Sarà presentato oggi a Roma FF12 in
sala Petrassi, alle ore 22.30, Ferrari: Race to
Immortality di Daryl Goodrich, che racconta la
storia degli amori e delle perdite, i trionfi e le tragedie dei più
coraggiosi piloti Ferrari in un’epoca in cui durante la settimana
era tutto una “Dolce Vita”, mentre nel weekend un lancio di moneta
era sufficiente per stabilire se dovevano vivere o morire.
Anni Cinquanta. L’alba dell’iconica
Scuderia Ferrari nel campionato del Mondo di Formula Uno e la
fatale decade nella storia delle corse automobilistiche. Mentre le
auto rappresentavano i limiti dell’ingegno umano, i piloti vivevano
al limite tra la vita e la morte. Al centro di tutto c’era Enzo
Ferrari, imponente figura delle corse automobilistiche e patriarca
della Ferrari, che si era spinto a sognare la velocità come
nessun’altro. Tra la rigida concorrenza all’interno della sua
squadra, due delle sue stelle, Peter Collins e Mike Hawthorn, hanno
deciso che la loro amicizia è importante quanto vincere la prossima
gara.
FERRARI: UN MITO
IMMORTALE sarà disponibile in DVD
e Blu-ray dal 6 Dicembre distribuito da Universal Pictures
Home Entertainment Italia.
Ferrari: Race to Immortality
Ferrari: Race to Immortality
racconta la storia degli amori e delle perdite, i trionfi e le
tragedie dei più coraggiosi piloti Ferrari in un’epoca in cui
durante la settimana era tutto una Dolce Vita, mentre nel weekend
un lancio di moneta era sufficiente per stabilire se dovevano
vivere o morire.
In merito al film il regista ha
commentato: provenendo dal mondo dello sport, ho voluto
fortemente fare questo film. La fine degli anni ’50 è stato un
periodo incredibile per il mondo delle corse automobilistiche –
alimentato da adrenalina, passione, glamour, trionfo e infine
tragedia. Il limite tra la vita e la morte era sottilissimo e
questi immensi corridori vivevano la vita al massimo, e molti di
loro hanno pagato questo scotto a caro prezzo.
Al centro di tutte queste storie,
un personaggio enigmatico, un uomo guidato dal desiderio di
conquistare a tutti i costi la sua stessa vita che è stata toccata
dalla tragedia, un uomo che da solo ha saputo definire un’epoca –
Enzo Ferrari. È senza dubbio uno degli uomini più influenti di quel
tempo, nessun prezzo era troppo alto, nessuna vita troppo preziosa
nella lotta per la vittoria, ma era anche un uomo colpito dal
dolore, che possedeva molti lati oscuri che ebbero una certa
importanza nel definire tutto il suo vissuto.
Ferrari – Race to Immortality non
ha solo un grande protagonista, ma ben sei. Ognuno con storie
impegnative e un elemento che le accomuna: tutte hanno a che fare
con questa gra
Jake Gyllenhaal è
la grande star del tappeto rosso della Festa del Cinema di
Roma 2017 di questa terza giornata.
L’attore ha calcato il red carpet
dell’Auditorium per presentare Stronger, film
che racconta la straordinaria parabola umana di Jeff
Bauman, che ha scritto l’omonimo romanzo biografico che
racconta i fatti della Maratona di Boston del 2013, a causa dei
quali Bauman ha perso le gambe.
Anche il protagonista della storia e
scrittore del romanzo era presente alla Festa. Ecco le foto:
Jake Gyllenhaal e
Jeff Bauman hanno presentato alla Festa
del Cinema di Roma il film di David Gordon
Green, Stronger, concedendosi alla stampa
con una piacevolissima chiacchierata a metà tra vita, esperienze e
ciò che un film del genere può insegnarci.
Bauman perse le gambe nell’attentato
alla maratona di Boston nel 2013 e la sua
esperienza e la sua vita sono state riportate sullo schermo da
Gyllenhaal, che per l’occasione ha anche prodotto il film.
“Quando la storia è arrivata tra
le mie mani era ancora in una prima bozza e mi sono ritrovato a
ridere verso la quarta pagina, che non era assolutamente la mia
aspettativa, sapendo di cosa avrebbe trattato la storia e avendo
conosciuto Jeff solo attraverso la famosa foto”, ha raccontato
l’attore, “Penso che la cosa che mi ha spinto a voler far parte
di questa storia così intensamente è stato che probabilmente avevo
tanto da imparare da essa. La storia parla di resilienza e
difficoltà ma alla fine anche dell’opportunità che abbiamo di
riemergere dai momenti più duri della nostra vita. E’ un tipo di
storia che ha avuto un grande impatto sulla mia vita e avevo una
grande voglia di raccontarla.”
Complici, molto in confidenza,
amici, Jeff e Jake si scambiano sguardi e battutine durante le
domande e così ricordano il loro primo incontro, “E’ divertente
ripensarci ora, perché eccoci qui ad avere la nostra conversazione
tradotta in un altra lingua e non avrei mai pensato di ritrovarmi
qui seduto” racconta Jake Gyllenhaal e Bauman aggiunge,
“Il nostro primo incontro è avvenuto proprio in un ristorante
italiano a North Boston, quindi è come se si fosse chiuso il
cerchio così!”.
“Incontrare Jeff mi metteva
paura: lo vedete per come è, come si comporta, lui è una luce. Ha
certe qualità che non avevo mai visto in nessun’altro e mi era
stato dato il compito di interpretarlo. Mentre camminavo verso il
ristorante ricordo di aver pensato ‘Non ce la faccio, non posso
fare questa parte, non ho la sua forza, non c’è in me, non ci posso
riuscire, non ho assolutamente quello che ha lui e che lo ha fatto
sopravvivere’ e poi invece sono entrato e gli ho stretto la mano ed
era la più dolce e gentile persona che avessi mai conosciuto e
allora ho pensato che forse ce l’avrei potuta fare.” spiega
l’attore, “Ed è proprio quello che fa lui, la sua presenza, la
sua storia, fa pensare alle persone che magari ce la potrebbero
fare anche loro, gli fa credere. Ed è esattamente così che mi sono
sentito e da quel momento siamo diventati amici”.
Jeff Bauman è
diventato un simbolo della maratona ma non si sente e non vuole
essere chiamato eroe, “Non mi piace il termine eroe, sono altri
gli eroi nella mia vita, persone a cui mi rivolgo e che mi ispirano
per andare avanti. Ero alla maratona per amore, amore per mia
moglie e madre di mia figlia, anche se ancora non era nata. Ero lì
per essere presente nella vita di una persona, era la mia prima
maratona e avevo creato un cartellone davvero bello, che mi
piacerebbe avere ancora. Non sarei potuto essere altrove,
semplicemente volevo esserci e non sono quindi un eroe, ma sono un
ragazzo normale”.
Il film è focalizzato molto sullo
stress post traumatico di Jeff Bauman e Jake
Gyllenhaal si è preparato lavorando con amici che ne hanno
sofferto, militari o persone che hanno avuto situazioni drammatiche
nella loro vita e parlando con loro ha potuto capire una parte di
quello che avevano provato.
“La parte che ho apprezzato di
più del film è proprio questa, non il dolore fisico, le cose che
puoi vedere, ma le cose che non puoi vedere, cose che io non ho
raccontato.” ha confessato Bauman,“Penso che Jake le abbia
capite attraverso il mio viso, cosa potevo aver provato. Il film
mostra situazioni anche molto cupe, come ad esempio la scena della
doccia: quel momento racconta davvero tanto di come possa essere
soffrire di PTSD. Quando succede qualcosa di traumatico la tendenza
è l’isolamento e per i primi due anni e mezzo circa ho iniziato a
bere per scappare dalla realtà, da quello che stava succedendo
nella mia mente e al mio fisico. Il modo in cui Jake è riuscito ad
interpretare quei momenti è stato molto potente e mi ha fatto
piangere. Ho fatto tantissimi errori e il film me li ha mostrati,
ma oggi finalmente sto bene mentalmente, sono un bravo padre e
marito.”
