Finalmente l’attesissimo film sulla
serie tv Veronica Mars è partito.
Attualmente in fase di ripresa, il film vedrà tornare, questa volta
sul grande schermo, Kristen Bell e Jason
Dohring nei panni di Veronica e Logan.
I due attori sono ora impegnati in
una scena che li vede coinvolti entrambi e a quanto pare i due
saranno ancora coinvolti in una interessante e a volte instabile
storia d’amore.
Di tutte le domande che emergono
durante la visione di La caduta della casa degli
Usher (qui la recensione), la nuova
miniserie Netflix di
Mike Flanagan,
poche sono pressanti e snervanti come quella riguardo l’identità di
Verna. Interpretato da Carla Gugino,
una delle attrici ricorrenti nelle opere di Flanagan, il
personaggio appare nel primissimo episodio dello show, sia
assistendo da lontano al funerale dei bambini Usher, sia
presentandosi ai giovani Madeline (Willa
Fitzgerald) e Roderick Usher (Zack
Gilford) come un’amica. È chiaro fin dall’inizio che la
sua presenza rappresenta qualcosa di inquietante per la famiglia
titolare, ma la serie costruisce un grande mistero su chi sia e
cosa stia cercando esattamente.
Chi è Verna e qual è il suo ruolo?
Diventa ben presto chiaro che Verna
è in cerca della vita degli eredi di Roderick Usher (Bruce
Greenwood). Poiché sappiamo dal titolo e dai trailer che
La caduta della casa Usher vede la
scomparsa di tutti i membri della potente famiglia dietro l’impero
farmaceutico, non è difficile immaginare che Verna abbia un ruolo
centrale nelle morti. che verranno. Ma resta la domanda sul perché
reclami tali vite. La sua è una vendetta contro Roderick Usher? È
una sorta di entità soprannaturale? La morte dei bambini Usher ha
qualcosa a che fare con ciò che disse a Madeline e Roderick in
quella fatidica notte tra il 1979 e il 1980?
A tutte queste domande viene fornita
una risposta alla fine di La caduta della
casa degli Usher, anche se non tutte le risposte fugano
ogni dubbio. Verna sembra avere una particolare preferenza per le
persone crudeli e potenti, ma scopriamo non essere in cerca di
vendetta e anche se diventa chiaro dagli episodi finali della serie
che Verna è ben lontana dall’essere un’umana, la serie non ci dice
mai in modo preciso cosa sia. Lei è il Corvo,
ovviamente, un riferimento alla poesia più famosa di Edgar Allan
Poe: può trasformarsi in un corvo, e il suo nome è un
anagramma della parola corvo (raven, in inglese). Ma, nel mondo de
La caduta della casa
Usher, cos’è questa entità conosciuta come il corvo? È qui
che iniziamo ad addentrarci in un territorio nebuloso.
Verna stringe un accordo con
Roderick e Madeline in La caduta della casa Usher
Verna incontra per la prima volta
Roderick e Madeline Usher quando stanno cercando un posto dove
nascondersi e costruirsi un alibi dopo aver ucciso il loro allora
capo, Rufus Griswold (Michael Trucco), negli
ultimi spasmi del 1979. Fuggendo dal parti aziendale di capodanno
organizzato da Fortunato, i fratelli entrano in un bar in cui Verna
lavora come barista. Non sanno che il bar non è nemmeno un luogo
reale, ma si è creato proprio per accoglierli, e che usciranno
dalle sue porte con la vita completamente cambiata.
Dopo che l’orologio segna le 12, gli
altri avventori del bar lasciano la scena e Verna lascia il suo
posto dietro il bancone per un’interessante e inquietante
conversazione con gli Usher. Affascinata dalla loro ambizione e
dalla loro mancanza di scrupoli, chiede loro cosa farebbero per
realizzare la vita che credono sia loro per diritto di nascita.
Mentre dichiarano di non avere limiti di sorta, la conversazione
prende una piega particolarmente bizzarra. Verna rivela loro che sa
che hanno appena ucciso qualcuno e promette loro una vita priva di
ripercussioni da questo o da qualsiasi altro crimine che potrebbero
commettere in futuro.
Offre dunque loro anche tutto ciò
che hanno sempre desiderato, tutto il denaro e tutto il potere che
è stato loro negato quando il padre, ex amministratore delegato di
Fortunato, si è rifiutato di riconoscerli come suoi figli. Ma c’è
un però. L’offerta di Verna sarà valida finché Madeline e Roderick
saranno disposti a sacrificare qualcosa come garanzia. E ciò che
vuole non è negoziabile: quando moriranno, la loro stirpe dovrà
morire con loro e dunque non aavranno eredi per portare avanti la
loro eredità. Madeline è un po’ sorpresa e, infatti, dopo aver
lasciato il bar, si procura una spirale per assicurarsi di non
avere figli.
Roderick, al contrario, non batte
ciglio prima di accettare le condizioni di Verna, nonostante abbia
già due figli. La sua logica è che una vita breve e piena di lusso
è migliore di una lunga vissuta negli stenti. Pertanto, non batte
ciglio prima di generare altri quattro figli oltre a Frederick
(Henry Thomas) e Tamerlano (Samantha
Sloyan). È difficile sapere quanto Roderick abbia
effettivamente preso a cuore le parole di Verna. Lui stesso dice a
Madeline (Mary McDonnell) che non sa in cosa
credere dopo che lasciano il bar e si voltano per non vedere altro
che un edificio vuoto ricoperto di compensato e adornato con i
graffiti di un corvo.
Verna, tuttavia, intendeva davvero
quello che ha detto, e poiché a Roderick viene diagnosticata la
demenza vascolare e gli vengono concessi solo pochi anni di vita
nell’episodio 2, l’entità arriva realmente a raccogliere quanto
pattuito. Questo è il motivo per cui Verna è presente nell’avvenire
della morte di tutti i figli Usher (e dell’unico nipote),
strappandoli personalmente uno per uno alla vita: non ha infatti
fatto altro che mantenere la propria parola e reclamare la sua
parte dell’accordo.
Verna è il Corvo, ma cosa significa esattamente?
C’è una parola che abbiamo usato nel
paragrafo precedente che è della massima importanza quando parliamo
di Verna: raccogliere. Come un corvo, Verna ama
collezionare oggetti, più specificamente oggetti luccicanti, non
nel senso che emettano letteralmente una luminosità naturale, ma in
quanto preziosi per le persone che li possiedono. Quindi, Verna
colleziona vite, le vite delle persone care che stipulano un
contratto con lei. Raccoglie anche oggetti importanti dalle persone
che uccide, come evidenziato dalla scena finale di La caduta della casa degli
Usher, in cui Verna decora le tombe degli Usher con alcune
delle loro cose più preziose, dagli zaffiri di Madeline alla maglia
del cuore di Victorine (T ‘Nia Miller).
Verna, però, non è un corvo
qualsiasi, è il Corvo, il minaccioso uccello di sventura e oscurità
che, come già detto, dà il nome alla poesia di Poe. Ma ciò cosa
comporta? Innanzitutto, Verna è un’entità immortale. Se non la
Morte stessa, come dice Madeline, è almeno qualcuno che ha il
controllo completo sulla morte. Ciò è dimostrato dalle fotografie
che mostrano Verna fianco a fianco con persone potenti già
all’inizio del XX secolo e dal fatto che non può essere uccisa: sia
Madeline che Arthur Pym (Mark Hamill)
cercano di eliminare Verna in modi diversi senza mai riuscirci.
La propensione di Verna a
frequentare persone ricche e potenti può anche essere attribuita
alla sua natura corvida. Dopotutto, a causa del loro amore per
tutte le cose luccicanti, si ritiene che anche i corvi abbiano una
predilezione per gli oggetti che gli umani considerano preziosi.
Non c’è quindi da stupirsi che Verna cerchi di allargare la sua
collezione di anime andando dove ci sono i soldi. Ma per Verna non
è solo questione di ricchezza. Le piace anche la giustizia poetica.
Ancora e ancora, chiarisce ai bambini Usher che non devono morire
di una morte orribile. Se fossero persone migliori, sarebbero
potuti morire tutti tranquilli nei loro letti. Cerca dunque di dare
una via d’uscita a Prospero e confessa persino di aver esagerato un
po’ con la morte di Federico a causa della sua straordinaria
crudeltà verso sua moglie.
La più grande prova del tipo di
giustizia di Verna, tuttavia, è la sua cura per Lenore
(Kyliegh Curran), un’adolescente onesta e
amorevole a cui viene effettivamente permesso di andarsene
all’istante, senza un briciolo di dolore. E, alla fine, quando
arriva il momento di rimettere a posto gli oggetti che ha raccolto,
Verna non ha nulla per la tomba di Lenore, offrendole invece un
dono sotto forma di una delle sue piume legata a una rosa bianca.
Questo è anche un riferimento a “Il corvo” di Poe,
poiché, nella poesia, l’uccello minaccioso appare dopo la morte di
una “fanciulla santa che gli angeli chiamano Lenore” e il
narratore chiede all’uccello di “non lasciare alcuna piuma nera
come un gettone“. Verna, però, non dà ascolto a questa
richiesta.
Vermithor e Ali
d’Argento saranno due dei draghi più importanti nel futuro
di House of
the Dragon. Ci sono diversi draghi nella serie, la
maggior parte dei quali appartiene ai Neri di Rhaenyra Targaryen.
Tuttavia, la fazione ha bisogno di ancora più potenza di fuoco se
vuole sconfiggere i Verdi, soprattutto perché loro hanno il drago
più grande, Vhagar, cavalcato dal principe Aemond,
ora Reggente.
È qui che entrano in gioco
Vermithor e Ali d’Argento, poiché sono due dei
draghi senza cavaliere che risiedono a Roccia del Drago (Vermithor
è apparso nel finale della prima stagione, con Daemon Targaryen che
gli cantava). Con Rhaenyra e suo figlio, Jacaerys Velaryon, che
pianificano di trovare persone con tracce di ascendenza valyriana
per far volare le creature nella Danza dei Draghi,
Vermithor e Ali d’Argento assumeranno un ruolo più
importante nella storia.
Storia di Vermithor e Ali
d’Argento e cavalieri precedenti
Vermithor e Ali
d’Argento erano legati al re e alla regina
Vermithor e Ali
d’Argento hanno entrambi quasi 100 anni durante la
sequenza temporale della seconda stagione di House of
the Dragon: Vermithor nacque intorno
al 34 AC, Ali d’Argento pochi anni dopo, e questo
li rende i due dei draghi più antichi in circolazione al di fuori
di Vhagar (che ha circa 180 anni a questo punto). Ali
d’Argento è una drago il cui nome deriva dal suo aspetto,
poiché viene descritta come “argentata”, mentre Vermithor è un
drago maschio il cui aspetto e natura feroce gli valgono il
soprannome di “Furia di Bronzo”.
Vermithor si
schiude da un uovo posto nella culla del principe Jaehaerys
Targaryen, e Ali d’Argento da uno donato a sua
sorella, Alysanne, entrambi si unirono ai rispettivi draghi su cui
in seguito furono trasportati in volo. Jaehaerys divenne re nel 48
AC, e lui e Alysanne divennero rispettivamente i cavalieri di
Vermithor e Ali d’Argento, quello stesso anno.
Il governo di Jaehaerys è stato per
lo più pacifico, il che significa che non c’erano molti motivi per
cui i draghi assistessero alla battaglia. La storia più notevole su
di loro durante questo periodo deriva dalla loro visita alla
Barriera, come raccontato da Lord Cregan Stark nel primo episodio
di House of
the Dragon 2.
