E’un thriller aereo il nuovo
progetto in cui sarebbe coinvolto il protagonista di Michael
Collins e Gangs of New York, nel quale l’attore lavorerà
nuovamente con John Silver che ha prodotto Unknown – Senza
Identità, con la Dark Castle. Sviluppato da Chris Roach e John
Richardson (per il regista si è fatto il nome di Jeff Wadlow),
Non-Stop vedrà Neeson nei panni di un graduato dell’aeronautica il
cui volo tranquillo verrà improvvisamente colpito- da una minaccia.
Nel frattempo, i fan dell’attore lo possono vedere in questi giorni
sugli schermi con La furia dei Titani e, a breve, in
Battleship.
Ecco le primissime foto dal set del
nuovo film di Michael Bay, un film low budget secondo gli standard
del regista, che vede protagonisti Dwayne Johnson e Mark
Wahlberg.
Con i social network la promzione
dei film si è totalmente rivoluzionata e così tutti utilizzano
Facebook e Twitter per parlare del lavoro, dei film che girano e
dei loro costumi di scena.
In Good As You
Quattro uomini e quattro donne, più o meno amici, chi più chi meno
gay, trascorrono insieme la notte di Capodanno. La casa della festa
sarà teatro di riconciliazioni, di nuovi legami e di feroci
discussioni. Da quel momento nella vita dei ragazzi accadranno
avvenimenti inaspettati e travolgenti che turberanno le rispettive
storie d’amore e che metteranno in dubbio perfino la solidità di
vecchie amicizie e legami di sangue.
Good As You,
‘prima commedia gay italiana’, diretta dal regista Mariano Lamberti
uscirà il 6 Aprile nelle sale, distribuita da Iris. Oltre a non
rappresentare davvero un primato ma un punto di vista sul modo di
pensare e di vivere di una parte ridotta dello sterminato universo
gay, il film non riesce ad evadere dalla terra degli stereotipi che
avvolge in particolar modo l’immagine dell’omosessuale capitolino,
confinato fra i lustrini e le paillettes del Muccassassina e il
muretto che fronteggia il Coming Out.
Tuttavia sembra che sia stato
proprio questo l’intento del regista: quello, cioè, di essere
spregiudicato, per sbattere in faccia al pubblico questi clichè
che, oltre che divertire e perché no provocare, esistono davvero
nel circuito omosessuale. Nell’opera, che si ispira all’omonimo
spettacolo teatrale di Roberto Biondi, più che al cospetto di
personaggi ci troviamo di fronte a maschere orgogliose e
consapevoli di essere tali.
C’è la classica ‘checca isterica’
(Diego Longobardi), la coppia gay tormentata
(Enrico Silvestrin-Lorenzo Balducci), il ‘marchettaro’ esotico
(Luca Dorigo), le bisex confuse ed insoddisfatte
(Daniela Virgilio e Micol Azzurro), la dura fuori
ma tenera dentro (Lucia Mascino) e la lesbica
estremamente mascolina – in gergo ‘butch’ – unica incapace di usare
strategie in amore. È infatti solo sull’amore e sui rapporti di
coppia che il film si concentra. Ciò, purtroppo, non fa che
renderlo molto simile alla maggior parte delle commedie italiane.
Magari non sarebbe stato il caso di tirare in ballo direttamente e
drammaticamente i problemi che oggi affliggono la generazione dei
trentenni – l’età dei protagonisti percorre quella fascia – ma
risulta quantomeno poco credibile osservare queste maschere saltare
da una festa all’altra avvolti da abiti firmati e rientrare in case
da sogno.
C’è un accenno finale al tema della
fecondazione artificiale che sicuramente avrebbe potuto rubare un
po’ più di pellicola ad altre sequenze. Buona la colonna sonora,
The lady in the tutti i frutti hat, un successo di
Carmen Miranda, interpretato per l’occasione dalle
splendide Gemelle Kessler. Convincente anche la recitazione di
alcuni attori, prima fra tutti quella di Elisa Di Eusanio che, pur
dovendo rappresentare la più stereotipata fra le donne, da’ voce e
volto al personaggio più genuino.
Sappiamo che Emma Watson è
impegnata sul set del film The Bling Ring, che vede alla regia una
delle poche figlie d’arte davvero dotate di talento proprio: Sofia
Coppola.
Ecco a voi il primissimo trailer di
To Rome with Love, ultimo film del prolifoco Woody
Allen che lasciata la romantica e notturna Parigi, si è trasferisce
qui da noi a Roma, in una Capitale
“Il Vittorio Veneto
Film Festival diventi un Campus Internazionale per i ragazzi e il
faro italiano di tutti i Film Festival”. Così Emma Perrelli,
Dirigente del Dipartimento della Gioventù, afferma alla conferenza
stampa di presentazione tenutasi oggi 3 aprile presso l’Ambasciata
di Francia nella sede romana di Palazzo Fornese.
La guerra dei
mondi è il film culto di fantascienza del 1953 diretto da
Byron Haskin con Gene Barry, Ann
Robinson, Les Treyman e Robert
Cornthwaine
Anno: 1953
Regia: Byron
Haskin
Cast: Gene Barry,
Ann Robinson, Les Treyman, Robert Cornthwaine
Ispirato
all’omonimo romanzo di H.G. Wells, la
Guerra dei Mondi è un classico del cinema di
fantascienza anni ’50, diretto da Byron Haskin. Quando un
misterioso meteorite si schianta in una zona di campagna nei pressi
di Los Angeles, l’iniziale stupore e curiosità del ritrovamento
muta rapidamente in terrore: l’umanità si ritroverà a dover
fronteggiare un nemico terribile e spietato, una razza aliena
determinata a conquistare la terra.
A differenza del racconto originale
da cui è tratto, ambientato alla fine del XIX secolo, la storia si
svolge nel 1953. Parlare di questo film significa
inevitabilmente richiamare alla memoria la famosa trasmissione
radiofonica che Orson Welles mandò in onda nel 1938 quando,
organizzando uno degli scherzi più azzardati e riusciti di sempre,
gettò nel panico gran parte della popolazione americana facendo
credere che degli extraterrestri fossero sbarcati sulla terra; Le
coscienze del popolo americano di quegli anni così critici,
funestate dalle tensioni della Guerra Fredda, furono profondamente
turbate da un falso allarme così ben congeniato, tanto che ci
vollero mesi affinchè le acque si calmassero.
La guerra dei mondi
Quindici anni dopo, l’uscita della
pellicola di Haskin fu accompagnata (beneficiata, se vogliamo) da
un carico di fortissime suggestioni angosciose, prova lampante che
la preoccupazione nei confronti di una possibile invasione ignota
non si era affatto sopita. Ad accrescere la curiosità, una
massiccia campagna promozionale attirò la gente al cinema, in un
periodo in cui il genere fantascientifico stava diffondendosi in
ogni campo; giocando abilmente sul senso di colpa religioso, su
questioni etiche che coinvolgono il rapporto tra Dio e l’uomo, il
film fa apparire l’invasione come una sorta di punizione meritata,
un castigo divino che solo di rado cede il passo a possibili cause
tipiche di un semplice film di genere.
