Siamo al quinto giorno di festival,
che ha visto come primo film Angry Indian
Goddesses, presentato alla stampa direttamente dal
regista Pan Nalin, le attrici Anushka
Manchanda, Sandhya Mridul,
Rajshri Deshpande e dai produttori Dhingra
Gaurav e Sol Bondy. È un film che ci fa
entrare nel mondo di donne straordinarie, che con estrema grinta si
battono per un’India che deve necessariamente fare i conti con la
modernità.
È uno dei pochi o forse l’unico film indiano a
raccontare la vita delle donne in una società che sta cambiando. Da
dove nasce il desiderio di affrontare questa tematica?
Pan Nalin:
L’idea del film mi è venuta da alcune storie reali di cui ho
avuto notizia. Mi hanno toccato profondamente soprattutto per la
forza che queste donne devono avere, che sembrano attingere dalle
grandi donne indiane delle leggende, che vengono catapultate nell’
India contemporanea. Nel nostro paese attualmente la questione è
molto calda, anche perché le nuove generazioni hanno una formazione
di tipo occidentale che non può che stridere con quella che è la
nostra antica tradizione. È dunque frequente che si creino
conflitti rispetto a questa situazione.
Dhingra Gaurav
(produttore): Quando abbiamo cominciato questo film eravamo
molto concentrati sulle donne in India, e cioè specificamente sulle
donne indiane. Tuttavia, andando avanti con il lavoro ci siamo resi
conto di quanto questa sia in realtà una storia molto universale.
In ogni parte del mondo le donne lottano con le disparità ancora
presenti nel mondo lavorativo o con lo sforzo di conciliare il loro
essere madri e donne in carriera allo stesso tempo.
L’alternarsi continuo
dell’inglese e della lingua hindi rispecchia il reale modo di
parlare della gente o ha un altro significato?
Anushka Manchanda:
Il film è un grande affresco di come le donne sono realmente in
India. Le conversazioni dei personaggi sono in realtà conversazioni
che noi ci troviamo ad avere continuamente nella nostra
quotidianità. In realtà mentre giravamo spesso non sapevamo dove
fosse la macchina da presa, quelle che vedete sullo schermo non
siamo altri che noi stesse. Quindi anche per quanto riguarda la
lingua, la risposta è sì, è il modo reale in cui parliamo. Spesso
veniamo da parti differenti dell’india, e se parlassimo il nostro
dialetto non ci capiremmo, per cui parliamo sempre mescolando. O a
volte completamente in inglese.
Quella che abbiamo visto
sembra un’India molto occidentalizzata. Direbbe che anche il modo
di vestirsi e di comportarsi delle ragazze, il film rispecchia la
realtà?
Rajshri Deshpande: L’india è davvero molto
varia, probabilmente rimarreste scioccati se poteste vedere quanto
sono sfrenate le nostre feste. Certo, c’è ancora chi è molto
attaccato alla tradizione, ma dipende molto dalla città in cui ci
si trova.
Sandhya Mridul:
Sì, in effetti le cose cambiano molto di città in città.
Personalmente a Delhi, be’ ci penserei due volte se volessi
vestirmi all’occidentale. Ma se fossi a Bombey, non avrei alcun
problema a indossare degli shorts. Ci si deve costantemente
adattare.
Il film ha un grande impatto
emotivo, soprattutto nella parte finale: le donne si fanno
giustizia da sole… non crede che sia un messaggio
pericoloso?
Pan Nalin: Beh
sì, sarebbe un messaggio pericoloso, ma non è quello che intendo
veicolare con quel finale. Io voglio suscitare una reazione, voglio
che il sistema apra gli occhi, è piuttosto una provocazione a
svegliarsi e fare qualcosa prima che sia troppo tardi.
Dhingra Gaurav:
In India non si fanno film in cui le donne sono le
protagoniste. A Bollywood le donne sono trattate spesso e
volentieri come oggetti, non hanno una reale rappresentazione nel
cinema indiano. Per cui è importante poter trasmettere l’attuale
condizione delle donne in India, dargli una voce, non lasciarle
come delle bellissime sculture sullo sfondo di un film, ma metterle
al centro.