Regista di comprovata versatilità,
capace di passare da Quattro matrimoni e un
funerale a Donnie Brasco,
al prossimo dickensiano Grandi Speranze,
Mike Newell sarà presto alle prese con lo storico
Reykiavik, incentrato sull’incontro che
nella capitale islandese vide protagonisti il Presidente americano
Ronald Reagan e il russo
Gorbaciov nel 1986.
In una recente intervista
rilasciata ad Empire, Newell ha definito quella vicenda una storia
di creazione di rapporti umani stabiliti in un deserto dove questi
non avrebbero potuto esistere: lo spirito umano che trionfa su ogni
possibile ostacolo. Il regista vede in quell’incontro (che in sotto
il profilo strettamente diplomatico non vide raggiungere alcun
risultato concreto) come l’inizio della fine della Guerra Fredda,
protagonisti i rappresentanti dei due blocchi contrapposti che
allora avevano letteralmente il destino del pianeta nelle loro
mani.
Il film verrà girato nella capitale
islandese nel corso del 2013; gli interni saranno invece realizzati
a Potsdam, in Germania. Protagonisti saranno Michael
Douglas nei panni di Ronald Reagan e Christopher
Waltz nel ruolo di Gorbaciov.
Dopo aver raggiunto il successo
come cantante, Lenny Kravitz sembra più che mai
deciso a portare avanti anche la sua carriera sul grande schermo:
dopo una comparsata in Precious, il ruolo
di Cinna in The Hunger Games (che tornerà
ad intepretare anche in Catching Fire) e
la partecipazione a The Butler di
Lee Daniels, Julian Temple lo
avrebbe preso seriamente in considerazione per interpretare la
leggenda del soul Marvin Gaye nel biopic a lui
dedicato. Il film, che sembra destinato a competere con un progetto
parallelo diretto da Cameron Crowe, si concentrerà
sul periodo finale della vita del cantante.
Gaye, che stava forse già vivendo
la fase calante della sua carriera, si era trasferito a Londra per
fuggire alle accuse di evasione fiscale in patria, vedendo
oltretutto aggravarsi la propria dipendenza da alcohol e
droga. Il promoter Freddy Cousaert lo ospitò
in seguito nella sua casa in Belgio per aiutarlo a disintossicarsi:
il risultato fu Midnight Love, il primo
album che Gaye registrò dopo la chiusura della collaborazione con
l’etichetta Motown, e che conteneva
Sexual Healing, uno dei maggiori successi
della storia del cantante.
Dopo le recenti partecipazioni in
Can A Song Save Your Life di John
Carney e One Chance,
James Corden è alla ricerca di nuovi ruoli per il
grande schermo: il suo prossimo progetto potrebbe essere la
commedia natalizia School For Santas,
firmata da Richard Bean, col quale l’attore ha già
collaborato in passato.
Abbastanza classica la vicenda
raccontata nel film, che verrà sviluppato dalla Working Title, col
protagonista che dovrà ritrovare il proprio spirito natalizio per
riguadagnarsi l’affetto dei figli. Al momento al progetto non è
ancora stato assegnato un regista, ma si prevede che il film sarà
girato a Londra e New York, durante il prossimo anno.
In the Mood for Love è il film culto del 2000
diretto da Wong Kar-Wai e con protagonisti Tony Leung, Maggie
Cheung, Rebecca Pan, Lai Chen, Gong Li.
La trama di In the Mood for
Love: Un uomo e una donna a Hong Kong, all’inizio degli
anni sessanta: storia dei brevi incontri ritrosi tra il signor Chow
e la signora Chan, vicini di casa che scoprono casualmente che i
rispettivi coniugi sono amanti e inscenano, come in una prova, le
rispettive rivelazioni. Si incontrano, si chiedono cosa staranno
facendo gli altri due, si parlano come se parlassero a loro, si
guardano allontanarsi, e inevitabilmente, senza dirselo mai,
finiscono per amarsi.
In the Mood for Love,
l’analisi
“Fu un momento imbarazzante.
Lei se ne stava timida a testa bassa per dargli l’occasione di
avvicinarsi, ma lui non poteva, non ne aveva il coraggio. Allora
lei si voltò e andò via.”
Nel repertorio di film
sentimentali, In the Mood for Love è
indubbiamente tra i più sofisticati ed evocativi.
I due protagonisti vivono un
rapporto inizialmente discreto, fondato sul riserbo e un comune
dolore, la condivisione implicita di un tradimento: si accorgono
della relazione fra i rispettivi coniugi attraverso piccoli indizi,
una borsa, una cravatta identici. Alla ricerca dell’equilibrio di
una verità da tacere agli altri, il signor Chow e la signora Chan
maturano progressivamente una complicità e un’empatia che diventa
amore inespresso, intrappolato nel non detto eppure intimo e
profondo. Le loro anime si muovono all’unisono, ma i due si
sfiorano appena, imprigionati nelle convenzioni che scandiscono le
loro vite.
Fra brevi incontri, cene,
passeggiate notturne in strade deserte e attese sotto la pioggia,
lo scorrere del tempo è sottolineato dagli eleganti abiti di lei e
da una colonna sonora che si fa espressione dei pensieri dei due
(non) amanti: lo struggente tema ricorrente Yumeji’s theme
dilata gli istanti fra sinuosi ralenti, le note di Quizàs,
quizàs, quizàs danno voce allo struggimento dei due
protagonisti.
Wong Kar-Wai
orchestra poeticamente questo malinconico viaggio di un amore
sospeso e intangibile attraverso una regia pronta a focalizzarsi su
ogni dettaglio, riprendendo i due da originali angolazioni e, con
un suggestivo stratagemma, lasciando sempre sullo sfondo gli
adulteri coniugi: questi ultimi sono solo una voce fuori campo o
talvolta ripresi di spalle, inconsistenti agli occhi degli
spettatori.
Tra spazi angusti in cui vive una
sensualità reticente, la calda fotografia di Christopher
Doyle, spesso soffusa, sottolinea sguardi e gesti di
estremo pudore, immortalando i due perfetti protagonisti: la
leggiadra e raffinata Maggie Cheung e uno
struggente Tony Leung, premiato come migliore
attore al Festival
di Cannes per la sua palpitante e allo stesso tempo delicata
interpretazione.
Il sentimentalismo soft di
In the Mood for Love lo rende una
pellicola indimenticabile e una riflessione sulle scelte che
condannano all’abbandono, lasciandoci prigionieri di una
malinconica memoria: “Quando ripensa a quegli anni lontani, è
come se li guardasse attraverso un vetro impolverato: il passato è
qualcosa che può vedere, ma non può toccare; e tutto ciò che vede è
sfocato, indistinto”.
Alimentato da occasioni non colte,
il ricordo è così sublimato nel silenzio e nell’imponenza di un
edificio cambogiano che consegna l’amore irrealizzato
all’immortalità.
Se mi lasci ti
cancello è un film del 2004
diretto da Michel Gondry e con
protagonisti Jim Carrey, Kate Winslet, Kirsten Dunst,
Elijah Wood, Tom Wilkinson e Mark Ruffalo.