“Sia quando scrivevo il libro
che durante la produzione del film il mio pensiero era mostrare
alle persone che si può sopravvivere, andare avanti e sopratutto
non sono soli nella lotta, non è capitato solo a loro. Ed era anche
importante fargli capire che devono chiedere aiuto alle persone che
gli sono intorno, che è stata la parte più difficile per me nella
mia convalescenza, cercare di riconnettermi con le altre persone.
Spero quindi che arrivi un messaggio positivo dalla mia
storia” riflette Bauman sul messaggio del film, e Gyllenhaal
continua, “Quello che mi è parso di capire dalla storia di Jeff
è che in quei momenti lui cercava di ricalibrare il suo mondo
fisico, il suo mondo emotivo e psicologico, che gli era stato
spazzato via letteralmente in un minuto. C’era una grande
confusione intorno a lui e quella confusione l’ha anche portato a
diventare un simbolo, che in realtà lo ha rallentato ancora di più
perché sopraffatto da questa enorme responsabilità. La cosa
affascinante della storia di Jeff era che doveva contemporaneamente
essere un simbolo e cercare di capire cosa gli era successo
fisicamente e penso che le intenzioni di tutti erano buone ma era
diventato molto difficile per lui… E questo perché lui è
semplicemente un essere umano. E questo è il tipo di combinazione
per cui facciamo film, per mostrare a tutti che non è tutto così
semplice come sembra e la parte più bella della sua storia è che
ora è riuscito ad incarnare questo simbolo e se hai l’onore di
parlare con lui, sai certo che ti renderà felice. Fa sentire tutti
meglio intorno a lui e mi ha insegnato qualcosa grazie a quasi
tutte le interazioni che ha avuto davanti a me.”
Infine Jake ha reso omaggio
alle scelte della sorella Maggie Gyllenhaal,
quando gli è stato chiesto come ma sia lui che la sorella facevano
scelte artistiche e di carriera molto interessanti e di qualità:
“Siamo stati cresciuti proprio come è stato cresciuto Jeff: da
due genitori incredibilmente complicati. Quello che è sempre stato
importante per loro è stato insegnarci a credere che c’è sempre
qualcosa da dire che è più importante di noi stessi e ancora oggi
agiamo pensando a questo… Facendo cose belle, ma facendo anche
qualche casino. Anche se crediamo magari in cose diverse, mia
sorella mi ha insegnato tantissime cose. Essere una donna in questa
industria è molto diverso rispetto ad essere un uomo e penso che
lei stia facendo un lavoro incredibile con la sua carriera, in
particolare ora che si sta affermando come filmmaker, sta facendo
parte della parte produttiva nella narrazione delle storie e
affronta tantissime sfide da attrice. Per lei la cosa più
importante è sempre stata essere onesta con se stessa come donna,
in particolare riguardo a cosa significa per lei il femminismo e
penso che lei sia bellissima. Essendo la mia sorella più grande, mi
ha ispirato in talmente tanti modi, che è per questo che ho cercato
di essere anche io così ma darei il merito anche ai miei genitori.
A volte abbiamo successo, a volte arriva il fallimento, ma questo è
quello in cui crediamo.”
Presentato in anteprima al Festival
di New York, Detroit, ultimo film di
Kathryn Bigelow, fa parte della Selezione
Ufficiale della Festa del Cinema di Roman
2017. Il film affronta la tematica della
discriminazione razziale attraverso il racconto delle sanguinose
rivolte che hanno coinvolto la città del Michigan.
Detroit, la trama:
Luglio 1967. La città è teatro di rivolte, arresti a tappeto,
lancio di sassi, saccheggi di vetrine e spari anche contro persone
non armate. Il film si concentra su un fatto accaduto realmente:
una sanguinosa e violenta retata della polizia in un hotel che
coinvolge tre agenti e in cui rimangono uccisi tre
afroamericani.
La sceneggiatura firmata da
Mark Boal, consueto collaboratore della regista,
si concentra anche sulla violenza verbale e psicologica,
soprattutto a opera dei corpi armati ai danni delle vittime
designate. Kathryn Bigelow sceglie la
macchina a mano per seguire i protagonisti che si trovano con le
spalle al muro, senza mai perderle di vista. Le inquadrature
insistono su primi e primissimi piani per evidenziare la
disperazione degli interrogati e la durezza degli agenti coinvolti
nella retata. Questo stile è in netto contrasto con la prima parte
del film che invece adotta uno sguardo più ampio sulla città sotto
assedio e la folla in rivolta.
La violenza coinvolge sia masse che
individui: la macchina da presa diventa un cacciatore, volto a
scovare anche la preda più piccola e nascosta così da sterminarle
tutte. A questo uso della macchina, la Bigelow
associa anche filmati di repertorio: foto, articoli di giornale,
materiale eterogeneo che risalgono a quell’anni, a quei giorni. I
documenti fotografici reali esasperano ulteriormente le immagini
già crude del film, mostrando i tragici effetti della violenza.
Protagonisti del film sono
Will Poulter e John Boyega. Il primo, nel 2014 ha vinto il
premio BAFTA dedicato ai giovani, e nel corso
degli ultimi anni ha confermato il suo talento, sia con The Revenant – Redivivo di Alejandro
G. Inarritu, che in questo caso, diretto dal premio Oscar
Bigelow, per la quale interpreta Krauss, un agente di polizia
particolarmente spietato. Al suo fianco Boyega,
che presto vedremo alla guida di Gipsy Avengers in Pacific
Rim: Uprising, e che ha trovato il successo nel ruolo
di Finn per la terza trilogia di Star
Wars. A Boyega è affidato un ruolo più delicato,
quello dell’agente che testimonia la violenza sulla sua stessa
“gente”, un personaggio sfaccettato che il giovane interprete porta
a casa con successo.
Attraverso la narrazione di eventi
avvenuti oltre 50 anni fa, la Bigelow riesce comunque a raccontare
uno spaccato di tragica quotidianità in un’America ancora lontana,
soprattutto nell’Era di Trump, dalla pace e dall’accettazione alla
base di una convivenza civile.
La regista, si dimostra ancora una
volta all’altezza di storie dure, con uno sguardo sempre curato e
dettagliato, senza risparmiare o edulcorare le vicende narrate.
Una commedia nera in salsa aioli,
l’intingolo che fa litigare le coppie. Un gazpacho sballato, come
quello di Donne sull’orlo di una Crisi di Nervi,
che mescola generi cinematografici e cita tanti autori, da
Alex De La Iglesia a PedroAlmodovar, ma anche in maniera bizzarra e
irriverente lo Scorsese di Taxi
Driver, o ancora La Febbre
del Sabato Sera eL’esorcista. O
come la definisce il regista Pablo Berger,
Abracadabra è una commedia ipnotica.
In un barrio popolare alla
periferia di Madrid, Carmen e Carlos portano avanti in maniera
stanca e senza un via di uscita il loro matrimonio. Hanno una
figlia adolescente, fissata con Madonna e dai modi alquanto veraci.