Jaehaerys e Alysanne volarono con i loro draghi verso la Barriera,
ma Vermithor e Ali d’Argento si rifiutarono di
oltrepassarla (o non potevano). Apparentemente, la ragione di ciò è
che hanno percepito gli Estranei in agguato nell’estremo nord. Nel
libro si dice solo che Ali d’Argento si rifiutò di
volare oltre il Muro (con Vermithor non presente in quel punto
esatto), ma la serie li includeva entrambi nella storia.
Considerati i loro cavalieri, Vermithor e Ali
d’Argento erano compagni e si accoppiavano.
La regina Alysanne morì nel 100 CA
(un anno prima della prima scena di gruppo della stagione 1, che
inizia con il Gran Consiglio del 101 AC), mentre il re Jaehaerys
morì tre anni dopo. Da allora nessuno ha più rivendicato
Vermithor né Ali
d’Argento, il che significa che hanno vissuto senza
cavaliere a Roccia di Drago per circa 30 anni, fino a quando la
Danza dei Draghi non ha sancito il loro ritorno in azione.
I loro cavalieri non sono Targaryen
di nobile stirpe
I cavalieri dei due
draghi sono piuttosto improbabili: Ulf il Bianco cavalca
Ali d’Argento e Hugh Hammer cavalca
Vermithor. Ulf è stato introdotto per la
prima volta nella stagione in corso, in una scena in cui affermava
di essere il figlio bastardo di Baelon Targaryen, e quindi il
fratellastro di Viserys e Daemon. Hugh, nel frattempo, ha debuttato
nella premiere della seconda stagione, come fabbro che lavora ad
Approdo del Re, ed è diventato una parte importante della storia
della piccola gente lì.
Non c’è prova che Ulf sia
effettivamente chi sostiene, ma entrambi sono semi di drago, ovvero
persone con tracce di sangue valyriano, che si ritiene sia
sufficiente a renderli capaci di cavalcare i draghi. Rhaenyra e
Jacaerys invitarono molti di questi potenziali semi di
drago a reclamare i draghi non legati, molti dei quali
furono uccisi o feriti nel processo, ma Ulf e Hugh riuscirono
entrambi ad avere successo.
È noto che Lord Gormon Massey ha
cercato di reclamare Vermithor e la Furia di
Bronzo lo ha bruciato. Si dice che Ali d’Argento, la cui personalità è
notevolmente più calma e meno feroce del suo compagno, non abbia
ucciso nessuno, anche se lo sciocco di corte Mushroom afferma di
aver tentato di legare con lei e di essere stato bruciato. Anche i
draghi selvaggi Grey Ghost e The Cannibal risiedono su Dragonstone,
ma non vengono reclamati e non vengono mai domati.
Quanto sono grandi e potenti
Silverwing e Vermithor rispetto a Vhagar?
Potrebbero battere il più grande
drago vivo?
Immagine via Max
Indipendentemente dalle persone che
hanno fallito, sono Ulf e Hugh a cavalcare Ali d’Argentoe Vermithor
nella Danza dei Draghi. Costituiscono un enorme vantaggio per il
potere dei Neri di Rhaenyra, poiché danno loro due draghi grandi e
potenti. Ma quanto sono grandi e potenti? Dopotutto, ciò che conta
davvero è se sono in grado di battere Vhagar, quindi entrambi
possono riuscirci?
Vermithor è il più grande ed è
secondo solo a Vhagar in termini di dimensioni dei draghi
rivendicati. Ali d’Argento è un grande drago, più grande
del più grande dei draghi Neri, come Caraxes e Meleys, anche se di
natura più docile, meno testato in battaglia e probabilmente non
così veloce e agile (certamente rispetto a Meraxes, che lo usò a
suo vantaggio contro Vhagar). Vermithor è ancora
più grande ed è secondo solo a Vhagar in termini di dimensioni. È
più feroce e ha molti muscoli, ma ancora una volta non ha la stessa
esperienza di Vhagar.
Se Ali d’Argento e
Vermithor si alleassero contro Vhagar,
avrebbero buone possibilità di sconfiggerla. Uno contro uno,
tuttavia, anche se Vermithor contro Vhagar potrebbe essere uno
scontro avvincente, è improbabile che entrambi i draghi riescano a
portare a termine il lavoro data la maggiore esperienza di
combattimento di Vhagar (l’esperienza più notevole di Vermithor è
la Quarta Guerra di Dorne, che per lo più prevedeva l’incendio di
navi dall’alto). Ciononostante, rappresentano le due risorse
principali dei Neri, nella serie.
I due hanno un ruolo significativo
e sorprendente nel libro
immagine via HBO
Il primo assaggio di azione di
Ali d’Argento e Vermithor
nella Danza dei Draghi arriva nella Battaglia di Gullet, che
probabilmente avrà luogo nella stagione 3 di House of the Dragon. Questa è
una battaglia in cui la Triarchia, alleata con Otto Hightower,
tenta di distruggere il Blocco del Gullet da parte di Corlys
Velaryon, con l’invio di circa 90 navi da guerra. Alla fine, quasi
tutta la forza dei draghi dei Nero viene inviata, inclusi
Ali d’Argento, Vermithor,
Seasmoke e Sheepstealer, facendo
volgere la battaglia a loro favore.
Non ci sono tutte buone notizie per
i Neri, tuttavia, poiché Ulf e Hugh tradiscono successivamente
Rhaenyra nella Prima Battaglia di Tumbleton, probabilmente a causa
della loro stessa avidità. Cambiano fedeltà e si uniscono ai Verdi,
facendo perdere ai Neri quella particolare battaglia.
Vermithor alla fine muore nella Seconda Battaglia
di Tumbleton, ma Ali d’Argento è uno dei pochi
draghi a sopravvivere alla Danza dei Draghi, cosa che
presumibilmente accadrà anche nella serie.
House of the Dragon stagione 2 è disponibile su Sky e NOW (in
contemporanea con gli Stati Uniti), con un nuovo episodio a
settimana.
Dopo
Maternal, opera prima di grande pregio che ha
avuto una vita festivaliera molto fortunata, partendo dal San
Sebastián International Film Festival e arrivando ai
David di Donatello, Maura Delpero arriva in
Concorso alla 81° Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica della Biennale di Venezia con la sua opera
seconda, Vermiglio, un toccante spaccato di vita
montana, ambientata nell’omonimo villaggio della Provincia autonoma
di Trento, nel corso dell’ultimo anno della Seconda Guerra
Mondiale.
Vermiglio, un paese di
montagna sullo sfondo della guerra
A Vermiglio è inverno,
la neve scende fitta e cade accumulandosi alta. La guerra sta
finendo, lontano da lì, ma i soldati partiti e non tornati hanno
ferito anche il villaggio. La grande famiglia di cui ci viene
raccontata la storia si scalda nei letti affollati. C’è Lucia, la
sorella maggiore, che munge la mucca, quel latte sarà diviso per
tutti i suoi fratelli e sorelle dalla madre, Adele. Tutta la
famiglia si dispone intorno al tavolo, in ordine di grandezza, e
condivide il pane e il latte. A capotavola c’è Cesare, il padre ma
anche il maestro del villaggio. Dall’inizio, Vermiglio si racconta
partendo da minuscoli dettagli, gli arredi rustici, il profumo del
latte caldo, la pelle liscia della mucca. Una storia domestica che
si incastra nella cornice bellica e in qualche modo ne subisce le
conseguenze, una storia di comunità, in cui ci si accoglie e ci si
aiuta. Il gruppo è culla all’interno del quale l’individualità
sboccia, prepotente, come quella di Dino, figlio maggiore in
conflitto con il padre, o meglio e più quella di Flavia,la figlia
intelligente, quella prescelta per continuare gli studi, o ancora
Ada, la “sorella oscura” che alterna le sue giornate tra la
scoperta di sé e il desiderio di conoscenza con un fitto diario di
penitenze per i suoi “peccati”.
Una storia di nascite e
tragedie
Vermiglio è testimone l’alternarsi delle stagioni
nel corso di un intero anno, racconta della comunione tra l’uomo e
la natura in un mondo in cui i ritmi sono dettati dalla montagna,
la fa con grandi e piccole svolte, con nascite e morti, tragedie e
sorrisi, ma niente sarà mai più importante della vita nei campi e
nella fattoria, dove tutto è lento, pigro, inesorabile, proprio
come lo scorrere delle stagioni che il maestro prova a spiegare
nell’unica classe del paese, aiutato dalla musica di Vivaldi, che
si porta appresso con il suo grammofono. “Cibo per l’anima”, dirà
alla moglie di nuovo incinta e preoccupata più del cibo per il
corpo dei suoi tanti figli.
Il linguaggio del film è
come quello della natura e di quella vita. Ogni momento e svolta
sono raccontati con uno sguardo asciutto che lascia intuire quello
che succede, lasciando fuori scena i momenti più “violenti” e
prediligendo una dolcezza e una emozione per la purezza
dell’immagine. La costruzione è preziosa e attenta, Delpero
gestisce gli spazi e gli scambi con grande sapienza e gusto, come
la sequenza in cui capiamo che il più piccolo di casa è morto. C’è
pudore, delicatezza, dolcezza anche nel rappresentare la ruvidità
della vita di montagna e c’è una fotografia raffinatissima, che in
molti momenti ricorda il quadri di Vermeer.
C’è anche tanto affetto
in Vermiglio, una storia estremamente personale
per la regista, che parla di donne e segreti e di rispetto per la
vita, in senso più spirituale che religioso, volta verso il
futuro.
Il Comitato di
Selezione per il film italiano da designare agli Oscars®, istituito
dall’ANICA su incarico dell’Academy of Motion Picture Arts and
Sciences®, riunito davanti a un notaio e composto da Pedro
Armocida, Maria Rita Barbera, Cristina Battocletti, Giorgia Farina,
Francesca Manieri, Guglielmo Marchetti, Paola Mencuccini, Giacomo
Scarpelli, Giulia Louise Steigerwalt, Alessandro Usai, Cecilia
Zanuso, ha
votato “Vermiglio” di Maura
Delpero quale film che rappresenterà l’Italia alla
97° edizione degli Academy Awards®, nella selezione per la
categoria International Feature Film Award, con
la seguente motivazione: “per la sua capacità di raccontare
l’Italia rurale del passato, i cui sentimenti e temi vengono resi
universali e attuali”.
“Vermiglio” concorrerà per
la shortlist che includerà i quindici migliori
film internazionali selezionati dall’Academy® e che sarà resa
nota 17 dicembre 2024.
Il film ha vinto il Leone d’Argento a Venezia 81.
L’annuncio
delle nomination (la cinquina dei film nominati
per concorrere al premio) è previsto per il 17 gennaio
2025, mentre la cerimonia di consegna degli Oscars® si
terrà a Los Angeles il 2 marzo 2025
Mentre ancora si stanno annunciando
le nomination ai Golden Globes 2025, arriva a
sorpresa la candidatura nella categoria Miglior film in lingua non
inglese per Vermiglio (qui
la recensione) di Maura Delpero, che già dalla
sua presentazione alla Mostra di Venezia ha catturato l’attenzione
internazionale.
Il film è anche la scelta italiana
per la corsa alla nomination agli Oscar 2025 nella stessa
categoria. E’ il
secondo anno consecutivo in cui l’Italia compare nella cinquina dei
Golden Globes, l’anno scorso arrivò in nomination con
Io Capitano di Matteo Garrone. Il premio andò
all’imbattibile
Anatomia di una caduta. Io Capitano doppiò la
nomination per gli Oscar 2024, ma anche in questa occasione il
premio andò a La Zona d’Interesse.
Vermiglio
racconta dell’ultimo anno della seconda guerra mondiale in una
grande famiglia e di come, con l’arrivo di un soldato rifugiato,
per un paradosso del destino essa perda la pace, nel momento
stesso in cui il mondo ritrova la propria.