La Trama di Se mi
lasci ti cancello
La relazione tra
Joel e Clementine, innamorati quanto profondamente diversi, è ormai
giunta al capolinea. La ragazza decide così di rivolgersi alla
clinica Lacuna Inc. per farsi cancellare Joel dalla memoria.
Frustrato e deluso, Joel decide di fare altrettanto. Ma durante
l’operazione, il cuore entra in conflitto con la mente e l’uomo si
pente della sua scelta, cercando disperatamente di aggrapparsi ai
ricordi per salvare il suo rapporto con Clementine.
Una frase che
racchiude l’essenza del film Se mi lasci ti
cancello
“Com’è felice il destino
dell’incolpevole vestale! Dimentica del mondo, dal mondo dimenticata. Infinita letizia della mente candida! Accettata ogni preghiera e rinunciato a ogni
desiderio.”
Questi meravigliosi versi di
Alexander Pope accompagnano un film raffinato e
surreale, ovvero il contrario di quanto il banale titolo italiano
fa intendere: benché ci siano momenti di brio, non si tratta della
solita commedia romantica, al contrario. Eternal
Sunshine of the Spotless Mind è una pellicola emotiva
e razionale al tempo stesso, fra le più originali che il nuovo
millennio ci ha offerto finora.
Si tratta anche della prova della
maturità di Jim Carrey nel registro drammatico,
icona di commedie briose ed esilaranti, che qui regala
un’interpretazione toccante, bilanciata dalla strepitosa e
vulcanica Kate Winslet, candidata all’Oscar per la
sua performance.
Se mi lasci ti cancello –
poesia e romanticismo
Michel Gondry
dirige una storia molto poetica, caratterizzata da una
sceneggiatura e un montaggio magistrali. Se mi lasci
ti cancello diventa una singolare esperienza per lo
spettatore proprio grazie al montaggio ellittico, tra flashback,
frangenti del presente e ricordi che si intrecciano con sapienza e
logica uniforme. Nessuna giustificazione per chi lo reputa
confusionario: prestando attenzione a ogni dettaglio sin dalla
scena d’apertura, la narrazione procede conquistando in ogni scena,
facendo entrare lo spettatore nella psicologia e nel cuore emotivo
del film.
La brillante sceneggiatura di
Charlie Kaufman (Essere John Malkovic),
meritatamente premiata con l’Oscar, esplora lo sgretolamento del
rapporto di coppia in modo insolito e accattivante. Due individui
dal carattere discordante che finiscono per innamorarsi e poi
lasciarsi proprio a causa delle profonde differenze: lui,
introverso e silenzioso, lei, loquace ed esplosiva. Nonostante la
passione, infatti, le liti non mancano, provocate proprio
dall’incompatibilità delle rispettive indoli (“Parlare in
continuazione non significa comunicare”, dice Joel a
Clementine).
Ma il tutto non si risolve nella
stereotipata parabola degli opposti che si attraggono, bensì
mettendo in gioco dinamiche quali il destino, la solitudine, la
lotta tra mente e cuore, ragione ed emozione, in un contesto dalle
profonde suggestioni oniriche di forte impatto visivo, perfetta
espressione del cinema di Gondry: un letto sulla spiaggia coperta
di neve, un riluttante uomo-bambino sotto un tavolo enorme, fino a
volti che scompaiono e immagini via via sfocate.
Se mi lasci ti
cancello accompagnato da una splendida colonna sonora,
ritrae perfettamente l’emotività dei ricordi e la sfida della
pagina bianca: per quanto ricominciare da zero sia una scelta
coraggiosa, la memoria è un rifugio altrettanto irrinunciabile e
Joel rifiuta l’“infinita letizia della mente candida” perché non
riesce e non vuole separarsi dal ricordo di Clementine.
Il processo cui si sottopone
diventa dunque una gabbia dalla quale cerca disperatamente di
fuggire: la sua è un’evasione toccante che apre una seconda
possibilità. Commettere gli stessi errori del passato è
un’eventualità non trascurabile, ma cogliere nuovamente la felicità
del presente è una prova alla quale è difficile rinunciare.
Una Lunga domenica di
Passione, è il film del 2004 diretto da
Jean-Pierre Jenuet e con protagonisti nel cast
Audrey Tautou, Gaspard Ulliel, Dominique Pinon, Clovis
Cornillac, Jérôme Kircher, Chantal Neuwirth, Albert Dupontel, Denis
Lavant, Jean-Pierre Becker, Dominique Bettenfeld, Jean-Pierre
Darroussin, Marion Cotillard, André Dussollier, Ticky Holgado,
Jodie Foster, Julie Depardieu.
Una Lunga domenica di
Passione, la Trama: Cinque soldati, accusati di
automutilazione, stanno per essere giustiziati. La loro pena di
morte sarà uscire allo scoperto dalle trincee e resistere sotto il
fuoco nemico giorno e notte. Da qui tutto ha inizio. La loro morte
o la loro sopravvivenza è avvolta nel mistero. Uno di questi è
Manech, un giovane di poco più di vent’anni che a casa ha lasciato
la ragazza Mathilde. Sarà proprio lei, con il suo istinto, a non
arrendersi di fronte alla notizia della morte del ragazzo e, con
ostinazione, indagherà sugli accaduti che hanno caratterizzato la
vita precedente dei cinque soldati.
Una Lunga domenica di Passione,
l’analisi
Jean-Pierre Jenuet
mette la firma a un altro capolavoro dopo Il favoloso
mondo di Amélie e si conferma essere un regista di
grande talento. Dopo aver sfiorato undici Oscar, il regista non si
perde d’animo e ci stupisce con un film tratto dall’omonimo romanzo
di Sébastien Japrisot.
Lo stile di Jenuet s’intuisce sin
dall’inizio, dove la voce narrante, che ci ricorda quella di
Amélie, permette di addentrarci nelle vite dei cinque soldati.
Immediatamente cinque sconosciuti saranno gli abitanti di un
piccolo mondo che, col proseguire dell’indagine di Mathilde,
diventeranno familiari nonostante l’intreccio di nomi e storie.
Mathilde è ostinata, fa
scommesse con se stessa (“Se arrivo alla curva prima della
macchina, Manech ritornerà vivo”), il suo istinto non riesce a
convincersi che l’amato è morto e, a partire dal ritrovamento delle
lettere e dei ricordi dei condannati, anche il pubblico si farà
coinvolgere sempre più nella ricerca. Il film inizialmente ha un
ritmo incalzante ma, man mano che l’indagine va avanti, si fa
strada la stessa angoscia che prende Mathilde tra speranze e false
piste.
Al racconto della storia d’amore si
affianca l’onnipresente dramma della prima guerra mondiale,
ritratta in modo così realistico da farci sporcare con il fango
delle trincee, affondare nelle buche delle granate, rasentare la
follia dei soldati. Ad aiutarci c’è una mirabile fotografia dai
toni freddi e bui del campo di battaglia a quelli caldi e
accoglienti nella Parigi degli anni Venti.
Come ne Il famoso mondo
di Amèlie, alla sceneggiatura il regista è affiancato
da Guillaume Laurant e insieme ricostruiscono al
meglio le atmosfere letterarie, come se il libro fosse stato cucito
attorno ai personaggi.