La splendida fotografia
in La guerra dei mondi, esaltando in maniera quasi
esagerata la brillantezza dei colori, caratterizza in modo
suggestivo le terribili navicelle aliene, avvalendosi delle
meraviglie di un technicolor protagonista di ogni scena;
numerosissime le idee e le trovate artigianali, che donano alla
pellicola un realismo sorprendente, riscontrabile soprattutto nelle
forme dei piccoli veicoli guidati dai marziani che, nonostante un
design che oggi potrebbe apparire goffo ed ingenuo, sono animati ed
orchestrati perfettamente da una regia altamente spettacolarizzante
ma allo stesso tempo attenta alle emozioni più intime dei
personaggi.
Parlando di difetti riscontrabili
in La guerra dei mondi, l’unico appunto che si
possa fare ad un classico del genere potrebbe riguardare una certa
ingenuità, ma forse è più il caso di parlare di genuinità, tipica
dell’epoca in cui venne girato, da un sentimentalismo troppo
semplificato per poter essere del tutto digeribile al giorno
d’oggi, fino ad una plateale redenzione finale che non incontrerà
il gusto di tutti. Una piccola menzione merita il finale di questa
storia, da sempre oggetto di discussione, che tuttora non cessa di
sollevare dibattiti e confronti tra chi lo definisce geniale,
innovativo e non scontato e chi invece lo taccia di vera e propria
“buffonata”.
La guerra dei
mondi resta quindi una visione irrinunciabile per gli
appassionati del genere, una chicca che, sotto molti aspetti, ha
brillantemente superato la prova del tempo, meritando, che piaccia
o no, lo status di “cult” assoluto.
Il Pianeta delle
scimmie è il film culto del 1968 di Franklin
J. Schaffner con protagonisti nel cast Charlton
Heston, Roddy McDowell, Kim Hunter e Maurice
Evans.
Anno: 1968
Regia: Franklin
J. Schaffner
Cast: Charlton
Heston, Roddy McDowell, Kim Hunter, Maurice Evans
Il pianeta delle scimmie, trama
Alle soglie
dell’anno 4.000, l’equipaggio ibernato di una navetta spaziale
viene ‘svegliato’ allorché il veicolo si approssima ad un pianeta
con caratteristiche simili a quelle della Terra.
I tre astronauti superstiti (una
quarta, unica donna della missione, è morta per un guasto alla sua
capsula nel corso del viaggio), sbarcano e si avviano
all’esplorazione, incrociando un gruppo di esseri umani ad uno
stadio primitivo di civilizzazione… Improvvisamente, vengono
attaccati da un gruppo di scimmie a cavallo: uno dei tre muore, gli
altri due vengono catturati.
Da qui in poi la storia seguirà le
vicende di uno di loro, Taylor (Charlton Heston),
il quale prima comprenderà di trovarsi di fronte a un pianeta in
cui le scimmie si sono evolute mentre il genere umano è rimasto ad
uno stadio primitivo, diventando in seguito una sorta di
cavia nel momento in cui mostrerà di saper parlare
correttamente; in seguito, con l’aiuto di due scimmie
particolarmente sensibili, Zira e Cornelius (Kin Hunter e
Roddy McDowall) e di uno scienziato più ostile, ma in
fondo comprensivo, (Maurice Evans) Taylor riuscirà a fuggire
assieme a Nova, donna primitiva assieme alla quale era stato
imprigionato, solo per scoprire in seguito di trovarsi proprio
sulla Terra che, devastata da una guerra nucleare, ha visto il
genere umano regredire e le scimmie diventare la specie
dominante.
Il pianeta delle scimmie, il film
di fantascienza
Il pianeta delle scimmie è tratto da un
romanzo del francese Pierre Boulle, rispetto al quale
diverse sono le libertà narrative prese, a partire dal pianeta che
nel libro non è la Terra, e dallo stato evolutivo delle scimmie
che, molto più ‘tecnologiche’ nel libro, nel film hanno raggiunto
uno stadio sociale molto più vicino a quello dell’Alto Medioevo,
compreso l’atteggiamento della classe dominante, che conserva e il
proprio potere in forza di un dogmatismo che mescola scienza e
religione in modo da preservare lo status quo. L’arrivo dell’umano
‘intelligente’ metterà in crisi molte convinzioni, o meglio
rischierà di portare alla luce una verità tenuta nascosta.
L’anno di uscita, 1968, è
emblematico del clima che si respirava ai tempi, che alla fine
influenza tutto Il pianeta delle scimmie: le
tensioni razziali (simboleggiate dalle diverse specie di primati
inserite nel film, coi gorilla nelle vesti di una spietata casta
militare), le proteste civili (la scena dell’aggressione e della
cattura dei primitivi appare riprodurre una carica della polizia
nei confronti di un gruppo di manifestanti), il sogno di una
coesistenza civile (con la celebre scena del bacio tra Taylor e
Zira, probabilmente il primo ‘bacio inter-specie’ della storia del
cinema), fino al monito lanciato a un mondo sull’orlo della
catastrofe (non sono passati tanti anni dalla crisi dei missili di
Cuba), con la celeberrima sequenza finale con la testa della Statua
della Libertà a emergere dalle sabbie (scena che porta il pathos ai
massimi livelli, con la natura di quella statua a lentamente
svelata) rendono l’opera un efficace specchio delle questioni
sociali che caratterizzavano quel periodo.
Allo stesso tempo, Il
pianeta delle scimmie fa segnare una svolta epocale
per i trucchi utilizzati, anche se bisogna dire che sotto questo
profilo non ha resistito al passare del tempo: visto oggi, può
sembrare per certi aspetti grottesco, se non ridicolo, pur essendo
godibile, cercando di immedesimarsi nel pubblico dell’epoca.
Il pianeta delle scimmie,
caposaldo dal 1968
Il
Pianeta delle Scimmie a oltre 40 anni di distanza resta
ancora oggi un caposaldo nella storia del genere; ha forse avuto la
sfortuna di uscire nello stesso anno di 2001 Odissea nello spazio, risultando già
‘vecchio’ rispetto al capolavoro di Stanley
Kubrick, tuttavia col tempo si è conquistato un posto nel
cuore degli appassionati e non solo, visto che nel 2001 è
stato inserito nel Registro Nazionale dei Film della Libreria del
Congresso Americano, che ne ha riconosciuto il valore storico e
culturale.
Il successo de Il
Pianeta delle Scimmie all’epoca è stato tale da produrne
ben quattro sequel, due serie tv, e due remake (poco riuscito
quello firmato nel 2001 da Tim Burton, più efficace il più recente,
L’alba del pianeta delle scimmie, basato in
realtà su 1999 Conquista della Terra, quarto film
della serie), e ha rappresentato uno degli apici del successo
sia di Charlton Heston, che del regista
Franklin J Schaffner, per il quale questo fu il
primo film ‘importante’ e che in seguito diresse Patton
(per il quale venne premiato con l’Oscar), Papillon e
I ragazzi venuti dal Brasile.
A riprova dell’importanza
de Il Pianeta delle Scimmie vi sono anche le
tante parodie e citazioni che ne sono state fatte nel corso degli
anni, basti ricordare le allusioni contenute in
Balle Spaziali di Mel Brooks e gli omaggi presenti in
più episodi dei Simpson.
