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Venezia 76: Julie Andrews ritira il Leone d’Oro alla Carriera

Julie Andrews ha ritirato il Leone d’Oro alla Carriera a Venezia 76. L’attrice ha dichiarato: “Ancora mi meraviglio, sono stata una ragazza fortunata che ha potuto recitare ruoli bellissimi”.

Una standing ovation di 10 minuti ha accompagnato l’attrice sul palco della sala Grande per ricevere il premio dalle mani del presidente Paolo Baratta, dopo un’appassionata lode rivoltale da Luca Guadagnino.

Sempre elegante, l’attrice indossava un tailleur pantalone celeste e ha rievocati alcuni ricordi d’infanzia, tra cui la sua abitudine di cantare arie d’opera in italiano, delle quali, però, non conosceva il significato.

Omaggiando lei stessa il Festival di Venezia come “il primo Festival del mondo”, Julie Andrew ha dedicato il premio ai giovani attori: “Chiedo loro di rimanere fedeli ai loro sogni e alla loro visione”.

No.7 Cherry Lane, recensione del film di Di Yonfan #Venezia76

No.7 Cherry Lane, recensione del film di Di Yonfan #Venezia76

Un film di animazione si affaccia timidamente nel concorso della 76° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, rappresentando un evento veramente raro. Si tratta di No.7 Cherry Lane (Ji yuan tai qi hao) di Yofan, un’opera dal forte impatto visivo, che narra una storia personale realmente vissuta, seppure raccontata con visionarietà.

Siamo a Hong Kong negli anni sessanta, dove il giovane e aitante Ziming è uno studente universitario, colto, appassionato di letteratura e sportivo. In quegli anni c’è un gran fermento sociale e culturale che influisce sullo stile di vita e porterà alle rivolte politiche e agli accadimenti turbolenti del 1967. Il ragazzo intraprende una relazione con la signora Yu, una donna trasferitasi da Taiwan durante i difficili anni del Terrore Bianco e che ora vive a Hong Kong come esule. Ma Ziming è attratto anche dalla giovane e bellissima Meiling, la figlia di Yu. Sarà l’inizio di un mènage à trois, tra film, libri, sogni e focosi incontri.

Il regista di No.7 Cherry Lane ha realizzato un film complesso ed elegante che racconta sé stesso in maniera molto intima e lo fa in maniera inconsueta, scegliendo come mezzo espressivo l’animazione. Dice: “Si tratta della storia di un amore disperato, farcito di ingredienti contraddittori: dentro e fuori, alti e bassi, vizio e virtù, guerra e pace, la bella e la bestia, est e ovest, eterodosso e classico, spirituale e fisico… il tutto mescolato a migliaia di immagini realizzate a mano che costellano l’intera pellicola.”

Yofan dichiara che questo film sia il suo primo tentativo nell’ambito dell’animazione, ma si fa fatica a credergli, visto il risultato finale di rara bellezza, di un’eleganza visiva e narrativa difficilmente raggiungibile senza una maturità poetica e tecnica. I colori sono splendidi, le texture e i tratti di pastello restituiscono moltiplicate le emozioni di trovarsi a Hong Kong in quegli anni, con aerei mastodontici che passano a pochi metri sopra i palazzi oscurando il sole, il cotone che fluttua sulla città come tiepida neve, la folta vegetazione che sembra voler inghiottire le architetture affastellate e avvinghiate con cavi e antenne. E poi le scene sono disseminate di presenze, animaletti, bimbi, piccoli elementi che contribuiscono a orchestrare una sinfonia vivace e ipnotizzante. Yofan aggiunge, a proposito della scelta dell’animazione “È solo attraverso questa forma d’arte che posso trasmettere il mio sentimento di ‘desolazione nello splendore’. È la mia lettera d’amore dedicata a Hong Kong e al cinema. Una storia che parla di ieri, oggi e domani. E soprattutto, è un film che parla di liberazione.”

No.7 Cherry Lane è un delicato libro illustrato che si sfoglia davanti agli occhi dello spettatore, cullandolo con musica e suoni che lo trasportano in un sogno ad occhi spalancati. Il ritmo è lentissimo, quasi esasperante, ma il punto di partenza è Alla ricerca del tempo perduto di Proust. Questo lo legittima e impone di abbandonarsi.

The King: recensione del film con Timothée Chalamet

The King: recensione del film con Timothée Chalamet

The King è una libera rilettura di una delle tante opere di William Shakespeare, l’Enrico V. È un film con un cast di attori giovanissimi, tra i quali spicca per bravura e intensità Timothée Chalamet.

In The King la storia è quella inventata dal Bardo elisabettiano, che come un arcaico Tarantino si dilettava nel comporre poesia cruenta, fatta di girandole d’intrighi, lotte di potere, inganni, violenza e sangue. Il protagonista è Hal, principe d’Inghilterra ed Erede al trono, ma ribelle per sua natura e contrario al modo di governare dell’ingiusto padre. I dissidi con il genitore lo hanno portato lontano dalla corte, a vivere nel borgo insieme alla povera gente. Quando il padre muore, Hal viene incoronato Re d’Inghilterra, prendendo il posto del fratello ucciso in battaglia. Il suo nome da sovrano è Enrico V. Inizia per lui una dura lotta per difendersi da tranelli e tradimenti che lo trascineranno a entrare in guerra con la Francia. Unico fidato amico è un burbero cavaliere di nome Falstaff.

The King, il film

Il cinema ci ha abituato ormai a continue riletture dei drammi shakespeariani, con risultati originali e magnificamente riusciti, come il Macbeth di Roman Polanski, The Tempest di Derek Jarman, o Romeo+Giulietta di Baz Luhrmann, o ancora Titus di Julie Taymor, ma non mancano progetti discutibili, che certamente non meritano di essere ricordati. The King si pone tra le trasposizioni oneste e ben condotte, senza abbondare con l’originalità o le invenzioni, rimanendo saldamente ancorato a una messinscena storicamente credibile e ai limiti della ricostruzione storica, se non per qualche modernizzazione di costume e taglio di capelli. La trovata originale e vincente consiste nell’abbassare l’età ai protagonisti della sanguinosa vicenda, rendendo filologicamente giusta la durata della vita a quei tempi e attualizzando il gioco di potere tra ragazzi poco più che adolescenti.

Nonostante la grandezza dei mezzi produttivi, molte sequenze di battaglia risultano contenute, così come appaiono poco credibili alcune decisioni strategiche. Ma probabilmente si tratta di soluzioni adatte al palcoscenico teatrale, presenti nel canovaccio originale barocco, che una volta trasportate in un contesto cinematografico stentano a mantenere una giusta coerenza.

I personaggi sono ben dipinti, dai protagonisti fino alle tante comparse. Timothée Chalamet è perfetto nel ruolo di un giovanissimo Enrico V, con il suo piglio orgoglioso, il suo sguardo sincero e la sua energica foga di combattere, nonostante la sua stazza gracile e inadatta al pugnare. Non basta una cotta di maglia e un’armatura a renderlo un feroce cavaliere pronto a uccidere, ma è proprio questa la forza dirompente del suo personaggio. Anche Joel Edgerton, tra l’altro sceneggiatore del film, è a suo completo agio con spade e asce, facendo da robusto e maturo contraltare al piccolo Re. Lily-Rose Depp ha un ruolo piccolo ma determinante nello svolgimento finale della storia. Con poche inquadrature e battute fondamentali riesce a imporre la sua bravura e a rimanere impressa nella memoria.

Nel ripercorrere liberamente i versi di Shakespeare, con The King, David Michôd costruisce The King, un film che regala una riflessione profonda sulla brama di potere e sulla guerra, magnificamente interpretato da un manipolo di attori giovanissimi e godibile anche da chi non andrebbe mai a teatro per assistere a un sanguigno dramma elisabettiano.

Venezia 76: intervista a Pietro Marcello e Luca Marinelli su Martin Eden

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Il regista Pietro Marcello e l’attore Luca Marinelli hanno parlato d Martin Eden, il film adattamento dall’omonimo romanzo di Jack London, presentato in Concorso a Venezia 76.

Gael Garcia Bernal e Mariana Di Girolamo, intervista ai protagonisti di Ema

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Gael Garcia Bernal e Mariana Di Girolamo sono i protagonisti di Ema, il nuovo film di Pablo Larrain in concorso a Venezia 76. Ecco la nostra intervista agli attori:

Venezia 76: Roy Andersson torna al lido con OM DET OÄNDLIGA

Venezia 76: Roy Andersson torna al lido con OM DET OÄNDLIGA

Torna al lido in concorso il Leone d’oro Roy Andersson con il nuovo film OM DET OÄNDLIGA che sarà presentato in sala grande alle 19:15.