Audrey Tatoun, che
interpreta Mathilde, torna in un ruolo simile a quello che aveva
interpretato nel precedente film: investigare sulle vite degli
altri, questa volta per ricomporre l’intricato puzzle e ritrovare
l’amato Manech (Gaspard Ulliel). Allo stesso modo,
l’intrigante Tina Lombardi (Marion Cotillard)
compagna di uno dei condannati, con i mezzi della seduzione
intraprenderà la stessa ricerca di Mathilde. Due donne
apparentemente uguali, accomunate dalla voglia di perseguire la
verità, con l’unica differenza che a muovere la seconda è la
vendetta.
Colpi di scena, nuovi personaggi,
momenti d’ilarità alternati a quelli drammatici, fanno di
Una Lunga domenica di Passione una combinazione di
generi che spazia dal drammatico al romantico senza che uno dei due
prevalga sull’altro. Un’altra pellicola di Jean-Pierre
Jenuet che non ci delude.
Il Favoloso Mondo di Amélie è il film di
successo del 2001 diretto da e con protagonisti nel cast
Audrey Tautou, Mathieu Kassovitz e Johnny
Depp.
Anno: 2001
Regia:
Jean-Pierre Jeunet
Cast:
Audrey Tautou, Mathieu Kassovitz, Rufus, Lorella Cravotta,
Serge Merlin, Jamel Debbouze, Clotilde Mollet, Claire Maurier,
Isabelle Nanty, Dominique Pinon, Artus de Penguern, Yolande Moreau,
Urbain Cancelier, Maurice Bénichou, Valerie Zarrouk, Michel Robin,
Flora Guiet, Amaury Babault, André Dussolier.
Trama: Amélie ha
avuto un’infanzia particolare. Traumatizzata dalla morte della
madre e la freddezza del padre cresce solitaria. Una volta adulta è
completamente indipendente e ha trovato un lavoro al Café des 2
Mulins. Vive in un mondo immaginario, tutto suo, ma arriverà Nino
che le farà rendere conto di voler abbandonare la finzione per
vivere nella realtà.
Il Favoloso Mondo di Amélie, romanticismo
francesce
Analisi: Il mondo
di Amélie è un universo a sé stante, ma allo stesso tempo
plausibilmente reale. Per quanto i personaggi risultino strambi, i
luoghi del film, dal Café des 2 Mulins alle stazioni
Parigi, li collocano in una dimensione a noi vicina. Protagonista è
Amélie (Audrey
Tautou), l’eroina delle persone bizzarre che le
difende dalla mediocrità dominante. Sin da piccola ha avuto a che
fare con tali persone, primi fra tutti i suoi genitori, che le
davano particolari attenzioni: l’unico contatto fisico con il padre
dottore era lo stetoscopio durante le visite mediche, mentre la
madre maestra era affetta da preoccupanti tic.
Forse sono stati proprio loro la
causa che le ha permesso di costruire il favoloso mondo di
Amélie. Arriva il tempo di crescere, di abbandonare
l’immaginazione e magari riuscire a conquistare Nino
(Mathieu Kassovitz), senza nascondersi dietro
infantili cacce al tesoro. Con i suoi occhioni Amélie scruta il
mondo con ingenuità, gioca con le passioni umane, veste i panni
della paladina mascherata, ma con il passare del tempo sarà
costretta a uscire allo scoperto e vivere nel mondo reale.
Un film unico e originale
I personaggi che la
circondano non sono mai sempliciotti, anche da loro possono venire
lezioni di vita. C’è l’uomo di vetro (Serge
Merlin), un vecchio solitario che sta chiuso in casa a
dipingere La colazione dei canottieri di Renoir e si
chiede come rendere al meglio l’espressione di una ragazza del
quadro; potrà scoprirlo solo attraverso gli attimi di vita
appositamente registrati da Amélie su videocassette. In realtà i
due personaggi sono pressoché speculari, tanto che l’anziano
aiuterà la ragazza a farle capire il comune sbaglio. La pellicola è
una fiaba per adulti, composta da una sceneggiatura credibile di
Guillaume Laurant che starebbe bene anche in un film d’animazione.
In due ore lo spettatore viene continuamente stupito dalla storia,
senza mai stancarsene.
L’immaginazione
visionaria del regista Jean – Pierre Jenuet, si
colloca bene all’interno del film rendendolo unico e originale,
sebbene ci siano alcune citazioni che lo colleghino ad altre opere
e registi, in particolare a François Truffaut. Il carattere
immaginifico della pellicola non deve far pensare a un film per
bambini, ma può essere visto come la straordinaria capacità di
semplificare la natura umana e ciò che la regola, una sorta di
riassunto della psicanalisi freudiana. Ognuno di noi ha fissazioni
e nevrosi inconsce e, per questo, segrete che ci fanno capire
quanto queste possano collocarsi sul sottile confine tra ragione e
follia.
Il filone cinematografico ripreso
da Jenuet è quello di Forrest Gump o,
almeno, la morale è la stessa: il folle è spesso il più semplice e
ragionevole, anche tra quelli che paradossalmente sono convinti di
essere “sani”.
Al contrario di
Forrest
Gump, Il favoloso mondo di Amélie ha ottenuto le
nomination per miglior film straniero, migliore sceneggiatura
originale, migliore fotografia, migliore scenografia, miglior
sonoro, ma non ne ha vinto nessuno. In compenso rimane un film da
non perdere e di cui difficilmente rimanere delusi.
La recensione del film del 1997
Titanic di James Cameron con
protagonisti Kate
Winslet,
Leonardo Di Caprio, Billy Zane, Gloria Stuart, Kathy Bates,
Frances Fisher, Bill Paxton, Bernard Hill, Victor Garber, Jonathan
Hyde, David Warner.
Il cast completo di
Titanic: Kate Winslet, Leonardo DiCaprio, Billy Zane,
Gloria Stuart, Kathy Bates, Frances Fisher, Bill Paxton, Bernard
Hill, Victor Garber, Jonathan Hyde, David Warner, Danny Nucci,
Jason Barry, Suzy Amis, Lewis Abernathy, Mark L. Chapman, Ewan
Stewart, Jonathan Phillips, Kevin De La Noy, Simon Crane, Ioan
Gruffudd, Edward Fletcher, Bernard Fox, Michael Ensign, Rosalind
Ayres, Scott G. Anderson, Martin East, Dan Pettersson, Bjørn
Titanic, la trama:
Esplorando i relitti del Titanic, Brock Lovett è convinto di aver
trovato la cassaforte che contiene il Cuore dell’Oceano,
una preziosa collana di diamanti. Con sua grande delusione la
cassaforte contiene soltanto il ritratto di un’affasciante donna
nuda che indossa il gioiello. Si farà viva Rose Dawson Calvert,
un’anziana signora che sostiene di essere lei la donna ritratta.
Giunta sulla nave del cacciatore di tesori, inizierà a narrare le
vicende precedenti all’affondamento del Titanic, il 14 aprile 1912.