L’esperimento del Dottor
K è il film del 1958 diretto da Kurt
Neumann e con protagonisti Vincent Price,
David Hedison, Patricia Owens e Hernert
Marshall.
L’esperimento del Dottor K
la trama
L’inizio è shockante: il corpo del
professor Andre Delambre viene trovato inerte, la testa schiacciata
sotto una pressa in un lago di sangue, la colpevole è la moglie,
accusata di omicidio. Da qui parte un lungo flashback, che la donna
racconta al cognato (Vincent Price) e al commissario Charas
(Herbert Marshall), incaricato di indagare sull’accaduto.
Delambre ha creato un macchinario
per il teletrasporto, e dopo averlo sperimentato su oggetti
inanimati prima e su un paio di cavie animali poi, ha deciso di
provarlo su sé stesso; qualcosa però va storto: al momento del
test, una mosca si infila nella cabina per il teletrasporto assieme
a Delambre; ne risultato due creature: un essere umano con la testa
e il braccio di una mosca e il suo inverso, un essere delle
dimensioni di un insetto con sembianze umane.
La soluzione sarebbe riportare i
due esseri nelle cabine per invertire il processo, ma l’insetto –
umano è volato chissà dove; così, mentre gli istinti della mosca
prendono il sopravvento, Delambre prega la moglie di ucciderlo
prima che sia troppo tardi.
La storia viene accolta con stupore
e scetticismo, ritenuta evidentemente frutto dello shock per l’atto
compiuto, ma sul finale del film i due si trovano davanti alla
orripilante scena della mosca umana che, in procinto di essere
divorata da un ragno, chiede disperatamente aiuto…
L’esperimento del Dottor K
l’analisi
L’esperimento del Dottor
K è un ‘must’ per ogni appassionato del cinema a
cavallo tra horror e fantascienza che si rispetti: prodotto alla
fine degli anni ’50 dalla 20 Century Fox, diretto da Kurt Nemann,
sulla base di un omonimo racconto di Goerge Langelan risalente a
qualche anno prima, The Fly (titolo originale) si snoda su un
meccanismo narrativo canonico quanto efficace: la narrazione
attraverso il flashback, la vita felice della famiglia che sappiamo
già andrà a finire male, il ‘momento topico’ dell’esperimento,
seguito – la trovata più felice del film – da una lunga fase in cui
vediamo il protagonista coprirsi la testa con un telo nero, fino al
climax finale, in cui ci vengono mostrate le sue sembianze, con la
celeberrima inquadratura della ‘visione moltiplicata’ da parte del
mostro della moglie urlante, fino alla sequenza della mosca dalle
fattezze umane che chiede disperatamente aiuto (che ancora oggi non
finisce di colpire, e ne immaginiamo l’effetto ai tempi).
Il film (che ebbe due seguiti) col
tempo è diventato un ‘cult’, complice anche l’ottimo remake curato
da David Cronenberg a metà anni ’80. Lo status
della pellicola è stato tra l’altro confermato dalla parodia
dedicatagli nella serie de I Simpson.
Tra gli spunti d’interesse,
sicuramente la partecipazione di un Vincent Price
che per una volta non veste i panni del ‘cattivo’.
La moglie di
Frankenstein è il film horror cult del 1935 diretto
da James Whale e con protagonisti nel
cast Boris Karloff, Elsa Lanchester, Colin Clive,
Valerie Hobson, Ernest Thesiger
Il prologo del film
immagina che, come in occasione dell’invenzione del Mostro di
Frankenstein, Mary Shelly, il marito Percy Bysse e Lord Byron si
ritrovino nella villa ginevrina dove era stato ideato il romanzo
originale, con la scrittrice a narrarne l’ipotetico
seguito.
Scampato all’incendio che
concludeva il primo film, il mostro (Boris Karloff) vaga per
la campagna, salvando una ragazza dall’annegamento, unendosi
brevemente ad un gruppo di zingari e infine, attirato dal suono del
suo violino, imbattendosi in un povero cieco che, ignaro
delle sue fattezze, riconosce nella creatura un proprio simile e lo
ospita nella sua baracca, accendendo in lui un barlume di umanità e
cercando di fargli comprendere i concetti di ‘bene’ e ‘male’.
La moglie di Frankenstein –
recensione del film di James Whale
Nel frattempo, il professor
Frankenstein (Colin Clive)ha giurato alla moglie (Valerie Hobson)
di non riprendere più le ricerche che portarono alla creazione del
mostro. Tuttavia l’incontro con un suo vecchio insegnante, il
dottor Pretorius (Ernest Thesiger), cambia le cose: questi,
dopo avergli mostrato delle creature umane in miniatura (in una
delle scene più suggestive e ancora oggi anche un filo disturbanti
del film) frutto dei suoi esperimenti, gli propone di unire le
forze per dare vita ad una nuova razza di superuomini. Frankenstein
inizialmente rifiuta, ma quando Pretorius gli fa rapire la moglie,
proprio dal mostro (i due nel frattempo si erano casualmente
incontrati, e Pretorius aveva promesso alla creatura di dargli una
compagna) è costretto a collaborare. I due creano così la
‘moglie di Frankenstein’ la quale però, appena conosciuto il suo
‘promesso’ ha una reazione di totale ripulsa. Il mostro dà allora
sfogo alla sua rabbia e, dopo aver permesso al professore e alla
moglie di scappare, distrugge il castello, sotto le cui
rovine rimangono lui, la sua ‘sposa’ e lo stesso Pretorius.
Secondo film della trilogia che si concluderà con Il
figlio di Frankenstein, La moglie di
Frankenstein è probabilmente anche migliore del primo
film: ormai quasi del tutto svincolato dal riferimento letterario
originale, James Whale assembla un film che, nato
per ripetere il successo commerciale del primo, finisce per
superarlo in profondità. Il ‘mostro’ intraprende un’evoluzione
psicologica che gli farà prendere coscienza di sé, degli altri e
del suo ‘posto nel mondo’; tutto questo grazie agli incontri (gli
zingari, il vecchio vagabondo cieco) con altri appartenenti a
categorie ‘reiette’, e utilizzando come strumento la musica (il
violino del vagabondo), linguaggio ‘dell’anima’ che va oltre le
apparenze.
La moglie di
Frankenstein si fa dunque apprezzare sotto il profilo
narrativo e, se vogliamo ‘ideale’, tuttavia allo stesso tempo
soddisfa i palati degli appassionati dell’horror: Elsa Lanchester
(una carriera lunghissima, cominciata negli anni ’20 e conclusasi
all’alba degli ’80) è passata alla storia, ed entrata
nell’immaginario collettivo dei cultori del genere – e non solo –
con la sua chioma ‘sparata’ verso il cielo con le due candide
striature saettanti ai lati, che per certi versi ha anticipato di
quarant’anni e passa certe mode punk, è diventata un’icona,
un’immagine poi riutilizzata dozzine di volte negli ambiti più
disparati, specie in ambito musicale, con la sua immagine più volte
usata per copertine di dischi, ma si può ricordare in proposito
anche l’acconciatura di Marge Simpson, che ad essa pare in parte
ispirata.
