The Mauritanian è
stato presentato alla
Berlinale 2021 fuori concorso, ed è ora disponibile su Amazon Prime Video. La
sceneggiatura muove le fila dal libro autobiografico di
Mohamedou Ould Slahi, scritto durante la
detenzione in carcere nel 2005 e pubblicato soltanto dieci anni più
tardi con il titolo Guantanamo Diary. Opera dai
toni prevalentemente drammatici e d’inchiesta, e basata su una
storia vera, indaga la ricerca di una verità celata dalla crudeltà
di un governo che agisce nel silenzio generale, pur di trovare un
capro espiatorio in un nemico asserito come tale, senza soppesare
realmente le nozioni di innocenza e colpevolezza.
The Mauritanian: la vera storia di
Mohamedou Ould Slahi
Mohamedou Ould
Slahi, originario dalla Mauritania, è rinchiuso da ben
otto anni nel terribile carcere di Guantanamo poiché è stato
ritenuto uno dei responsabili dell’organizzazione terroristica
degli attentati dell’11 settembre. Non vi è nessuna prova certa
contro di lui, unicamente una serie di coincidenze e supposizioni,
benchè non sia effettivamente accusato di nulla. Gli è stata
estorta una confessione dopo tremende torture inflittegli, il che
lo ha autocondannato a vita. Il caso di Mohamedou viene riaperto
improvvisamente quando l’avvocato per i diritti civili
Nancy Hollander (Jodie
Foster)decide di volerne assumere la difesa in vista
di un potenziale nuovo processo. Contemporaneamente, il tenente
colonnello Stuart Couch (Benedict
Cumberbatch) è incaricato a preparare l’accusa,
scovando qualche omissione negli archivi ufficiali. Dunque Nancy e
la fedele collaboratrice Teri (Shailene
Woodley) iniziano a indagare per scoprire la verità
celata dietro la prigionia di Mohamedou; si troveranno a che fare
con un intero sistema che cerca di occultare ogni prova relativa
all’esistenza di Guantanamo e delle terribili torture e ingiustizie
che vi si compiono.
Sul piano narrativo, la
trama di The Mauritanian procede su due linee
parallele: da un lato, veniamo a conoscenza della vita di Slahi in
prigione, dall’altro assistiamo alle indagini della Hollander e del
tenente Couch. Nancy è ferma, rigorosa, ma compassionevole quando
necessario. Nella sua mente, non importa se Salahi sia colpevole o
meno: dopo aver invocato l’habeas corpus, il governo deve ora
necessariamente accusarlo di un crimine se intende continuare la
sua prigionia. Numerosi sono i flashback delle torture
subite dal protagonista, della sua infanzia e dello studio come
ingegnere in Germania, quindi in Afghanistan, nel 1990, nei
campi di addestramento dei mujahideen (all’epoca alleati degli
Stati Uniti contro Mohammad Najibullah, il leader scelto dai
russi, come ricorda lui stesso ai suoi torturatori), quindi a
Montreal, dove secondo le accuse, avrebbe finalizzato la sua
collaborazione con Al-Qaeda.
The Mauritanian si
confronta direttamente con l’ideologia che è alla base di tutto:
scatti persistenti di bandiere americane che sventolano sopra un
cortile di una prigione mostrano un nazionalismo protettivo; il
modo vago e frenetico con cui i funzionari governativi spazzano via
i dubbi ci ricorda che il desiderio pubblico di sangue, dopo l’11
settembre, ha soppiantato ogni senso di giustizia.
Il punto di luce di The Mauritanian
è l’interpretazione di Rahim
Il punto di luce massima di The
Mauritanian è costituito dall’interpretazione di Tahar Rahim,
diamante dell’intera pellicola; la capacità dell’attore risiede
infatti nel delineare in maniera ottimale l’identità del
prigioniero, tramite frammenti di quotidianità prelevati di
soppiatto, come lo scambio di qualche frase con un altro
prigioniero, senza poterlo vedere, o mentre cerca di “fare
amicizia” con un’iguana. Le fasi giudiziarie sono limitate alla
breve parte finale, accompagnata poi da veri filmati di repertorio,
mentre il resto del racconto si concentra sulle fasi investigative
e sul dramma personale vissuto dal protagonista.
Jodie Foster e
Benedict Cumberbatch, sebbene regalino due performance
degne di nota, sono invece costretti all’interno di una
sceneggiatura che lascia loro poco spazio per mettersi in luce,
puntando tutto su Tahar Rahim. Il personaggio meno centrato e
motivato di tutti, risulta purtroppo essere quello dell’assistente
Teri Duncan, a cui non è riservato uno sviluppo coerente e la cui
presenza per lo sviluppo drammaturgico dell’opera risulta essere
puramente accessoria.
The Mauritanian
non riesce purtroppo ad evitare di cadere in uno schematismo
consolidato del genere; ne consegue che, benché le vicissitudine
dei personaggi siano emotivamente coinvolgenti, è difficile
individuare intuizioni o soluzioni stilistiche che riescano ad
elevare la pellicola rispetto ad altri prodotti sui generis. La
pellicola è un esempio, nel complesso piuttosto godibile, di cinema
civile, corretto e necessario, privo tuttavia di un efficacia
narrativa e filmica tale da far emergere il tutto rispetto ad altri
prodotti simili. La perspicacia massima di Kevin
Macdonald risiede nella claustrofobia fotografica
derivante dal gioco di spazi chiusi o semi-aperti, che dominano il
girato e sono indirizzati a trasmettere la sensazione di perpetua
impotenza di cui è vittima Slahi.
McDonald gioca con le proporzioni e
tonalità di colore per stabilire il passato di Slahi, le sue
esperienze a Guantanamo e il processo. C’è un’ironica attenzione ai
dettagli, che perdura per l’intero minutaggio: ne sono esempi
l’indugiare su un cartello che recita “Non fare del male alle
iguane”. Penalità di 10.000 dollari”.
Kevin Macdonald non
risparmia pugni mentre descrive la tortura e la degradazione
prevalenti a Guantanamo dopo l’11 settembre, indirizzando
chiaramente lo sguardo dello spettatore alla consapevolezza che
l’esperienza di Slahi non è stata unica: egli era uno dei centinaia
ad affrontare questi orrori. La visualizzazione di Macdonald nei
riguardi della figura di Slahi, l’uso della musica, della luce e
del montaggio e la performance viscerale di Rahim costituiscono i
punti vincenti dell’intera pellicola, ultimo lavoro di
Kevin Macdonald e per cui, ricordiamo,
Jodie Foster ha vinto il
Golden Globe come migliore attrice protagonista, e Tahar Rahim
ha ricevuto una nomination per il migliore attore in un film
drammatico.