Prodotto da Roy Andersson Film Produktion (Pernilla Sandström, Johan Carlsson), Essential Films (Philippe Bober), 4 1⁄2 Fiksjon (Håkon Øverås), nel cast protagonisti Jan-Eje Ferling, Martin Serner, Bengt Bergius, Tatiana Delaunay, Anders Hellström, Thore Flygel.

OM DET OÄNDLIGA SINOSSI

Una riflessione sulla vita umana in tutta la sua bellezza e crudeltà, splendore e banalità. Trasportati in un sogno, siamo guidati dalla gentile voce narrante di una Sherazad. Momenti irrilevanti assumono lo stesso significato degli eventi storici: una coppia fluttua su una Colonia devastata dalla guerra; mentre accompagna la figlia a una festa di compleanno, un padre si ferma per allacciarle le scarpe sotto una pioggia battente; ragazze adolescenti ballano all’esterno di un caffè; un esercito sconfitto marcia verso un campo di prigionia. Ode e lamento al tempo stesso, Om det oändliga è un caleidoscopio di tutto ciò che è eternamente umano, una storia infinita sulla vulnerabilità dell’esistenza.

Commento del regista

La cornucopia è il mitico corno di una capra, ed è ricolma di simboli di ricchezza e abbondanza. Di solito è rappresentata traboccante di prodotti e di frutta di ogni genere: un’abbondanza generosa che, secondo il mito, non diminuisce mai, perché vera e propria rappresentazione dell’inesauribilità infinita. È stato il mito greco a ispirarmi a unire tutte queste scene, tutti questi temi in uno stesso film. Io voglio sottolineare la bellezza di essere vivi e umani, ma per dimostrarlo ci vuole un contrasto, bisogna rivelare anche il lato peggiore. Questo film è sull’infinità dei segni dell’esistenza.

Venezia 76: Monica Bellucci sul nuovo montaggio di Irreversible, di Gaspar Noé

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Monica Bellucci è stata la protagonista di un incontro a Venezia 76 in occasione della riedizione di Irreversible, film di Gaspar Noé del 2002 che ha girato insieme all’allora marito Vincent Cassell. Alla Mostra il film viene presentato in un nuovo montaggio, che ricostruisce in senso cronologico le vicende della versione originale della pellicola che fece scandalo diciassette anni fa.

“Questo nuovo montaggio mette più in evidenza il contrasto tra la bellezza e la violenza, è chiaro che sono temi polemici ma credo che ora questi temi vadano affrontati – ha dichiarato la Bellucci – Io ho fatto questo film 17 anni fa e la differenza è che oggi, con dei figli, vedo le loro generazioni che sono diverse, c’è più apertura sono più preparati rispetto a noi. Bisogna quindi trovare un terreno di comunicazione per tutti perché anche la brutalità dell’abuso può toccare chiunque e secondo me e credo secondo tutti non si tratta di fare una guerra ma trovare argomenti che possano far evolvere il rapporto uomo-donna”.

Ha poi proseguito, in merito alla famosa scena di violenza nel tunnel: “All’epoca, nel girare sotto quel tunnel, mi sentivo tutelata dalla presenza di mio marito Vincent Cassel, protagonista del film. Ma le attrici dentro il loro cuore hanno tante fate: dentro ne avevo una adatta per quella scena. Ma prima della scena, per un giorno, non volli vedere nessuno. Ora quando mi chiedono di fare un film penso molto a come possono reagire le mie figlie, loro e i compagni di scuola, quindi pensi che se fai una cosa un po’ scabrosa o scottante poi chissà che impatto avrà, forse quindi ci rifletterei due volte prima di accettare una cosa così potente e forse ne parlerei prima con loro”.

Sono passati degli anni e ora che il dibattito sulla violenza sulle donne è così vivo a livello internazionale, Monica Bellucci spiega che molte donne non riescono a guardarlo, oggi: “Sono passati tanti anni e tante lotte per la condizione della donna, forse per questo qui a Venezia dopo la proiezione e dopo quella scena di 9 minuti di massacro alcune donne mi guardavano perplesse e mi hanno chiesto: perché ho fatto quel film…” Ma l’attrice è convinta, a ragione, che quella violenza finta, sullo schermo, possa aiutare ancora a tenere alto l’interesse sull’argomento.

Box Office ITA: Il Re Leone regna al botteghino

Box Office ITA: Il Re Leone regna al botteghino

Il Re Leone domina al box office italiano, seguito da Attacco al Potere 3 e Fast & Furious – Hobbs & Shaw. Seconda settimana strepitosa per Il Re Leone, che domina la classifica degli incassi con cifre da capogiro. Il live action diretto da Jon Favreau incassa 6,3 milioni di euro in circa mille sale a disposizione e giunge alla bellezza di 26 milioni di euro in undici giorni di programmazione.

Il resto della classifica ha ben altri numeri, a partire da Attacco al Potere 3 che apre in seconda posizione con 942.000 euro in 415 copie, registrando una media per sala di 2200 euro. Fast & Furious – Hobbs & Shaw scende al terzo posto con altri 314.000 euro arrivando a quota 5,8 milioni. Flop per 5 è il numero perfetto, che debutta con soli 228.000 euro incassati in ben 337 sale disponibili. Il Signor Diavolo perde due posizioni rispetto all’esordio raccogliendo altri 209.000 euro con cui totalizza 816.000 euro.

Seguono le new entry Genitori quasi perfetti (156.000 euro) e Blinded by the light – Travolto dalla musica (114.000 euro). Teen Spirit esordisce con appena 66.000 euro in 220 sale a disposizione, mentre Crawl – Intrappolati precipita al nono posto con altri 56.000 euro con cui arriva a 783.000 complessivi. Chiude la top10 L’amour flou – Come separarsi e restare amici, che debutta con con 49.000 euro in una quarantina di copie.

I Goonies: secondo gli attori del film il sequel si farà

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I Goonies: secondo gli attori del film il sequel si farà

Uno dei film più iconici degli anni ottanta è senza dubbio I Goonies, film d’avventura diretto da Richard Donner e prodotto da Steven Spielberg. Il film ha per protagonisti un gruppo di ragazzi i quali, rinvenuta una mappa del tesoro, si incamminano alla ricerca di questo. Durante il loro percorso, i sette piccoli Goonies affronteranno paure e prove terribili, incontrando pipistrelli e trabocchetti.

Per anni si è parlato di realizzare un possibile sequel al film del 1985, ma le tante idee proposte non si sono mai concretizzate. Durante una piccola reunion del cast originale al FAN EXPO in Canada, tuttavia, le speranze dei fan sono state riaccese da alcune dichiarazioni degli attori presenti.

“Il pubblico lo desidera, – ha dichiarato Sean Austin, interprete di Mikey Walsh – e lo realizzeranno. E’ snervante che ci stia volendo così tanto tempo. Mi dispiace anche per conto di Steven Spielberg.”

“Lo faremo domani, lo giuro.” ha invece affermato Corey Feldman, che ricopriva il ruolo di Clark Devereaux. “Un giorno. Un giorno accadrà”, profetizza invece con tono più serio Jonathan Ke Quan, che nel film interpretava Richard Wang.

Se quanto dichiarato è vero, prima o poi verrà realizzato davvero un sequel diretto del film I Goonies, ma non è ancora possibile stabilire con certezza quando ciò avverrà. Certamente l’attuale nuova ondata di nostalgia verso gli anni ’80 potrebbe contribuire ad accelerare i tempi di realizzazione.

Fonte: ComicBook.com

Hercules: la Disney vorrebbe Tom Hiddleston o Benedict Cumberbatch per il ruolo di Ade

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Dopo Dumbo, Aladdin e Il Re Leone, tra i prossimi adattamenti in live action dei classici Disney ci sarà anche Hercules, film animato del 1997 di grande successo.

Tra i primi nomi proposti per interpretare il celebre semidio ci sarebbero Alexander Skarsgard e Trevor Donovan. Novità arrivano invece per quanto riguarda la ricerca dell’interprete di Ade, il celebre villain del film, il quale aspira a spodestare Zeus e ottenere il dominio dell’Olimpo.

Nella versione animata era James Woods a dare voce al personaggio, ma stando ad alcune indiscrezioni la Disney sarebbe alla ricerca di un differente tipo d’attore per il remake. Nella speranza di conferire ad Ade una nuova personalità, i produttori starebbero pensando ad un attore britannico, che abbia classe e carisma.

I nomi proposti su quella che si direbbe ancora essere soltanto una “whishlist” sono Benedict Cumberbatch e Tom Hiddleston.