Carlos è un autentico bifolco, che fa del calcio una ragione di
vita e che non degna Carmen neanche di uno sguardo. Lei è una bella
donna, devota al marito, ma avrebbe certamente sognato una vita
completamente differente. Un giorno, obbligato dalla moglie a
partecipare a un matrimonio, Carlos si sottopone ad un esperimento
di ipnosi. Si offre volontario per beffarsi del cugino di Carmen,
Pepe, da sempre invaghito della donna e mentalista dilettante.
Durante lo spettacolo però succede
qualcosa di totalmente imprevisto, che movimenterà non poco
la grigia esistenza di Carlos, Carmen e Pepe.
Pablo Berger è
tra i nuovi registi spagnoli da tenere attentamente d’occhio. Il
suo Blancanieves (2012), vincitore di dieci premi Goya,
era un vero gioiello cinematografico, diverso dalle tante altre
trasposizioni della fiaba dei Grimm. Completamente muto, con i
sette nani toreri, in un bianco e nero annegante, che ricordava i
chiaroscuri della Quinta del Sordo di Goya o le sue incisioni.
Originale e colto, con riferimenti e suggestioni che andavano da
Louis Bunuel a Guillermo del
Toro.
Con Abracadabra
Berger spiazza, perché la confezione è apparentemente assai simile
a molte pellicole di Alex De La Iglesia, come
La Comunidad o Crimen Perfecto. D’altronde aveva
esordito proprio al fianco di De La Iglesia. Però
mantiene poi una sua straniante originalità e organizza la baraonda
cafona dei tanti personaggi con eleganza, puntellando il grottesco
con inquadrature che lasciano interdetti, composte con una
prospettiva particolare, una simmetria ricercata, inusuale a una
commedia; arriva addirittura a inserire dei time-lapse sul traffico
caotico di Madrid, per dare un’idea visiva dello scorrere del
tempo.
Abracadabra è
pieno di trovate e invenzioni bislacche, come i churros cosparsi di
zucchero che divengono oggetto del desiderio, le mutande di
superman infilate a forza ad un moribondo, la coppia erotomane che
ricostruisce fedelmente le esposizioni dell’Ikea, l’agente
immobiliare che inscena l’agghiacciante ricostruzioni di un
omicidio.
Gli attori sono azzeccatissimi, ben
concertati e caratterizzati alla perfezione, sia nei volti che
nell’abbigliamento e sono inseriti in un contesto kitsch ormai
divenuto stilema di una nuova onda di commedia grottesca iberica.
Maibel Verdù spicca su tutti e riesce ad alternare una
gamma infinita di registri recitativi, muovendosi con naturale
disinvoltura dalla commedia al dramma, tuffandosi a capofitto anche
nel sovrannaturale, senza mai perdere di credibilità.
Abracadabra è una
baraonda chiassosa e colorata, che diverte etiene incollati allo
schermo, talmente assurda e imprevedibile da non lasciare mai nulla
per scontato. È autentico cinema “cabrón”, e funziona!
Un bianco e nero vivido ci accoglie
in scena, con Kristin Scott Thomas che apre una porta e
punta una pistola verso gli spettatori. Inizia così The
Party, film scritto e diretto dalla regista inglese
Sally Potter, presentato nella selezione ufficiale
della Festa del
Cinema di Roma 2017.
Ci ritroviamo subito dopo, qualche
ora prima, in una modesta casa borghese inglese, durante i
preparativi di una festa. Lei, Janet, in cucina prepara delle
tartine, lui, Bill, è intento a mettere su un vinile e versarsi del
vino rosso. Ma c’è qualcosa di strano: lei continua a ricevere
telefonate di congratulazioni e lui sembra perso, fissa il vuoto e
si lascia andare su una poltrona in salotto.
Lei è Kristin Scott Thomas, lui Timothy
Spall, che iniziano ad accogliere uno ad uno gli amici.
C’è la cinica migliore amica di Janet, April (Patricia
Clarkson), con il suo partner che la fa innervosire, lo
spirituale Gottfried (Bruno Ganz). C’è la collega
e amica di Bill, Martha (Cherry Jones), insieme
alla sua compagna molto più giovane di lei, Jinny (Emily
Mortimer). E infine c’è l’affascinante Tom (Cillian
Murphy), un banchiere che poco c’entra con il gruppo
di amici, marito di una collega della coppia, che però lo
raggiungerà in tempo per il caffè.
Ed è anche da lui, dalla sua
entrata in scena in particolare, che si capisce che quella non sarà
una serata come le altre: quella che era nata come una serata di
festa per celebrare un traguardo lavorativo della padrona di casa,
diventerà poco dopo un momento di incontro e scontro inevitabile,
dove nessun personaggio riuscirà a nascondersi, affrontando le
conseguenze di verità rivelate inaspettatamente.
The Party regge
grazie a tre elementi principali, tutti e tre collegati tra di loro
e che non potrebbero essere così forti, se non esistessero gli
altri due. La sceneggiatura, la regia e la bravura dei suoi
interpreti.
Sally Potter ha
sviluppato una sceneggiatura quasi teatrale, improntata sul ritmo,
le pause e l’equilibrio precario, ma ben riuscito, tra commedia e
dramma. Le situazioni più comiche si scaturiscono dai momenti più
tragici, le freddure migliori arrivano dopo le rivelazioni più
shockanti e la risata è assicurata anche se la situazione è più
amara che dolce e spinge alla riflessione. Su questo testo, la
Potter non poteva sbagliare nella regia, facendosi aiutare anche
dalla scelta di un intenso bianco e nero che non distrae dalle
storie personali de gruppo di amici, ma anzi punta i riflettori sui
particolari.
Ma The Party non avrebbe
avuto lo stesso risultato se Sally Potter non avesse scelto un mix
di amici vecchi e nuovi ad interpretare i suoi personaggi. La scena
viene spesso rubata dalla verve comica della coppia
Patricia Clarkson e Bruno
Ganz, dall’inquietudine che traspare dagli occhi di
Cillian Murphy e dall’apatia di Timothy
Spall, ma le performance intense della Scott Thomas e
degli altri, confermano la bravura di un certo tipo di attore che
non ha bisogno di nascondersi e riesce ad esprimere se stesso
attraverso il fisico, uno sguardo o una semplice battuta, anche se
bloccato nello spazio ristretto del salotto di una festa.
Il film verrà distribuito in Italia
da Academy Two a Febbraio 2018 e
speriamo riceva l’attenzione dovuta anche dal pubblico in sala che
non si pentirà di aver passato 71 minuti in compagnia della Potter
e dei suoi attori.
Continuano le riprese del finale di
Sense8 e dopo il set parigino, la troupe e il cast
al completo si è spostato a Napoli e in particolare sulla Costiera
Sorrentina, dove sono state scattate queste immagini esclusive dal
set.
Alcuni membri del cast hanno anche
posato insieme ai fan. Nelle foto, che ritraggono Max
Riemelt, Brian J. Smith, Naveen Andrews e Toby
Onwumere in una pausa dalle riprese, si può notare anche
Lana Wachowski.
Dopo la chiusura dello show dopo
due stagioni, la piattaforma Netflix ha dato il via libera a un episodio finale.
Nel cast dell’episodio conclusivo torneranno Tuppence
Middleton, Brian J. Smith, Doona Bae, Aml Ameen, Max Riemelt, Tina
Desai, Miguel Ángel Silvestre e Jamie
Clayton.
La Festa del Cinema di Roma
2017, in collaborazione con Alice nella
città, presenta in anteprima mondiale Mazinga Z
Infinity, il nuovo film del robot gigante creato da Go
Nagai 45 anni fa e ancora amatissimo.
Proprio il maestro Nagai è arrivato
a Roma per raccontare il nuovo film e il futuro del
personaggio.
Qual è il rapporto di
Mazinga Z e di Go Nagai con l’Italia?