Racconta Maura Delpero: “Mio padre ci ha lasciati un caldo
pomeriggio d’estate. Prima di chiuderli per sempre, ci ha guardati
con occhi grandi e stupiti di bambino. L’avevo già sentito che da
anziani si torna un po’ fanciulli, ma non sapevo che quelle due età
potessero fondersi in un unico viso. Nei mesi a seguire è venuto a
trovarmi in sogno. Era tornato nella casa della sua infanzia, a
Vermiglio. Aveva sei anni e due gambette da stambecco, mi sorrideva
sdentato, portava questo film sotto il braccio: quattro stagioni
nella vita della sua grande famiglia. Una storia di bambini e
adulti, tra morti e parti, delusioni e rinascite, del loro tenersi
stretti nelle curve della vita, e da collettività farsi individui.
Una storia d’alta quota, con i suoi muri di neve. Di odore di legna
e latte caldo nelle mattine gelate. Con la guerra lontana e sempre
presente, vissuta da chi è rimasto fuori dalla grande macchina: le
madri che hanno guardato il mondo da una cucina, con i neonati
morti per le coperte troppo corte, le donne che si sono temute
vedove, i contadini che hanno aspettato figli mai tornati, i
maestri e i preti che hanno sostituito i padri. Una storia di
guerra senza bombe, né grandi battaglie. Nella logica ferrea della
montagna che ogni giorno ricorda all’uomo quanto sia
piccolo.
Vermiglio è un paesaggio
dell’anima, un “Lessico famigliare” che vive dentro di me, sulla
soglia dell’inconscio, un atto d’amore per mio padre, la sua
famiglia e il loro piccolo paese. Attraversando un tempo personale,
vuole omaggiare una memoria collettiva.”
In merito a Vermiglio la regista ha
dichiarato: “Mio padre ci ha lasciati un pomeriggio d’estate. Prima
di chiuderli per sempre, ci ha guardati con occhi grandi e stupiti
di bambino. L’avevo già sentito che da anziani si torna un po’
fanciulli, ma non sapevo che quelle due età potessero fondersi in
un unico viso. Nei mesi a seguire è venuto a trovarmi in sogno. Era
tornato nella casa della sua infanzia, a Vermiglio. Aveva sei anni
e due gambette da stambecco, mi sorrideva sdentato, portava questo
film sotto il braccio: quattro stagioni nella vita della sua grande
famiglia.
Una storia di bambini e di adulti,
tra morti e parti, delusioni e rinascite, del loro tenersi stretti
nelle curve della vita, e da collettività farsi individui. Di odore
di legna e latte caldo nelle mattine gelate. Con la guerra lontana
e sempre presente, vissuta da chi è rimasto fuori dalla grande
macchina: le madri che hanno guardato il mondo da una cucina, con i
neonati morti per le coperte troppo corte, le donne che si sono
temute vedove, i contadini che hanno aspettato figli mai tornati, i
maestri e i preti che hanno sostituito i padri.
Una storia di guerra senza bombe,
né grandi battaglie. Nella logica ferrea della montagna che ogni
giorno ricorda all’uomo quanto sia piccolo. Vermiglio è un
paesaggio dell’anima, un “lessico famigliare” che vive dentro di
me, sulla soglia dell’inconscio, un atto d’amore per mio padre, la
sua famiglia e il loro piccolo paese. Attraversando un tempo
personale, vuole omaggiare una memoria collettiva.”
La trama di Vermiglio
In quattro stagioni la natura
compie il suo ciclo. Una ragazza può farsi donna. Un ventre
gonfiarsi e divenire creatura. Si può smarrire il cammino che
portava sicuri a casa, si possono solcare mari verso terre
sconosciute. In quattro stagioni si può morire e rinascere.
Vermiglio racconta dell’ultimo anno della Seconda guerra mondiale
in una grande famiglia e di come, con l’arrivo di un soldato
rifugiato, per un paradosso del destino, essa perda la pace, nel
momento stesso in cui il mondo ritrova la propria.
Il film racconta la storia di Hana,
una bambina che cresce sulle montagne albanesi, dove vige una
cultura arcaica, maschilista, basata sull’onore, che non riconosce
alle donne alcuna libertà; padri, fratelli e mariti hanno su
figlie, sorelle e mogli un vero e proprio potere di vita e di
morte. Per sfuggire al suo destino Hana si appella proprio alla
legge della sua terra, il Kanun: giura di rimanere vergine, prende
il nome di Mark e si fa uomo, ottenendo così gli stessi diritti dei
maschi, ma rinunciando alla sua femminilità e ad ogni forma di
amore. Un rifiuto che diventerà la sua prigione. Ma qualcosa di
vivo si agita sotto alle nuove vesti e questo sarà l’inizio di un
viaggio a lungo rimandato.
Protagoniste del film sono
Alba Rohrwacher e Lars
Eidinger.
Presentato all’ultima edizione
della Berlinale, nella
competizione ufficiale, Vergine giurata, esordio
alla regia di un lungometraggio di Laura Bispuri,
è un inno alla femminilità ed alla sua indipendenza.
In Vergine
giurata Mark è un ragazzo che vive nel nord
dell’Albania, dove ancora si rispettano tradizioni conservatrici e
antiche. Molti anni prima il suo nome infatti era Hanna
(Alba
Rohrwacher), ma per poter vivere senza essere
dipendente da un uomo, ha dovuto giurare la castità imperitura e
decidere di essere uomo. Alcuni anni dopo essere rimasto solo
decide di andare in cerca di sua sorella, in Italia. Lì troverà
altre tradizioni e potrà svelare a se stesso e agli altri una
personalità che aveva sempre dovuto reprimere.
Le protagoniste infatti sono le due
sorelle, che combattono entrambe una cultura maschilista e antica
che le vuole sottomesse al volere e al pensiero dell’uomo, inteso
come genere. La più grande reagisce con il rifiuto e la fuga, la
seconda rivendica la sua identità seguendo le leggi della
tradizione comune, che le danno gli stessi diritti degli uomini, al
costo della sua rinuncia ad essere donna.
In realtà Hanna, quando accetta di
diventare una vergine giurata e prende il nome di Mark, non rinnega
il suo status di donna, lo assopisce soltanto per il tempo
necessario. Il suo femminile riemerge non appena il contesto lo
permette, come i fiori sbocciano nuovamente dopo l’inverno.
La storia di Hanna è differente da
quella di un’altra protagonista di un film dell’anno scorso, che ha
appena vinto l’Oscar come miglior film straniero,
Ida di Pawel
Pawlikowski. In quest’ultimo la protagonista non sapeva
riconoscere il suo essere nel mondo fino a quando non scopre il
mondo fuori dal convento nel quale è stata cresciuta. Hanna,
invece, sa esattamente “cosa” è, e soprattutto le è molto chiaro
cosa non vuole essere, e il suo scoprirsi è più fluido e naturale
rispetto alla protagonista del film polacco.
Con la storia di Hanna,
Laura Bispuri non fa un discorso sul genere di
appartenenza, sul femminismo o sulla libertà, ma vuole piuttosto
mostrare ciò che la sicurezza della propria esistenza nel mondo
porta: alla consapevolezza della libertà del genere femminile.
Vergine giurata è
girato prevalentemente in albanese ed esce in sala il prossimo 19
Marzo.
Ancora un riconoscimento
per il bel film di Laura Bispuri “VERGINE
GIURATA” . All’Hong Kong International Film
Festival l’opera prima della regista italiana si è aggiudicata
il “Firebird Award”, il premio più prestigioso della
“Young Filmnakers’ Competition”, la sezione principale
della manifestazione.
“Il debutto di Laura Bispuri
racconta le condizioni socio-politiche e, nello stesso tempo, la
magia, attraverso la storia di una ragazza che, per sfuggire alla
schiavitù, giura di rimanere vergine per tutta la vita e
assume le sembianze maschili” –
VARIETY.
Il “Firebird Award” è
stato assegnato a VERGINE GIURATA dalla
giuria internazionale del Festival presieduta da Mohsen
Makhmalbaf.
“Sono felice di aver
ricevuto il premio all’Hong Kong Film Festival e soprattutto di
averlo ricevuto dalle mani di Mohsen Makhmalbaf. Ho sentito che il
film ha emozionato la giuria. In questo contesto internazionale
sento ancora di più lo stimolo ad allargare lo sguardo, verso
l’Europa, verso il mondo. Purtroppo poco prima di essere premiata
ho saputo della scomparsa di Manoel De Oliveira. Da giovane regista
mi sento di dedicare questo premio a lui che per me era un esempio
di chi non smette mai di amare questo lavoro”, ha dichiarato Laura
Bispuri.
Ancora in programmazione nelle sale
italiane, VERGINE GIURATA avrà come
prossima tappa internazionale il prestigioso CPH Pix di Copenhagen
dove verrà presentato in concorso.
“Il mio film è come una
lasagna, ha diversi strati e diversi livelli di lettura”. Così
Gore Verbinski definisce il suo
Rango, piccolo gioiello di animazione (senza
stereoscopia) in uscita in Italia il prossimo 11 marzo.
A chi gli ha chiesto perché il film
fosse così pieno di citazioni, il regista di The
Ring ha risposto con questa bella metafora culinaria,
tutta all’italiana specificando che “Rango parla a pubblici
diversi e che il protagonista, essendo un camaleonte attore, è
anche un comico e conduce questa storia. La Live Action –
prosegue Verbinski – si tratta di orchestrare diversi elementi.
Ho lavorato 3 anni e mezzo sulla storia, ma le riprese vere e
proprie con il cast sono durate solo 20 giorni.” “E’ un lavoro
molto noioso – ha aggiunto Abigail Breslin,
venuta anche lei a Roma per presentare il film – ma Gore è
stato presente e per me vederlo mentre recitavo è stato molto
importante”.
– Prima Tim Burton che
trasforma Johnny Depp in un figurino in stop-motion, poi lei che lo
usa per la motion capture, cos’ha il bravo Johnny di
cartoonesco?
G.V.: “Io e Johnny siamo
semplicemente amici (i due hanno lavorato insieme per tutta la
saga di Pirati dei Caraibi, n.d.r.), è
importante che regista e attore abbiamo un rapporto. E con lui è
interessante lavorare perché crea sempre qualcosa di inaspettato.
Il personaggio di Rango è stato costruito pensando esattamente a
lui!”
– Com’è stato per gli
attori, narcisi per definizione, dover interpretare degli
animaletti tanto brutti?
A.B.: “E’ stata una bella
esperienza, è vero sono brutti, ma hanno anche una grande dolcezza
nei loro sguardi!”.
Per quanto riguarda la preziosa
collaborazione con Roger Deakins, Verbinski ha
elargito complimenti e ringraziamenti, soprattutto relativi alla
consulenza che Deakins ha offerto per le riprese, l’utilizzo della
luce nelle scene che avrebbero rappresentato le diverse ore
diurne.
– L’animazione per lei è un
mezzo non un genere, dal momento che lei ne ha adottati tanti
diversi, non pensa di usare la stereoscopia un giorno?
G.V.: “Per me è un trucchetto
per far lievitare costi e biglietti, per Rango se n’è parlato, ma
non era pertinente alla storia, quindi l’idea è stata
accantonata”. Inoltre il film, oltre ad essere farcito di
citazioni e di battute, costruisce un particolare equilibrio tra le
scene grottesche, quelle ironiche e quelle legate alla morte, molto
presente nel film che riprende le ambientazioni western in un
momento in cui, con Il Grinta dei fratelli
Coen, il genere sembra aver trovato nuova linfa. Secondo
Verbinski si tratta di ‘fame di spazio’, la tendenza che l’uomo
moderno ha attraverso il cinema di “colonizzare e di
idealizzare gli spazi ancora vuoti, come il deserto del western o
lo spazio interstellare di Star
Wars, in contrapposizione all’affollamento che ogni giorno
viviamo.”