Nè, si può dimenticare
l’eccezionale parodia dell’incontro col violinista vagabondo
utilizzata da Mel Brooks in Frankenstein Jr, che ha contribuito
ancora maggiormente a rendere l’originale un caposaldo.
A quasi 80 anni di distanza,
La moglie di Frankenstein, ha forse perso un po’
di smalto, ma continua a rimanere un punto di riferimento
essenziale del genere e uno dei punti più alti della felice
stagione dell’horror anni ’30.
Il valore storico del film è stato
ufficialmente riconosciuto nel 1998, quando la pellicola è stata
inserita nel Registro dei Film della Libreria del Congresso
Americano, diventando quindi un patrimonio nazionale.
Il prossimo venerdì, 6 aprile, andrà
in onda sulle tv italiane Area Paradiso,
film d’esordio di Diego Abatantuono realizzato in concerto con il
regista milanese Armando Trivellini.
eXistenZ è il film
del 1999 diretto da David
Cronenberg con protagonisti Jennifer
Jason Leigh,
Jude Law, Ian Holm, Willem Dafoe, Don McKellar e
Callum Keith Rennie.
Cast:Jennifer Jason Leigh, Jude Law, Ian Holm, Willem Dafoe, Don
McKellar, Callum Keith Rennie
A sedici anni di distanza
dalla distribuzione del capolavoro di
CronembergVideodrome, esce nel 1999
ExistenZ, prodotto dalla Miramax.
Siamo nuovamente di fronte all’universo allucinato del
regista canadese, ma se in Videodrome abbiamo avuto
a che fare con le grottesche avventure dell’homo videns Max
Renn (James Wood), in ExistenZ,
veniamo catapultati in una societa’decisamente catechizzata dai
profeti della “videocarne”, dove la protesi funzionale della
società videocratica e’ rappresentata dal mondo psichedelico dei
video games.
La protagonista Allegra Geller
(Jennifer Jason Leigh), è la venerata creatrice
del nuovissimo videogioco EXistenZ, opportunamente
presentando presso una sorta di cattedrale della nuova tecnologia
organica, scrupolosamente monitorata per scongiurare attacchi
terroristici da parte del Gruppo Realista. La promiscuità tra
il mondo reale e il mondo virtuale e’ infatti cosi’ allarmante che
per impedire l’alienazione di nuovi adepti, pronti ad abbracciare
la fede della realtà simulata, si da inizio ad una vera guerra
civile, il cui capro espiatorio e’ proprio miss Geller. L’eroe che
riesce a salvare la vita della protagonista e’ un bizzarro
impiegato alle Relazioni Pubbliche, Ted Pikul (Jude
Law), che sventato l’attentato da parte di un
fondamentalista del mondo reale, fugge con Allegra per tentare di
salvare l’unica copia esistente del videogioco, contenuta nel suo
game pod organico, rassomigliante ad un feto.
eXistenZ: recensione del film David
Cronenberg
Da qui ha inizio un
macabro alternarsi tra reale e irreale, o meglio tra reale e
iperreale, partendo proprio dalla modalita’ di accesso al
videogame: il giocatore deve collegarsi al pod mediante un vero e
proprio cordone ombelicale inserito direttamente nella spina
dorsale; dopo aver superato il primo, traumatico step, si e’ pronti
ad entrare in contatto con un cyber limbo piu’ torbido e truce di
Matrix.
Anche se non si può parlare
di un vero e proprio sequel del precedente Videodrome,ExistenZ può
considerarsi il manifesto della ribalta videocratica, la cui
sostanza risiede proprio nell’analisi di David Cronemberg riguardante il potere
persuasivo delle immagini, che in qualche modo alterano il modus
vivendi della società contemporanea, bisognosa di vivere in
prima persona videoemozioni sempre più forti, violente,
scioccanti.
L’iperbole visiva presentata
da David
Cronemberg, nonostante sottolinei come il potere
persuasivo delle immagini abbia corrotto irreparabilmente la
coscienza dell’essere umano, ormai non più in grado distinguere i
bisogni reali da quelli indotti, presenta comunque una narrazione
“lggera”, a tratti ironica se non demenziale, dove il susseguirsi
delle azioni annaspa e si perde soffermandosi sulla
caratterizzazione dei personaggi e sulle loro paranoie.
La paura di Ted di essere costretto
a sottomettersi alla macchina organica e al contrario il rifiuto di
Allegra di accettare il mondo reale come unico possibile, sono
costantemente percettibili dallo spettatore, fino a che la paura
stessa non li condurrà a mettersi uno contro l’altro aspettando la
resa dei conti.
Effetto notte è il
film culto del 1973 di François Truffaut con
protagonista Jacqueline Bisset, Jean-Pierre Léaud,
Jean-Pierre Aumont, Valentina Cortese, François Truffaut, Nathalie
Baye.
Considerato uno dei migliori film
di sempre, il capolavoro di Truffaut è una pellicola che si presta
ad innumerevoli letture ed un’opera complessa capace di
intrattenere, istruire, incuriosire ed emozionare allo stesso
tempo. Effetto Notte porta sullo schermo le avventure e
disavventure di un regista, Ferrand (interpretato dallo stesso
Truffaut) e della sua troupe, durante le riprese di un film di
produzione americana girato negli studios Victorine di Nizza: Vi
presento Pamela.
Effetto Notte
Questo “film nel film”, però, non è
che un espediente che permette a Truffaut di rivelare ogni inganno
del linguaggio cinematografico e, al contempo, di scandagliare le
situazioni personali di chi il cinema lo fa e lo vive
quotidianamente. La trama di Effetto Notte,
infatti, segue semplicemente il corso degli eventi e degli
imprevisti che possono accadere durante le riprese di un
lungometraggio: le crisi degli attori, le pressioni dei produttori,
le innumerevoli scelte che deve compiere il regista, le vicende
amorose che si intrecciano a quelle lavorative. Una coralità di
situazioni differenti, tutte unite da un solo obiettivo: finire le
riprese.
L’opera però, nonostante parta dal
desiderio di Truffaut di mostrare al pubblico cosa si cela dietro
alla creazione di un film, è ben lontana dall’essere una semplice
spiegazione delle difficoltà nascoste dietro ogni singolo
fotogramma. Essa, infatti, è talmente pregna di rimandi ad altre
opere e di citazioni più o meno esplicite di altri film, da poter
essere considerata una vera e propria dichiarazione d’Amore alla
settima Arte. Il grande cineasta francese, interpretando il ruolo
del regista anche nella finzione, crea un personaggio che è il suo
doppio, dimostrando di non esistere se non in un connubio quasi
simbiotico con il suo cinema.
Inoltre, attraverso Ferrand,
Truffaut può contemporaneamente dirigere e commentare il suo
lavoro, può sia svelare alcune dinamiche fasulle del cinema
hollywoodiano, sia rendere omaggio ad alcuni grandi della settima
arte; può ricorrere all’effetto notte del titolo,
così come all’uso del piano sequenza nelle digressioni oniriche in
cui viene ricordato Quarto Potere di Orson Welles.