“Quando l’ho pensato, ho
indirizzato la mia creatura ai bambini giapponesi. Non immaginavo
assolutamente che avrebbe attraversato l’oceano e il mondo, quindi
il fatto che i temi scelti, questo robot, abbiano superato il mare
e siano arrivati fino a qui, mi rende molto felice.”
I temi del manga sono sempre
stati più duri e crudi di quelli dell’animazione, ma adesso questa
differenza è stata appianata. Oggi, Mazinga Z parla sempre ai
bambini o a un pubblico di adulti?
“Gli stessi protagonisti della
storia sono cresciuti e affrontano temi più complicati adesso, ma
l’assunto di base è sempre lo stesso, si combatte contro il male.
Resta completamente attuale.”
Il film racconta di un nuovo
inizio di Mazinga Z. È corretto interpretarlo in questi
termini?
“Per la prima volta una storia
di Mazinga Z non parte da un’ambientazione giapponese, quindi, sì,
c’è un’apertura, un nuovo inizio che speriamo possa dare nuovi
frutti. Sicuramente ci saranno nuove strade. Io ho sempre puntato
sul futuro e lo stile nuovo del nuovo personaggio preannuncia nuove
battaglie.
Il futuro sarà quello che porta
in direzione di un universo condiviso in cui si riuniscono le sue
creazioni e che dovrebbe ricalcare quello realizzato da Marvel al cinema.”
Il Dottor Inferno dice di
essere tornato perché gli umani, i politici sono stati incapaci di
gestire la pace. Il nuovo Mazinga Z riflette su questo
aspetto?
“Era importante che si parlasse
di valori condivisi. I protagonisti si riuniscono per avere uno
scopo, un obbiettivo comune. Era importante anche che i temi
trattati venissero attualizzati. Nella società moderna, la
diversità di pensiero può essere qualcosa di pericoloso, nel senso
che se non si ha uno scopo comune è difficile affrontare le
difficoltà.”
Come sta vivendo il nuovo
conservatorismo in Giappone?
“La situazione politica
giapponese va verso la chiusura, certo io non mi andrò ad esporre
per quello che penso in merito. Ma da persona sono preoccupato per
quelle che possono essere le relazioni con i Paesi che ci stanno
intorno, e vorrei che venisse data la priorità alla coesistenza
pacifica.”
Caterina Murino,
attrice italiana che ha fatto innamorare James
Bond (è stata una Bond Girl in Casino
Royale), è stata protagonista del red carpet della
Festa del Cinema di Roma 2017, dove ha presentato
Cinque, il cortometraggio di cui è protagonista.
In attesa che finalmente
Thor Ragnarok debutti negli USA, i
protagonisti Chris Hemsworth e Mark Ruffalo
si sono divertiti ad intagliare zucche che richiamano i loro
personaggi nel Marvel Cinematic Universe.
Il video è molto divertente perché i due iniziano una sfida
all’ultima zucca intagliata a tema Thor Ragnarok:
Thor:
Ragnarok è diretto da Taika Waititi. Nel cast
del film Chris
Hemsworth sarà ancora Thor; Tom Hiddleston
il fratello adottivo di Thor, Loki; Il
vincitore del Golden Globe e Screen Actors Guild Award Idris Elba sarà la
sentinella di Asgard, Heimdall; il premio Oscar Sir Anthony Hopkins
interpreterà nuovamente Odino, signore di Asgard.
Nelle new entry invece si annoverano il premio
OscarCate Blanchett (Blue
Jasmine, Cenerentola) nei
panni del misterioso e potente nuovo cattivo Hela, Jeff Goldblum
(Jurassic Park, Independence
Day: Resurgence), che sarà l’eccentrico
Grandmaster, Tessa Thompson
(Creed, Selma)
interpreterà Valkyria, mentre Karl Urban
(Star Trek, il Signore degli
Anelli: il ritorno del re) aggiungerà la sua forza
nella mischia come Skurge. Marvel ha anche confermato che
Mark Ruffalo riprenderà
il suo ruolo di Bruce Banner / Hulk nel sequel. La data d’uscita è
prevista per il 3 novembre 2017.
La trama di Thor: Ragnarok – “In Marvel Studios’ Thor Ragnarok,
Thor è imprigionato dall’altro lato dell’universo senza il suo
formidabile martello e si trova in una corsa contro il tempo per
tornare a Asgard per fermare il Ragnarok, la distruzione della sua
casa e la fine della civiltà asgardiana, dalle mani di una nuova e
potente minaccia, la spietata Hela. Ma prima deve sopravvivere a
una mortale lotta tra gladiatori che lo metterà contro uno dei suoi
amici Avengers, l’incredibile Hulk.
Mentre l’entusiasmo sul film Black Panther
cresce dopo aver visto il primo trailer, oggi sono state rivelate
le prime foto della linea ufficiale di action figure sui
protagonisti del prossimo film Marvel Studios targate
Hasbro. Trai i personaggi oltre al protagonisti
anche Erik Killmonger e Nakia.
Le action figure sono acquistabili
negli USA con la versione premium che comprende anche una serie di
armi in dotazione e il prezzo è di 19.99 dollari.
Marvel Comics ha rivelato i primi
concept del nuovo look di Thor Odinson firmati dal
fumettista Russell Dauterman. Il Vice
President & Executive Editor di Marvel ha così commentato: “”Questo
design di Thor Odinson di [Russell Dauterman] è fantastico”:
Questo nuovo design dà a
Thor un nuovo costume con ornamento d’oro che si
abbina al suo braccio e martello. Inoltre ripristina anche il casco
alato di Thor, ma mantiene i suoi capelli corti e la barba, forse
per rendere il personaggio più coerente con la versione
cinematografica recente di Chris Hemsworth.
Vi ricordiamo che al cinema Thor è
tutt’ora protagonista del terzo film dedicato al dio del
tuono Thor:
Ragnarok, diretto da Taika Waititi. Nel cast
del film Chris
Hemsworth sarà ancora Thor; Tom Hiddleston
il fratello adottivo di Thor, Loki; Il
vincitore del Golden Globe e Screen Actors Guild Award Idris Elba sarà la
sentinella di Asgard, Heimdall; il premio Oscar Sir Anthony Hopkins
interpreterà nuovamente Odino, signore di Asgard.
Nelle new entry invece si annoverano il premio
OscarCate Blanchett (Blue
Jasmine, Cenerentola) nei
panni del misterioso e potente nuovo cattivo Hela, Jeff Goldblum
(Jurassic Park, Independence
Day: Resurgence), che sarà l’eccentrico
Grandmaster, Tessa Thompson
(Creed, Selma)
interpreterà Valkyria, mentre Karl Urban
(Star Trek, il Signore degli
Anelli: il ritorno del re) aggiungerà la sua forza
nella mischia come Skurge. Marvel ha anche confermato che
Mark Ruffalo riprenderà
il suo ruolo di Bruce Banner / Hulk nel sequel. La data d’uscita è
prevista per il 3 novembre 2017.
La trama di Thor: Ragnarok – “In Marvel Studios’ Thor Ragnarok, Thor è
imprigionato dall’altro lato dell’universo senza il suo formidabile
martello e si trova in una corsa contro il tempo per tornare a
Asgard per fermare il Ragnarok, la distruzione della sua casa e la
fine della civiltà asgardiana, dalle mani di una nuova e potente
minaccia, la spietata Hela. Ma prima deve sopravvivere a una
mortale lotta tra gladiatori che lo metterà contro uno dei suoi
amici Avengers, l’incredibile Hulk.
