneo; nei sotterranei di un castello si compiono numerosi omicidi sacrificali e riti segreti atti a risvegliare la strega Isabella, morta sul rogo secoli prima.

Riti magie nere e segrete orge nel trecento, l’analisi

Polselli, regista prolifero dedito al genere erotico, si prodiga questa volta verso il l’horror, non esente ovviamente da contaminazioni del genere a lui caro; l’elemento “osé” è ora marginale e ora protagonista, in sequenze sminuite da una vena comica-probabilmente attuata per aggirare la censura-e di debole impatto visivo.

Riti magie nere e segrete orge nel trecento, girato nella duecentesca cittadina de L’Aquila, vive delle suggestioni suggerite dalle ambientazioni medievali, che si confanno al classico intreccio che muove il film: streghe e magie tornano dunque a vivere-e morire- all’interno delle mura del castello abruzzese.

Riti magie nere e segrete orge nel trecento oscilla tra horror ed erotismo: la chiave del tutto risiede nel “piacere pazzo che uccide”, frase emblematica(anche se pronunciata in un contesto recitativo piuttosto scandente), che giustifica la presenza dei due generi di cui sopra,  i quali vanno a compenetrarsi in maniera piuttosto equilibrata e talvolta seducente.
Nella trama classica, la mancanza del regista, sta nel momento in cui egli ricade nei cliché del genere: uomini con ridicoli mantelli e fulmini a ciel sereno imperano all’interno del film, creando talvolta momenti che sfiorano il ridicolo; a proposito di ciò non bisogna dimenticare che la tradizionale trama del La maschera del demonio, non aveva impedito a Mario Bava di costruire un film assolutamente innovativo, sia nell’eleganza formale sia nelle tematiche.

Nonostante tutto all’interno del film non mancano sequenze seducenti, come il rogo delle donne da parte degli abitanti del paese, che contribuisce a creare un continuum tra passato e presente;  bisogna inoltre riconoscere il fascino del montaggio(merito dello stesso regista), che alterna immagini sacre e profane  attuando contrasti visivi suggestivi, sminuiti però dalla ridondanza con cui viene ripetuto ed ostentato e dai colori pop che spesso stonano inesorabilmente con l’ambientazione.  Un prodotto tuttavia personale, sicuramente apprezzato dai fautori del genere.

Riti magie nere e segrete orge nel trecento, curiosità

Curiosità: il film è stato realizzato nel 1971, inizialmente con il titolo La reincarnazione; distribuito nelle sale soltanto due anni dopo, pensato per inserirsi nel genere decamerotico che in quegli anni imperava; Polselli si firma con lo pseudonimo Ralph Brown; Riti magie nere e segrete orge nel trecento è conosciuto anche come The Ghastly Orgies of Count Dracul; La reincarnazion; Black Magic Rite:Reincarnations; The Reincarnation of Isabel.

La casa dei massacri, il film del 2004 di Tobe Hooper

La casa dei massacri, il film del 2004 di Tobe Hooper

La casa dei massacri è il film horror del 2004 diretto da Tobe Hooper e scritto da Jace Anderson e Adam Gierasch.                  

  • Anno:2003
  • Diretto da: Tobe Hooper
  • Titolo originale: Toolbox murder
  • Cast: Angela Bettis, Brent Roam, Juliet Landau, Lucky McKee, Rance Howard
  • La casa dei massacri – trama

Ritrovatasi a vivere in uno squallido condomino abitato da strani soggetti, Nell comincia subito ad avvertire qualcosa di strano all’interno del palazzo. Le persone cominciano a sparire, e sarà proprio lei a rendersi conto degli omicidi che stanno avvenendo, e ad indagare sulle sparizioni.

La casa dei massacri – Analisi

I modelli precedenti sono chiaramente l’omonimo The toolbox murder (tradotto in italiano come Lo squartatore di Los Angeles), Non aprite quella porta, e suggestioni polanskiane derivate da L’inquilino del terzo piano.    

La casa dei massacriCon il primo condivide la scelta delle armi dei delitti che danno nome al film; con il secondo il volto sfigurato dell’assassino e alcune situazioni (mal riproposte) concernenti i delitti e la vena – vagamente –  splatter; con il terzo alcuni condizionamenti enigmatici e circostanze misteriose. Peccato che il film risulti essere un impasto di elementi e di intuizioni sconclusionate fine a se stesse.              

Se da una parte Hopper verte sulla costruzione di un film a carattere investigativo, seminando indizi – talvolta – con probabili significati esoterici, richiamando appunto l’ambiguità del regista di Rosemary’s baby, dall’altra pare voler tornare sui suoi passi, verso quel genere slasher e quelle esperienze sanguinolenti che lo avevano reso noto. Ciò porta evidentemente ad un incoerenza di fondo: il film non vive né delle – poche -sequenze splatter, né della suspence che il regista vorrebbe creare tramite le indagini della protagonista(un’ottima Bettis che purtroppo da sola non basta).

Il finale de La casa dei massacri infatti sfiora il ridicolo, laddove non ci viene effettivamente spiegata la valenza dei simboli che incontriamo durante il percorso, e insoddisfacente dal punto di vista prettamente horror. La fotografia quasi televisiva aumenta lo sgomento che si prova di fronte a tale prodotto: non ci è chiaro a cosa stiamo assistendo, visto che in ogni caso il film non sembra procedere lungo una linea coerente e sensata.   