Rose era a bordo del transatlantico con il fidanzato Cal e la
madre, ma immediatamente si rende conto di non sopportare
l’ambiente bigotto dei ricchi. In una notte disperata, arriverà
quasi a gettarsi in mare, ma viene fermata da Jack Dawson, un umile
artista squattrinato. Tra i due si instaurerà un legame speciale
che andrà oltre le differenze di classe e dovrà affrontare una
tragedia imminente: la collisione della nave con un iceberg.
Titanic,
l’analisi
Analisi: Il
transatlantico RMS Titanic era un’opera mastodontica: pesava più di
46.000 tonnellate, era lungo 269 metri, largo 28 e alto 53.
Rappresentava uno dei più grandi e sfarzosi transatlantici mai
costruiti al mondo, nonché uno dei prodotti di tecnologia navale
più avanzati di quei tempi. Il suo primo e unico viaggio terminò
con il drammatico affondameto nelle prime ore del 15 aprile del
1912, dopo essere entrato in collisione con un iceberg.
Un’opera da numeri record non
poteva non avere una trasposizione cinematografica da primato.
Titanic ha ottenuto undici
premi
Oscar (Miglior film, Migliore regia, Migliore
fotografia, Migliore scenografia, Migliore scenografia, Miglior
montaggio, Miglior sonoro, Miglior montaggio sonoro, Migliori
effetti speciali, Miglior colonna sonora, Miglior canzone), è il
secondo film che ha ottenuto il maggior incasso nella storia del
cinema (2.185.372.302 milioni di dollari) dopo
Avatar, ed è stato realizzato con
un badget di circa 200 milioni di dollari.
Ma
Titanicnon è fatto solo di numeri e
record, è anche una pellicola che ha segnato una generazione: per
anni e anni chi non ricorda l’amore isterico per il giovane
Leonardo Di Caprio, il riecheggiare delle note
di My Heart Will Go On nella camere di tutte le
adolescenti e non, ma anche le polemiche dei contrari per
l’eccessiva idolatria del film.
James Cameron
articola Titanic in modo da non mostrare
unicamente una banale storia d’amore tra una borghese annoiata dal
suo mondo ipocrita e un umile ragazzo povero, ma ha intenzione di
ritrarre un’intera epoca. Il racconto dell’anziana Rose guida lo
spettatore nelle ore precedenti alla tragedia, ricordandogli che,
nonostante l’affondamento del transatlantico sia una tragedia
lontana da noi nel tempo, a bordo c’erano esistenze che si sono
interrotte, inconsapevoli di quello che stava accadendo. “Sono il
re del mondo!”, così doveva sentirsi colui che aveva realizzato una
simile opera e che, in seguito, non fece altro che confermare la
vulnerabilità dell’uomo al cospetto della natura.
Quando l’acqua inizia a penetrare
nel ventre della nave, non c’è più nessun privilegio, nessuna
distinzione di classe, tutti sono sullo stesso piano. I nobili
magnati dell’industria, i borghesi affezionati ai salotti, le donne
compresse nei loro preziosi corpetti, hanno ancora il coraggio di
pretendere una scialuppa di “prima classe”, mentre i proletari sono
costretti a elemosinare un posto.
La scenografia
riproduce fedelmente lo sfarzo e il lusso degli ambienti della
nave, tipici di quegli anni, mentre gli effetti speciali, sebbene
indispensabili per un film del genere, non lo sovraccaricano, ma
rendono la tragedia verosimile, senza striminzirla negli ultimi
minuti del film.
Dietro c’è stato il duro lavoro di
tutto lo staff tecnico. Era dalla fine degli anni Ottanta che
Cameron manifestò interesse per la vicenda del
Titanic e solo nel 1995 iniziò la
produzione con alcune riprese del relitto. In seguito, per gli
imponenti scenari, la 20th Century Fox acquistò
uno spazio di 16 milioni di metri quadrati di costa in Messico, per
una cisterna con più di 70 milioni di metri cubi d’acqua e
ricostruire a grandezza naturale una parte del Titanic.
L’impresa è stata possibile anche
grazie alla fama di cui godeva James Cameron che
aveva acquisito visibilità grazie alla saga di
Terminator. Non si poteva dire lo stesso
di Leonardo DiCaprio (Jack Dawson) che con il film
ha raggiunto una fama mondiale, ma solo con l’esperienza ha
acquisito maturità artistica. Kate Winslet (Rose DeWitt Bukater) aveva già
sfiorato l’Oscar per Ragione e Sentimento
(1995) di Ang Lee e anche con
Titanic lo perde per poco, sorpassata da
Mira Sorvino per La dea
dell’amore.
La sceneggiatura non è mai banale,
romantica al punto giusto per la storia d’amore, e spesso si
concentra per rimarcare le differenze tra le varie classi sociali.
I due protagonisti tra loro instaurano tra loro una chimica
incomparabile, spontanea e umile contro le convezioni sociali
impersonate dalla madre di Rose e dal perfido fidanzato.
Colui che ha
rivoluzionato il cinema tridimensionale e la grafica computerizzata
con Avatar, non poteva evitare di
rispolverare Titanic, occupandosi della
conversione in 3D. Nel 2012, dopo 100 anni dallo sbarco del
transatlantico, e a quattordici anni dall’uscita della pellicola,
questa torna nelle sale a coinvolgere sempre più il pubblico. Le
riprese della nave che taglia le onde solcando il mare, la famosa
scena di Jack e Rose sulla punta estrema della prua, gli schizzi
d’acqua e l’affondamento del Titanic assumono per gli spettatori
una nuova dimensione sensoriale che li fa entrare nello schermo per
amare e soffrire insieme ai protagonisti.
Sebbene il 3D venga spesso
disprezzato per non aggiungere niente di speciale ai film, per
Titanic ha dimostrato che, se usato con
intelligenza, può rinnovarne la visione. In questo caso è la
pellicola di spessore a dare senso all’intero progetto che, dopo
quasi quindici anni, è ancora in grado di stupire e, chissà, far
emozionare vecchie e nuove generazioni.
In attesa dell’uscita del primo
film dedicato a Lo Hobbit, Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato,
racconteremo, un passo alla volta di tutti i personaggi principali
che popolano l’universo del primo meraviglioso romanzo del
Professore J.R.R. Tolkien
e che vedremo presto sullo schermo grazie a Peter
Jackson, che già tanto bene ha fatto alla mitologia
tolkieniana e ai suoi fan di tutto il mondo.
Procederemo raccontandovi la storia
e la vita di un personaggio per volta, aggiungendo più o meno
particolare e dettagli in base a cosa sappiamo e a cosa ci racconta
Tolkien stesso del personaggio in questione. Cominciamo subito e
cominciamo bene con il signor Bilbo Baggins, Casa
Baggins, Via Saccoforino, Decumano Sud,
Contea. Bilbo è stato il primo hobbit creato
e descritto da Tolkien, nonché il primo personaggio in assoluto
partorito dalla sua mente. Leggenda vuole che il Professore fosse
stato illuminato, durante un afoso pomeriggio estivo che stava
trascorrendo a correggere compiti di letteratura, da una frase, che
divenne una delle più famose del suo libro: “In un buco nel
terreno viveva un’hobbit”. Da lì in poi
nacque Bilbo Beggins, la sua famiglia i suoi
vicini e tutto l’universo hobbit che ben conosciamo.