Quest’ultimo ha già dato vita ad un villain all’interno del mondo Disney e Marvel, ovvero il celebre Loki. Cumberbatch dal canto suo ha già prestato la voce, e le movenze, per il temibile Smaug della trilogia dedicata a Lo Hobbit, dimostrando dunque grande versatilità. Bisogna inoltre considerare che entrambi hanno più volte rivelato grandi doti comiche, e nel caso uno di loro venisse davvero selezionato, anche quest’aspetto del personaggio di Ade non andrebbe perso.

Si tratta tuttavia ancora soltanto di voci, e non sembrano esserci ancora state delle prime trattative tra la Disney e i due attori. Per avere novità riguardo il live action di Hercules bisognerà dunque aspettare i prossimi mesi, quando probabilmente la produzione del film entrerà nel vivo.

Fonte: We Got This Covered

Spider-Man: la Sony avanza nuove richieste per il futuro del personaggio

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Dopo settimane di tensione tra la Disney e la Sony, nuove proposte sono state avanzate da quest’ultima circa il futuro del personaggio. Spider-Man potrebbe tornare nell’MCU ad una condizione, ovvero la libertà di apparire nei futuri film Sony legati all’universo fumettistico del personaggio, sequel di Venom in primis.

La Marvel potrebbe in tal modo gestire il personaggio all’interno del Marvel Cinematic Universe, mentre la Sony lo gestirebbe all’interno di un altro proprio universo cinematografico, senza che i due si intersechino tra loro.

Questa clausola dovrebbe estendersi anche a qualsiasi altra opera in cui è potenzialmente prevista la presenza di Peter Parker, come i film attualmente in lavorazione dedicati a Kraven e Morbius.

Come recentemente riportato, lo Spider-Man di Tom Holland appariva in un cameo all’interno del film Venom, ma al montaggio questo fu fatto tagliare dalla Disney. Qualora vi fosse stata la presenza di Spider-Man nel film, questo avrebbe di conseguenza incluso anche Venom all’interno dell’MCU, cosa che invece Kevin Feige e i Marvel Studios non sembravano disposti ad accettare.

Si attende ora una risposta dalla parte opposta, e in caso l’accordo riesca ad essere nuovamente stretto, ci sarebbe la possibilità di vedere il supereroe interpretato da Holland all’interno di due distinti universi narrativi, salvo una futura unione.

Vi ricordiamo che Spider-Man: Far From Home è uscito il 10 luglio in sala, ed è ancora oggi presente al cinema. Nel film, ambientato pochi mesi dopo gli eventi di Avengers: Endgame, Spider-Man si ritroverà a dover fronteggiare gli Elementali, esseri composti dai quattro elementi fondamentali che minacciano di distruggere il pianeta. Al suo fianco ci sarà però Quentin Beck, rinominato Mysterio, eroe dall’enigmatico passato.

 Il film è diretto da Jon Watts con Tom Holland, Jake Gyllenhaal, Zendaya, Samuel L. Jackson, Cobie Smulders, Jon Favreau, JB Smoove, Jacob Batalon e Marisa Tomei.

Fonte: We Got This Covered

Joker: Joaquin Phoenix non si è ispirato a nessuna delle precedenti versioni

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Per il suo ruolo nel film Joker, l’attore Joaquin Phoenix ha dichiarato di non essersi ispirato a nessuna delle molteplici versioni del personaggio.

Con il debutto avvenuto nel 1940, Joker doveva essere un nemico come un altro per il guardiano di Gotham City, ma il suo successo spinse gli editori a portarne avanti la storia, facendolo ben presto diventare la nemesi per eccellenza di Batman.

Nel corso degli anni il personaggio è stato adattato numerose volte, dalla versione animata doppiata da Mark Hamill a quella cinematografica di Jack Nicholson per il film Batman di Tim Burton. Più di recente il personaggio è stato portato al cinema in una riuscitissima versione da Heath Ledger in Il Cavaliere Oscuro e in una meno fortunata da Jared Leto in Suicide Squad.

Parlando con Variety al Festival di Venezia, dove il film è stato presentato in anteprima, Joaquin Phoenix ha dichiarato di aver avuto grande liberta da parte dei produttori sulla costruzione del personaggio. “Non è ispirato a nessuna delle precedenti versioni. – ha dichiarato l’attore – E’ come un qualcosa di nostra creazione.”

“Quello che mi attraeva di più del personaggio, – continua Phoenix – è che è davvero difficile da definire. In realtà non vuoi davvero definirlo. Ogni giorno ci sembrava di scoprire nuovi aspetti del personaggio, ed è stato così fino all’ultimo giorno.”

Stando a quanto dichiarato dall’attore, la vera fonte d’ispirazione del personaggio viene dalla lettura di alcuni libri basati su celebri assassini di politici. “Volevo la libertà di creare qualcosa che non fosse identificabile. Questo è un personaggio inventato, non volevo che uno psichiatra potesse realmente identificare che tipo di persona fosse.”

Joker sarà un film scollegato dal DC Extended Universe, e avrà per protagonista Arthur Fleck, un aspirante cabarettista il cui scarso successo lo costringe a lavorare come pagliaccio. Alienato ed emarginato dalla società, nel tentativo di ribellarsi finirà con il trasformarsi in una delle peggiori menti criminali mai viste a Gotham.

Vi ricordiamo che il film Joker è stato presentato alla 76° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, per poi arrivare nei cinema dal 4 ottobre. Il film è diretto da Todd Phillips e ha nel suo cast attori quali Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Zazie Beetz, Bill Camp, Frances Conroy e Brett Cullen.

Fonte: ScreenRant

Avengers: Endgame, ecco perché Robert Downey Jr. e Chris Evans hanno lasciato l’MCU

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Avengers: Endgame ha segnato la fine di un era per il Marvel Cinematic Universe, completando la prima saga del franchise. Il film segna anche la dipartita di Robert Downey Jr. e Chris Evans, rispettivamente dai ruoli di Iron Man e Captain America.

Durante un intervista con il magazine Disney Twenty-Three, Downey Jr. riflette sulla loro uscita dall’MCU, affermando che secondo loro era il momento giusto per farlo.

“Dovevamo lasciare. L’abbiamo deciso noi, e sapevo sarebbe stato parte del lavoro il scendere dal bus mentre questo si dirige verso altre destinazioni. – ha spiegato l’attore – E’ molto triste, ma io e Chris saremo sempre pronti ad accogliere coloro che lasceranno dopo di noi.”

Robert Downey Jr. ha ricoperto il ruolo di Tony Stark/Iron Man sin dal primo film, realizzato nel 2008 e dedicato proprio al celebre supereroe. Chris Evans ha invece interpretato il ruolo di Steve Rogers/Captain America dal 2011. I due sono parte del gruppo originale degli Avengers, nel film del 2012. Da quel momento i due sono apparsi in numerosi altri film dell’MCU, tramite cameo o ruoli secondari.

Avengers: Endgame ha concluso l’arco narrativo dei due supereroi, con il sacrificio estremo di Tony Stark per l’umanità e la possibilità di Captain America di tornare nel passato e vivere la sua vita accanto all’amata Peggy Carter.

Ricordiamo che Avengers: Endgame è di prossima uscita in home-video. Il film, diretto da Joe e Anthony Russo, si ritrovano Robert Downey Jr., Chris Hemsworth, Mark Ruffalo, Chris Evans, Scarlett Johansson, Benedict Cumberbatch, Jeremy Renner, Don Cheadle, Tom Holland, Chadwick Boseman, Paul Bettany, Elizabeth Olsen, Antony Mackie, Sebastian Stan, Letitia Wright, Dave Bautista, Zoe Saldana, Josh Brolin, Chris Pratt, Evangeline Lilly, Jon Favreau, Paul Rudd, Brie Larson e Samuel L. Jackson.

Dopo gli eventi devastanti di Avengers: Infinity War (2018), l’universo è in rovina a causa degli sforzi del Titano Pazzo, Thanos. Con l’aiuto degli alleati rimasti in vita dopo lo schiocco, i Vendicatori dovranno riunirsi ancora una volta per annullare le azioni del villain e ripristinare l’ordine nell’universo una volta per tutte, indipendentemente dalle conseguenze che potrebbero esserci.

Fonte: ComicBookResource

Avengers: Endgame, gli sceneggiatori parlano del viaggio nel passato di Captain America

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Gli sceneggiatori di Avengers: Endgame, Christopher Markus e Stephen McFeely si sono dichiarati in disaccordo con i registi Joe e Anthony Russo riguardo a come il ritorno nel passato di Captain America per vivere insieme a Peggy Carter influenzi la timeline dell’MCU.  