Ma le riflessioni del regista si fanno interessanti per quanto riguarda la scelta dell’ambientazione: se il Lusman Building era in origine dedicato ad accogliere star di Hollywood, ora si ritrova ad ospitare falliti di ogni specie ed enigmatici vecchietti attaccati ai loro piccoli momenti di gloria (in tal caso Rance Howard, padre del Ron regista e attore) Hooper sembra meditare sul fascino della decadenza e del degrado, purtroppo accennando soltanto allo spunto senza approfondirlo in nessun senso. Lo stesso assassino si rivelerà un essere in cerca di sangue che lo liberi dal degrado fisico, metafora forse di molto atteggiamento divistico con cui vengono solitamente dipinte le stelle morenti del grande schermo. Ma anche questa riflessione rimane un mero suggerimento per nulla sviscerato e approfondito ribadendo la natura vaga ed effimera del film.

L’ultima casa a sinistra: recensione del film di Wes Craven

L’ultima casa a sinistra è il film cult diretto da Wes Craven con protagonista David Hess, Sandra Cassel e Lucy Grantham.

La trama del L’ultima casa a sinistra

Mary e Phyllis, nel tentativo di comprare marijuana si imbattono in un gruppo di psicopatici evasi dalla galera, che le sottoporranno a violenze e torture prima di ucciderle. In seguito i fuggitivi si rifugeranno proprio nella casa dei genitori di Mary…

Analisi

Opera prima del regista Craven, successivamente riconosciuto per Nightmare – Dal profondo della notte e Scream, ispirata dalla pellicola di Bergman La fontana della vergine o il cult Le colline hanno gli occhi.        Laddove Bergman ha rappresentato una leggenda svedese, riportandoci nel contesto medievale,  l’intuizione di Wes Craven nel rimetterla in scena, è stata quella di attualizzarla -e dal punto di vista formale, e dal punto di vista contenutistico- pur mantenendone intatta trama e ambientazione(bosco).

L’opera è ambientata nella realtà odierna, ma la vera attualizzazione che  palesa la distanza dall’opera originale, sta nella rappresentazione della violenza: è proprio l’estremizzazione dell’immagine violenta la produttrice di senso dell’opera e punto nevralgico su cui Wes Craven fonda le sua riflessioni critiche.

Se è vero che L’ultima casa a sinistra presenta alcune imprudenze e forzature nella sceneggiatura, dovute all’inesperienza del giovane regista, è altrettanto vero che il film ha cambiato le modalità di rappresentazione all’interno del cinema horror;  ma ciò che conta realmente all’interno del disegno finale, è il rapporto diretto – confermato poi dalle affermazioni del regista –  con la realtà sociale di quegli anni, tra le vessazioni che si diffondevano dalla guerra nel Vietnam e la disillusione giovanile per  la fine delle rivolte studentesche.

Le dichiarazioni dello stesso regista infatti, chiariscono il senso dell’opera filmica: a detta di Wes Craven infatti, le angherie e le brutalità poi riportate nel film furono ispirate da un metraggio sulla guerra in Vietnam.

Quindi laddove la fonte deriva da un modello preesistente, la riflessione del regista si impernia sul senso della violenza -propagata poi tramite il film per infondere un senso di repulsione- legittimata dal contesto storico-culturale vigente, e lontana dunque da una spettacolarità compiaciuta e fine a se stessa.

Rachel Weisz e la casa dei sogni

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Rachel Weisz e la casa dei sogni

Mentre sta per fare il suo ritorno nelle sale italiane con Amabili resti…Rachel Weisz ha accettato di entrare a far parte di Dream House, un thriller della Universal di cui vi abbiamo più volte accennato.

Diretto da Jim Sheridan e scritto da David Loucka, il film vede Daniel Craig nei panni di un uomo che con la famiglia decide di fuggire dalla frenesia di New York e di stabilirsi in una bella casa del New England; una casa che però ha un passato inquietante che tornerà a perseguitare i nuovi inquilini.

Rachel Weisz sarà la moglie del personaggio di Craig, mentre Naomi Watts è confermata nei panni della loro ambigua nuova vicina di casa. Le riprese avranno inizio il prossimo weekend in quel di Toronto.

Fonte: Variety

Penelope Cruz per il nuovo film di Lars Von Trier

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Potrebbe essere Penelope Cruz la protagonista del nuovo, annunciato lavoro di Lars von Trier, il “film catastrofico dai risvolti psicologici” intitolato Melancholia.

Secondo le prime indiscrezioni, l’attrice spagnola sarebbe stata nel mirino di von Trier fin dalla fase di ideazione del film – che si dovrebbe girare tra Germania e Svezia entro la fine dell’anno e che dovrebbe avere già assicurato un posto a Cannes del 2011 – e avrebbe già ceduto alle lusinghe del regista.

Il regista danese ha mantenuto negli ultimi mesi il massimo riserbo sulla trama del film, non aggiungendo nulla rispetto alle prime dichiarazioni ma limitandosi a sottolineare, con la consueta provocatoria ironia, che questa volta nel suo cinema “non ci saranno lieti fine.”

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