Vera, il
film con protagonista Vera Gemma, figlia
dell’amato e compianto Giuliano Gemma, sta per arrivare al cinema. La
sua è una storia inaspettata, portata sul grande schermo grazie ai
documentaristi Tizza Covi e Rainer
Frimmel, i quali hanno saputo cogliere nei suoi occhi una
sofferenza celata che meritava di essere conosciuta. È un racconto
dal taglio amaro ma sincero quello che i registi costruiscono
attorno a Vera Gemma, la quale ancora oggi deve fare i conti con un
paragone assurdo: non essere all’altezza del padre. Non essere
bella quanto lo era il padre.
Un fardello che molti figli d’arte
sono costretti a portarsi lungo il loro percorso di vita umano e
artistico, in cui spesso si è solo riflesso della gloria altrui. Il
film è stato presentato al
Festival di Venezia ed è valso a Vera Gemma il premio
come Miglior Attrice nella sezione
Orizzonti. Debutterà in sala il 23
marzo e per l’occasione abbiamo incontrato la protagonista
assieme alla regista Tizza Covi, le quali ci hanno
fornito una visione molto più ampia dell’intera opera.
Vera, il viaggio dentro una donna
libera
L’opera, proprio come ribadisce la
protagonista stessa, non è un documentario. È un film, scritto per
Vera Gemma, la quale ha specificato di
aver fatto un vero e proprio lavoro di attrice.
Nonostante ci sia una sceneggiatura da imparare e una storia di
finzione, la Vera sullo schermo non è però fittizia. “Il
personaggio sono io completamente.”, dice “prende
ispirazione da un episodio che ho raccontato a Tizza realmente
accaduto nella mia vita. Sono io con tutte le mie debolezze, le mie
fragilità e la mia forza. Mi identifico completamente, pur avendo
fatto un lavoro di attrice. Ho interpretato il ruolo di me stessa
cosa che, banalmente, può sembrare molto facile ma in realtà non lo
è affatto perché quando si fa se stessi si tende a voler dare
un’idea migliore di sé. In questo film mi sono veramente, per la
prima volta, liberata di me stessa. Mi sono liberata
dall’ossessione di voler apparire bella a tutti i costi, magra a
tutti i costi, truccata bene. Ho cercato di essere
onesta.”
La regista ha poi chiarito qual è
l’approccio che lei e Frimmel hanno con gli attori dei loro
film/documentari. “Io la sceneggiatura la scrivo per i miei
protagonisti”, specifica Tizza Covi, “prima conosco Vera, la
sorella… e poi conoscendo la loro storia di vita scrivo la
sceneggiatura. La realtà la metto nella sceneggiatura, è un lavoro
tanto documentario però poi assolutamente di finzione.” Un
lavoro, dunque, molto meticoloso, nel quale si riescono a cogliere
tutte le sfumature dei protagonisti, proprio come accade con Vera
Gemma.
L’accettazione di sé, la voglia di
riscatto
Uno dei temi cardini del film è,
come dicevamo, il peso che ha per Vera l’essere vista e considerata
solo come la figlia del bello e bravo attore western. Un
non andare oltre a questa etichetta, ma anzi
cucirgliela addosso tanto da risultare impossibile distaccarsene.
Un vivere a volte all’ombra, al margine, e non
poter mai davvero spiccare il volo. Ma l’emancipazione, come ad un
certo punto le dice l’amica Asia Argento in una scena del film, è
necessaria. Anche se la società e il giudizio altrui non ne aiutano
il processo. “La crudeltà nei miei confronti è stato il
paragone continuo con la bellezza di mio padre, quello mi ha fatto
soffrire. Tutta la vita mi sono sentita in colpa per non essere
bella come lui e la prima reazione quando mi chiedevano se fossi la
figlia di Giuliano Gemma era “Certo che non gli somigli proprio”.
Volevo assomigliare a mio padre perché per me era bello, era un
mito. Quindi questo non sentirmi mai all’altezza, non sentirmi
abbastanza bella, cosa di cui non sono responsabile perché non si
sceglie come nascere. È stata una crudeltà che ho subito e che
continuo a subire, ed è un lavoro giornaliero per me distaccarmi da
questa cattiveria e accettarmi.”
Oltre all’accettazione di sé, però,
Vera si fa carico di un altro messaggio
importante, legato strettamente al senso della pellicola. Essere
veri in un mondo in cui l’ipocrisia regna sovrana. In cui inganni e
furbizia primeggiano, sia nei rapporti privati che professionali.
In una società che ti vuole pieno di filtri, con una maschera da
indossare, a tal punto che la trasparenza diventa quasi una
condanna, oltre che una difficoltà. Ecco perché l’autenticità sta
alla base sia del lavoro dei registi che di Vera Gemma stessa.
“Per noi registi essere veri è fondamentale.” ribadisce
Tizza Covi, “un regista è anche un artista, il cinema è un arte
stupenda e deve poter esistere come arte. Io sto cercando delle
nuove vie di fare cinema e questo è possibile dal momento in cui
non punti al grande pubblico, dal momento in cui non lavori con
grandi budget. Restiamo piccoli e facciamo il cinema che vogliamo e
cerchiamo di avvicinarci a certe verità, il che è molto difficile.
Ma ci proviamo”.
È dello stesso avviso anche Vera, la
quale conclude con un invito a non rinunciare mai alle proprie
verità, poiché è proprio lì che si racchiude la bellezza.
“Penso che essere se stessi sia la grande rivoluzione
ad oggi, perché nessuno è veramente se stesso. C’è questa
ipocrisia perbenista, piccolo borghese, del voler apparire per
esempio per bene. O del voler sempre sembrare meglio di quello che
si è. Poche persone sono veramente vere e hanno il coraggio di
essere quello che sono. Quindi io credo che questo sia fondamentale
nella vita ancor prima che nel cinema.”
Il peso del paragone continuo
impedisce la libertà. Lo sa VeraGemma, che per tutta la vita
si è sentita giudicata, incompresa, oscurata. Al margine. Una donna
forte ma al tempo stesso fragile, il cui riflesso del padre
(Giuliano Gemma) non le ha mai permesso di
spiccare realmente il volo. È sul desiderio di voler imporre la
propria identità che i documentaristi Tizza Covi e Rainer
Frimmel (Non è ancora domani, La pivellina)
fondano Vera, con una narrazione che
assume le fattezze di un documentario, ma che oscilla sempre fra
realtà e fantasia.
Perché, come dirà la stessa
VeraGemma, è stato preso “in
prestito” un episodio della sua vita per costruirci attorno un
film che potesse apporre la propria attenzione sul riscatto. Sul
dolore. E sulla cattiveria insita nella società. Presentato al
Festival di Venezia,
Vera è valso alla sua protagonista il
premio come Miglior Attrice nella sezione
Orizzonti, e arriva ora nelle sale
cinematografiche dal 23 marzo distribuito da
Wanted.
Vera, la trama
Vera si muove
silenziosa in una Roma piena di vita. Frequenta posti esclusivi,
boutique di lusso e persone dello spettacolo. Ma dentro di sé ha
molte cicatrici e tanta sofferenza. Il suo autista,
Walter, la accompagna ovunque, fino a quando un
giorno non fanno un incidente con uno scooter. Rimane coinvolto un
bambino, al quale Vera subito si lega, iniziandolo a frequentare
nel tentativo di riparare al danno. Lo va a prendere a scuola, lo
porta a casa, e spende del tempo anche il padre,
Daniel, un uomo che non riesce a guadagnare molto
per mandare avanti la famiglia. In parallelo, la donna continua a
condurre la vita di sempre, fra provini falliti, rapporti nocivi e
la figura dell’oramai defunto padre, Giuliano Gemma, che continua a
seguirla come un’ombra.
Qual è il prezzo da pagare per
poter essere sé stessi?
“Ai suonatori un po’ sballati,
ai balordi come me, a chi non sono mai piaciuta, a chi non ho
incontrato, chissà mai perché”. Il film si apre con
Dedicato di Loredana Berté, un brano che
in qualche modo fornisce subito le linee guida della
storia. Avvisa lo spettatore che questa è una storia
difficile, malinconica, ma non per questo meno bella. Un racconto
che pone la sua lente d’ingrandimento su una protagonista dai
lineamenti del volto marcati, prova di una netta e dura ribellione
nei confronti di chi la vorrebbe diversa. O peggio ancora la
vorrebbe come il padre, il bell’attore del filone spaghetti western
amato da tutti. Ma lei è un individuo autonomo e cerca di imporre
la sua identità in una società che, invece, vorrebbe plasmarla in
base ai propri gusti. Alle proprie esigenze. Al proprio modo,
distorto, di vedere “i figli di”.
Perché la protagonista deve
combattere quotidianamente con il giudizio che si formula sulla
bocca di persone ignoranti e superficiali. Le quali, seppur non lo
ammette, l’hanno portata sulla strada della chirurgia per potersi
distaccare esteticamente, ancor di più, dall’immagine del padre.
Come a voler loro fare uno sfregio. Una presa di posizione che però
non è bastata per fermare gli occhi indiscreti, i complimenti
indirizzati solo al padre o i provini falliti poiché non
rispecchiante un certo canone di bellezza. Così la macchina da
presa, che fin dalle prime battute aderisce completamente a
Vera, ci porta nell’oscurità delle sue giornate,
in cui incontriamo i rifiuti, i dolori ma anche le speranze di una
donna che le prova tutte per non annegare.
Emanciparsi dall’etichetta
In una costante atmosfera da cinema
neorealista, Vera ci conduce però non solo nei
rapporti intimi che instaura, come quello con il bambino investito,
ma anche nei suoi più profondi pensieri. Nel suo desiderio
di volersi emancipare da quell’etichetta che, come le
ricorda l’amica Asia Argento, necessita
proprio di essere distrutta. Ma anche nel suo voler
credere fortemente che, nonostante le esperienze avute, gli altri
prima o poi vedranno lei prima ancora di vedere la gloria del
padre. E che non la usino per un loro tornaconto personale, ma le
stiano accanto solo perché spinti da un vero sentimento. È questa
continua speranza nel genere umano che fa di Vera
una donna tenace e delicata, ma soprattutto autentica.
Un’autenticità sottolineata attraverso primi piani che fotografano
il suo sguardo buono, pulito. Dentro al quale si manifesta una
sincera voglia di credere nell’altro e nella sua buona fede.
Una speranza a cui troppo spesso si
sostituisce la delusione. Perché in fondo, purtroppo, le persone si
muovono solo per i propri interessi e mai per vero senso di
altruismo. Seppur in alcuni frangenti pecchi di staticità e in
pochi altri ci sia un’eccessiva finzione,
Vera riesce dunque ad andare comunque a
segno. Non vuole ingannare, né tantomeno essere una pellicola
melodrammatica. Non ha guizzi narrativi o particolari intuizioni
registiche e artistiche. Vuole solo esporre la condizione
umana di una donna che cerca di combattere contro
l’ipocrisia, l’empietà e i preconcetti. Che nonostante tutto rimane
gentile, donandosi al prossimo senza porsi troppe domande. E ci
riesce benissimo. Potremmo chiederci quanto ci sia di reale in
quello che abbiamo visto. Potrebbe non piacerci lei. Ma il pensiero
che dovremmo iniziare a essere meno giudicanti e più generosi
d’animo nei confronti degli altri è imprescindibile dalla storia
che vediamo sullo schermo.