Nacque così Lo Hobbit.
Bilbo è un Baggins da parte di padre, Bungo,
amante della vita hobbit, sedentario, sobrio, rispettabile, da
parte di madre, Belladonna Tuc, è appunto un Tuc, nota famiglia
hobbit che covava, insieme a ricchezza e nobiltà, anche un seme di
follia mai sopito del tutto. Le voci dicevano infatti che i Tuc
discendessero da una fata, altre, più malevole, parlavano di legami
con orchi.
Alla scoperta dei personaggi de Lo
Hobbit: Bilbo Baggins
Tuttavia resta il fatto che anche
nell’hobbit più rispettabile, così come sembrava Bilbo, c’era un
seme di follia. E’ quasi sicuro che Bilbo Baggins
sia il personaggio più caro all’autore, che riversa in lui molte
delle sue qualità: amare il cibo semplice e i panciotti, ma anche
avere madri intraprendenti e solide famiglie benestanti alle
spalle. Bilbo Baggins è il protagonista
della storia e si unisce alla compagnia dei Nani sotto spinta di
Gandalf lo Stregone.
Dapprima
riluttante, Bilbo Baggins si rivelerà
fondamentale per la buona riuscita dei piani di conquista di
Thorin Scudodiquercia e compagnia, contribuendo alla
caduta del drago Smaug.
Il suo ruolo diventa fondamentale
anche perché è lui il legame principale tra la storia de Lo
Hobbit e de Il Signore degli Anelli. Proprio durante
l’avventura con i Nani ,Bilbo Baggins entrerà in
possesso dell’Unico Anello, rubandolo alla creatura Gollum che lo
aveva custodito in precedenza per più di 500 anni. L’Anello rimane
in possesso di Bilbo per ben 60 anni, fino a quando, nel giorno del
suo 111esimo compleanno, lo lascia in eredità insieme a tutti i
suoi averi a Frodo Baggins, suo nipote.
Inoltre è in questa circostanza che
compare la famosa spada di spada bilbo baggins,
conosciuta con il nome di Pungolo; lama elfica, trovata da Bilbo
nella caverna degli uomini neri nel libro Lo Hobbit, insieme
all’altra lama Glamdring (Battinemici) e Orcrist
(Fendiorchi). Queste ultime due lame sono chiamate dagli
orchi “martello” e “coltello”. Tutte queste spade sono di origine
elfica e furono forgiate a Gondolin durante la Prima Era.
Il personaggio
di Bilbo Beggins è indicativo di uno dei
valori più importanti che vengono raccontati nei romanzi di
Tolkien, ovvero il coraggio, quello autentico che nasce proprio
dalla paura e che si trova negli angoli più nascosti, persino in
una creatura piccola e indifesa come un hobbit. Gli altri hobbit
che già conosciamo, con le dovute differenze, sono derivazioni e
declinazioni di questo primo, simpatico e coraggioso hobbit.
Nella saga cinematografica di
Peter Jackson, Bilbo è interpretato da Martin Freeman, attore inglese che è diventato
famoso con il suo ruolo di John Watson nella serie tv
Sherlock. Tuttavia nel film ci sarà posto anche
per Sir Ian Holm, che ha già interpretato
Bilbo Beggins ne Il Signore degli
Anelli e che tornerà per alcune scene nel prossimo
film di Peter Jackson.
Nel 1987 l’artista praghese
Jan Švankmajer realizzò il suo primo
lungometraggio Alice (Něco z Alenky).
Si trattava di una sua
personalissima trasposizione dell’Alice nel Paese delle Meraviglie
di Lewis Carroll. Una rilettura visionaria,
macabra, fatta di ossa e vecchi giocattoli, ambientata in una
fatiscente cantina, formata da una successione di stanze
abbandonate.
La storia è fedele a
quella che noi tutti conosciamo: Alice, stufa di stare insieme alla
sorella, insegue un coniglio e finisce sottoterra, nella sua tana,
ingresso di un mondo fantastico popolato di strambe creature. Ma
l’interpretazione e la messinscena di Švankmajer è unica ed
originale. Il coniglio è un vecchio coniglio impagliato che perde
la segatura della sua imbottitura e che si rammenda da solo con una
spilla da balia, il bruco è un vecchio calzino con la dentiera, e
tutti gli animali sono sinistre creature assemblate con crani,
stracci e vecchi oggetti, simili per molti aspetti alle
strabilianti opere di Jean Tinguely. Alice invece
è una bambina in carne ed ossa, incredibilmente espressiva e dallo
sguardo spietato di quella fanciullezza che a breve inizierà la
metamorfosi verso l’età adulta.
Alice (Něco z
Alenky)
Le battute sono pochissime,
ridotte all’essenziale, la musica è completamente assente e la
colonna sonora è costituita da rumori e suoni reali, perché, come
sostiene l’autore, in questo modo si acquista un maggiore senso di
realtà e ci si allontana dall’idea di fiaba. Švankmajer sostiene di
aver voluto fare un film sul sogno e di ave utilizzato gli scritti
di Carroll come mezzo per porre un nuovo accento sul concetto di
sogno che l’attuale civiltà ha gettato negli immondezzai della
psiche.
Sono lontane le sdolcinature
canterine per famiglie della versione Disney e anche le
goticizzazioni fuori luogo e astruse che verranno tanti anni dopo
dalle versione di Tim Burton, così come tutte le altre
trasposizioni cinematografiche, che cercando di rimanere fedeli
all’originale letterario lo tradiscono in partenza. Forse si
potrebbe fare un parallelo tra il film di Švankmajer e la versione
illustrata da Dusan Kallay del 2004, perché si
tratta di due artisti nati e cresciuti entrambi in terra Boema e
appartenenti alle ultime propaggini del movimento surrealista. E’
proprio di surrealismo si avverte l’anima in questo film; non
bisogna dimenticare che “Alice nel Paese delle
Meraviglie” era il libro per eccellenza di molti esponenti
di tale avanguardia, che lo consideravano carburante per la mente.
Come sosteneva Viginia Woolf, “i due libri di
Alice non sono libri per bambini, ma gli unici libri in cui noi
diventiamo bambini”.
Švankmajer dice che non gli
piacciono i film disegnati, così la tecnica utilizzata nel film è
quella dell’animazione stop-motion, mescolata con molte parti in
live-action per quanto riguarda il personaggio di
Alice. Ma non si tratta di un’animazione perfetta,
bensì di un qualcosa di artigianale, scattoso, polveroso,
rugginoso, e proprio per la sua istintiva imperfezione plausibile
ed incredibilmente reale. Si respira a pieni polmoni lo spettro
dell’animazione dei paesi dell’est, quella di Władysław Starewicz e
di Jiří Trnka per intenderci, che tanto influenzerà i geni di
questa tecnica, i fratelli Quay, che nella loro formazione andranno
per un periodo a studiare nella bottega di Jan Švankmajer e al
quale dedicheranno poi con riconoscenza un cortometraggio.