ATTENZIONE – L’ARTICOLO
POTREBBE CONTENERE SPOILER SU Thor: Ragnarok
Taika Waititi,
regista di Thor: Ragnarok, aveva già commentato
la scelta di sostituire la location della distruzione del
Martello di Thor per mano di Hela. Da un vicolo di New York, la
scena è stata infatti spostata all’aria aperta, come si vede già
nei contenuti promozionali del film.
Ma parlando con CBM, il regista ha commentato
un’altra scelta per il cut finale del film, una scelta che riguarda
il personaggio di Odino. Durante la lavorazione di Thor:
Ragnarok, abbiamo visto delle foto che ritraevano
Anthony Hopkins nei panni di un barbone per le
strade di New York. La scena doveva rappresentare Odino esiliato da
Asgard a opera di Loki, come si vede nel finale di Thor: The Dark World.
La decisione di togliere la scena è
stata così spiegata:
“Odino era originariamente a New
York, e le persone non capivano perché. Semplicemente non sembrava
realistico avere Odino in giro per la città. Lui è uno degli esseri
viventi più potenti dell’universo e perché mai dovrebbe girare per
New York sperduto. Quello che volevamo fare era onorare il potente
re che era stato e portarlo in Norvegia, su quella scogliera, ci è
sembrato più degno che farlo morire a New York.”
Questa scelta, e quella di cambiare
location alla distruzione del Martello, sono
precisamente legate, dal momento che le due scene, la morte di
Odino e la distruzione del Mjöllnir, sono consequenziali.
Thor:
Ragnarok è diretto da Taika Waititi. Nel cast
del film Chris
Hemsworth sarà ancora Thor; Tom Hiddleston
il fratello adottivo di Thor, Loki; Il
vincitore del Golden Globe e Screen Actors Guild Award Idris Elba sarà la
sentinella di Asgard, Heimdall; il premio Oscar Sir Anthony Hopkins
interpreterà nuovamente Odino, signore di Asgard.
Nelle new entry invece si annoverano il premio
OscarCate Blanchett (Blue
Jasmine, Cenerentola) nei
panni del misterioso e potente nuovo cattivo Hela, Jeff Goldblum
(Jurassic Park, Independence
Day: Resurgence), che sarà l’eccentrico
Grandmaster, Tessa Thompson
(Creed, Selma)
interpreterà Valkyria, mentre Karl Urban
(Star Trek, il Signore degli
Anelli: il ritorno del re) aggiungerà la sua forza
nella mischia come Skurge. Marvel ha anche confermato che
Mark Ruffalo riprenderà
il suo ruolo di Bruce Banner / Hulk nel sequel. La data d’uscita è
prevista per il 3 novembre 2017.
La trama di Thor:
Ragnarok – “In Marvel Studios’ Thor Ragnarok, Thor è
imprigionato dall’altro lato dell’universo senza il suo formidabile
martello e si trova in una corsa contro il tempo per tornare a
Asgard per fermare il Ragnarok, la distruzione della sua casa e la
fine della civiltà asgardiana, dalle mani di una nuova e potente
minaccia, la spietata Hela. Ma prima deve sopravvivere a una
mortale lotta tra gladiatori che lo metterà contro uno dei suoi
amici Avengers, l’incredibile Hulk.
Come molti di voi sapranno
Joe Manganiello doveva
interpretare Deathstroke nel film di
Batman scritto
da Ben Affleck e Geoff Johns
ma quel progetto non ha mai avuto luce per le ragioni che tutti
conosciamo.
Da quando è poi subentrato
Matt Reeves sembrava che il personaggio fosse
destinato a non apparire più nell’universo. Soprattutto dopo che
abbiamo appreso che il personaggio che in precedenza sarebbe dovuto
apparire alla fine di Justice
League fu tagliato dal montaggio del film.
Beh sembra proprio che
Slade Wilson vivrà per combattere ancora un altro
giorno, come abbiamo appreso all’inizio di questa settimana.
Infatti, Gareth Evans prenderà il timone di
un film standalone proprio sul personaggio che sarà interpretato
ancora da Joe Manganiello.
Al momento quando esattamente il
film sarà lanciato non lo sappiamo ma l’attore ha diffuso su
twitter
un’immagine che ritrae la maschera di
Deathstroke danneggiata, che è un chiaro
riferimento al fatto che il personaggio sta per fare il suo debutto
nell’universo cinematografico DC.
Deathstroke (noto anche
come Deathstroke the Terminator), il cui vero
nome è Slade Wilson, è un personaggio dei
fumetti DC
Comics creato da Marv
Wolfman e George Pérez, apparso per la prima volta sulle
pagine di The New Teen Titans vol. 1 n. 2 del
dicembre 1980. Deathstroke si è classificato al 32º posto
nella classifica dei più grandi cattivi nella storia dei
fumetti
Capelli ossigenati, sorriso timido,
ma sguardo furbo e sfacciato; si presenta così Xavier
Dolan alla Festa del Cinema di Roma. Protagonista di uno
degli Incontri Ravvicinati con il pubblico, il
regista canadese, bambino prodigio che vanta già sei film (e uno in
arrivo) a 28 anni, ha incantato la sala.
Arguto e buffo, umile anche se
sempre puntuale, capace di caricare di senso profondo affermazioni
che dalle labbra di qualcuno altro risulterebbero banali o frasi
fatte, Dolan ha raccontato il suo rapporto con il cinema in sei
momenti, ognuno corrispondente a uno dei suoi film. Ma prima, allo
sceneggiatore, attore, regista, produttore, montatore si chiede:
meglio la regia o la recitazione?
“Credo di preferire la
recitazione. Ma quando dirigo continuo a recitare, recito insieme a
degli attori che ammiro, questo tipo di recitazione non è però
gratificante come quando sono io a recitare, però per un paio di
anni ho fatto così, anche perché imparo tanto da ciò che vedo
davanti a me, dagli attori che si trasformano sotto i miei occhi.
Da loro posso imparare moltissimo, e recitare mi manca. Vorrei
farlo di più nei prossimi anni, sia per me che per altri.”
A 21 anni. Uno
dei motivi per cui il tuo cinema ha conquistato il mondo è perché
si sente da subit un’urgenza. Cosa ti ha spinto a girare questo
film?
“È stato il mio primo film. Non
avevo girato corti, non ho fatto una scuola di cinema, il mio nome
è impresso soltanto sul diploma del liceo. Quindi volevo iniziare a
recitare ma come attore ero disoccupato e così ho detto ‘Potrei
ingaggiarmi da solo per raccontare questa sceneggiatura che parla
della mia vita’. Non c’era competizione, ero l’unico contendente al
ruolo.
Poi però le cose si sono
complicate, ho dovuto investire tutti i miei soldi per produrlo e
nessuno credeva sarebbe stato possibile, nessuno tranne gli attori
che mi hanno aiutato. Tu parli di urgenza, necessità, io parlo di
problema. Il film lo racconto per risolvere un problema che vedo
nella mia vita e nella società. In questo caso ho deciso di
raccontare la mia vita, risolvendo il problema dell’iniziare la mia
vita come artista. Siccome gli altri non me lo permettevano me lo
sono permesso da solo.”
Les Amours
imaginaires, il piano sequenza e la tensione
Come mai hai
deciso di girare la scena (mostrata in sala al pubblico, ndr) in
piano sequenza senza stacchi?
“Anche se non posso parlare per
gli altri registi, sembra che dai film che ho visto, i registi
amano le inquadrature senza stacchi. La tensione che si crea con
questo espediente. Ma per il regista e per la troupe è una
grandissima sfida, perché tutte le persone che lavorano al film
vengono coinvolte. È una coreografia che richiede l’attenzione di
tutti. E poi dopo tanto lavoro la maggior parte delle volte non
funziona. Io però non voglio che queste scene prendano il
sopravvento e schiaccino il ritmo del film. Nessun idea può
prendere il sopravvento sulla storia che rimane al
centro.”