Ciò che rende l’opera del regista
veramente grande, però, è il suo carattere universale e il contatto
che ricerca da subito con lo spettatore. Infatti, pur strizzando
l’occhio ai cinefili, Effetto Notte si rivolge ad
un pubblico ampio, indifferenziato. Il regista non vuole escludere
nessuno dalla bellezza dello spettacolo e quindi, dopo aver
condotto il fruitore nella cornice adatta ad una corretta lettura
del film, egli lascia che il fascino delle immagini prenda il
sopravvento e che si compia il meccanismo di identificazione e di
sospensione dell’incredulità, tipico del cinema classico. Tale
scelta, apparentemente innocua, non solo non passa inosservata, ma
diventa la causa della rottura definitiva tra Truffaut e un altro
esponente della Nouvelle Vague, Jean-Luc Godard.
Quest’ultimo, infatti, dopo aver visto Effetto
Notte, chiude con una lettera ogni rapporto con il
collega, considerando questo film la prova tangibile di una virata
di Truffaut verso il cinema borghese e un vero
tradimento nei confronti del cinema politico e di sperimentazione.
Presentato fuori concorso al 26° festival
di Cannes nel 1973 e insignito del Premio Oscar come
miglior film straniero nel 1974, Effetto Notte, al
di là dei gusti personali, meriterebbe un posto d’onore in ogni
cineteca.
Il fascino discreto della
borghesia è un film del 1972 diretto da Luis
Buñuel con protagonisti Fernando Rey, Paul
Frankeur, Delphine Seyrig, Milena Vukotic, Michel Piccoli, Bulle
Ogier, Julien Bertheau, Stéphane Audran e Jean-Pierre
Cassel.
Pedagogia o esorcismo? Delirio
onirico o realtà? Cinismo o oggettività? Sembrerà forse bizzarro
analizzare il cinema inquieto di Luis Buñuel, ponendo quesiti di
questo calibro. Il film in questione, già nel titolo ingannevole
Il fascino discreto della borghesia, ci illumina
parodiando delle risposte.
Il soggetto della
trentesima pellicola del regista spagnolo, è appunto la borghesia,
i cui rappresentanti appaiono come un unico manichino tragico,
composto da corpi convenzionali che imprigionano anime perverse:
Don Rafael, (Fernando Rey), l’ambasciatore dell’irreale repubblica
di Miranda, i suoi compari Thévenot (Paul Frankeur) e Sénéchal
(Jean-Pierre Cassel), accompagnati dalla signora Thévenot (Delphine
Seyrig), concubina segreta di Don Rafael, dalla signora Sénéchal
(Stéphane Audran), dalla bella Florence (Bulle Ogier), vassalla dei
signori Thévenot, ed infine dal vescovo (Julien Bertheau), futuro
giardiniere di casa Sénéchal.
I tre bontemponi, invischiati in un
traffico illecito di droga, costantemente in guardia senza mai
spalleggiarsi, vagano perduti in nastri di celluloide, rincorrendo
il desiderio di poter consumare un pasto in comunione. Durante
tutta la pellicola, immagini fallaci danzano intorno alla realtà in
veste di macabri incubi, dove le paure più profonde della classe
borghese fagocitano il suo fascino discreto, rendendola schiava del
proprio subconscio.
Il regista del
Perro andaluso, gioiello del cinema surrealista, catapulta
il suo pubblico in un allucinogeno terzo girone dantesco, quello
dei golosi, la cui punizione consiste nel tenere celate le più
oscure ambizioni e i più bassi desideri, alla ricerca di un
equilibrio fittizio.
L’armonia bramata, raggiungibile
attraverso la condivisione del cibo, è soltanto sfiorata durante
incredibili viaggi onirici che mai si realizzano. I sogni infatti
sollecitano la fantasia dei personaggi con violenza, tirando
lentamente fuori gli istinti animaleschi, sintomi di un inguaribile
frustrazione.
Il fascino discreto della
borghesia, il film
Il burattinaio Buñuel, maneggiando
con maestria i fili della trama senza farli intrecciare, riesce a
delineare le anamnesi dei personaggi, scelti per mettere in scena
una grottesca commedia. In questo contesto, la sceneggiatura sembra
parafrasare l’interpretazione dei sogni di Freud, dove la cupidigia, l’intolleranza e
l’insoddisfazione appaiono nel sonno come fantasmi di un vissuto
irrisolto.
Ciò che più colpisce è forse la
capacità del regista di non creare delle aspettative: l’intreccio
sospeso e convulso, la fruizione voyeuristica, e il ritmo stonato
che caratterizzano il film, rendono impossibile allo spettatore sia
di immedesimarsi nei personaggi, sia di sperare nella loro catarsi.
Per questo forse la pedagogia Buñueliana viene scambiata per puro
cinismo. In realtà ciò che Buñuel vuole lasciar intendere è che la
solitudine dei personaggi, di fatto respinta, è in realtà
profondamente voluta, rappresentando il vero traguardo.
Nella loro individualità infatti
ogni cosa è permessa, ogni azione è priva di vincoli morali, e il
patto hobbesiano della civile convivenza viene sacrificato in nome
dell’autoaffermazione. Eppure l’emancipazione sociale ed economica
dei personaggi sembrerebbe delineare una condizione ideale, che
invece viene smentita dalle loro continue ossessioni. Ciò che
vivono è un buffo paradosso: intenti a mantenere il fascino
discreto, combattono contro i loro istinti primitivi, tenendo
separati i due scomparti esistenziali grazie all’ipocrisia. Il
quadro che scarica il peso sul chiodo della coscienza, è però
troppo fragile per sostenere l’insostenibile…
Titanic 3D
– “Sono il re del Mondo!” Chi non ricorda queste
parole al cinema? Un giovanissimo Leonardo DiCaprio/Jack Dawson, dalla prua del
Titanic , gridava queste parole al vento,
felice come un ragazzino aver vinto ad una mano a poker il
biglietto per il viaggio inaugurale del transatlantico
“inaffondabile”.
Sono passati 15 anni e l’emozione
di vedere Titanic al cinema non cambia di una sola
virgola. Inutile parlare della tecnica sopraffina, della lezione di
regia, degli effetti speciali (letteralmente) da Oscar, delle
straordinarie interpretazioni di un cast allora semi-sconosciuto,
sono tutti elementi che hanno avuto 15 anni per trovare il loro
spazio in recensioni, articoli, speciali, approfondimenti,
interviste, dichiarazioni.
Quello che vale davvero la pena
sottolineare è che Titanic di
James Cameron è l’ultimo grande classico che il cinema
ha prodotto. Dal 1997 ad oggi molti film hanno creato grandi
emozioni, grande seguito e molte lacrime, ma Titanic, nella sua
imponenza, nella sua grandezza visiva, nella sua incredibile e
crudele valenza di documento storico e tremendo omaggio ad una
enorme tragedia dell’umanità, riesce ancora oggi ad essere
credibile, emozionante, straziante, grandioso.
Titanic 3D, il film
James Cameron
Il film di
Cameron, dal 6 aprile di nuovo al cinema per
commemorare i 100 anni dal varo e dalla partenza dal porto di
Southampton, è stato convertito per l’occasione in 3D, un lavoro
che dal maestro e regista di
Avatar ci aspettavamo decisamente fatto meglio. La
stereoscopia infatti, oltre ad essere solo accennata a valida in
pochissime sequenze spettacolari, non aggiunge nulla al film,
rendendone solamente più scomoda la visione.
