Sebastiao Salgado è
uno dei fotografi più importanti degli ultimi 40 anni. Wim
Wenders, che 25 anni fa è rimasto colpito da alcuni suoi
ritratti visti a una mostra, ripercorre per decadi la sua vita e le
sue esperienze, che attraverso il doppio obiettivo, quello della
macchina da presa del regista tedesco e del figlio di
Salgado Juliano, e quello del fotografo stesso, ci
restituiscono un trascorso choccante degli ultimi decenni di storia
mondiale. Lasciando però aperta la porta alla speranza di
redenzione del genere umano.
Il sale della terra documentario di Wenders,
una biografia in realtà di Sebastiao Salgado è di
un’intensità e di una bellezza che solo la visione cinematografica
può descrivere. Lo stesso regista incontrerà il pubblico del
festival di Roma in occasione della presentazione in anteprima di
questo documentario, la prossima domenica 19 Ottobre.
Wenders si era già avventurato, con
grande successo, nel documentario. Il poetico
Pina, dedicato alla coreografa tedesca
Pina Bausch, in cui la messa in scena di alcune
coreografie dell’artista collegavano i capitoli e le interviste è
stato infatti accolto con premi e riconoscimenti.
In questo nuovo documentario, questa
volta un ritratto di un artista vivente, sperimenta un altra
modalità di messa in scena: posiziona Salgado davanti alle sue foto
e gliele fa raccontare. Quello che ne nasce è un racconto di vita e
uno spaccato di storia: dalle lotte per la terra in Brasile al
massacro del Darfur, fino ai ritratti dei lavoratori di tutto il
mondo che il fotografo brasiliano, fuggito negli anni ’60 dalla
dittatura che aveva preso il potere nel suo paese e rifugiato a
Parigi, ha realizzato negli anni.
Il tutto rivela quella che sembra
essere la maggiore passione di Sebastiao Salgado:
l’essere umano.
Le immagini di Salgado sono state
viste da tutti noi almeno una volta: spesso molto drammatiche,
tese, caratterizzate da una scala di grigi che segue le nuances
della luce, così come fa il bianco e nero che Wenders applica al
racconto del passato del fotografo.
Diviso in capitoli, o meglio, in
progetti, il documentario parte dagli anni ’80 in cui Salgado
realizzava i primi scatti per Medici Senza Frontiere fino al doppio
dramma del Rwanda per poi arrivare al presente, gli ultimi anni,
che lascia il bianco e nero per tornare al colore.
In questi anni Salgado e la sua
famiglia sono tornati in Brasile e si sono dedicati a ricreare la
vita. Come se fosse la propria anima, seccata dall’aver visto
l’abisso della perfidia dell’uomo, Salgado e l’inseparabile moglie
e partner Leila decidono di impegnarsi a rigenerare la flora della
tenuta di famiglia, rendendo nuovamente fertile ciò che sembrava
definitivamente essiccato.
La cura della terra cura anche lo
spirito dell’uomo, così Salgado parte per quello che per ora è il
suo ultimo progetto: un’ode alla Madre Terra, che prospera a volte
nonostante l’uomo.