C’è stato un punto di
riferimento cinematografico nella tua formazione di
regista?
“Diciamo che ho visto qualche
film, ma non troppi. Vedo sempre la delusione nella faccia della
gente quando mi parlano di un film e poi scoprono che non l’ho
visto. Mi vergogno un po’ di questo. Ci sono dei buchi da riempire
nella mia cultura cinematografica, ma, ad esempio, nella scena che
abbiamo visto di J’ai Tué ma Mère il riferimento è
a Wong Kar-wai. La scena alla In the mood
for love è così evidente che se il regista la vedesse
potrebbe farmi causa. C’è una citazione da un libro, Steal like an artist, sulla
possibilità di diventare artisti, ti dà dei consigli se hai
potenziale. Qualcuno può pensare che sia superficiale ma io ci ho
trovato tanti suggerimenti. La mia citazione preferita è ‘Inizi che
sei finto, e poi diventi sei reale’.
Se leggerete questo libro,
vedrete che molti artisti dicono che il furto artistico è naturale
ed è spontaneo perché tu non sai chi sei fino a che non crei, con
il cuore, con l’anima. Lo puoi fare attraverso il furto, ad
esempio, sempre la scena in cui cito Wong Kai-wai:
chiaramente avevo visto altri rallenty prima in altri film, ma è
stato In the mood for love a farmi trovare la mia
idea. Ripeti delle idee fino a che non le fai tue. Il rallenty
adesso lo uso a modo mio. Credo di aver smesso questo lavoro di
prestito con Tom à la ferme. È stato lì che ho cominciato a capire
meglio mes tesso, ma puoi farlo solo dopo che hai creato. Il
processo di crescita è fatto da prestiti e cose che hai rubato ad
altri. Anche Coppola dice in questo film ‘Noi vogliamo che voi
rubiate da noi, rubate le nostre inquadrature, le nostre scene,
fino a quando arriverà il giorno che saranno gli altri a rubare da
voi’”
Laurence Anyways,
il rapporto tra felicità e libertà
I tuoi personaggi
sono sempre divisi tra libertà e felicità. Tutti cercano la libertà
di essere se stessi ma non tutti riescono poi a raggiungere la
felicità.
“Penso che ci siano tanti film
su persone che non hanno speranza e fortuna e non lottano per
averli. Per ottenere qualcosa, oppure lottano ma tutto gli è
contro. Sono film che sono molto popolari, li chiamano la
pornografia della povertà.in qualche modo amano parlare di persone
che non sono privilegiate, reietti che vivono ai margini della
società. Ma questi film non danno mai una vera possibilità ai
protagonisti.
Io invece amo i combattenti,
quelli che hanno speranza. Alla fine la vita è questo: cercare di
combattere per quello che sei, ma la società non lo apprezza perché
quando si è autentici si mettono le altre persone di fronte alla
falsità e ai fallimenti. Ci sono persone che si sono arrese, ma ci
sono anche tanti sognatori. I miei personaggi si portano dentro il
desiderio di combattere. Non sempre vincono, ma non sono mai dei
perdenti.I miei film parleranno sempre di persone che cercano di
trovare un loro spazio, ma se non ci riescono sarà sempre e solo
colpa della vita, mai del fatto che si sono arresi.”
Tom à la ferme, il
genere e i sogni in grande
In che genere
classificheresti il tuo quarto film?
“Un dramma psicologico, un
thriller psicologico, non saprei definirlo perché mi manca questo
tipo di linguaggio. Se mi chiedono che tipo di film è Titanic, per
esempio, potrei dire un dramma storico, ma non lo so. Direi però
che può essere un thriller psicologico, o almeno è quello che avrei
voluto fare.”
Non è la prima volta che
nomini Titanic. È vero che lo ami molto?
“Penso che sia una produzione
meravigliosa. Gli effetti visivi, gli attori, i costumi, tutto
fanno di questo film un capolavoro dell’intrattenimento moderno.
Non tutti sono d’accordo però. Due anni fa il mio agente mi porta a
una cena, a cui dice ‘parteciparanno solo pochi amici, una cosa
informale’. E mi ritrovo a tavola con Paul Thomas Anderson,
Ron Howard, Bennet Miller, Charlize Theron e altri. E
Bennet chiede qual è per noi il film che ci ha spinti a fare questo
lavoro, e c’erano persone che citavano film anni ’30, o di pittori,
o di quando erano in luoghi tipo l’Africa. E io ho pensato ‘E ora
questi che penseranno quando dirò Titanic?’.
Ovviamente non si tratta di un
film che in un contesto intellettuale si va a cercare, ma la
questione che era stata posta era non qual è il miglior film di
tutti i tempi, ma qual è il film che ti ha fatto venire voglia di
fare cinema. Qual è il tuo film preferito. A 8 anni ho visto
Titanic, e questo film mi ha detto ‘vola, pensa sempre in grande’.
Adesso non sono più insicuro nel parlare dei film che mi sono
piaciuti, sono questi i film che mi hanno reso quello che sono:
Mamma ho perso l’aereo, Jumanji, Titanic.”
Mommy, la regia
come mezzo per darsi un lavoro da attore
Come reagiscono i
tuoi genitori quando vedono i tuoi film?
“Non ne parliamo molto, ma sono
orgogliosi. Mia madre è venuta con me a Cannes alla proiezione di
E’ solo la fine del mondo. Ma non sono loro i personaggi dei film,
non hanno paura di riconoscersi nei miei film. Soltanto per il
primo, si capisce che è la mia vita.”
Qual è il momento in cui hai
deciso di fare il regista?
“Ho deciso di fare il regista
per darmi una possibilità come attore. Forse quando ho visto
Titanic in me è rimasto qualcosa, ma non è che sono uscito dal
cinema e ho detto ‘Mamma farò il regista’. Le ho detto ‘Mamma
voglio scrivere una lettera a Leo DiCaprio’. Ma innanzitutto volevo
risolvere il mio problema di attore disoccupato. I miei amici
lavoravano, qualcuno faceva film, e io me ne stavo a casa, senza
lavoro e senza soldi. Sarei morto, ma dovevo fare qualcosa perché
avevo detto a tutti che avrei trovato la mia strada. La prima
ragione è stata quindi quella di recitare, ma già nei primi giorni
di riprese ho capito che non si trattava più solo di quello ma
anche del piacere di raccontare le storie.”
È solo la fine del
mondo, l’elogio del dolore
Parlando dei film
che hai amato, hai detto che uno dei titoli che maggiormente ti
hanno colpito di recente è un film italiano. Vorrei che lo
rivelassi e spiegassi perché ti ha colpito?
“Due settimane fa ho visto Call
me by your name, di Luca Guadagnino. È un film così tenero e
saggio, che cambia completamente il modo di guardare i film ma
anche di guardare l’amore. Non penso che siamo molti i film che
hanno questo potere. Non solo. Il film insegna molto anche sul
dolore. Cerchiamo spesso dei film che ci facciano ridere, che siano
di sollievo, a volte si dice ‘Ah, quel film era così deprimente!’.
Ma quando qualcuno ha sperimentato davvero l’esperienza del rifiuto
d’amore o di essere follemente innamorato di qualcuno e di
soffrirne, allora si capisce anche qual è la bellezza del dolore, e
questo film lo permette.
Non si trova spesso la
celebrazione della bellezza del dolore, perché è importante, è il
dolore che ti permette di creare, è da questo che sono nati molti
miei film, perché soffrivo per qualcuno di cui ero innamorato, o
quando avevo il cuore spezzato. Vedendo questo film mi sono sentito
profondamente compreso. Questo regista, come me, sa che il dolore
apre tante porte.”