Tuttavia è incredibile constatare
come, alla fine, sulle note di My Heart Will Go On, le oltre tre
ore di film siano volate così velocemente. L’aspetto romantico di
Titanic, che ne costituisce il nucleo narrativo
centrale, è tutt’oggi vivido e valido: la passione totale di Rose e
Jack riesce ancora oggi a catturare l’attenzione, ad emozionare, a
rendere vivido il terrore di quella notte, l’incredibile pena per
tutte le anime morte nel gelo dell’Atlantico e a rabbrividire di
fronte all’infinità stupidità umana. Tornare a vedere al cinema
Titanic vale la pena, con o senza 3D, e ne varrà
la pena ancora per molti, molti anni a venire.
Sacha Baron Cohen
– Tutto ebbe inizio con Ali G. Era il 1998 ed Eminem e l’hip
hop erano la cultura più di tendenza del momento. In uno
spettacolo comico inglese su Channel 4, 11 O’clock
show, che ebbe il merito di lanciare anche la carriera di
Ricky Gervais, apparve per la prima volta un goffo e
incomprensibile rapper, appunto Ali G. Il personaggio ebbe così
tanto successo che due anni dopo sullo stesso canale via cavo
britannico iniziò Da Ali G show, uno spettacolo
sullo stile del David Letterman in cui un improbabile
intervistatore, Ali G appunto, agghindato con abiti rap e parlata
in gergo prendeva per i fondelli, intervistandoli, alcuni
personaggi importanti. Questo fu il primo dei personaggi
estremi e stereotipati all’eccesso che Sacha Baron
Cohen impersonò.
La biografia
di Sacha Baron Cohen
Discendente di una famiglia ebrea
ortodossa e quindi probabilmente carico della satira yiddish che li
caratterizza, Coen porta in scena personaggi al limite della
sopportazione umana e che infatti spesso finiscono per essere
picchiati o trattati malamente, oltre che minacciati di morte da
alcune culture che non gradiscono la presa per i
fondelli. Guardando indietro nella carriera
di Sacha Baron Cohen infatti, alla fine
Ali G è sicuramente il meno esplosivo delle
caratterizzazioni del comico, che viene utilizzato in tutta la sua
eccentricità anche da Madonna, nel video di Music
e poi trova la sua fine nel film Ali G is in da
house, fallimentare al botteghino.
Di qualche anno dopo, del 2004,è il
personaggio di Borat, che appare per la prima
volta su Mtv e genera un putiferio di commenti a causa dei suoi
costumi poco ortodossi nei confronti dell’Occidente. Si tratta
infatti di un presentatore della tv nazionale kazaka che nel
film omonimo intervista persone comuni per indagare sugli usi e
costumi americani.
Il film, che stavolta sbanca il
botteghino, ha per sottotitolo Studio culturale
sull’America a beneficio della gloriosa nazione kazaka,
può essere preso come un documentario alla Michael Moore, visto che
mette alla berlina e ridicolizza alcune delle fissazioni classiche
americane, come quella per le armi, che lascia a Borat e ovviamente
a Baron Coen anche qualche cicatrice; le persone intervistate non
si rendono conto di essere davanti ad un comico e quindi quando le
domande del personaggio diventano offensive, non ci sono filtri
alla loro reazione.
Sacha Baron Cohen:
l’uomo che tutti amano odiare
Chiuso il capitolo Borat,
finalmente Sacha Baron Cohen diventa un attore
senza (troppe) maschere e nel 2007 viene usato come barbiere
contrapposto a Johnny Depp da Tim Burton nel suo Sweeney
Todd, anche in questo caso però il personaggio che
interpreta è fortemente caratterizzato; si tratta infatti di un
irlandese che si spaccia per napoletano.
Sacha Baron Cohen
offre intanto la sua voce per gli animali di
Madagascare
poi dà spazio ad un altro dei suoi personaggi, presente già
inDa Ali G show,che si focalizza su di un altro stereotipo,
quello del presentatore di moda gay, anche questo portato agli
estremi:Bruno è un anchorman austriaco che nessuno
conosce e che realmente irrompe durante la sfilata milanese del
2008 di Agata Ruiz DeLa Prada e che realmente viene picchiato e
portato via dalla sicurezza. Il film però non ha il successo
sperato.
In questi ultimi anni il trasformismo
di Sacha Baron Cohen si era placato,
nonostante non passi inosservata la caratterizzazione dei
personaggi che gli capita di interpretare; nonostante sia solo
comprimario della scena, infatti, il suo guardiano della stazione
nell’ultimo film di Martin ScorseseHugo Cabretruba la scena agli altri attori, fosse solo
per la sua gamba difettosa. Vedremo che personaggio porterà in
scena nella nuova produzione di Quentin
TarantinoDjango unchainede si attende anche l’uscita del nuovo
personaggio a cui è dedicato un nuovo film:Il dittatore, che governa uno stato non ben definito,
che somiglia sia a Fidel Castro che a Bin Laden e che come
quest’ultimo lancia messaggi video per parlare ai suoi
sostenitori. Il film è infatti supportato da una campagna
virale che ha fatto la sua prima apparizione pochi giorni prima
dell’assegnazione degli Oscar, in cui in un video il dittatore si
diceva molto amareggiato di non essere stato invitato allacerimonia.
Il dittatore ha anche un profilo twitter attraverso il
quale lancia i suoi strali contro tutti, ed è ormai prossima
l’uscita del film nelle sale statunitensi. L’anno scorso si
parlava anche di una scrittura per Sacha Baron
Cohen come interprete ideale per un film biografico
suFreddie Mercury, il compianto leader dei Queen, ma del
progetto sembrano essersi perse le tracce.
Mercoledì 4 aprile
–
Biancaneve: Trasposizione cinematografica della nota
fiaba. Dopo la scomparsa del re magnanimo, la perfida regina ha
rinchiuso la figliastra Biancaneve nel palazzo e ha preso il
controllo del regno, sperperando il denaro del popolo e vessando
corte e servitori. Il giorno del suo diciottesimo compleanno, però,
Biancaneve esce di nascosto dalla reggia per andare a vedere con i
propri occhi in che condizioni si trova il reame che il padre le ha
lasciato, e s’imbatte prima in un ricco e giovane principe di
passaggio e poi in sette nani briganti, che l’aiuteranno a trovare
il coraggio di ribellarsi alla matrigna.
Pirati! Briganti da strapazzo 3D: Il Capitano Pirata
ha un sogno: vincere il premio “pirata dell’anno”, per farlo dovrà
però battere rivali agguerriti e molto più “predoni” di lui. Non
potendo vantare ricchi bottini o forzieri espugnati o ancora
montagne di dobloni su cui surfare, riunisce la sua ciurma di
disperati in una serie di arrembaggi che lo portano a contatto con
un giovane Charles Darwin, il quale riconosce in quello che il
capitano chiama pappagallo, l’ultimo esemplare di Dodo sulla Terra.
Convinto che la presentazione del raro animale alla comunità
scientifica gli frutterà i tesori necessari a diventare pirata
dell’anno, il capitano si reca a Londra dove però troverà il più
acerrimo nemico della pirateria, la regina Vittoria.