Contrariamente a quanto affermato dai due registi, secondo i quali una nuova timeline si genera dal ritorno nel passato del personaggio, stando ai due sceneggiatori nulla viene alterato, e Steve Rogers semplicemente rimane sullo sfondo degli eventi.

Uno dei principali punti di discussione avviene riguardo la possibilità per Steve Rogers, in una timeline alternativa, di influenzare gli eventi della storia, impedendo così alcuni dei più scioccanti e tragici momenti accaduti dalla metà del Novecento in poi.

Tuttavia, durante un panel al Comic-Con International a San Diego, Christopher Markus ha spiegato come mai secondo lui Steve Rogers non abbia cambiato la storia: “Io e Stephen siamo stati attratti fin da subito dall’idea che il ritorno nel passato di Steve comportasse la sua silenziosa presenza sullo sfondo di tutti gli eventi poi accaduti.”

“Certo, avrebbe potuto evitare tante cose che sapeva sarebbero accadute, – ha continuato Markus – ad esempio salvare Bucky o Kennedy, ma questo non è il motivo per cui l’abbiamo rimandato indietro. L’abbiamo fatto tornare indietro così che potesse tornare dalla guerra, vivere la sua vita, e onorare l’appuntamento con Peggy.”

Ricomparso ormai invecchiato alla fine di Avengers: Endgame, Captain America dona il suo famoso scudo a Sam Wilson, alias Falcon, il quale prende così il suo posto, e comparirà in tale ruolo nella serie Disney+ intitolata The Falcon and the Winter Soldier.

Ricordiamo che Avengers: Endgame è di prossima uscita in home-video. Il film, diretto da Joe e Anthony Russo, si ritrovano Robert Downey Jr., Chris Hemsworth, Mark Ruffalo, Chris Evans, Scarlett Johansson, Benedict Cumberbatch, Jeremy Renner, Don Cheadle, Tom Holland, Chadwick Boseman, Paul Bettany, Elizabeth Olsen, Antony Mackie, Sebastian Stan, Letitia Wright, Dave Bautista, Zoe Saldana, Josh Brolin, Chris Pratt, Evangeline Lilly, Jon Favreau, Paul Rudd, Brie Larson e Samuel L. Jackson.

Dopo gli eventi devastanti di Avengers: Infinity War (2018), l’universo è in rovina a causa degli sforzi del Titano Pazzo, Thanos. Con l’aiuto degli alleati rimasti in vita dopo lo schiocco, i Vendicatori dovranno riunirsi ancora una volta per annullare le azioni del villain e ripristinare l’ordine nell’universo una volta per tutte, indipendentemente dalle conseguenze che potrebbero esserci.

Fonte: ComicBookResource

Iron Man: in Italia eretto un monumento dedicato al supereroe

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Iron Man: in Italia eretto un monumento dedicato al supereroe

Nell’anno del grande sacrificio cinematografico di Iron Man, avvenuto in Avengers: Endgame, un monumento in onore del celebre supereroe è stato eretto in Italia, a Forte dei Marmi. Le foto sono state diffuse su Reddit all’indirizzo r/MarvelStudios.

La statua, realizzata in acciaio lucido e ottone, ritrae Iron Man nella sua più iconica posa. Alta circa quattro metri, è stata disegnata e realizzata dallo scultore Daniele Basso per la sua esposizione d’arte intitolata “Oltre Verso” e presente alla galleria Lorenese a Forte dei Marmi. L’omaggio a Tony Stark si trova all’esterno della galleria, precisamente nel mezzo di via Carducci.

Alla base della statua vi è una targa che recita: “Il primo monumento dedicato a Iron Man nell’anno della sua morte cinematografica. Celebriamo Toni Stark come l’uomo che ha dedicato la sua vita a combattere per gli ideali in cui credeva, ricordandoci che siamo tutti protagonisti del nostro futuro, che il futuro dell’umanità dipende dalle nostre decisioni… e che tutti noi dobbiamo essere eroi.”

Il tributo rende così onore al volto di questi primi dieci anni di Marvel Cinematic Universe, iniziati proprio con il film Iron Man nel 2008. Nell’arco di 23 film, Robert Downey Jr. è apparso ben 10 volte nel ruolo del genio, miliardario, playboy e filantropo.

Avengers: Endgame è di prossima uscita in home-video. Il film, diretto da Joe e Anthony Russo, si ritrovano Robert Downey Jr., Chris Hemsworth, Mark Ruffalo, Chris Evans, Scarlett Johansson, Benedict Cumberbatch, Jeremy Renner, Don Cheadle, Tom Holland, Chadwick Boseman, Paul Bettany, Elizabeth Olsen, Antony Mackie, Sebastian Stan, Letitia Wright, Dave Bautista, Zoe Saldana, Josh Brolin, Chris Pratt, Evangeline Lilly, Jon Favreau, Paul Rudd, Brie Larson e Samuel L. Jackson.

Dopo gli eventi devastanti di Avengers: Infinity War (2018), l’universo è in rovina a causa degli sforzi del Titano Pazzo, Thanos. Con l’aiuto degli alleati rimasti in vita dopo lo schiocco, i Vendicatori dovranno riunirsi ancora una volta per annullare le azioni del villain e ripristinare l’ordine nell’universo una volta per tutte, indipendentemente dalle conseguenze che potrebbero esserci.

Fonte: ComicBookResource

Venezia 76, red carpet: Penelope Cruz, Meryl Streep, Lina Wertmuller e tanti altri

È stato un red carpet affollato e pieni di star quello che ha impreziosito la serata di domenica 1 settembre, alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia 76. Hanno sfilato i protagonisti di Wasp Network, il film di Olivier Assayas, Penelope Cruz, Edgar Ramirez e Gael Garcia Bernal, ma anche i due premi Oscar Meryl Streep e Gary Oldman, protagonisti di The Laundromat, film di Steven Soderberg, pure in concorso.

Ecco tutti gli ospiti negli scatti di Luigi De Pompeis:

 

Venezia 76: oggi Timothée Chalamet presenta The King

Venezia 76: oggi Timothée Chalamet presenta The King

E’ il grande giorno del nominato all’Oscar Timothée Chalamet che arriva al lido per presentare The King, il film originale Netflix fuori concorso al Venezia 76. The King è prodotto da Plan B (Brad Pitt, Dede Gardner), Porchlight Films (Liz Watts), Yoki (David Michôd), Blue-Tongue Films (Joel Edgerton) e Netflix. Alla regia il regista di Animal Kingdom David Michôd. Nel cast anche Joel Edgerton, Sean Harris, Tom Glynn-Carney, Lily-Rose Depp, Thomasin McKenzie, Robert Pattinson, Ben Mendelsohn.

The King, il film

Principe ribelle e riluttante erede al trono d’Inghilterra, Hal ha voltato le spalle alla vita di corte e vive tra il popolo. Ma quando il tirannico padre muore, Hal è incoronato re con il nome di Enrico V e si trova costretto ad abbracciare la vita alla quale aveva cercato di sfuggire fino ad allora. Il giovane re si trova ora a destreggiarsi tra la politica di palazzo, il caos, le guerre che il padre si è lasciato alle spalle, e le vicende emotive della sua vita passata, incluso il rapporto con l’intimo amico e mentore, l’anziano cavaliere alcolista John Falstaff.

COMMENTO DEL REGISTA

Prima che io e Joel Edgerton decidessimo di ripercorrere la storia di Enrico V, non avevo mai pensato che un giorno mi sarei ritrovato a girare un film ambientato nel Medioevo. Non mi sono mai sentito molto vicino a spade e cavalli. Ma più ne parlavamo e approfondivo le ricerche, più mi entusiasmavo all’idea di ritrarre il Medioevo – con le sue ombre, la sua brutalità, la precarietà tra la vita e la morte, il suo misticismo – in modo crudo e umano allo stesso tempo. Volevo realizzare il tipo di film medievale che avevo in mente, ossia privo della retorica nazionalista normalmente associata alla storia di Enrico V. Un film che potesse fare luce su come la guerra può emergere dalle paludi del potere e della paranoia, dell’avidità e dell’arroganza, della paura e della famiglia.

Seberg, recensione del film con Kristen Stewart #Venezia76

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Seberg, recensione del film con Kristen Stewart #Venezia76

Tutti la ricordano per quel taglio così corto e quel pollice delicatamente passato sopra alle labbra, alla fine di Fino all’Ultimo Respiro, ma l’attrice Jean Seberg è stata protagonista di una delle più interessanti, misteriose e tormentate biografie. Questa biografia viene riproposta in Seberg, di Benedict Andrews, presentato Fuori Concorso a Venezia 76.