Vera Farmiga è di
quelle attrici che, soprattutto negli ultimi anni, sta raccogliendo
un gran pubblico attorno sè, grazie anche ai suoi diversi
personaggi nei film horror. L’attrice ha sempre lavorato sodo per
costruirsi una carriera solida e valida, dimostrando di avere un
certo di talento e di saper scegliere ruoli incisivi e mai
banali.
Ecco, allora, dieci cose da
sapere su Vera Farmiga.
2. È anche produttrice e
regista e ha recitato per la televisione. Vera Farmiga ha
avuto modo, nel corso della sua carriera, di sperimentare diversi
ambiti del cinema. Nella fattispecie, l’attrice ha vestito i panni
della produttrice per la serie Bates Motel e per il film
Unspoken (2017). Inoltre, ha fatto il suo debutto da
regista con il film Higher Ground (2011), da lei anche
interpretato e basato sul libro This Dark World: A Memoir of
Salvation Found andLost, storia di una donna e del
suo rapporto problematico con la fede. Nel corso della sua carriera
ha inoltre recitato anche per la televisione, ad esempio nel film
La piccola Rose (1997) e nelle serie Roar (1997),
UC: Undercover (2001-2002), Touching Evil
(2004), Bates Motel
(2013-2017), When They See Us (2019), Halston
(2021) e Hawkeye (2021).
Vera Farmiga e i suoi fratelli, da
Alexander a Victor e fino a Taissa
3. Fa parte di una famiglia
numerosa. L’attrice è la seconda dei sette figli di
Mykhailo e Luba, due immigrati ucraini. I suoi fratelli sono
Alexander, Victor e
Stephan, mentre le sorelle sono
Nadia, Laryssa e Taissa Farmiga.
Quest’ultima, la minore dei sette, è a sua volta un’attrice.
Fu proprio Vera ad introdurla nel
mondo della recitazione, convincendola a partecipare al suo debutto
da regista. Da quel momento la piccola Farmiga rimase incantata da
tale mondo, decidendo di perseguire tale strada. Oggi è nota in
particolare per i film The Final Girl, The Nun – La
vocazione del male e la serie American Horror
Story.
Vera Farmiga: il marito e i figli
4. Ha un matrimonio alle
spalle. Farmiga si è già sposata una volta, in passato,
con il collega francese Sebastian Roché. I due si
sono conosciuti sul set della serie tv Roar, per poi
convolare a nozze nel 1997. Tuttavia, il loro matrimonio non è
durato molto, tanto da divorziare poi nel 2004. Riguardo a ciò non
hanno ovviamente rivelato i motivi che hanno portato alla
separazione, accennando giusto ad alcune differenze
inconciliabili.
5. È attualmente
sposata. Diverso tempo dopo la separazione dal primo
marito, l’attrice si è risposata nel 2008 con Renn
Hawkey, ex tastierista del gruppo Deadsy ed ora
carpentiere. Pare che l’attrice abbia trovato in lui l’anima
gemella, tanto avere una relazione che procede a gonfie vele. La
coppia ha infatti poi dato la luce a due figli: Fynn
Hawkey (nato nel 2009) e Gytta Lubov
Hawkey (nata nel 2010).
Vera Farmiga in The
Departed
6. Ha incontrato un
professionista. Per prepararsi al suo ruolo nel film
The Departed, diretto da Martin
Scorsese, l’attrice ha incontrato un vero psichiatra
del LAPD per poter apprendere da lui quanto occorreva per essere il
più realistica possibile. Lo psichiatra ha letto la sceneggiatura e
ha detto alla Farmiga che Madolyn, il suo personaggio, fa quasi
tutto in maniera sbagliata. Da qui l’attrice è partita per
ricostruire Madolyn in modo più fedele alla realtà.
7. Era nervosa di recitare
in questo film. L’attrice non ha negato di essere stata
piuttosto nervosa dal fatto di dover incontrare Leonardo
DiCaprio e Martin Scorsese, ovvero
attore protagonista e regista del film. Stando alle sue
dichiarazioni: “Ti aspetti che ci sia un certo baratro tra te e
loro, e invece non c’era”. Dopo averli incontrati, l’attrice
si è da subito sentita messa a suo agio e resa partecipe del
processo creativo del film. Ancora oggi la ricorda come una delle
esperienze migliori della sua carriera.
Vera Farmiga in The
Conjuring
8. Ha incontrato la vera
Lorraine Warren. Per prepararsi al ruolo di Lorraine
Warren, ricercatrice del paranormale e la cui attività è alla base
della saga di The Conjuring, sia Vera Farmiga che il
collega Patrick Wilson
hanno viaggiato verso il Connecticut per incontrare la vera
Lorraine, colei che, insieme al marito Ed, ha pubblicato le
esperienze raccolte negli anni, oggi fonte inesauribile per la saga
horror.
Vera Farmiga è su Instagram
9. Ha un profilo Instagram
ufficiale. L’attrice ha deciso di aprire, come molti suoi
colleghi, un account Instagram ufficiale che è seguito da 1,1
milioni di persone. La sua bacheca è un tripudio di fotografie che,
spesso e volentieri, la ritraggono protagonista di momenti
lavorativi e di svago, oltre che di momenti quotidiani. Seguendola,
dunque, si potranno scoprire molte cose su di lei, rimanendo anche
aggiornati su tutti i suoi progetti.
Vera Farmiga: età e altezza
10. Vera Farmiga è nata il 6
agosto del 1973a Clifton, nel New
Jersey. La sua altezza complessiva corrisponde a 170
centimetri.
Fresca di nomination all’Oscar, la
bella e brava attrice americana, che in precedenza avevamo visto
sorprendentemente all’altezza nel discusso e premiato The Departed
di Scorsese, si preparai a recitare in un film western indipendente
intitolato A Thousand Guns, ma la vera sorpresa è che sta
pensando anche di debuttare dietro la macchina da presa con
un film dal titolo Higher Ground.
Presentato in anteprima mondiale
all’ultima edizione della Mostra Internazionale d’arte
cinematografica di Venezia, nella
sezione Orizzonti, dove ha trionfato aggiudicandosi il Premio
Orizzonti per la migliore regia e il Premio Orizzonti per la
miglior attrice, VERA arriva nelle sale italiane con
Wanted dal 23 marzo. Diretto da Tizza Covi e Rainer
Frimmel (La Pivellina), il film vede protagonista
Vera Gemma con Sebastian Dascalu, Annamaria Giancamerla e
Daniel de Palma e l’amichevole partecipazione di Asia Argento.
Vera vive all’ombra di un padre
famoso, il carismatico attore Giuliano Gemma, ereditando il look
western di tanti suoi personaggi. Stanca della propria vita e delle
proprie relazioni superficiali, vaga nell’alta società̀ romana.
Quando, in un incidente automobilistico in una zona di periferia,
ferisce un bambino di ottoanni, inizia con lui e con suo
padre un’intensa relazione. Ma presto si rende conto che, anche in
questo mondo, lei non è che uno strumento per gli altri.
Lo sguardo sensibile dei
documentaristi Tizza Covi e Rainer Frimmel rende il ritratto di
Vera intimo e profondo. Una donna protagonista di un affresco a
cavallo tra documentario e finzione che scava nelle pieghe più
nascoste della sua vita pubblica e privata.
Tizza Covi e Rainer
Frimmel hanno detto del film (da una intervista rilasciata a
Gianpiero Raganelli): “Vera ci ha affascinato andando oltre
l’apparenza. Quando l’abbiamo vista per la prima volta ci siamo
detti: «Ma chi è questa?» e non siamo stati molto simpatici con
lei. Due settimane dopo ci siamo ritrovati a una cena insieme e
l’abbiamo trovata incredibile, sincera, divertente, colta. Ci siamo
chiesti come mai giudicassimo ancora dalle apparenze. Abbiamo visto
che tutti la giudicano dalle apparenze e ci è sembrata una cosa
molto ingiusta. Abbiamo cominciato a trovarci con Vera e a
stabilire un’amicizia. L’abbiamo conosciuta nel 2015, è stato un
lungo conoscersi. Ci sembrava una cosa importante, dopo anni di
lavoro, avere una protagonista come lei. Per noi Vera è una donna
molto forte, al contempo debole come ogni persona che sta cercando
l’amore perché sta cercando una cosa che è molto difficile da
trovare.”
VERA sarà nelle sale italiane
distribuito da Wanted da giovedì 23 marzo.
Arriva al cinema distribuito da
Medusa Film Venuto al mondo il nuovo film diretto
da Sergio Castellitto, con protagonisti Penélope Cruz e Emile
Hirsch.
Gemma è una donna italiana, che in
un viaggio di studio in Bosnia, si innamora perdutamente,
ricambiata, di Diego, fotografo americano e spirito gioioso e
vitale. Il loro amore sarebbe perfetto se non fosse che a Gemma
viene diagnosticata una sterilità che la porterà ad una sola
ossessione: dare un figlio all’uomo che ama per legarlo a sè. Ma i
legami dei due con la Bosnia sono rimasti forti negli anni, e
proprio durante un loro soggiorno si troveranno travolti dalla
guerra e i loro destini cambieranno. Sergio Castellitto rimette mano al lavoro di
sua moglie e realizza, con l’aiuto di lei alla sceneggiatura, un
film particolare, emotivamente potente e allo stesso tempo
insostenibile.
Castellitto racconta con estrema
lucidità un amore passionale e irragionevole, che lo porta su campi
inesplorati e che risultano perfettamente credibili. Una
ricostruzione storica della Sarajevo dilaniata dalla guerra è il
cuore della seconda parte del film che dispiega le sue storie di
sofferenza e violenza con insostenibile lentezza. Proprio nella
lentezza va cercato il tallone d’Achille di un film altrimenti
veramente ben fatto, attento ai dettagli e ai particolari.
Venuto al mondo, il film
In ogni attore si vede la mano del
Castellitto regista, quasi nell’emissione vocale di alcuni
interpreti che si smascherano come attori che fanno come farebbe il
regista e non come vorrebbero loro. Protagonista sofferente è
Penelope Cruz, ancora una volta diretta da
Castellitto e “raccontata” da Mazzantini, che fa bella mostra del
suo italiano, molto migliorato, ma anche della sua capacità
interpretativa. Con lei un gruppo di attori ben assortito e
sicuramente in grado di tenerle testa, dal notissimo volto di
Emile Hirsch, che interpreta l’innamorato
fotografo Diego, a Saadet Aksoy e Adnan
Haskovic, bravissimi interpreti di un dolore che hanno
vissuto da bambini anche nella vita reale.
La regia di Castellitto è
notevolmente migliorata, più padrona del racconto, più visibile e
attenta alla narrazione, anche se a tratti troppo indulgente su
particolari non perfettamente legati allo svolgersi delle vicende,
troppo presa dal mostrare e poco dal raccontare. Bello il reparto
musicale del film, curato da Edoardo Cruz
(fratello di Penelope) e straordinariamente funzionale nello
scandire il passare degli anni e l’avvicendarsi di passato e
presente sullo schermo. Venuto al Mondo è
un film drammatico e toccante che conferma la bravura di
Castellitto nel raccontare le storie e allo stesso tempo ne rivela
la fondamentale debolezza di essere ancora troppo attore per
dirigerne degli altri.
Ecco arrivare dal set di Venuto al Mondo, film attualmente in
fase di riprese di Sergio Castellitto, le prime foto di Penelope
Cruz. Le immagini arrivano dal set di Sarajevo, Bosnia and
Herzegovina.
Il regista spagnolo Jaume Balagueró è noto
per aver realizzato film horror come Nameless – Entità
nascosta,
Bed Time, La settima
musa e, soprattutto, Rec e [Rec]².