Le riprese sono
durate circa un anno e ad un occhio attento è possibile intravedere
la piccola metamorfosi della bambina che interpretava Alice, che
all’inizio aveva sette anni e alla fine otto. E siccome le scene
non sono state girate in progressione, Švankmajer si diverte a
pensare che con il passaggio di una porta la bambina invecchi
improvvisamente di qualche mese, per poi ringiovanire magicamente
al passaggio successivo. Tutti gli oggetti presenti nella pellicola
sono stati raccolti dallo stesso Švankmajer, appassionato di
collezionismo, accumulatore di oggetti e instancabile curatore
della sua personale wunderkammer, che si accresce a dismisura
pellicola dopo pellicola, grazie anche al lavoro di sua moglie Eva,
scenografa di tutti i suoi film, purtroppo scomparsa nel 2005.
Švankmajer è nato a Praga il 4
settembre del 1934, dove tuttora vive e lavora. E’ autore, oltre a
molti cortometraggi, di numerosi lungometraggi oltre a
Alice, tra i quali “Lezione
Faust” del 1994, “I Cospiratori del
Piacere” del 1996 e “Otesànek” del 2000.
Se siete di passaggio a Praga potete provare a passare alla
galleria Gambra, nei pressi del Castello, dove sono esposte alcune
sue opere assieme a quelle dei maggiori esponenti del movimento
surrealista ceco. La scrittrice Angela Carter ha dedicato un suo
racconto al suo mondo e al suo laboratorio di animazioni,
paragonandolo al gabinetto di un alchimista.
Alice è finalmente
uscito in DVD in versione italiana con RARO VIDEO,
con il titolo ALICE. E’ una bella edizione, con un
libretto contenente vari testi sul film e molte testimonianze dello
stesso Švankmajer. Tra gli extra è presente un suo cortometraggio
del 1982 “Possibilità di dialogo” e “Alice in Wonderland” di Percy
Stow e Cecil M. Hepworth del 1903.
Ecco il nono, e forse ultimo,
videoblog de Lo Hobbit: Un Viaggio
Inaspettato, pubblicato da Peter
Jackson in persona sulla sua pagina ufficiale di
Facebook.
Ecco un video dedicato
a Lawless, l’ultimo
film di John Hillcoat, in cui possiamo vedere
tutti gli attori che hanno partecipato a questo progetto
particolarmente
Cresce l’attesa
per Hitchcock, biopic sul grande maestro del
brivido diretto dal poco noto nome di Sasha Gervasi e interpretato
da Anthony Hopkins ed Helen Mirren.
Arrivano 3 nuove foto
per A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan
III di Roman Coppola, presentato in anteprima all’ultimo
Festival del film di Roma.
Viso pulito, modi amichevoli,
sguardo da eterno ragazzino che nasconde un’espressione ammiccante
da tombeur des femmes e un’enorme bravura. Questa, in
breve, la descrizione di Joseph Leonard
Gordon-Levitt, una delle più giovani stelle hollywoodiane
che, oltre a vantare una carriera più che ventennale alle spalle,
sembra non essere intenzionato a fermarsi, ma, anzi, vede crescere
di giorno in giorno la sua popolarità.
Joseph
Gordon-Levitt, biografia
Il celebre attore statunitense
nasce a Los Angeles il 17 febbraio 1981. Cresciuto in una famiglia
ebraica di stampo progressista, con un padre redattore per
l’emittente KPFK e una madre candidata alle elezioni per il Peace
and Freedon Party negli anni ‘70, calca le scene fin dalla
tenerissima età. A quattro anni si unisce infatti ad un gruppo
teatrale e gli viene affidata la parte dello spaventapasseri in un
adattamento de Il Mago di Oz e, poco dopo, iniziano per
lui le prime apparizioni televisive, soprattutto in spot
pubblicitari.
Joseph
Gordon-Levitt, filmografia
La vera carriera come attore prende
il via alla fine degli anni ’80, quando Joseph
Gordon-Levitt ha appena sei anni. Il bambino
prodigio appare più o meno fugacemente in svariate produzioni
televisive, tra cui Stranger on My Land, Casa Keaton e La
Signora in Giallo.
Grazie alla sua abilità, innegabile
nonostante la tenera età, nel 1991 ottiene il primo ruolo da
protagonista nel remake della soap opera Dark
Shadows e, nel 1992, debutta nel mondo del cinema, con un
ruolo da comparsa nel film Beethoven. Nello stesso
anno Joseph Gordon-Levitt entra a far parte
del cast di In mezzo scorre il fiume, un film centrato sul rapporto
tra due fratelli girato da Robert Redford, in cui
il giovane attore veste i panni di Craig Sheffer da giovane.
Da questo momento si susseguono per
lui dei ruoli sempre più importanti; negli anni a
venire Joseph Gordon-Levitt è Gregory in
Switching Parents (Gregory K), la storia
vera di un ragazzo che riesce ad ottenere legalmente il diritto a
separarsi dai suoi genitori e Roger in Angels in the
Outfield, lungometraggio che narra di un bambino
apparentemente sfortunato ma che è in grado di vedere gli
angeli.
Il successo è a portata di mano
e Joseph Gordon-Levitt riesce ad
afferrarlo grazie alla sit-com Una famiglia del terzo
tipo. La serie, che ha avuto un enorme successo in
America, gira intorno alle avventure dei Solomon, una famiglia
media americana i cui componenti sono però degli esploratori
extraterrestri che hanno preso sembianze umane allo scopo di
studiare il pianeta terra e i suoi abitanti. Joseph
Gordon-Levitt impersona Tommy Solomon, figlio adolescente
del particolare quadretto familiare, dal 1996 al 2001, anno in cui
decide di sciogliere il contratto con la produzione.
Nel frattempo la sua fama
televisiva, pur serrandolo in un ruolo che con il tempo inizierà ad
andargli stretto, non impedisce all’attore di entrare a far parte a
tutti gli effetti del mondo del cinema. Nel 1996 è il figlio di
Demi Moore nel film Il
Giurato, nel 1998 una vittima che muore prima dei
titoli di testa in Halloween 20 anni dopo e nel 1999 è
co-protagonista, insieme ad un giovanissimo Heath
Ledger, della commedia romantica 10 cose che odio
di te.
La sua passione per il cinema, la
volontà di allontanarsi da un certo modello di celebrità televisiva
e, forse, l’influenza del nonno materno (il regista politicamente
attivo Michael Gordon), lo portano però a sviare i
facili prodotti commerciali e a ricercare ruoli più difficili e
impegnati all’interno di circuiti indipendenti.
Nel 2001 il
ventenne Joseph Gordon-Levitt entra così nei
panni del protagonista Lyle nel film Manic, dramma
di Jordan Melamed ambientato in un manicomio, che
narra di un ragazzo internato per essere stato violento con un
compagno di baseball e che incontra tra le mura dell’istituto altri
ragazzi con problemi psichici alle spalle.
Dopo questa prova,
però, l’attore sembra stancarsi della vita che conduce e, nel 2002,
si ritira momentaneamente dai riflettori per iscriversi
all’università. La sua carriera di studente, piuttosto
fugace, finisce nel 2004, quando Joseph
Gordon-Levitt lascia la Columbia University dopo aver
passato due anni immerso nei corsi di storia, poesia e letteratura
francesi. La francofilia, però, non è abbastanza forte per fermare
la sua attrazione verso la recitazione e in quest’ultimo
decennio Joseph Gordon-Levitt sarà presente
in pellicole sempre più incisive.