La storia ruota intorno alla periodo in cui l’attrice, divenuta il simbolo della Nouvelle Vague, decise di proseguire la sua carriera a Hollywood, della sua relazione clandestina con un attivista per i diritti dei neri, del suo finanziamento alle Pantere Nere e della sua intensa attività sociale. L’attrice diventa così d’interesse del FBI che la spia secondo il protocollo illegale voluto da Hoover, il COINTELPRO. Questo processo porterà l’attrice a un tracollo personale che la spingerà addirittura a tentare il suicidio.

Andrews sceglie Kristen Stewart per interpretare l’avvincente biografia della Seberg, peccato che non faccia lo stesso con il tono e l’angolazione del racconto. Il fuoco del racconto, infatti, si sposta di continuo dall’attrice al privato di uno degli agenti del FBI incaricati di spiarla, passando anche per la vita privata dell’attivista per i diritti dei neri che ebbe una storia d’amore con Jean.

Questa mancanza di direzione rende il film un compendio biografico che informa di una storia, romanzando dove possibile, senza aggiungere un valore cinematografico al progetto che pure vede coinvolta la Stewart che è una delle giovani attrici più richieste e amate del cinema d’autore. Lei, dal canto suo, offre un’ottima performance, giocando alla diva degli anni ’60, scivolando in abitini, costumi da bagno e vestiti di scena con grande agilità e restituendo parte della forza e della determinazione, ma anche della fragilità di questa donna così affascinante e misteriosa.

Il film vuole essere principalmente un omaggio alla figura della Seberg, un ricordo, nemmeno troppo commosso, di una storia dimenticata.

Wasp Network: recensione del film di Olivier Assayas #Venezia76

Wasp Network: recensione del film di Olivier Assayas #Venezia76

Il veterano della mostra Olivier Assayas, dopo  Doubles Vies  dello scorso anno, porta in concorso a Venezia il suo nuovo film Wasp Network, storia ambientata a Cuba negli anni novanta e interpretata tra i tanti attori da Gael García Bernal e Penélope Cruz.

Nel film, basato su una storia realmente accaduta, è raccontata la storia dei cosiddetti “Cinque Cubani”, ovvero cinque prigionieri politici (in realtà erano molti di più), accusati di spionaggio, omicidio, traffico di droga e altri crimini e condannati a molti anni di carcere dal governo Americano. Tra loro c’è René González, un pilota cubano, che rubò un aereo e fuggì da Cuba, abbandonando la moglie e  la figlia. González, una volta arrivato in Florida si costruì  una nuova vita a Miami, entrando in contatto con altri dissidenti, tutti impegnati nella destabilizzazione del regime di Castro, ma in realtà si trattava di agenti che dovevano raccogliere informazioni per sventare atti terroristici a Cuba a danno dei turisti stranieri. Il gruppo di infiltrati venne chiamato Wasp Network. La vicenda narrata nel film inizia nel 1990, proprio con la fuga di René González, per intrecciarsi poi con altre fughe ed espatri, in una ragnatela di intrighi, bugie e continui voltafaccia.

Olivier Assayas pensa che i fatti accaduti durante tutto il periodo della Guerra Fredda abbiano influenzato il pensiero della sua generazione e delineato i contorni del presente. Le ceneri di quei conflitti ardono ancora, anche se poco visibili, ma possono riprendere facilmente vigore e bruciare nuovamente. Per questo motivo ha scelto di raccontare in Wasp Network la storia di uno di questi avvenimenti, nella convinzione che la distanza storica sia ormai tale da poterne discutere. Sicuramente non distaccandosene, ma potendo “fruire di libertà e rigore in un’analisi magnanima, seppur prudente. Senza farsi ingannare dalle maschere dell’ideologia.Assayas si dichiara interessato alla storia moderna vista attraverso la lente della sua umanità e chiamando in causa Shakespeare dice: “La politica, come la vita, è un racconto narrato da uno stolto, pieno di rumore e furore, che non significa nulla. Ma è di questa passione che gli uomini vivono. E muoiono.”

Wasp Network è ben costruito e descrive esaurientemente tutte le figure, gli intrecci e le motivazioni che spinsero i personaggi reali fare scelte così difficili. Tutto il cast è centrato e credibile. Su tutti spicca l’interpretazione di Penélope Cruz, nel ruolo della moglie del pilota, abbandonata a cuba con la figlia piccola. Ma il film di Assayas manca di ritmo, in molte sequenze la narrazione diviene didascalica e mera illustrazione di una descrizione necessaria alla comprensione dello svolgimento dei complessi fatti. Lo svolgimento della vicenda, che si dipana su oltre un decennio, non aiuta certo ad alleggerire.

The New Pope, recensione degli episodi 2 e 7 della serie di Paolo Sorrentino #Venezia76

Dopo la prima stagione di The young Pope , che era stata proiettata in anteprima a Venezia nel 2016, Paolo Sorrentino presenta un goloso assaggio della nuova serie. Il titolo cambia in The new Pope  per assecondare  l’andamento narrativo della storia. Sono stati presentati il secondo e il settimo episodio, puntellati da un riassunto della prima serie e di uno di collegamento tra le due puntate. Il cast è ricchissimo, composto da nomi internazionali: Jude Law, John Malkovich, Silvio Orlando, Cécile de France, Javier Cámara, Ludivine Sagnier.

La storia riprende dopo l’infarto del giovane Papa nel finale della prima stagione. Ora Pio XIII è in coma e sembra destinato a non riprendersi. Passati alcuni mesi viene proclamato un nuovo pontefice che però muore in circostanze sospette. Il Cardinale Voiello si opera allora, con tutto il suo potere politico, a far salire al soglio pontificio Sir John Brannox, un aristocratico inglese, affascinante e sofisticato, che prende il nome di Giovanni Paolo III. Il nuovo papa sembra perfetto, ma cela debolezza e segreti. Pio XIII sembra ormai destinato a essere solamente ricordato e venerato, ma  forse i miracoli sono sempre possibili.

The new Pope conferma in pieno lo stile inconfondibile di Paolo Sorrentino. Bastano pochi fotogrammi per riconoscere il suo modo di raccontare, fatto di simmetrie geometriche innaturali, di scene al rallentatore esasperate, di musica pop e tecno, di nudi femminili e maschili, di colori acidi e luci al neon. E’ uno stile che film dopo film si evolve, o meglio lievita, come un impasto impazzito che potrebbe anche rischiare di esplodere, imbrattando tutto. Gli stilemi si fanno reiterati e insieme a grande bellezza e  fascino visivo si ha la sensazione di patinatura, di estrema impalcatura estetica che spesso vorrebbe soffocare i contenuti. E’ un male? Certamente no. Tanti autori, dai quali Sorrentino sembra attingere a piene mani, hanno fatto lo stesso, costruendo la propria poetica espressiva sull’eccesso e sulla costruzione barocca e provocatoria.

Nel vedere The new Pope come si fa a non pensare a Peter Greenaway, a Derek Jarman, a Federico Fellini, a Ken Russell, solo per citarne alcuni. Forse è citazionismo, o forse è uno studio accurato di riferimenti importanti per la costruzione di uno stile personale, che si nutre di arti figurative con golosità. Per Sorrentino il volgare si sposa con l’eleganza, la trivialità si eleva a stile, il sacro abbraccia il profano e la blasfemia è così ruffiana da apparire ammaliante. Vedendo The new Pope si avvertono sensazioni simili a quelle che si provano nell’ammirare una fotografia di David La Chapelle, o una scultura di Jeff Koons, o anche un opera di Damien Hirst. Si può rimanere stupefatti, indignati, affascinati, o magari anche schifati, o offesi. E questo è bello. Vuol dire che sta succedendo qualcosa di positivo nella serialità televisiva, che stiamo parlando di una serie che strappa i confini dello schermo, cinematografico o televisivo che sia, e che pone l’opera in territori di sperimentazione che sembravano persi a favore della speculazione.

La capacità di narrazione di Sorrentino è notevole e la descrizione dei tanti personaggi risulta perfettamente calibrata, scritta in punta di pennino da un abile affabulatore moderno, con calligrafia elegante e mai ovvia. Gli interpreti sono tutti azzeccati, nella loro caratterizzazione forzata che li rende pupazzi, burattini alla mercé di un estroso burattinaio. Spiccano Jude Law e John Malkovich, per aver dato spessore e sfumature a due uomini misteriosi, apparentemente impenetrabili, con dubbi e tormenti profondi, ma che rappresentano il più alto punto di riferimento per gran parte dell’umanità.

