In Still Alice una
persona inserita nel contesto sociale in cui vive si definisce,
spesso, per la professione, per il lavoro che fa e per il modo in
cui gli altri la vedono interagire con il suo ambiente. Cosa accade
però quando queste informazioni basilari vengono meno? Cosa
succede, ad esempio, ad un malato di Alzheimer che non riconosce
più se stesso e chi gli sta vicino a causa della perdita graduale
della memoria e dei ricordi?
È la domanda che si pongono i
registi e sceneggiatori di Still Alice,
Richard Glatzer e Wash
Westmoreland, che raccontano la storia della dottoressa
Howland, Alice, a cui viene diagnosticata una precoce e rarissima
forma del morbo di Alzheimer. La perdita graduale delle memorie del
proprio passato, delle parole, che tanto la contraddistinguevano
nel suo rapporto con il mondo (prima della diagnosi è una affermata
docente di Linguistica alla Columbia University), anche delle
nozioni più elementari, come i nomi dei suoi figli, costellano
l’inevitabile, inesorabile e dolorosissima discesa nell’oblio della
terribile malattia.
Still Alice, il film
Glatzer e Wesmoreland dirigono un
film che ha dalla sua due elementi vincenti, per motivi differenti:
la storia, che tocca nel profondo lo spettatore e assume dei
contorni ricattatori; e la protagonista, una
Julianne Moore in stato di grazie che conferma,
ulteriormente, l’ipotesi che non per forza gli attori con più Oscar
sono i più bravi (lei è stata sempre scandalosamente snobbata
dall’Academy).
Nonostante un’alta percentuale di
successo, considerati i due elementi citati, il film non riesce a
fare breccia; commuove nel momento in cui sono messi in piazza
momenti e situazioni toccanti, che potrebbero anche coinvolgere il
vissuto di alcuni spettatori, senza però apportare nulla di nuovo o
personale ad un tema, la malattia in tutte le sue forme, che sembra
ultimamente un must del cinema, disposto a mettere in piazza ogni
singolo aspetto della vicenda umana, teso a estorcere lacrime e
tristezza allo spettatore ignaro.
Il racconto è delicato, il
procedere della malattia raccontato con equilibrio, ma il film non
si sforza di andare oltre, volendo probabilmente raccontare solo
l’evolversi del morbo. I rapporti umani, fondamentali in una tale
dinamica, non vengono approfonditi e l’empatia con la protagonista
si sviluppa più in nome della malattia stessa che per lei in quanto
Alice, persona definita in uno spazio-tempo preciso.
Nel cast, con la Moore, ci sono
anche
Kristen Stewart, che sembra ormai crogiolarsi
sempre negli stessi ruoli,
Alec Baldwin e
Kate Bosworth. Applaudito a Toronto e
presentato al Festival di Roma 2014, Still
Alice farà probabilmente guadagnare alla sua
protagonista il primo emeritato premio Oscar.