Dopo Pacific Rim
(2013) e Crimson Peak (2015), due film molto
importanti, ma per ovvie ragioni produttive non completamente
sinceri, Guillermo Del Toro torna a dedicarsi con
grinta e infinita passione a un progetto molto intimo e personale,
sfornando The Shape of
Water, un meraviglioso oggetto cinematografico dalla
forma tanto potente quanto impalpabile, fatto della stessa essenza
dell’acqua, intriso di poesia e trasudante amore per il cinema, per
le fiabe e per le immagini.
The Shape of Water come La Bella e la Bestia
La storia narrata è un B&B,
ovvero l’ennesima (ma riuscitissima) rivisitazione della fiaba
della Bella e la Bestia, un inno alla diversità e all’orgoglio di
essere diversi, rompendo a tutti i costi schemi e pregiudizi. La
bestia in questione è una creatura anfibia metà uomo e metà pesce,
simile per molti aspetti a quella de Il Mostro della laguna
Nera (1954), mentre la bella è una timida e muta addetta
alle pulizie di un centro governativo dove si effettuano studi
scientifici ed esperimenti strambi, durante il periodo della Guerra
Fredda.
Nel film si affronta il
tema della diversità sotto ogni sfaccettatura, dalla mostruosità
alla differenza di genere, dall’omosessualità al razzismo, dal
classismo al bullismo. Tutto questo con una leggerezza naturale
inusuale, con un tocco felice che non fa mai sentire la forzatura
dello sfiorare tematiche così delicate. Ma è soprattutto una storia
d’amore, una grande storia d’amore, che commuove, fa riflettere e
soprattutto ricorda che l’amore può sormontare e far crollare
qualsiasi barriera, fisica o mentale che questa possa essere. A
tratti si avvertono anche gli echi lontani, ma sempre attuali del
Romeo e Giulietta di
Shakespeare.
Del Toro, proprio a proposito
dell’amore afferma: “Le favole sono nate in tempi difficili e
complessi, quando la speranza sembrava perduta. Ho realizzato
The Shape of
Water come antidoto al cinismo. Personalmente
ritengo che quando parliamo di amore – quando crediamo nell’amore –
lo facciamo in modo disperato. Temiamo di apparire ingenui e
perfino falsi. Ma l’Amore è reale, assolutamente reale; e, come
l’acqua, è la forza più gentile e più potente dell’Universo. È
libero e senza forma fino a quando non fluisce nel soggetto al
quale è destinato, fino a quando non lo si lascia entrare. I nostri
occhi sono ciechi, ma lo stesso non si può dire della nostra anima.
Riconosce l’amore in qualsiasi forma arrivi a noi”.
L’esplorazione del sesso
E insieme all’amore in The Shape of
Water entra di prepotenza anche il sesso, troppe volte
dimenticato o volutamente rimosso dai mercanti di fotogrammi per la
paura di togliere poesia, sentimento, per il terrore smodato di
andare ad infrangere quelle regole bigotte imposte da chissà chi. E
invece il bisogno di contatto fisico, di vivere liberamente senza
pregiudizi la propria sessualità diventa un elemento fondamentale
della storia, facendo apparire i protagonisti incredibilmente vivi
e quindi credibili. I corpi si spogliano, si toccano, cercano
piacere e non importa se si tratti della pelle pallida di una
giovane donna, delle umide squame di un pesce o del corpo che
invecchia di un uomo ormai solo. Il corpo, il sesso, la
riproduzione, l’anatomia, l’invecchiamento, il disfacimento, la
decomposizione, sono i tanti tasselli di cui si compone questo
delicato racconto.

The Shape of Water
è il decimo lungometraggio del regista messicano e si inserisce tra
quelli che maggiormente lo caratterizzano come uno degli autori
visionari più importanti dei nostri tempi, con uno stile e una
poetica così riconoscibili da riuscire ad imporli anche a livello
commerciale.
Tra Tim Burton e Terry Gilliam
La cosa che più stupisce di Del
Toro è che, estremamente consapevole delle sue pulsioni e istanze
espressive, riesce a domarle, a tenerle addomesticate, riuscendo a
narrare con stile disinvolto, senza mai eccedere o cadere
nell’auto-manierismo, come purtroppo avviene per il buon caro
vecchio Tim Burton, al quale, per ovvie ragioni
non è possibile evitare di accostarlo. Ed è gustosissimo cogliere
una stoccatina, o forse un avvertimento, o semplicemente solo un
consiglio al suo macabro collega. Questo avviene nella parte
iniziale del film, dove uno dei personaggi, commentando un incendio
alla vicina fabbrica di cioccolato dice più o meno così: “E’ un
disastro, ma l’odore del cioccolato bruciato e pur sempre
meraviglioso”. E del Toro sembra anche rimanere immune dagli
eccessi scriteriati incontrollabili che affliggono un altro suo
collega di affabulazioni visionarie, Terry
Gilliam.

The Shape of Water
è un progetto relativamente economico per gli standard a cui è
abituato Guillermo Del Toro sia come regista che
come produttore. Infatti è costato solamente (si fa per dire)
19 milioni di dollari, grazie anche alla rinuncia a grossa
parte del suo compenso, in modo da convincere la Fox
Searchlight a sostenerlo nell’impresa. La pellicola si
pone quasi come completamento di quella trilogia composta da
La Spina del Diavolo (2001) e Il Labirinto
del Fauno (2006), per la quale era prevista una naturale
terza parte, ma poi mai realizzata. E al tempo stesso si nutre di
elementi creati per i due capitoli di HellBoy
(2004 – 2008), tanto come atmosfera, che come personaggi e
creature. Si avvertono anche innumerevoli omaggi al cinema, dai
mostri della Universal, ai film della Hammer, dai musical degli
anni cinquanta alle pellicole di fantascienza e i B-movie.
E si coglie anche un affettuoso
omaggio all’Amelie Poulain di Jean Pierre
Jeunet, a cominciare dalla protagonista Elisa,
interpretata da una bellissima, bravissima e sensuale Sally
Hawkins, passando per la caratterizzazione del suo vecchio
amico illustratore, che ricorda inequivocabilmente il pittore con
le ossa di vetro del film francese. Anche le scenografie di
molti ambienti, il gusto visivo di alcune scene, i colori e la
fotografia rimandano la memoria indietro nel tempo a quel film. Ma
sono piccoli riferimenti, omaggi voluti e sentiti, perché la
potenza espressiva e l’originalità di Guillermo del
Toro sono assolutamente meravigliose e fuori
discussione.