The New Pope di Paolo Sorrentino conferma l’originalità e la fascinazione di The Young Pope e si conferma una serie che rompe violentemente gli schemi e allarga lo sguardo verso progetti di grande respiro espressivo, uscendo finalmente dalla mera commercialità.

Il Sindaco del Rione Sanità: recensione del film

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Il Sindaco del Rione Sanità: recensione del film

Adattamento dell’omonimo testo teatrale di Eduardo De Filippo, Il Sindaco del Rione Sanità è il nuovo film di Mario Martone, in Concorso a Venezia 76. Modificando alcuni elementi dell’originale, il regista tenta di dare una nuova attualità all’opera, avvalendosi di giovani attori del panorama teatrale partenopeo e di alcuni volti molto noti del cinema, trai quali spicca Massimiliano Gallo, sempre in grande forma.

Antonio Barracano, “uomo d’onore” che sa distinguere tra “gente per bene e gente carogna”, è “Il Sindaco” del rione Sanità. Con la sua carismatica influenza e l’aiuto dell’amico medico amministra la giustizia secondo suoi personali criteri, al di fuori dello Stato e al di sopra delle parti. Chi “tiene santi” va in Paradiso e chi non ne tiene va da Don Antonio, questa è la regola. Quando gli si presenta disperato Rafiluccio Santaniello, il figlio del fornaio, deciso a uccidere il padre, Don Antonio, riconosce nel giovane lo stesso sentimento di vendetta che da ragazzo lo aveva ossessionato e poi cambiato per sempre. Il Sindaco decide di intervenire per riconciliare padre e figlio e salvarli entrambi. Nei panni di Antonio Barracano c’è Francesco Di Leva, di trent’anni più giovane di Eduardo, quando mise in scena la prima volta il testo nello stesso ruolo. Uno spostamento, e soprattutto un cambiamento di look, laddove l’incarnazione anziana era elegante e quella giovane è appariscente, che sono sintomatiche del lavoro di spostamento verso una contemporaneità in cui i boss non diventano vecchi, oppure lo sono già a 40 anni.

Il Sindaco del Rione Sanità, il film

Il testo di Eduardo al cinema è inizialmente forzato, ostico, teatrale nel senso negativo del termine perché sembra non sposarsi con i ritmi di un racconto filmato, ma man mano che entriamo nella vicenda, ci abituiamo all’enfasi e scopriamo cosa qual è il racconto principale, dove va a parare e soprattutto che razza d’uomo è questo signorotto un po’ sgradevole nei modi autoritari, con un fine nobile però, tanto che arriva a sacrificare la sua vita, più o meno volontariamente, per la pace nel suo rione. Martone trasla i tre atti su grande schermo, e si avvale di interpreti efficaci e dedicati, così che la sua messa in scena de Il Sindaco del Rione Sanità, al netto dello spostamento del testo originale, riesce comunque a restituire il contenuto altissimo che Eduardo aveva dato alle parole di Barracano. Certo, l’effetto straniante rimane, ma la potenza delle parole travalica il tempo.

Venezia 76: Meryl Streep e Gary Oldman presentano The Laundromat

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Venezia 76: Meryl Streep e Gary Oldman presentano The Laundromat

Meryl Streep, trai protagonisti di The Laundromat, in concorso a Venezia 76, descrive così il film diretto da Steven Soderberg: “Il film racconta di un messicano e un tedesco che prendono dei soldi dai cinesi, dai presidenti di Islanda e Malta, da Bruce Lee”. “Ma anche Kubrick…” le fa eco Gary Oldman, altro protagonista, insieme ad Antonio Banderas assente, del film che racconta dello scandalo dei Panama Papers.

Il film si apre e si chiude con due piano sequenza, lunghe inquadrature senza stacchi che vedono protagonisti in apertura Oldman e in chiusura la Streep, che offre un altro saggio, l’ennesimo, della sua grande bravura.

Gary Oldman: “Nel mio caso è stato più semplice, perché io rimango nel mio personaggio per tutta la scena, un unico piano sequenza senza tagli. L’unica difficoltà di una scena così è il testo, da attori il minimo da fare è imparare le battute, e in film come questi ci sono intere pagine di battute da imparare a memoria. Il regista chiede sempre cose diverse, rigirando la stessa scena, e quindi è importante sapere tutto a memoria.”

Meryl Streep: “Il mio piano sequenza finale è stata una delle scene più difficili del film. Non lo sapevo fino alla sera prima: le mie scene erano tutte concentrate in un unico blocco e solo la sera prima ho scoperto che avremmo fatto questa parte in questo modo. L’aspetto più difficile è stato il fatto che ho recitato la lettera John Doe: è la vera lettera, scritta dalla gola profonda dei Panama Papers, ed è scritta nel linguaggio scritto, che non è colloquiale. Mi sono dovuta impegnare a renderlo tale ma sforzandomi di non cambiare nulla, e nel frattempo dovevo trasformarmi. Non è stato affatto semplice. L’abbiamo rigirata tantissime volte, volevo che fosse perfetta, che non ci fosse nemmeno una parola fuori posto, perché erano le parole di una persona coraggiosissima che ha cambiato il mondo.”

Il personaggio della Streep ricorda tutte le persone comuni che, colpite da un fatto personale, cercano di fare qualcosa per cambiare il mondo. “Penso che tutti noi quando vediamo persone appassionate tendiamo a fidarci – ha detto Meryl StreepIo stessa beneficio delle leggi che hanno dato la possibilità a queste persone di perpetrare questi crimini, ma non mi interessa conservare questo diritto. Spesso, le persone che alimentano e sostengono questo sistema sono le più povere, e c’è dell’ironia in questo. Il mio personaggio non è diverso da mia madre, o dalla gente del posto in cui sono nata: persone che vivono la loro vita, vanno in chiesa, pensano ci sia giustizia, e quando vedono che non c’è, non si sa con quale forza cercano di cambiare il mondo. Ma il mio è un personaggio creato da Soderbergh e Scott Z. Burns.”

Entrambi gli attori si sono distinti per le trasformazioni nei loro ruoli. Ed entrambi hanno dei canoni molto precisi in base ai quali scelgono i copioni che vengono loro proposti.

Meryl Streep: “Non vedo il mio lavoro come un compito a casa o una prescrizione medica. Ovviamente amo la sfida, amo mantenere la mente aperta e imparare a pensarla diversamente. Invecchiando qualcuno pensa di aver imparato tutto, di sapere tutto, e invece a me piace aprire la mia mente.”

Gary Oldman: “Vi rendete conto che avete davanti due primi ministri inglesi! Il punto è che nell’interpretazione l’elemento fisico è uno degli aspetti più difficili. Quando mi trovo davanti a un rischio, quello che penso è: se cadrò, precipiterò e sarà una caduta lunghissima e quando arriverò al suolo mi farò molto male. Ma questo fa parte del rischio che ci prendiamo quando accettiamo un ruolo difficile.”

Venezia 76: Olivier Assayas presenta Wasp Network

Venezia 76: Olivier Assayas presenta Wasp Network

Per Olivier Assayas, Cuba è il cuore pulsante di Wasp Network. Oggi il regista francese, presente in conferenza stampa con i protagonisti del suo ultimo thriller politico, ha raccontato di quanto sia stato complicato conoscere le molteplici sfaccettature de La Havana. Certamente è stato un processo di scoperta lungo e complicato, ma fondamentale per arricchire e perfezionare la sceneggiatura e lo spessore dei personaggi. All’inizio erano tutti sospettosi nei confronti di un regista francese che voleva parlare di quello che era successo ai Cinque eroi di Cuba, di qualcosa che non apparteneva alla sua storia.

Superate le prime ritrosie la troupe non ha mai incontrato grossi ostacoli, il lavoro è stati monitorato ma mai compromesso e la pellicola è quella che Assayas voleva realizzare fin dall’inizio. Durante la lavorazione di Wasp, i rapporti tra USA e Cuba si sono fatti ancora più turbolenti e oggi non sarebbe possibile avere accesso a quei luoghi per effettuare delle riprese. Assayas non ha mai incontrato Fernando Morais, autore de Los ultimos soldados de la guerra fria da cui il film è tratto, ma ha usato il materiale riservato che il giornalista ha raccolto nel corso degli anni e ciò gli ha permesso di approfondire gli aspetti più controversi della vicenda e sottolineare la posizione ambivalente degli Stati Uniti.