Un delicato e struggente ritratto
della vita durante la feroce dittatura di Augusto
Pinochet, che si impadronì del governo in Chile l’11
settembre del 1973, con un colpo di stato. Pinochet si macchiò di
crimini contro l’umanità di crudeltà inaudita, tanto che ancora
oggi si fa fatica a stimare realmente le cifre dello sterminio di
massa che mise freddamente in opera.
Siamo in una baraccopoli di
Santiago del Chile, nel 1983, ancora molto distanti dall’11
settembre del 1990, quando finalmente cadde la dittatura. La dolce
ma forte Gladys vive assieme a sua madre e a sua figlia, entrambe
con lo stesso nome, all’interno di una povera comunità che nasconde
sovversivi comunisti che non riescono e non possono accettare
l’oppressione militare di Pinochet. Con le tre Gladys vive anche un
tenero bambino occhialuto, dell’età di tredici anni e chiamato
Vladi. Il padre del bimbo è un oppositore che vive nascosto sotto
falso nome.
Un giorno giunge nella comunità
Samuel Thomson, un missionario che cerca di diffondere la parola di
Dio, ma che probabilmente deve lui stesso trovare delle certezze.
Samuel è appassionato di fotografia e documenta con la sua
fotocamera e la sua cinepresa S8 la vita, l’oppressione e i
tentativi di ribellione delle persone che comincia a conoscere e
amare sempre di più, giorno dopo giorno.
Samuel dovrà fare i conti con la
passione, con l’amore, con la fede, con l’ideologia e purtroppo
anche con la spietata polizia militare.
Gonzalo
Justiniano riesce con semplicità a costruire un racconto
corale, che descrive teneramente, dall’interno, il lungo periodo
della dittatura in Chile. Orchestra bene i registri del racconto,
passando dai toni allegri e scanzonati della commedia, fino al
dramma più nero, costringendo a riflettere e facendo dimenticare
che si tratta solamente di un film. Questo grazie anche a
fotografie e filmati di repertorio, giustificati narrativamente dal
lavoro di documentazione di Samuel.
Registicamente parlando, non siamo
troppo distanti da quanto visto in Detroit di
Kathryn Bigelow, ma il suo tono energico è
totalmente “Gringos”, a differenza della poesia, della passionalità
e della voglia di vivere che Gonzalo Giustiniano riesce a infondere
in ogni fotogramma. Un manipolo di attori bravissimi rende
impossibile non amare i personaggi interpretati con immensa
sincerità. Su tutti spiccano Nathalia Aragonese
(Gladys) passionale, determinata, autentica e il piccolo
Elías Collado (Vladi) tenero, ironico ai limiti
del sarcastico.
I cabros de mierdas del titolo sono
i bambini quando si comportano male. Così a volte viene chiamato
Vladi, ma anche i biechi torturatori della polizia militare quando
vengono riconosciuti dalle donne che li avevano cresciuti, dalle
proprie maestre, dai vicini di casa. Forse anche Gladys, Samuel, e
tutti i loro amici oppositori potrebbero essere definiti in questo
modo, perchè che il loro gioco non è troppo distante da quello dei
bambini, visto che si limitano a sbeffeggiare Pinochet, con
caricature e scritte sui muri. Certo, non mancano momenti di
ribellione armata, ma è nulla, una bazzecola a confronto della
violenza inaudita della controparte.
Cabros de Mierdas
è un film semplice, sincero, onesto, ma importante, insieme a tanti
altri, per ricordare e riflettere su un dramma immane dei nostri
giorni. Un piccolo tassello per non dimenticare i desaparecidos
persi nelle fredde acque dell’oceano.
L’annunciato
adattamento Shazam ha trovato finalmente il
suo protagonista. Infatti da quanto apprendiamo dal
THR l’attore Zachary Levi è stato
ingaggiato per interpretare Shazam, l’eroe
DC Comics per il prossimo film dell’universo
cinematografico della DC.
Zachary Levi, noto
per aver interpretato Chuck nell’omonima serie tv, e per aver preso
parte a Thor: The Dark
World e Thor: Ragnarok interpreterà
Billy Batson che si trasforma al grido Shazam in un supereroe che
con ogni probabilità si scontrerà con Dwayne “The Rock”
Johnson che interpreterà Black Adam. Anche se su quest’ultimo
dettaglio non ci sono conferme.
Shazam sarà diretto
da David F. Sandberg (Annabelle:
Creation) e si baserà su una sceneggiatura scritta da Henry
Gayden e Darren Lemke. Il film che farà parte dell’Universo
Cinematografico DC dovrebbe esserepronto per
debuttare al cinema nell’aprile 2019. Le riprese cominceranno il
prossimo febbraio.
Luca Marinelli,
Lorenzo Richelmy e Valentina
Bellé hanno sfilato sul red carpet della Festa del
Cinema di Roma 2017 per presentare, in Selezione Ufficiale,
Una Questione
Privata, film basato sul romanzo di Beppe
Fenoglio e diretto dai fratelli Taviani.
Sul tappeto rosso anche uno dei due registi, Paolo:
Terzo giorno per la Festa
del cinema di Roma, e terza star del cinema di Hollywood.
Infatti l’attore Jake Gyllenhaal sfilerà sul
red carpet per presentare al pubblico di Roma,
Stronger, sua ultima fatica.
Diretto da David Gordon
Green e scritto da John
Pollono Stronger vede protagonisti oltre
a Jake Gyllenhaal, anche Tatiana
Maslany, Miranda Richardson, Clancy Brown, Lenny
Clarke.
Tratto dall’omonimo romanzo di Jeff
Bauman & Bret Witter, il film racconta la vicenda di un uomo comune
che ha appassionato il mondo intero e lo ha reso un simbolo di
speranza dopo l’attentato del 2013 alla maratona di Boston. Il
percorso eroico e profondamente personale di Jeff metterà alla
prova i suoi legami familiari, definirà l’orgoglio di una comunità
e gli darà il coraggio per superare enormi avversità, mentre
tenterà di ricostruire la sua vita al fianco della compagna
Erin.
La sfida di questo film è stata per
me creare qualcosa che risultasse reale e sincero. Rimanere
rispettoso della verità, ma non limitarmi ad una semplice
ricostruzione. Voglio che il pubblico si senta catapultato nella
vita di queste persone, che si innamori di loro. Credo che le
persone saranno inspirate dal complesso percorso di Jeff e
dall’incredibile amore e sostegno che ha ricevuto da Erin, dalla
sua famiglia e da tutte le persone di Boston. E se guardando il
film si renderanno conto che c’è gente che si prenderà cura di loro
nel momento in cui una tragedia o una grossa delusione colpirà le
loro vite, questo mi renderà felice.
Sarà proiettato nella terza giornata
della Festa del cinema di
Roma,Last Flag
Flying di Richard Linklater. Per il suo ultimo
film, il regista, considerato uno dei più importanti autori del
nuovo cinema statunitense, si è ispirato all’omonimo romanzo di
Darryl Ponicsac: nel 2003, trent’anni dopo aver servito insieme in
Vietnam, l’ex medico della marina Larry “Doc” Shepherd incontra di
nuovo i suoi compagni, l’ex marine Sal Nealon e il reverendo
Richard Mueller, per dare degna sepoltura al figlio di Doc, un
giovane marine rimasto ucciso nella guerra in Iraq. Con l’aiuto dei
suoi vecchi amici, Doc intraprende un viaggio verso la East Coast
per riportare il figlio a casa.