Maestro del genere, negli anni ha dunque dato vita ad opere
caratterizzate per la forte presenza di orrori soprannaturali che
si svolgono in ambienti ristretti, violenze corporee inaudite e, di
conseguenza, elementi gore adatti ad un pubblico decisamente
avvezzo a questo tipo di dettagli. Il suo nuovo film,
Venus, uscito nel 2022 passando fin troppo in
sordina, è un compendio di tutto ciò, anche solo per l’ispirazione
ad un racconto dello scrittore horror H. P.
Lovecraft.
Il film è prodotto da Alex
de la Iglesia (Le
streghe son tornate,
Oxford Murders – Teorema di un delitto) con la sua
The Fear Collection, un marchio dedicato ai film
dell’orrore fondato nel 2020 insieme a Carolina
Bang e in collaborazione con Prime Video e Sony
Pictures. Il primo film uscito sotto l’egida di The Fear
Colletion è stato Veneciafrenia, mentre il secondo è,
appunto, Venus. Si tratta di un’opera molto
particolare per Balagueró, che come da lui sottolineato sembra
iniziare come un classico crime movie per poi trasformarsi
improvvisamente in un horror soprannaturale con streghe, demoni e
spaventosi riti sacrificali.
Il passaggio televisivo di
Venus è dunque l’occasione perfetta per recuperare
il nuovo film di un maestro di questo genere, che ancora una volta
si diverte e sorprende nel mettere in scena orrori con pochi
eguali, che non mancano di soddisfare gli appassionati di questa
tipologia di horror. In questo articolo, approfondiamo dunque
alcune delle principali curiosità relative a
Venus. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti
possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama, al cast di attori e al suo
finale. Infine, si elencheranno anche le
principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
La trama di Venus
La vicenda si svolge a Madrid,
Spagna. Protagonista del racconto è Lucía, una
go-go dance che, con in mano un pesante borsone pieno di pacchi di
droga rubata in discoteca e una profonda ferita da taglio sulla
coscia, fugge dal night club dove lavora, gestito dalla mafia. La
ragazza, tuttavia, non ha alcuna possibilità di ingannare i suoi
feroci datori di lavoro, gangster assassini che si pongono subito
sulle sue tracce. Lucía non ha allora altra scelta che cercare di
nascondersi dalla sorella Rocío e la giovane
nipote Alba. Le due vivono nel decrepito Edificio
Venus, un inquietante complesso di appartamenti di Villaverde Sud,
su cui girano strane voci.
Nella speranza che i gangster
smettano di cercarla, Lucía trascorre dunque la notte da loro. Ma
quando sua sorella scompare, la mattina seguente, la ragazza si
ritroverà a dover proteggere la nipote non solo dai mafiosi, che
l’hanno nel mentre individuata, ma anche da antichi orrori che si
nascondono dietro le pareti dell’edificio. Le voci su
quell’edificio, infatti, si rivelerano più vere del previsto, tra
presenze soprannaturali, streghe e demoni. Un antico rito sta
infatti giungendo a compimento e così, per i presenti, quei
corridoi e quelle stanze diventano luogo di orrori indicibili.
Il cast di attori
Ad interpretare Lucía vi è l’attrice
Ester Expósito, nota per il ruolo di Hija de Fernando nella serie Vis a Vis – Il prezzo del riscatto e di Carla Roson
nella serie Élite.
Accanto a lei, nel ruolo della nipote Alba vi è invece Inés
Fernández, attrice qui al suo esordio cinematografico. La
sorella Rocio, invece, è interpretata da Ángela
Cremonte, nota per il ruolo di Elisa Cifuentes nella serie
Le ragazze del centralino. L’attore Fernando
Valdiviels interpreta Moro, uno degli affiliati della gang
criminale, mentre Pedro Bachura è Calvo,
incaricato di ritrovare la protagonista. L’attore Federico
Aguado è Salinas, complice di Lucía, mentre Magüi
Mira è Marga, la principale delle anziane residenti
nel condominio.
Come finisce il film? La spiegazione del finale
Come si apprende nel finale del
film, dietro gli orrori che infestano il condominio Venus vi sono
le tre anziane. Il loro scopo è far sì che una creatura da loro
venerata possa reincarnarsi attraverso un rito, motivo per il quale
compieno sacrifici su bambini da decenni. Per cercare di impedire
che Alba possa essere l’ennesima vittima, Lucía assume un notevole
quantitativo di droga per ottenere energia. Fattasi largo tra i
criminali, sale nell’appartamento delle anziane, che vedendola
capiscono che la creatura da loro venerata si è reincarnata in lei.
Lucía le uccide e porta via con sé Alba. Rimane però il dubbio se
Lucía possieda quel potere solo per via della droga assunta o se
perché realmente il demone ha preso possesso del suo corpo.
Il film e il racconto I sogni nella
casa stregata di H.P. Lovecraft
Come anticipato, il film è
liberamente tratto dal racconto horror I sogni nella casa
stregata – conosciuto anche con il titolo La casa
delle streghe – dello scrittore statunitense
Howard Phillips Lovecraft, appartenente al famoso
Ciclo di Cthulhu. In esso si narra di
Walter Gilman, il quale sta portando avanti degli
studi sul folclore e sulla vecchia strega Keziah
Mason, sfuggita al rogo. Walter ritiene che la donna sia
stata in grado di viaggiare attraverso lo spazio e le dimensioni e
che sia dunque ancora viva da qualche parte. Da qui parte una
storia a metà fra l’incubo e il surreale, con Walter alla mercé
della strega Keziah e del suo famiglio, Brown
Jenkin, un mostruoso ibrido con il corpo da topo e la
faccia e le mani umane.
Tale racconto è stato poi adattato
anche dal sesto episodio della serie Netflix
Cabinet of Curiosities, dove nel ruolo di Walter vi è
l’attore Rupert Grint. L’episodio in realtà si discosta
parzialmente dal racconto introducendo la volontà di Walter di
ritrovare la gemella morta anni prima e presumibilmente bloccata
nella stessa realtà in cui si trova la strega, che cerca dunque a
sua volta di tornare nel mondo dei vivi. Per quanto riguarda
Venus, come si può intuire, il film si discosta
molto dal racconto, mantenendo unicamente il tema dell’orrore
cosmico, dei sogni, la casa della strega e i sacrifici fatti in
nome di un male superiore.
Il trailer del film e dove vederlo
in streaming e in TV
Sfortunatamente
Venus non è presente su nessuna delle piattaforme
streaming attualmente attive in Italia. È però presente nel
palinsesto televisivo di mercoledì 20 marzo alle
ore 23:00 sul canale Rai
4. Di conseguenza, per un limitato periodo di tempo sarà
presente anche sulla piattaforma Rai Play, dove
quindi lo si potrà vedere anche oltre il momento della sua messa in
onda. Basterà accedere alla piattaforma, completamente gratuita,
per trovare il film e far partire la visione.
La recensione del
film Vento di primavera, ultimo film
della regista francese Rose Bosche con Jean Reno e
Mélanie Laurent. In Vento di
Primavera ambientato a Parigi nell’estate del 1942, il
governo collaborazionista di Vichy sostiene concretamente la
Germania nella progressiva e inarrestabile discriminazione contro
gli ebrei di nazionalità francese. Seguiamo le vicende (realmente
accadute e rigorosamente documentate) di una famiglia ebraica del
quartiere di Montmartre, con gli occhi dei bambini… “Diventeremo
grandi?”
Questa agghiacciante domanda è
pronunciata con spontaneità e ovvio timore da uno dei piccoli
protagonisti di Vento di primavera (La
Rafle), ultimo film della regista francese Rose Bosch,
atto a mostrare uno degli episodi meno noti della Seconda Guerra
Mondiale: lo sterminio di 13.000 ebrei francesi, donne, uomini,
anziani e bambini, con la collaborazione fra Hitler e il generale
Pétain, avvenuto tra luglio e agosto del 1942.
Tutto ha inizio quando gli ebrei
francesi sono obbligati a portare la stella gialla, finché vengono
progressivamente allontanati dai luoghi pubblici e privati del loro
impiego. Ma il peggio dovrà ancora arrivare: la notte fra il 15 e
il 16 luglio 1942 i militari francesi catturano 13.000 ebrei con
una retata che non risparmia neppure i bambini. Questi, insieme
alle loro famiglie, vengono condotti nel Vélodrome d’Hiver di
Parigi, mentre le persone nubili sono smistate nel campo di Drancy,
per poi essere deportate ad Auschwitz. In realtà anche le famiglie
con bambini dovranno affrontare la stessa sorte, e i piccoli
verranno privati dei loro genitori, in una deportazione “verso
l’est” che non ha ritorno.
Vento di Primavera , il film
L’ottima regia opta per
la rappresentazione di eventi narrati in parallelo: seguiamo
innanzitutto la vicenda degli ebrei francesi, con gli occhi
dell’undicenne Joseph Weismann e dei suoi amici, ma anche delle
autorità francesi e di Hitler, mai come in questo film emblema
della banalità del male. E’ agghiacciante vedere il dittatore
atteggiarsi in tutti i suoi sbraiti militareschi e razziali
alternati a istantanee di vita privata: un uomo vegetariano e che
gioca con i bambini, ma che non ha rispetto per l’essere umano e
non esita a sterminare i piccoli appartenenti a un’altra “razza”,
optando per lo sterminio mediante i forni crematori giacché,
ridotte in cenere, non è possibile conoscere il numero delle
vittime, né identificare uomini, donne e bambini.
Qualche anno fa Il
bambino con il pigiama a righe aveva mostrato gli
orrori del secondo conflitto mondiale con gli occhi innocenti di un
bambino, e Vento di primavera propone lo
stesso espediente adottando il punto di vista di persone realmente
esistite. Joseph è oggi uno dei pochi sopravvissuti alla strage
degli ebrei francesi, tragico episodio che, grazie al film di Rose
Bosch, vivrà per sempre nella memoria. In passato, altri film
sull’Olocausto hanno immortalato i drammatici eventi con fotogrammi
irripetibili: se in Schindler’s List rimane impressa, più
di ogni altra immagine, la bimba dal cappottino rosso,
Vento di primavera offre un’altra
rappresentazione memorabile: la panoramica del Velodromo in cui
sono ammassati migliaia di ebrei, che osserviamo con gli occhi
stupefatti dell’altruista infermiera Annette Monod, interpretata da
Mélanie Laurent. Quest’ultima, molto
apprezzata in Bastardi senza gloria e Il concerto,
rivela al grande pubblico le sue grandi doti di attrice drammatica,
ma di certo la sua prova più commovente rimane il ruolo che qualche
anno fa le ha regalato un César, in Je vais bien, ne t’en fais
pas. Fra gli altri interpreti, emerge un inedito
Jean Reno, che veste i panni di un magnanimo e
coraggioso infermiere, e Gad Elmaleh e Raphaëlle Agogué, i genitori
del piccolo Joseph.
Tra Chopin e Wagner, Edith Piaf e
Debussy, la struggente colonna sonora anima un film commovente e
appassionante, in cui l’unica nota di demerito va al titolo
italiano: Vento di Primavera è in
realtà “la retata”, e non c’è alcun riferimento né alla primavera
né tantomeno a un vento di primavera. Non lasciatevi fuorviare,
dunque. Di certo è d’obbligo invitarvi a scoprire un film storico
che, oltre a ricordare in occasione della Giornata della Memoria,
mira anche a sollecitare una riflessione sull’essere umano: il male
e il potere hanno un volto mediocre, come suggerito dalla regista,
e proprio questo li rende più mostruosi.
Il biennio 1994-1995 fu fondamentale
per la carriera dell’oggi premio Oscar Brad Pitt.