Penélope Cruz ha scelto di lavorare con Assayas per la passione e l’onestà che il regista mette nel raccontare una storia. Ha parlato con molti cubani per identificarsi meglio con il personaggio di Olga, fare propri i suoi valori e comprendere il suo estremismo. È stato difficile ricevere informazioni concrete e condividere il loro punto di vista sugli avvenimenti degli ultimi decenni. Trova assurdo che nel 2019 non si possa esprimere liberamente il proprio pensiero. Una delle paure più grandi dell’attrice è vedere il mondo sempre più diviso e mosso da un cieco individualismo, in balia della tecnologia che toglie tempo alla comunicazione vera, ai rapporti personali.

Per Edgar Ramírez non esiste più l’idea romantica del patriottismo. Le spie compiono un vero e proprio sdoppiamento di personalità. Si calano nei panni di qualcun altro come fanno gli attori, con la differenza che gli attori lo fanno per finzione, mentre le spie azionando dei meccanismi reali, rischiano di pagare i loro sbagli con la vita. Nascondersi e ingannare le persone che ami è devastante, questo è l’aspetto che lo ha commosso maggiormente. Gael García Bernal allontana ancora di più dal film il concetto di patriottismo, che secondo lui potrebbe risultare semplicistico e riduttivo. Quello che fanno i personaggi non è spionaggio; con il loro operato cercano di fermare la violenza. Il loro atto d’amore li porta a lasciare le loro famiglie, a sacrificarsi e paradossalmente vengono puniti al posto dei terroristi.

Venezia 76: intervista a Pablo Larraín per Ema

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Venezia 76: intervista a Pablo Larraín per Ema

Il regista cileno, Pablo Larraín, ha presentato in Concorso a Venezia 76 il suo ultimo film, Ema, con protagonisti Mariana Di Girolamo e Gael Garcia Bernal. Ecco la nostra intervista:

 

Venezia 76: Paolo Sorrentino presenta The New Pope

Venezia 76: Paolo Sorrentino presenta The New Pope

Dopo la proiezione di due episodi di The New Pope, il secondo è il settimo, Paolo Sorrentino incontra la stampa insieme ai tanti produttori e agli attori Jude Law, John Malkovich, Silvio Orlando, Cécile de France, Javier Cámara, Ludivine Sagnier.

I produttori sottolineano la grandezza e l’importanza del progetto internazionale di questa serie, che travalica i confini territoriali, sia per i contenuti e la ricerca espressiva che per le professionalità che vi hanno partecipato e anche per il cast. Volevano creare una serie televisiva rilevante, che riunisse altissima qualità e popolarità. Sono fieri di esserci riusciti grazie all’estro di Paolo Sorrentino. E sono anche orgogliosi di aver spostato il linguaggio cinematografico sulla televisione, usufruendo di grandi star del cinema e di essere oggi a Venezia per mostrare in ambito cinematografico il frutto di tale lavoro.

Ludivine Sagnier crede che nella prima stagione della serie il suo personaggio fosse più innocente, fatto di purezza e fede. Ma ora si è trasformato in qualcosa di più cupo e misterioso. Javier Cámara, è grato a Sorrentino per averlo voluto nel progetto e si sente ancora eccitato di aver girato a Roma, a poca distanza deal Vaticano e soprattutto di essere stato a Cinecittà nel Teatro 5, dove era ricostruita la Cappella Sistina e dove aveva girato i suoi film Federico Fellini ; per lui era come essere in cielo, in paradiso. Cécile de France invece descrive il suo personaggio e la sua evoluzione. Prima era una figura semplice, poco sviluppata, anche se fondamentale per la storia, ma ora è diventata certamente più complessa e intricato, con una vita amorosa, una sessualità che lo caratterizza e con un entusiasmo che piace molto al Vaticano.

Orfeo Orlando scherza sul fatto di sentirsi un intruso entrato clandestinamente in un cast internazionale. Anche lui ritiene che il suo Cardinale Voiello abbia avuto una grande evoluzione e che sia sbocciato, con le sue corde che vanno dal drammatico al comico. Si è sentito come uno Stradivari del 700 nelle mani del più virtuoso dei violinisti.

Jude Law trova che l’ambientare parte della serie a Venezia sia stata un’idea geniale, che arricchisce e vela di mistero e malinconia la complessità della situazione del suo personaggio. Dice di essere stato diretto magnificamente, anche quando la difficoltà di capire le sfumature si palesava e per questo ringrazia Paolo Sorrentino. Scherza sull’aver indossato in alcune scene degli slip microscopici e di averne girata una dove nascondeva le parti intime con un tovagliolo.

John Malkovich , elemento nuovo al progetto, entrato in questa seconda stagione, racconta di aver visto e studiato con grande attenzione la prima parte e anche tutti i film di Sorrentino. Gli piace il suo modo di raccontare, di girare di come inserisce i personaggi nell’ambiente con grande meticolosità. Si è sentito stimolato di interrogarsi sulla religione e su tematiche profonde e trovato a proprio agio nel lavorare per il formato televisivo.

Paolo Sorrentino infine, sottolinea l’importanza del lavoro collettivo e di uno sforzo produttivo enorme. È soddisfatto e onorato di avere un cast di attori buoni, docili e anche bravi. Cita Carmelo Bene con una sua frase “Non servono attori bravi, ma fuori di sé.”

Venezia 76, red carpet: bagno di folla per Joaquin Phoenix

Venezia 76, red carpet: bagno di folla per Joaquin Phoenix

Joaquin Phoenix ha conquistato tutti a Venezia 76. Forte già di uno status di attore molto amato e apprezzato, Phoenix ha regalato al Festival una delle sue migliori interpretazioni in Joker, di Todd Phillips.

L’attore è stato il protagonista del tappeto rosso della serata di sabato alla Mostra del Lido e con lui, oltre al regista e a Zazie Beetz, che nel film interpreta un personaggio di contorno, c’era anche Rooney Mara, sua collega e compagna. Di seguito le foto:

Cate Blanchett ospite a sorpresa sul red carpet di Venezia 76

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Cate Blanchett ospite a sorpresa sul red carpet di Venezia 76

Il red carpet di Joker di Venezia 76 ha visto splendere una stella in più. L’attrice due volte premio Oscar, Cate Blanchett, ha sfilato per i fotografi in un magnifico Armani Privé.

Venezia 76: Meryl Streep e il New Pope di Paolo Sorrentino

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Venezia 76: Meryl Streep e il New Pope di Paolo Sorrentino

Dopo il delirio portato al Lido dal Joker di Joaquin Phoenix, arriva a Venezia 76 Olivier Assayas che, dopo il delizioso Non Fiction, uscito nelle nostre sale con il titolo di Il Gioco delle Coppie (!), torna nel concorso principale con Wasp Network, con protagonisti Penelope Cruz e Edgar Ramirez.

Grandi star in arrivo dalla parte anglofona del globo, con Meryl Streep e Gary Oldman protagonisti di The Laundromat, il progetto che era nato con il titolo di Panama Paper e che racconta proprio l’omonimo scandalo, ovvero la raccolta di oltre 11 milioni di documenti confidenziali dello studio legale di Panama Mossack Fonseca, che contiene informazioni dettagliate su oltre 214.000 società offshore, fatta arrivare nel 2015 prima alla Süddeutsche Zeitung e poi al Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi. Alla regia il geniale Steven Soderberg.

Il Fuori Concorso, invece, presenta l’evento speciale legato a Paolo Sorrentino. Il regista premio Oscar che due anni fa portò al Lido The Young Pope, torna con due episodi di The New Pope, serie sequel. Nel cast Jude Law e John Malkovich.

Joker, recensione del film con Joaquin Phoenix #Venezia76

Joker, recensione del film con Joaquin Phoenix #Venezia76

È stato proiettato in concorso uno dei film più attesi della 76° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Joker di Todd Phillip, interpretato da un superlativo Joaquin Phoenix, nei panni del noto, quanto ilare, acerrimo nemico di Batman.

Nei film di supereroi, ma anche nei fumetti o nella letteratura, i nemici e i cattivi destano da sempre empatia e fascino, tanto da surclassare spesso le meste figure, che bardandosi con la bandiera del bene e dell’ordine pubblico, si prodigano per combatterli. Joker è di certo uno dei più popolari di questi antieroi e il ritratto che ne costruisce Todd Phillips contribuisce a donargli spessore, umanità e motivazioni. Il suo oscuro affresco metropolitano fa comprendere che il male non è sempre dalla stessa parte e che molte volte i paladini della giustizia combattono contro chi ha invece ragione da vendere. Joker è intriso di tanta disperazione e forse avrebbe anche più diritti rispetto a chi lo combatte e deve mantenere il controllo della legalità.