Mysterious
Skin, film del 2004 diretto da Gregg
Araki, segna infatti, dopo il preludio di
Manic, l’inizio di una nuova strada, che
vede l’ex bambino prodigio Levitt alle prese con ruoli scomodi,
difficili, tormentati. Nel film di Araki, infatti, il giovane
attore entra nei panni di Neil McCormick, un ragazzo che, dopo
essere stato oggetto di molestie sessuali da parte del suo
allenatore di baseball da bambino, si prostituisce ed è incapace di
vivere relazioni stabili e autentiche.
L’anno successivo, con
Brick-Dose Mortale dell’esordiente
Rian Johnson, Levitt conferma la sua bravura dando
anima e corpo a Brendan Frye, un adolescente che, indagando su un
omicidio, rimane coinvolto in giri di droga poco limpidi
all’interno del college che frequenta. La sua interpretazione non
solo non passa inosservata, ma lascia una traccia più che positiva
in numerose critiche filmiche e quando nel 2007 si cala nel
Chris Pratt di Sguardo nel
Vuoto di Scott Frank, la sua
consacrazione diventa definitiva. Pratt, infatti, è un ragazzo che,
a seguito di un incidente, ha vuoti di memoria, narcolessia,
problemi di concentrazione e che viene convinto da un ex compagno
di scuola a rapinare la banca per cui lavora.
Joseph
Gordon-Levitt mette tutta la sua arte nel rendere reale
questo personaggio divorato dal senso di colpa, che confonde sogni
e realtà, e che distorce ciò che passa per il filtro della sua
mente. Forse proprio per questo ruolo gli viene assegnata,
nel 2008, la parte del killer psicopatico Richie Nix in
Killshot, thriller in cui recita accanto
ad attori del calibro di Mickey Rourke e
Diane Lane.
Dal 2009 ad oggi le interpretazioni
diventano più variegate e Joseph Gordon-Levitt
dimostra di essere a suo agio con generi differenti: fa parte del
cast di Miracolo a Sant’Anna, è il
protagonista della bellissima commedia (500) Giorni insieme, primo
lungometraggio del regista di videoclip musicali Marc
Webb in cui veste i panni dell’innamorato romantico che
crede nel vero amore, ma è anche Hesher in Hesher è stato qui, un personaggio volgare e
disturbante, con capelli lunghi e tatuaggi artigianali, che mette
alla prova i rapporti sociali in una famiglia che ha appena subito
un grave lutto.
Lo straordinario
Inception di Christopher Nolan, è il suo banco di prova nel
kolossal. Affiancando Leonardo DiCaprio ed Ellen
Page, un’altra promessa proveniente dai circuiti
indipendenti, dimostra di essere all’altezza di film di spessore
destinati ad un pubblico ampio e si ritaglia finalmente un posto
tra i “grandi”. Ne è prova il fatto che lo stesso Nolan lo richiama
nel 2012, per trasformarlo nell’agente di Gotham City John Blake,
de
Il Cavaliere Oscuro-Il Ritorno, episodio che chiude la
trilogia dedicata all’uomo pipistrello.
Tra gli ultimi film in cui appare
come protagonista si possono segnalare 50 e 50, dramma in cui l’attore
interpreta Adam, un ragazzo che scopre di avere una forma di cancro
che gli lascia il 50% di possibilità di sopravvivenza, e
Senza Freni, film d’azione interamente
girato per le strade di New York con un Gordon-Levitt pony express
che cerca di sfuggire a un poliziotto corrotto a bordo della sua
bici a scatto fisso.
Si attendono quindi con ansia i
prossimi film di quello che ormai può essere considerato a tutti
gli effetti uno dei giovani attori più in auge del decennio:
Looper, un prodotto di fantascienza ambientato
in un futuro prossimo in cui degli assassini utilizzano in modo
criminale i viaggi nel tempo, e Lincoln,
un film ambientato in un passato non troppo lontano che scandaglia
le lotte del primo presidente degli Stati Uniti per l’abolizione
della schiavitù.
Nominato per due volte ai Golden
Globe come miglior attore in un film brillante (per 50
e 50 e 500 giorni insieme), Joseph
Gordon-Levitt non è solo un buon interprete, ma un vero e
proprio sperimentatore di generi e personaggi.
Nel 2010 gira come
regista il cortometraggio Morgan and Destiny’s
Eleventeenth Date: The Zeppelin Zoo, un film di sette
minuti finanziato dalla hitRECord.org, società di produzione
on-line, di proprietà dello stesso Levitt, che divide la metà
dei profitti con coloro che contribuiscono. E dopo questo primo
corto, presentato al South by Southwest Festival, il prossimo anno
è prevista l’uscita di un lungometraggio diretto interamente
dall’attore intitolato Don Jon, storia di
un Don Giovanni moderno che cerca di diventare una persona
migliore. Nel cast anche Scarlett Johansson e
Julianne Moore.
Enfant prodige, stella
televisiva, ottimo interprete cinematografico e regista esordiente,
Joseph Gordon-Levitt può essere a considerato a
tutti gli effetti un artista; un’anima eclettica che, con ogni
probabilità, non smetterà tanto presto di stupirci!
Ecco una clip dai contenuti extra
de Il Cavaliere oscuro il ritorno, in home video dal 4 Dicembre
2012. Protagonista del filmato l’incredibile scena nel campo di
Football dove Bane fa esplodere il terreno, creando una voragine
che inghiottisce i giocatori.
Continua la dispersione di
contenuti speciali direttamente dall’edizione Home Video de
Il cavaliere oscuro – Il
ritorno. Dopo la clip dedicata a Bane e
all’ottimo lavoro svolto da Tom Hardy, qui vi
presentiamo invece qualcosa in più sulla nascita e la costruzione
di Catwoman e di come Anne Hathaway ha dato vita
al suo personaggio.
Ecco l’applicazione TARANTINO
SHOOTS YOU dedicata a DJANGO
UNCHAINED, il nuovo film di Quentin Tarantino che
uscirà in sala Giovedì 17 Gennaio 2013 con Jamie Foxx,
Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Kerry Washington e Samuel L.
Jackson.
Crea il tuo spaghetti western con
Tarantino Shoots You, l’applicazione per Django Unchained con le
indicazioni di Quentin Tarantino. L’avvertimento, lo sguardo, lo
sparo: questi sono i tre momenti chiave, che girerete personalmente
insieme al regista.
Creare il vostro video è
facilissimo. Basta inserire i propri dati, e poi seguire passo per
passo le istruzioni per poi registrare il vostro ciak! al seguente
link: http://django-ilfilm.it/tarantino
John Hillcoat,
acclamato regista del post apocalittico The
Road, torna al cinema con
Lawless.Lawless
racconta la storia (vera) dei tre fratelli Bondurant, Howard,
Forrest e Jack, che, durante la Grande Depressione, si fecero
protagonisti di un articolato traffico di moonshine, ovvero di
liquore distillato illegalmente, mettendosi contro l’agente
speciale Charlie Rakes, vicesceriffo folle e corrotto che proverà a
frenare il successo dei tre fratelli.