Egli ebbe infatti modo in quel periodo di affermarsi grazie a tre
film di grande fama come Intervista col vampiro, Seven e Vento di
passioni. Proprio quest’ultimo è tutt’oggi
ricordato come uno dei film di genere sentimentale più celebri
degli anni Novanta. Diretto da Edward Zwick, è
ambientato durante i primi decenni del Novecento, attraversando la
Prima Guerra Mondiale e fino agli anni del Proibizionismo,
raccontando una struggente storia d’amore e di rivalità famigliare.
Per anni Zwick tentò di adattare il romanzo di JimHarrison, all’interno del quale si ritrova tale
epico racconto.
Pubblicato nel 1979 con il titolo di
Legends of the Fall, questo divenne da subito un grande
classico della letteratura americana, attirando l’attenzione di
numerosi registi. Fu infine Zwick, con la sua Bedford Falls
Productions ad aggiudicarsi i diritti sull’opera, riuscendo dopo
ben 17 anni a portarla sul grande schermo. Girato tra gli Stati
Uniti e il Canada, il film ha poi trovato grande forza proprio
nelle sue straordinarie location e nelle grandi interpretazioni
degli attori protagonisti, generando grande interesse ancor prima
della sua distribuzione.
Una volta arrivato in sala,
Vento di passioni si affermò così come un grande successo,
ottenendo un incasso globale di circa 160 milioni a fronte di un
budget di 30. Ulteriore prestigio arrivò poi dai diversi
riconoscimenti ottenuti, tra cui quattro nomination ai Golden Globe
tra cui miglior film, e tre nomination all’Oscar. Il film vinse poi
la prestigiosa statuetta nella categoria di Miglior fotografia, a
conferma della grande bellezza estetica dell’opera. Proseguendo
nella lettura, sarà qui possibile scoprire ulteriori curiosità sul
film, molte delle quali legate proprio al cast.
Vento di passioni: la
trama del film
Protagonista del film è la famiglia
Ludlow, composta dal padre
William e dai tre figli Alfred,
Tristan e Samuel. Pur se molto
diversi tra loro, questi sono molto uniti e si ritrovano a vivere
in una fattoria nel Montana, dove si dedicano prevalentemente
all’allevamento di bestiame. Alla vigilia della Grande Guerra,
Samuel decide di partire per il fronte, lasciando a casa la sua
bella fidanzata Susannah. Per proteggere il fratello, però, anche
Alfred e Tristan decideranno di andare in guerra, dove però saranno
costretti proprio ad assistere impotenti alla morte di Samuel per
mano di soldati tedeschi. Tornati a casa, provati e ostili l’un
l’altro, i due si troveranno ad accentuare la loro rivalità per via
di Susannah, della quale si innamorano
entrambi.
Tra la donna e Tristan nasce allora
una relazione d’amore appassionata e contrastata al tempo stesso,
che sarà difficile da gestire per entrambi. Tristan, però, deve
fare i conti con un temperamento irrequieto e rabbioso, e per tanto
finirà con l’allontanarsi dal nido famigliare. Al suo posto si
insidia Alfred, il quale nel frattempo sta costruendo una brillante
carriera politica in città. Ben presto, i due fratelli saranno
destinati a scontrarsi, portando alla luce segreti di famiglia e
amori mai realmente sopiti. Ancora una volta, saranno le passioni a
governare le loro azioni, portandoli a compiere scelte sempre più
diverse e complesse, che li porteranno ad allontanarsi da ciò che
erano un tempo.
Vento di passioni: il cast
del film
Per poter dar vita ai grandi
personaggi protagonisti del film, Zwick si assicurò la
partecipazione di alcuni dei maggiori interpreti del momento. Nel
ruolo del protagonista, Tristan Ludlow, si ritrova così Brad
Pitt, divenuto in breve tempo una vera e propria
icona. L’attore, tuttavia, rivelò di aver a lungo cercato dopo
questo ruoli che potessero allontanarlo dalla classica etichetta di
sex symbol. Già con l’interpretazione di Tristan egli dimostrò però
di essere un grande attore, ottenendo anche una nomination ai
Golden Globe. Accanto a lui, nel ruolo del fratello Alfred, con cui
nasceranno i maggiori conflitti, vi è Aidan Quinn,
oggi celebre per la serie Elementary.Henry
Thomas, noto per essere stato il giovane Elliott in
E.T. l’extraterrestre, è invece Samuel.
Ad interpretare il padre dei tre,
invece, vi è il premio Oscar Anthony
Hopkins. Questi avrebbe poi nuovamente recitato
insieme a Pitt nel film del 1998 Vi presento Joe Black.
L’attrice JuliaOrmond, invece,
ha qui interpretato la protagonista Susannah, trovando in Vento
di passioni il film che le ha permesso di divenire famosa a
Hollywood. L’attrice ha raccontato di aver vissuto a stretto
contatto con Pitt durante le riprese, permettendo così che si
sviluppasse tra loro la tensione sessuale che caratterizza i loro
personaggi. Karina Lombard, invece, interpreta
Isabella II, altro importante personaggio femminile del film. Anche
lei conobbe grande popolarità grazie a questo film, che confermò il
suo periodo d’oro. Goordon Tootoosis, attore di
origini indiane, è invece presente come narratore nei panni di
Colpo di Pugnale.
Vento di passioni: le
frasi, il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
Per gli appassionati del film è
possibile fruire di questo grazie alla sua presenza su alcune delle
più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete.
Vento di passioni è infatti disponibile
nel catalogo di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play,
Apple iTunes, Netflix e Amazon Prime Video. Per vederlo, basterà
sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film.
Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della
qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si ha soltanto
un determinato periodo di tempo entro cui vedere il titolo. Il film
sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno sabato 20
agosto alle ore 21:30 sul canale
TV8.
Nel film sono inoltre presenti
diverse frasi oggi entrate a far parte dell’immaginario comune. Si
tratta di battute e affermazioni che descrivono alla perfezione non
solo il contesto in cui si svolge la storia ma anche i protagonisti
che le pronunciano. Di seguito si riportano le più belle e più
importanti del film.
Alcune persone sentono la loro voce interiore molto
chiaramente. Alcune diventano pazze. Altre diventano leggende.
(Tristan)
Per sempre non finiva mai. (Susannah)
Io ho vissuto seguendo tutte le regole di Dio. Tu non ne
hai seguita nessuna. E tutti ti hanno amato di più: Samuel, nostro
padre e… mia… perfino mia moglie. (Alfred)
Susannah tutto quello che avevamo è morto come lo sono
anch’io. Sposa un altro. (Tristan)
Diretto da Edward
Zwick, Vento di passioni (qui
la recensione) è un film western che segue i membri della
famiglia Ludlow. Stanco del modo in cui il governo degli Stati
Uniti tratta i nativi americani, il colonnello William
Ludlow lascia l’esercito e si trasferisce nel Montana con
la famiglia, gli amici e i dipendenti. Mentre la moglie lo lascia,
i tre figli, Alfred, Tristan e
Samuel, restano con lui. Anni dopo, però, i tre
fratelli vanno a combattere nella Prima Guerra Mondiale, ma non
tutti tornano, e quelli che tornano sono tormentati dal senso di
colpa e dal dolore.
Con attori di talento come Brad Pitt, Anthony Hopkins, Aidan Quinn,
Julia Ormond e Henry Thomas,
questo film del 1994 è diventato rapidamente famoso. È stato
persino nominato da diverse prestigiose commissioni e ha vinto
l’Oscar 1995 per la migliore fotografia. I fan del film d’epoca non
possono che lodare la trama e il viaggio dei personaggi.
Naturalmente, molti ammiratori hanno però espresso il loro
interesse a conoscere le origini del film. È ispirato a eventi
reali e, in caso contrario, qual è la base della trama del film? In
questo approfondimento esploriamo proprio questi aspetti.
Brad Pitt e Julia Ormond in Vento di passioni
Vento di passioni è una storia
vera?
La risposta più breve è che sì,
Vento di passioni è parzialmente basato su una
storia vera. Il film è un adattamento dell’omonima novella di
Jim Harrison del 1979, uno dei primi lavori
pubblicati dall’autore e che lo ha aiutato a guadagnare popolarità.
La principale fonte di ispirazione per la novella sono stati i
diari dell’ingegnere minerario William Ludlow,
bisnonno della moglie di Jim, Linda King Harrison.
Sebbene i personaggi centrali, i fratelli Ludlow e il colonnello
Ludlow, siano stati reimmaginati da Harrison, possiedono dunque
qualità che si ritrovano in persone realmente esistite nonché
antenati della moglie.
Seppur grossomodo fittizia, la
narrazione fittizia è profondamente avvolta in uno sfondo storico
autentico. Copre tre eventi cruciali della storia americana: La
Prima guerra mondiale, il
proibizionismo e l’espansione della
frontiera all’inizio del XX secolo. Nel film, vediamo
infatti, i fratelli Ludlow coinvolti nella Prima Guerra Mondiale.
L’influenza di essa sulle loro vite personali e la tragica morte di
Samuel sul fronte di guerra richiamano effettivamente storie vere
dell’epoca. Vento di passioni si addentra poi
nell’epoca del proibizionismo. Il personaggio di Tristan,
invischiato in attività illegali di contrabbando di rum, rispecchia
ancora una volta innumerevoli personaggi reali che si dedicarono a
traffici illeciti durante questo periodo.
Il film illustra infine in modo
realistico anche l’espansione della frontiera negli Stati Uniti
all’inizio del XX secolo. Il film ritrae infatti i personaggi alle
prese con l’intrusione della modernità nelle loro vite rurali, un
sentimento condiviso da molti in quel periodo. Nonostante non sia
puramente veritiero, dunque il film riflette diversi eventi reali
accaduti quasi un secolo fa. L’entusiasmo giovanile di Samuel nei
confronti della guerra e la riluttanza del padre nei confronti del
conflitto dipingono un quadro di come le esperienze cambino la
percezione di tali questioni. Inoltre, la rabbia del colonnello
William nei confronti del governo del suo Paese per il trattamento
riservato ai nativi americani è un sentimento che trova riscontro
nella realtà.
Brad Pitt e Anthony Hopkins in Vento di passioni
Dal libro al film
La stesura del libro è stata più
facile per Jim di quanto ci si possa aspettare. “Ho scritto
Vento di passioni in nove giorni e quando l’ho riletto ho dovuto
cambiare solo una parola“. “Non c’è stato alcun processo
di revisione. Avevo pensato così tanto al personaggio che scrivere
il libro è venuto molto naturale. Quando ho finito mi sono sentito
sopraffatto, avevo bisogno di prendermi una vacanza, ma il libro
era finito”, ha scritto l’autore su The Atlantic. Jim aveva
preparato la storia nella sua mente per circa cinque anni prima di
scriverla.
Tuttavia, non avrebbe mai potuto
creare il mondo descritto in Vento di passioni se
non fosse stato per il suo buon amico e attore Jack Nicholson. Venuto a sapere che Jim non
aveva un soldo, a quanto pare l’attore premio Oscar gli ha donato
una notevole somma di denaro, che ha aiutato l’autore a orientarsi
e a scrivere l’amata storia. Il regista Edward
Zwick si è imbattuto nel libro subito dopo la sua
pubblicazione e si è commosso per la storia raccontata da Harrison.
Secondo il regista, Vento di passioni può essere
interpretato in due modi. Non solo è la storia cupa e bellissima di
una famiglia, ma è anche uno studio filosofico sull’orgoglio e la
dignità di un uomo.