La storia si sposta indietro nel tempo, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, quando Bruce Wayne/Batman era ancora un bambino, in una fatiscente Gotham City , molto simile a NY, afflitta da sporcizia e invasioni di ratti, regno sudicio di violenza e disperazione e dove la lotta della sopravvivenza è all’ordine del giorno, soprattutto per i deboli e i derelitti. Il giovane Arthur Fleck racimola i pochi soldi per sopravvivere esibendosi come clown in strada o negli ospedali pediatrici, ma è continuamente vittima di aggressioni e scherno che minano il suo già fragile equilibrio psichico. Soffre di un disturbo emotivo che lo costringe a fare continuo uso di psicofarmaci e a essere monitorato dai servizi sociali. Quando è colto dall’emozione scoppia in un riso incontrollabile, isterico e forzato,  che non riesce a reprimere. Il sogno di Arthur è quello di diventare un comico e di esibirsi nei locali, ma viene deriso ed emarginato in modo crudele.  Un giorno, durante l’ennesima aggressione, al culmine della sopportazione, ha una reazione che cambierà per sempre il corso della sua vita.

Joker recensione

Joker va oltre le tante storie che i film di supereroi ci hanno raccontato, è un viaggio nel profondo della psiche di un uomo al quale tutto è negato, non è permesso essere normale, nato in un posto sbagliato, in un momento sbagliato, tra persone sbagliate. Non ha colpe, non ha mai fatto nulla di male, non è cattivo, non pretende nulla di più del condurre una vita ordinaria, di amare e di essere amato. La madre gli ha imposto fin da bambino di sorridere e lui lo fa, si sforza di farlo, si allarga la bocca con le dita per apparire sorridente, si dipinge con i colori del pagliaccio. Ma è tutta apparenza, la gioia non si esprime semplicemente con il sorriso. Per lui le fondamenta della felicità sono marce dal profondo e al suo orizzonte si stagliano solamente i cancelli del tetro Arkham Asylum, il manicomio di Gotham City.

Todd Phillips racconta con piglio energico e concitato una storia tragica e rivela l’inizio di una vicenda fin troppo conosciuta. La mostra da un’angolazione completamente diversa, così differente da farci sperare che da grande quel piccolo, mesto insignificante rampollo viziato che si chiama Bruce Wayne, abbia sorte differente. Costruisce una Gotham City lontana dai fumetti e dall’immaginario comune, tradendo ogni aspettativa. La città è più affine ai contesti urbani della saga de La notte del giudizio, piuttosto che alle architetture gotiche Bartoniane o alla maestosità degli edifici esibiti da Nolan. La fotografia, il suono e la musica contribuiscono nella costruzione di un mondo credibile, che si avverte essere fuori dalla porta di casa e non allocato nei meandri dell’immaginazione, come troppo spesso avviene in questo genere di film. Non ci sono effetti speciali o elementi prodigiosi, ma solo lacrime, sudore, sangue, che sciolgono in continuazione il cerone bianco da pagliaccio e si confondono col rosso sbafato del sorriso sforzato di Joker. E poi c’è dolore, tanto dolore. Todd Phillips sembra sussurrarci all’orecchio che anche noi potremmo essere Arthur Fleck. E noi dovremmo preoccuparcene.

Il regista racconta di essere stato sempre attratto dalla complessità del personaggio di Joker, pensando che sarebbe stato appassionante esplorarne le origini, oltretutto nessuno lo aveva ancora fatto, salvo sporadiche narrazioni inserite nei vari film che lo vedevano presente. Ragione fondamentale del suo fascino, risiede proprio nel mistero oscuro del non avere un’origine precisa. Phillips sostiene che in fase di scrittura ha voluto conservare gli elementi di riconoscibilità e ha pensato sempre a Joaquin Phoenix, perché è un attore che quando recita è capace di trasformazioni sorprendenti, andando oltre i limiti. E non si può dare torto a questa felice intuizione, perché il film si regge tutto sulle spalle scheletriche di Joaquin Phoenix, sul suo volto capace di espressioni furastiche che tradiscono celata tenerezza, di smorfie crudeli e di profonde esternazioni di sofferenza. E’ in grado di esibirsi in balli squinternati, di raggomitolarsi su se stesso come un randagio impaurito, di esplodere in improvvisi lampi di cieca violenza, di cadere come un sacco di stracci e di rialzarsi come se tutte le ossa del suo scheletro siano frantumate. Joaquin Phoenix non interpreta Joker, è Joker.

Joker di Todd Phillips è un film oscuro, convincente, tagliente, raccontato con la minuzia di uno psichiatra. Scandaglia le origini profonde di un personaggio diventato mito, supera i canoni e gli stereotipi del genere e regala una delle più toccanti interpretazioni di Joaquin Phoenix. Joker è però altamente sconsigliato agli ammiratori irriducibili dell’uomo pipistrello.

Venezia 76: Joaquin Phoenix è il nuovo Joker

Venezia 76: Joaquin Phoenix è il nuovo Joker

Dopo la proiezione di Joker, la giornata dedicata al villain della DC è proseguita in sala stampa. Erano presenti Todd Phillips, Joaquin Phoenix, Zazie Beetz e la produttrice Emma Tillinger Koskoff.  Le fonti di ispirazione per Phillips e Silver durante la stesura della storia sono stati gli anni Settanta e i film di quel periodo, ma Joker rimane una pellicola a sé, con un approccio del tutto diverso e libero.

L’aspetto che più interessava Todd era approfondire la storia di un personaggio così complesso e interessante come quello di Arthur Fleck, partendo da pochissimi riferimenti e contando sulla presenza di un attore fantastico. Seppur ispirati da The man who laughs, Todd Phillips e Joaquin Phoenix tengono a precisare che il lungo percorso di costruzione del personaggio è stato unico e non dettato da alcuna regola. Hanno dato vita ad Arthur senza appigliarsi a elementi precisi, partendo da zero, affinché potessero imprimere alla smorfia del comico fallito un passato e un presente, e un’aura di mistero senza intaccarlo con elementi già visti.

La mutazione continua di Arthur ha il suo fulcro nella ricerca di identità, si distorce nel susseguirsi delle vicende in un impatto devastante con la malattia. Il personaggio è stato modificato fino all’ultimo giorno delle riprese. Regista e attore hanno lavorato moltissimo sugli aspetti fisici e psichici: la voce, i vestiti, i capelli, e tutti quei dettagli che potevano arricchire il personaggio. Avrebbero persino rigirato alcune scene per continuare ad approfondire la loro ricerca. Joaquin Phoenix ha detto di aver studiato a lungo il tema della perdita e letto, su consiglio di Todd Phillips, un libro che classificava le malattie mentali ma che non ha voluto legare ad Arthur nessun disturbo preciso per non confinarlo in qualcosa di già esistente. Non era sicuro che sarebbe riuscito a creare la famigerata risata. Dopo vari tentativi fallimentari però, con la supervisione di Phillips, è riuscito a incanalare il dolore di Arthur in quattro tipologie di risata: ciascuna è attribuibile a una particolare scena e a uno stato d’animo. Quella finale è uno scoppio di felicità.

La versatilità di Zazie Beetz ha fatto in modo di rendere reale e indefinito allo stesso tempo il personaggio di Sophie Dumond. Anche lei ha subito modifiche continue per catalizzare, amplificare e sostenere le azioni deflagranti di Arthur e ciò ha permesso all’attrice di sfruttare tutta la sua capacità di improvvisazione. La pellicola oltre a contenere colori e atmosfere degli anni Settanta/Ottanta, racchiude ovviamente molti aspetti contemporanei, ma non è un film politico. Nel suo personalissimo approccio al personaggio Joaquin Phoenix non ha scorto in Arthur solo un personaggio tormentato e negativo ma ha visto in lui un uomo pieno di luce, alla ricerca della propria identità e della propria realizzazione: far ridere la gente. Arthur vuole essere apprezzato, non veder bruciare la città. Ma alcune scelte sbagliate lo porteranno a diventare un simbolo sovversivo.

New York è stata la città dove si sono svolte la maggior parte delle riprese: grazie alla produttrice Emma Tillinger Koskoff è stato possibile per la troupe sfruttare tutti quei luoghi simbolo, come la metropolitana ad esempio, che imprimono alla mappatura del film un’identità precisa e dove si svolgono le azioni più sanguinose. Todd Phillips pensa che il suo Joker non sia un film violento, al contrario di John Wick che lo è sicuramente di più. La violenza del suo film è realistica e per questo colpisce spiazzando. Anche la musica ha avuto un ruolo decisivo: subito dopo le prime riprese sono state inviate a Hildur Guðnadóttir  le immagini realizzate, affinché musica e film potessero crescere insieme. Il ballo e la musica sanciscono in Arthur il cambiamento e fanno defluire con le sue movenze tutta la follia del Joker nelle arterie di Gotham City.

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