Con Lawless
Hillcoat cerca di realizzare un’epopea sui contrabbandieri lontana
dai completi gessati e dai sigari costosi che la tradizione
cinematografica ci ha insegnato ad accostare a questo tipo di
business. Il regista va all’origine, alla fabbrica, e ci mostra i
veri e propri fabbricanti di alcool illegale, affacciandosi di
sfuggita nel mondo da gangster movie attraverso il personaggio di
Gary Oldman. Proprio lui rappresenta uno dei
problemi del film: un attore di questo calibro è utilizzato
pochissimo, lasciando il suo personaggio, che sembra fondamentale,
nel dimenticatoio.
Lawless, il film
I tre protagonisti, Tom Hardy, Shia Labeouf e Jason Clarke, sono perfetti per i propri
ruoli, anche se, soprattutto il personaggio di Hardy, si aggira
pericolosamente sul confine tra l’essere geniale e l’essere
ridicolo, sensazione forse accentuata da un doppiaggio che come al
solito svilisce le performance originali degli attori. Stesso
discorso per
LaBeouf che a suo discapito ha anche una capacità
interpretativa decisamente inferiore a quella di Hardy. Altro
discorso invece per il maggiore dei fratelli Bondurant,
interpretato da Clarke, che mette al servizio del suo personaggio,
forse un po’ defilato rispetto agli altri due, una faccia che buca
lo schermo e una perfetta interpretazione.
Anche Guy Pearce, inquietante villain nel film,
corre il rischio di Hardy, interpretando un personaggio ai limiti
della caricatura, ma lasciando trapelare tra i tip e la brillantina
la grande stoffa d’attore che lo caratterizza. Le signore del film,
relegate a comprimari, sono Jessica Chastain, divina in ogni sua
manifestazione, e Mia Wasikowska, perfetta nell’interpretazione
di una giovane ed ingenua ragazza di campagna. L’ostentazione della
violenza nel film è forse fondamentale per immergere lo spettatore
in quell’esatto momento storico con quei personaggi così
caratterizzati, resta tuttavia il fatto che la regia monotona e la
fotografia a tratti amatoriale fanno di Lawless un
film deludente. Peccato perché il taglio vagamente ironico con cui
erano costruiti i personaggi, specialmente quello di Hardy, avrebbe
potuto dare al film un tocco speciale e renderlo migliore.
Il Trailer italiano del film
Beautiful Creatures – La Sedicesima la nuova saga dei
produttori di Twilight, al cinema a febbraio 2013, con Alice
Englert, Alden Ehrenreich, Jeremy Irons e Emma Thompson.
Ecco il trailer ufficiale di
Tutto Tutto niente niente, con protagonista Antonio Albanese. La
pellicola è il sequel di Qualunquemente, pellicola che vedeva
protagonista Cetto La Qualunque,
Arriva al cinema la nuova commedia sentimentale Ci
vediamo a Casa, diretta da Maurizio Ponzi e con
protagonisti Ambra Angiolini e
Edoardo Leo.
In Ci vediamo a
Casa Tre coppie molto diverse tra loro. Tre modi di
pensare e di affrontare la vita a due. Tre microcosmi abbastanza
riconoscibili della realtà odierna. Un unico, debole, filo rosso ad
unire questi tre mondi: la ricerca della casa perfetta dove
coronare un sogno d’amore e di convivenza.
Questa, in breve, la trama di
Ci vediamo a casa, film che segue tre
storie distinte, tutte egualmente poco interessanti, con
l’apparente obiettivo di offrire uno spaccato dell’Italia di
oggi.
Ci vediamo a Casa: il film
Inizialmente viene mostrata la vita
di Vilma (Ambra Angiolini) e Franco (Edoardo
Leo), bibliotecaria lei, ex-galeotto lui, che, per
convivere, si trovano costretti ad accettare l’ospitalità di un
amico pensionato con problemi di solitudine e di salute. Poi si
segue con scarsa trepidazione il caso di Andrea (Primo
Reggiani) ed Enzo (Nicolas Vaporidis),
che vorrebbero andare a vivere insieme scappando rispettivamente
dalla caserma e dai tentacoli di una madre soffocante, ma che sono
frenati da problemi di ordine sentimentale. Infine si viene
trasportati nel mondo del denaro e dell’ipertrofia dell’ego di Gaia
(Myriam Catania) e Stefano (Giulio Forges
Davanzati), due giovani che hanno una casa a testa e che,
dopo una prova di coabitazione, decidono di mantenere i propri
sacrosanti spazi vitali.
Il film di Maurizio
Ponzi, regista con una lunga carriera alle spalle di cui
però si ricordano più i prodotti televisivi come Il Bello delle
Donne che le fatiche registiche al fianco di Pasolini negli
anni ’60, mostra, con un linguaggio diretto e piuttosto povero, due
tipi di mediocrità. Il primo è quello di cui sono pregni i suoi
personaggi: esseri umani quasi mostruosi, persone brutte in senso
etico che si comportano in modo gretto ed egoista nel quotidiano.
Il secondo tipo di mediocrità, non meno evidente, riguarda invece
la maniera in cui gli attori vengono mostrati: inquadrature
prevedibili, uso del taglio e del montaggio veloce di un’unica
inquadratura totalmente ingiustificato per il tipo di film,
inserimento di sequenze di flash-back accompagnate da canzoni
strappalacrime.
L’impressione generale è di aver
assistito a delle avventure piuttosto sconclusionate, storie
montate ad arte ma prive di senso in sé e per sé, ambientate in
un’Italietta abitata dai peggiori individui e indirizzate,
apparentemente, ad una platea considerata alla medesima
stregua.
Questa povertà d’idee porta davvero
a pensare che alcuni tipi di film andrebbero lasciati alla tv.
Ciliegina sulla torta: la canzone del film è firmata Dolce
Nera ed è stata presentata al Festival di Sanremo
2012.
Roger Moore, che
ha interpretato James
Bond per ben sette film, ha sempre dichiarato che il miglior
Bond di sempre era stato Sean Connery. Ora però
sembra aver cambiato idea, dopo aver visto in azione Daniel
Craig in Skyfall.
“Se avessi visto
Skyfall prima di finire il mio libro, Bond on
Bond, avrei dedicato un intero capitolo a Craig, che è un Bond
superbo – ha detto l’attore – Credo che egli abbia
garantito al franchise altri 50 anni“. Moore ha anche detto
che Skyfall è il miglior film di tutto il
franchise: “Secondo me Skyfall è uno
straordinario pezzo di cinema“.
Dopo il successo planetario di
In un mondo migliore, vincitore
dell’Oscar e del Golden Globe come miglior film straniero,
Susanne Bier firma l’attesissimo
Love
Rivelazioni insospettabili. Ora
che si parla con insistenza di un settimo episodio di Star
Wars con tanto di terza trilogia, il grande regista
David Cronenberg si lascia
Guai in vista per Emma
Stone. La popolarissima attrice, protagonista di
The Amazing Spider-Man
potrebbe aver commesso in gioventù un piccolo errore che