Anche Brad Pitt, che interpreta il ruolo di Tristan
Ludlow nel film, era un estimatore del racconto. Aveva parlato con
Zwick della storia e della sua passione per il lavoro di Jim molto
prima che il film fosse in produzione. Secondo l’attore,
Vento di passioni ha un’atmosfera più
contemporanea e immediata rispetto alle altre opere del genere. Le
complicate dinamiche familiari presentate nel film hanno
interessato lui e gli altri attori. Il rapporto di competizione tra
Alfred e Tristan si fa più intenso man mano che la storia si
sviluppa. Ogni attore ha trovato qualcosa di ammirevole e umano nei
propri personaggi, aumentando il proprio attaccamento a questi
ruoli e al film.
Vento di passioni
è il film del 1994 di Edward Zwick con
protagonisti nel cast Brad
Pitt, Anthony Hopkins, Aidan Quinn, Julia Ormond e Henry
Thomas.
Trama di Vento
di passioni: Siamo nel Montana alla fine
dell’‘800. Il colonnello Ludlow/Anthony Hopkins, non più in
servizio, ha una fattoria dove cresce i suoi figli.
I tre giovani, Alfred/Aidan Quinn,
Tristan/Brad
Pitt e Samuel/Henry Thomas, sono molto diversi, ma la
familgia è unita. Alla vigilia della Grande Guerra, Samuel porta a
casa la sua fidanzata, Susannah/Julia Ormond, di cui s’invaghiscono
anche i fratelli.
Presto però i tre partono per la
guerra. Tornano solo in due – Samuel, il più fragile, cade sul
campo – edinventano presto ostili l’uno all’altro a
causa di Susannah. Tra lei e Tristan nasce una relazione d’amore
appassionata e contrastata al tempo stesso, che sarà difficile da
gestire per entrambi: due indoli profondamente diverse destinate a
incontrarsi per poi allontanarsi a più riprese, alla ricerca di un
equilibrio sottile. Tristan dovrà fare i conti con un temperamento
irrequieto e rabbioso, che lo rende anche distruttivo (temperamento
simile a quello di un orso, col quale una volta si è
scontrato).
Susannah dovrà fronteggiare lunghe
attese, pressata da schemi e convenienze sociali. Dopo una lunga
separazione si rincontreranno ma molte cose saranno cambiate: la
donna avrà sposato il rassicurante Alfred senza però riuscire ad
essere felice, e anche Tristan farà presto nuovi incontri che
cambieranno la sua vita. Sarà, dunque, ancor più arduo far vivere
quel sentimento che ancora li lega. A dispetto di una grande
passione, le loro strade sembrano destinate a
divergere.
Analisi: Con questo film di
Edward Zwick siamo nel pieno della tradizione
cinematografica americana che fonde grandi epopee familiari e
sentimentali agli affreschi storici di un’epoca. L’epoca in questo
caso è quella della Prima
Guerra Mondiale e il regista, già noto per aver spesso
coniugato efficacemente gusti del pubblico, trame avvincenti e
argomenti di peso, qui non è da meno: non risparmia allo spettatore
la brutalità della guerra, né tace dell’America corrotta e
arrivista, per non parlare poi della condanna del razzismo nei
confronti dei nativi americani.
Tuttavia, lo spettatore non assiste
distaccato a un’esposizione storico-antropologica, bensì è
coinvolto da un’avvincente storia d’amore, si immedesima in
difficili ma profondi legami familiari, vive coi protagonisti
lotte, dissidi e lati oscuri della personalità di ciascuno che si
affacciano, sperimenta gioia e dramma.
Tutto ciò è il
risultato di una lunga gestazione e lavoro da parte del regista, ma
anche degli sceneggiatori, Susan Shilliday e William D. Wittliff,
abili nell’adattare il romanzo di Jim Harrison da
cui Vento di passioni è tratto, dando
importanza anche all’approfondimento psicologico dei personaggi. Un
valido aiuto nel creare atmosfere coinvolgenti e ricche di fascino
è venuto senz’altro dalla fotografia di John Toll, premiata con
l’Oscar, che rende gli sconfinati e semiselvaggi paesaggi del
Montana co-protagonisti del film. Vento di
passioni si avvale di ottime interpretazioni.
Brad Pitt, alla sua prima candidatura al Golden Globe,
dimostra di essere all’altezza di ruoli complessi, anche
drammatici, interpretando con spunti originali il tormentato e
indomito Tristan, oltre ad essere perfetto protagonista di una
storia d’amore che avrà certo fatto sognare molte spettatrici. Come
pure intensa è la prova offerta da Julia Ormond. Anthony
Hopkins, dal canto suo, interpreta ottimamente sia la
prima parte della pellicola, in cui è un padre severo, dai rigidi
princìpi, sia la seconda, che lo vede trasformato in una struggente
figura di anziano malato, cui è rimasto solo l’affetto dei
figli.
Vento di passioni
– Grande classico romantico, dunque, ma con elementi
di approfondimento e riflessione, che lo rendono adatto a un
pubblico eterogeneo.
Un nuovo rumor relativo a
Venom farebbe luce sul possibile ruolo di
Woody Harrelson nel film: secondo il sito Bleeding Cool infatti, l’attore
sarebbe stato ingaggiato dalla produzione per vestire i panni di
Carnage, noto e acerrimo antagonista del simbionte
e di Spider-Man.
Nei fumetti
Carnage è un serial killer di nome Cletus
Kasady, infettato dal simbionte alieno. Tra gli avversari
più micidiali, brutali, sadici e letali dell’Uomo Ragno, potrebbe
plausibilmente apparire simile alla versione vista in
Lethal Protector, ma si attendono conferme
ufficiali da parte della Sony.
Sicuramente la presenza di
Harrelson non farebbe che aggiungere altro valore artistico ad un
progetto già ricco di potenzialità, almeno per quanto riguarda il
cast artistico.
Il personaggio di Carnage ha
esordito nella serie Amazing Spider-Man Vol. 1 pubblicata
nel 1991, nato dalla penna di David Michelinie e Mark Bagley.
Vi ricordiamo che la pellicola
arriverà al cinema il 5 ottobre 2018 con la regia
di Ruben Fleischer (Zombieland,
Gangster Squad). Tom
Hardy interpreterà il protagonista Eddie
Brock. Nel cast anche Matt Smith, Pedro
Pascal, Riz Ahmed, Jenny Slate, Scott
Haze e Michelle Williams.
Il personaggio è stato già portato
sul grande schermo da Sam
Raimi in Spider-Man
3 con Topher Grace nei
panni di Eddie Brock.
Confermata invece la presenza, con
un piccolo cameo, di Tom Holland nei
panni di Peter Parker. L’attore è stato visto sul set di
Venom in borghese, cioè senza il costume di
Spider-Man.
Secondo alcuni questa sarebbe la
prova di un futuro legame tra l’universo cinematografico della Sony
e il MCU.
Un altro attore potrebbe unirsi al
cast di Venom, il film che vede protagonista
Tom Hardy nei panni di Eddie Brock, personaggio
dei fumetti Marvel già apparso sul grande
schermo in Spider-Man 3 di Sam
Raimi: secondo The Hollywood
Reporter infatti, Woody Harrelson sarebbe in
trattative per entrare nella produzione del cinecomic tornando così
a lavorare con il regista Ruben Fleischer. I
due si erano conosciuti sul set di Zombieland,
pellicola di culto con Emma Stone e Jesse Eisenberg uscita nel
2009.
Ovviamente non è ancora chiaro quale
ruolo ricoprirebbe l’attore, ma di certo sarebbe un ottimo acquisto
per il film che ha già confermato, oltre a Hardy, anche
Michelle Williams, Pedro Pascal e
Riz Ahmed.
L’uscita di Venom,
che si ispirerà a Venom: Lethal
Protector (serie limitata in sei volumi dedicata
a Eddie Brock e pubblicata nel 1993) è
stata fissata al 5 ottobre 2018.
In un’intervista con
Collider, Woody
Harrelson ha avuto modo di svelare qualche piccolo
dettaglio sul personaggio interpretato in Venom,
cinecomic che vede protagonista Tom Hardy nei
panni del simbionte, ma di cui ignoriamo ancora l’identità.
C’è chi ipotizza che
l’attore vestirà i panni di Carnage, il villain
psicopatico dei fumetti Marvel, tuttavia le sue parole
lasciano intendere che ne vedremo davvero poco sullo schermo e che
probabilmente tornerà nel sequel:
“Sapete,
ho recitato solo in una piccola parte di questo film, ma sarò nel
prossimo. Non ho ancora letto la sceneggiatura, e come si dice…
vedremo cosa succederà“
Nella stessa intervista Harrelson ha anche parlato di Zombieland
2, progetto in cantiere con la regia di Ruben Fleischer (già
regista del primo film e di Venom) che lo vede coinvolto insieme al
cast originale:
“Ho
conosciuto Ruben sul set di Zombieland, quindi è stato facile dire
di si perché lui rappresenta una delle ragioni del mio
coinvolgimento. Nel caso di Venom poi, l’idea di lavorare con Tom
Hardy mi attirava parecchio. Penso che sia degli attori più
talentuosi in circolazione, ed è come se avessi sentito di doverlo
fare“.
Venom è atteso nelle sale il 5
ottobre 2018 con la regia di Ruben
Fleischer. Nel cast anche Matt Smith,
Pedro Pascal, Riz Ahmed, Jenny Slate, Scott
Haze e Michelle Williams.
Il personaggio è stato già portato
sul grande schermo da Sam
Raimi in Spider-Man
3 con Topher Grace nei
panni di Eddie Brock.
Si affolla sempre di più il cast di
Venom, progetto interessantissimo in produzione
alla 20th Century Fox e che avrà come protagonista
Tom Hardy.
Variety annuncia
ufficialmente che Reid Scott, noto per la
serie tv Veep, è entrato a far parte del cast del
film anche se non si sa nulla del personaggio che potrebbe
interpretare. La cosa però non sorprende affatto, dato il segreto
che avvolge tutta la produzione.
Le riprese di Venom
dovrebbero cominciare alla fine di Ottobre, dopo essere state già
rimandate due volte.
Dopo un primo report che voleva
Alex Kurtzman alla regia del progetto, la stessa
Sony ha smentito le voci e ha diffuso notizie più attendibili che
vorrebbero Scott Rosenberg e Jeff
Pinkner, già sceneggiatori del Jumanji
con Dwayne Johnson, incaricati di firmare lo
script.
L’uscita è stata fissata al 5
ottobre 2018 per la regia di Ruben Fleischer
(Zombieland, Gangster Squad). Tom
Hardy interpreterà il protagonista Eddie
Brock. Nel cast anche Matt Smith, Pedro Pascal,
Riz Ahmed, Jenny Slate e Michelle
Williams.
Il personaggio è stato già portato
sul grande schermo da Sam Raimi in
Spider-Man 3 con Topher Grace nei
panni di Eddie Brock.
A sorpresa nella serata di ieri sera
sui canali social del celebre rapper Eminem sono
apparsi 15 secondi di una nuova traccia, seguiti
dall’inconfondibile logo di Venom ridisegnato con
la “E” rovesciata caratteristica del cantante. In questa preview si
può ascoltare il verso “Knock knock, let the devil in”
prima di un urlo mostruoso. Il video è ovviamente già diventato
virale e subito condiviso dall’attore protagonista del nuovo
cinecomic Tom Hardy.
Qualche ora più tardi, senza alcun
preavviso pubblicitario, Eminem ha reso
disponibile anche un interno nuovo album, dal titolo
Kamikaze, dove è contenuta, come ultima traccia,
anche questa canzone che farà parte della colonna sonora di
Venom. Un regalo inaspettato che fa crescere la
curiosità per il film che arriverà nelle nostre sale il prossimo 4
Ottobre.
Ricordiamo che il film, interpretato
da Tom Hardy e diretto da Ruben
Fleischer, segue le vicende del giornalista Eddie Brock,
contaminato da un organismo alieno simbiontico in grado di
trasformarlo nello spietato Venom.