I più grandi di tutti: “I Pluto” erano rock band di
provincia nata a Rosignano Solvay. Oggi però Loris si è sposato e
ha un figlio che frequenta le elementari. Maurilio, detto Mao, fa
il barista dietro il bancone di un locale. Rino lavora in fabbrica
e vive con il padre anziano e Sabrina conduce una vita agiata con
l’uomo per cui lasciò Mao. Un giorno Loris riceve la telefonata di
Ludovico Reviglio che gli propone un’intervista in video che faccia
ritrovare tutta la band. C’è un compenso e anche la possibilità di
un concerto di rientro.
Act of Valor: Mentre nelle Filippine un terrorista
ceceno noto come Abu Shabal fa saltare in aria l’intera ambasciata
degli Stati Uniti, in Costa Rica un’agente della CIA sotto
copertura studia i movimenti di uno dei signori della droga più
potenti del mondo, un magnate ucraino detto Christo. Quando la
donna viene catturata dagli uomini di Christo e torturata affinché
riveli informazioni segrete sul governo, una squadra di Navy SEAL,
le truppe speciali dell’esercito americano, entra in azione per
liberarla. L’operazione è cruenta e non priva di feriti gravi, ma
le informazioni in mano all’agente fanno emergere un quadro non
meno nefasto, in cui i rapporti fra il terrorista e il trafficante
sono molto stretti e preludono a un nuovo 11 settembre.
Fastest: Il film
racconta sul grande schermo attraverso il mito di Valentino Rossi e
la voce narrante di Ewan McGregor (Moulin Rouge, Star
Wars, Trainspotting) l’emozionante ed impressionante realtà del
Campionato del Mondo MotoGP: le cadute più difficili, l’impegno, il
coraggio e la passione che questo sport richiede ed esige dai suoi
protagonisti.
Venerdì 6 aprile –
Titanic 3D: Torna sugli schermi in versione 3D il film
culto diretto da James Cameron. Alle 23 e 40 di domenica 14 aprile
la nave si scontra con un iceberg che le apre uno squarcio di
novanta metri nella fiancata. In tre ore e mezza il Titanic
affonda. Dei 2228 imbarcati se ne salvano 705. La vicenda centrale
del film è l’amore tra Rose e Jack, lei di famiglia aristocratica,
e lui pittore che viaggia in terza classe.
Amore liquido:
Mario è un quarantenne operatore ecologico della città di Bologna
affetto da pornodipendenza. Durante il mese di agosto Mario è
costretto a rimanere in città quando questa praticamente si svuota
e diviene una sorta di città fantasma. Vive nel centro storico
della città con l’anziana madre costretta, dopo un ictus, su una
sedia a rotella e alle cure costanti di Olga, un’infermiera rumena
di cinquanta anni che la accudisce quando Mario è al lavoro.
Durante questo periodo Mario però fa un incontro tanto casuale
quanto inaspettato con Agatha, una giovane ragazza madre che
irromperà nella sua vita, fino a quel momento monotona e solitaria,
come un vero e proprio ciclone, risvegliando in lui affetti e
sentimenti da tempo sopiti e con i quali Mario sarà costretto a
fare i conti.
Pollo alle prugne: Tehran, 1958. Nasser Ali è un
virtuoso del violino, che la moglie ha fatto a pezzi,
infrangendogli il cuore. Perduto il suo strumento, Nasser prova
inutilmente a sostituirlo, spingendosi in botteghe di città
lontane. Fallito ogni tentativo e incapace di essere altro che un
musicista, Nasser si lascia morire nel suo letto davanti agli occhi
smarriti dei suoi figli e di una consorte mai amata. Negli otto
giorni che precedono la sua cercata dipartita, Nasser ripercorrerà
come in una favola la sua vita e il dolce segreto che l’ha
ispirata.
Good as You: Otto personaggi (quattro uomini e
quattro donne), osservati per due anni mentre affrontano nevrosi
sentimentali, frustrazioni lavorative, piccoli e grandi tradimenti.
Ma il dettaglio fondamentale è che i protagonisti sono tutti gay.
Alcuni dichiarati e convinti, altri indecisi, chi invece preferisce
sia uomini che donne, in una tranquilla bisessualità.
Piccole bugie tra amici: Dopo una notte brava in
discoteca, Ludo ha un brutto incidente in moto e viene ricoverato
d’urgenza in ospedale. I suoi migliori amici, dopo aver visto la
gravità delle sue condizioni ma esser stati rassicurati dai medici
sulle possibilità di recupero, decidono ugualmente di partire per
l’annuale ritrovo a Cap Ferret. Là, Max, il più ricco ma anche il
più pedante del gruppo, ha una villa dove tutte le estati invita
gli amici di sempre a trascorrere qualche settimana fra vita di
mare e gite in barca sull’oceano. La vacanza, anziché calmare gli
animi, farà emergere tutte le nevrosi, le paure e le incomprensioni
tenute nascoste da una vita.
Dopo averne acquistato per 3 milioni
di dollari i diritti da James Vanderbilt la settimana scorsa, la
Sony Pictures è in trattative con il regista tedesco di
Independence day,
È già voglia d’estate
per Adam Sandler! L’attore e la sua Happy Madison si preparano a
riportarci indietro agli anni ’80 con il remake di
Summer School – Una vacanza da
ripetenti
Terrazza Martini, Milano. Oltre al
regista, Carlo Virzì, è presente quasi l’interno cast alla
conferenza stampa che segue la proiezione di I più grandi
di tutti. Il film, nelle sale dal 4 aprile, porta sullo
schermo la storia di quattro rockers degli anni ’90, i Pluto, che,
grazie all’entusiasmo di un giornalista musicale, si trovano di
nuovo a salire insieme su un palcoscenico.
Con un guadagno di
oltre 33 milioni di sterline nella sola Gran Bretagna e un incasso
di 120 milioni di dollari in tutto il mondo, The Woman
in Black si è attestata quale
Secondo le sue ultime dichiarazioni
in occasione della première del Titanic in 3D, dopo il
ritorno dall’avventurosa missione per le profondità della Fossa
delle Marianne, James Cameron avrebbe prefigurato la possibilità di
dirigere il sequel del Prometheus di
Ridley Scott.
Quale prequel di Alien,
capolavoro di Scott del 1979, il film lascerebbe peraltro, nelle
parole di Cameron, delle questioni sospese legate ad uno spazio
temporale di qualche anno tra il primo e il secondo film, ed è in
quel vuoto temporale che si troverebbero molte delle riposte agli
interrogativi che Prometheus lascia
aperti. O, almeno, questo è il materiale su cui il regista potrebbe
o ha pensato di lavorare.
L’idea di un eventuale sequel gli
sarebbe tra l’altro venuta proprio da un confronto con Ridley Scott
durante uno scambio di riflessioni sui loro progetti.
Comunque, nonostante le
indiscrezioni – messe in dubbio da non pochi giornali del settore,
che hanno persino caldeggiato l’ipotesi di un ‘pesce d’aprile’ –
nulla di ufficiale c’è su un possibile passaggio di testimone.
Arrivano le prime immagini del cast
dal set dell’ultimo attesissimo film di Quentin Tarantino:
Django
Unchained. Nonostante il grande riservo oggi arrivano
le prime immagini di Christoph Waltz:
Waltz interpreta un
cacciatore di teste tedesco che unisce le forze con uno schiavo in
fuga (Jamie Foxx) per salvare sua moglie (Kerry Washington) dalle
grinfie di un perfido latifondista (Leonardo
DiCaprio).
Signore e signori, ecco il film
peggiore del 2011! Un pienone di premi per Jack e
Jill – la commedia di Dennis Dugan con Adam Sandler,
Katie Holmes e Al Pacino – alla 32ma
I Più grandi di tutti porta sul
grande schermo la storia dei Pluto, un gruppo rock in voga negli
anni ’90 che, dopo essersi sciolto, ha fatto perdere le proprie
tracce. Infatti, i componenti della band, dimenticati i sogni di
gloria da palcoscenico, hanno continuato le loro vite lontani dal
panorama musicale: Mao (Marco Cocci) è un barman
pieno di debiti, Sabrina (Claudia
Pandolfi) si è sistemata con un uomo serio e perbene,
Loris (Alessandro
Roja) si è sposato ed ha un figlio, mentre Rino
(Dario Kappa Cappanera) è un operaio con contratto
a tempo indeterminato. I quattro, però, vengono inaspettatamente
contattati da un giornalista musicale, Ludovico Reviglio
(Corrado Fortuna) che, da sempre innamorato della
loro musica, vorrebbe fare un documentario su di loro, corredato da
un’intervista.
I più grandi di tutti, il film
L’opportunità di tornare alla
ribalta sembra inizialmente infastidire gli ex-rockers, chiusi
ormai nelle loro vite monotone e spente, ma poi, grazie
all’entusiasmo di Ludovico (e ad una consistente somma di denaro) i
Pluto accettano di concedere un’intervista al giornalista e di
tornare a suonare in occasione di un grande concerto. I più
grandi di tutti, diretto da Carlo Virzì
(fratello di Paolo Virzì) e in uscita nelle sale il 4
aprile, è una commedia sorprendente sotto diversi punti di vista.
Il regista, infatti, che firma anche la sceneggiatura e le musiche,
riesce ad omaggiare un certo tipo di musicisti, quelli tagliati
fuori dai grandi circuiti e che si muovono con un camioncino
scassato per suonare di fronte a quattro persone e,
contemporaneamente, a creare un film che fa una velata critica al
sistema musicale italiano.
I più grandi di
tutti, inoltre, ha il merito di trovarsi molto lontano
rispetto alle commedie dalla sceneggiatura e fotografia
approssimative cui siamo (purtroppo) abituati. Qui ogni personaggio
ha una sua parabola, una sua storia e, grazie all’ottimo cast,
un’interpretazione credibile. A questo proposito è interessante
notare come, proprio per una scelta registica (e promozionale) il
film si diverta a giocare sul sottile confine tra finzione e
realtà. Nei titoli di coda, ad esempio, scorrono mini interviste a
grandi artisti italiani che dicono la loro sui Pluto e su youtube
si può trovare un loro video (Vado al mare, tratto dal loro album
Paraculo), un fake creato appositamente per creare curiosità e
aspettative (e che ha già quasi 3000 visualizzazioni).
Il film di Virzì,
quindi, oltre a far sorridere, racchiude in sé una sorta di
nostalgia per i sogni infranti del passato, una riflessione sul
presente e uno spiraglio aperto per il futuro. Davvero niente
male.
La Furia dei
Titani apre in prima posizione, seguito dalla
commedia tricolore Buona giornata.
Quasi amici regge saldamente al terzo
posto, mentre le altre new entry non decollano affatto.
Per la conquista della prima
posizione al botteghino italiano, era prevedibile un testa a testa
fra il kolossal americano e la commedia italiana e così è stato,
benché con un certo distacco.
La Furia dei
Titani stacca di meno di mezzo milione Buona
giornata, conquistando il primo posto. Il sequel di
Scontro tra Titani non ottiene tuttavia un risultato
particolarmente esaltante: incassa infatti 1,2 milioni di euro,
mentre il prequel aveva debuttato due anni fa con 3,1 milioni. Il
passaparola potrebbe tuttavia aiutare La Furia dei Titani
ad andare poco meglio del capitolo precedente, ma il sovraprezzo 3D
resta ancora una volta il limite che potrebbe frenare tale
possibilità.
Il week-end prepasquale non si
mostra particolarmente positivo neppure per l’ennesima commedia
italiana. Buona giornata si accontenta
infatti del secondo posto, non arrivando neppure al milione: il
film dei fratelli Vanzina non va infatti oltre i 947.000 euro.
Continua invece a brillare
decisamente Quasi amici, che dopo sei
settimane si mantiene ancora sul podio. Il fenomeno francese
conferma infatti la terza posizione con 730.000 euro, superando il
tetto dei 10 milioni: la commedia con François Cluzet e Omar Sy
giunge infatti a ben 10,6 milioni totali, dopo essere diventato il
film francese con il maggiore incasso registrato in Italia.
E’ nata una
star? scende al quarto posto con 536.000 euro,
superando i 2 milioni complessivi in dieci giorni.
Tutt’altro che brillante l’esordio
di Romanzo di una strage, che apre in
quinta posizione con 533.000 euro in 250 sale a disposizione.
Dopo il primato conquistato la
scorsa settimana, Ghost Rider – Spirito di
Vendetta precipita al sesto posto con 494.000 euro,
per 2,1 milioni totali. The Raven scende in settima posizione,
giungendo a 1,2 milioni con altri 345.000 euro alla sua seconda
settimana. Magnifica presenza conferma il
pessimo andamento apprestandosi ad abbandonare la top10: il film di
Ferzan Ozpetek scende infatti all’ottavo posto con 249.000 euro,
arriva a 2,7 milioni totali e difficilmente andrà oltre i 3
milioni.
Pessimo risultato per l’altra new
entry, Marigold Hotel, che debutta
soltanto al nono posto. La commedia con un eccellente cast british
in trasferta in India raccoglie infatti 165.000 euro con oltre 130
copie a disposizione.
Chiude la top10 Posti in piedi in
Paradiso, giunto a 9 milioni complessivi con altri
150.000 euro.
Iniziano oggi le riprese di TUTTI
CONTRO TUTTI di Rolando Ravello. Il film, prodotto dalla Fandango
di Domenico Procacci e distribuito da Warner Bros. Pictures Italia,
vede l’esordio alla regia di Rolando Ravello, presente anche come
protagonista del film nel ruolo di Agostino.
Dal 4 maggio 2012 al
Cinema – Quando dei bracconieri rubano decine di sacchi di uova dal
suo reef, il mini-squalo Pup inizia la sua personale missione:
salvare i suoi potenziali fratelli e sorelle. Questa missione di
salvataggio lo porta fuori dall’acqua nel mondo degli umani, un
luogo pieno di grande bellezza e pericoli. Terrorizzato per la
sicurezza di Pup, lo squalo pinna bianca Julius decide di andare
con lui per proteggere il suo migliore amico …con un abito
stravagante che gli permette di respirare anche fuori dall’acqua!
Nel frattempo, forze del male escogitano un piano diabolico per
invadere la barriera corallina in assenza degli squali! Pup e
Julius faranno in tempo a salvare tutti?