Last Flag Flying, il film
In merito al film il regista ha
rivelato. Ricordo chiaramente le mie prime impressioni, 12
anni fa, dopo la lettura del romanzo “Last Flag Flying” di Darryl
Ponicsac. Subito pensai “ma questo è un film!”. In quel momento la
guerra in Iraq si era già rivelata un disastro e il libro batteva
molto sui paralleli tra il Vietnam e l’Iraq. Quello che mi colpì di
più però erano questi tre personaggi, Doc, Sal e Mueller. Amavo
questi ragazzi e avevo voglia di scavare nelle loro vite per creare
un ritratto di questi tre veterani del Vietnam di mezza età. Feci
un primo tentativo di adattare il libro per il grande schermo nel
2006, ma quella prima versione, ambientata nel 2005, non
funzionò.
C’era un problema di tempistiche. La
cultura di allora non era pronta ad affrontare la questione della
guerra in Iraq, che avevamo tutti davanti agli occhi e di cui non
si vedeva la fine. Quando pensi alla storia dei film di guerra,
realizzi che i migliori di solito arrivano dopo molti anni, quando
la gente è pronta a esaminare i fatti. Quando fu chiaro che il film
non sarebbe stato realizzato, ricordo di aver detto a Darryl “prima
o poi lo faremo”. Alla fine abbiamo ripreso in mano il progetto un
paio di anni fa, riscrivendo gran parte della sceneggiatura.
Ricordo di aver pensato “invece di
trattare l’attualità, potremmo strutturarlo come un film storico,
ambientandolo nel dicembre del 2003, ai tempi della caccia a Saddam
Hussein”. Pensammo che la gente ricordasse quel momento, così che
la storia si fondasse su una realtà condivisa, che era proprio
l’intento originale del libro.
Nel secondo giorno della
Festa del Cinema di Roma, la regista e
sceneggiatrice inglese Sally Potter è arrivata
all’Auditorium Parco della Musica per presentare il suo film
The Party, un dramma comico in bianco e nero, che
ha per protagonisti Kristin Scott Thomas, Timothy Spall,
Bruno Ganz, Patricia Clarkson, Emily Mortimer, Cherry
Jones e Cillian Murphy.
Come mai ha deciso di fare
questo film in bianco e nero? In un certo senso il bianco e nero è coloratissimo, perché
forza l’immaginazione a perdersi nelle ombre e nelle luci e
riempirle con sentimenti. Il bianco e nero è alle radici del cinema
e inoltre non è vero che la gente non guarderebbe le cose in bianco
e nero, perché sempre più registi giovani creano video musicali in
bianco e nero perché pensano sia più eccitante.
Una delle cose più
interessanti del film è questo delicato equilibrio tra il dramma e
la commedia, quanto è difficile a livello di scrittura e quanto
invece magari influisce l’armonia sul set e complicità tra gli
attori nel trovare il tono giusto? Il 95% della commedia è nella scrittura e tutti gli attori
possono confermare: se non hanno il testo è un altro tipo di
commedia. Il testo ti da il senso, il sub-testo, il ritmo e il
significato e solo allora gli attori possono, attraverso il corpo,
portare in scena il tempismo comico. Si può dire che questa sia una
commedia fisica, con il cuore di una tragedia. Tecnicamente è stata
una sfida a livello di scrittura, perché devi immaginare come
reagirà il pubblico a questi tempi comici, ma devo ammettere che
lavorare con gli attori su questo testo è stata una vera gioia,
abbiamo riso tantissimo insieme.
Ha filmato in ordine
cronologico, come ha lavorato con gli attori? Ho lavorato individualmente con ogni attore. Sono andata da
loro e abbiamo iniziato insieme a lavorare lentamente e nei
dettagli sul testo, sull’aspetto, sulla scena, sulla voce, sui
movimenti, su tutto… Quindi quando è arrivato il momento di
incontrarli tutti insieme, erano già molto sicuri a livello
individuale sulla loro parte. Abbiamo fatto solo due o tre giorni
di prove e poi due settimane di riprese: una cosa davvero veloce e
intensa.
Il tema centrale della
storia è sembrato “la verità”, è corretto? Sì, esatto. La verità è al centro e tutto gli gira intorno e
anche quando le persone pensano di dire la verità, gradualmente
realizzano che stanno omettendo qualcosa oppure scoprono qualcosa
che non sanno, perché si trovano in situazioni di crisi e si
comportano in maniera diversa rispetto alla loro precedente
immagine di loro stessi. In questa storia si tratta di capire quale
sia il divario tra chi penso di essere e quello che effettivamente
faccio in un momento di crisi.
Nonostante sia stato scritto
molto prima, questo film riflette anche sulla situazione Brexit
rispetto alla politica e la società: secondo lei quanto di quegli
aspetti ci sono nel film? Il referendum sul Brexit in realtà è avvenuto proprio a metà
delle nostre due settimane di riprese e posso dirle che erano tutti
molto tristi la mattina dopo sul set perché il cast e la crew erano
estremamente internazionali, l’esempio vivente di una vita senza
confini. Designer argentini, troupe del suono francesi,
cinematografi russi, un editor danese, direttore delle luci
irlandese… e potrei andare avanti con la lista. Per noi quello era
il modo giusto di essere e di lavorare, mentre con la Brexit si va
esattamente nella direzione opposta. Isolazione invece che
cooperazione. Quando ho iniziato a scrivere non c’era discussione a
riguardo, è tutto uscito dal niente, come un terremoto. Quindi
forse mentre scrivevo sentivo inconsciamente questa sensazione di
imminente divisione nella cultura che nella storia si è tradotta in
divisione tra gli individui.
Il film è molto attuale e
tratta anche l’argomento delle donne e il potere: qual’è il suo
commento a riguardo, anche alla luce dei fatti di cronaca
recenti? Intende il caso Harvey Weinstein? Quello che è accaduto è
qualcosa che è diventato visibile ma prima era semplicemente
nascosto, ma accade ovunque, non solo nel mondo del cinema. Non
solo tra un potente produttore e un attore che ha bisogno di un
lavoro, ma ovunque ci sia uno squilibrio di potere. Tra uomini e
donne, ma anche tra uomo e uomo. Ad esempio lui aveva anche la
reputazione di essere molto severo con altri uomini nella compagnia
ed anche questo non veniva raccontato molto. Anche questo fa parte
di quella cultura che salva spesso i bulli, ma anche quello è solo
un microcosmo di un più grande situazione politica dovuta ad uno
squilibrio di potere in uno sistema patriarcale e capitalista, dove
la gente viene bullizzata per fare soldi o altro. Questa situazione
di Harvey Weinstein probabilmente sta però portando al pubblico a
capire la nozione che non è ok umiliare o molestare qualcuno, non è
assolutamente un modo giusto di comportarsi e questa è una cosa
buona.
Ad aprire questa seconda giornata
della Festa del Cinema di Roma sono i fratelli
Paolo e Vittorio Taviani con la loro ultima fatica
cinematografica, Una Questione Privata, melodramma
ambientato nell’Italia fascista con Luca
Marinelli, Lorenzo Richelmy e
Valentina Bellé.
Tratto dall’omonimo romanzo di
Beppe Fenoglio,
scrittore e partigiano morto nel 1963, quello dei Taviani è il
primo film italiano della selezione ufficiale del festival,
un’opera assai complessa e piena di elementi contrastanti.
In Una Questione Privata va
in scena il tipico dramma da triangolo amoroso, una storia vista
centinaia di volte al cinema, all’epoca però della Seconda Guerra
Mondiale. Si parla infatti di amore, gelosia, tradimento e follia
ma in contesto assai ingombrante. Uno dei registi, Paolo
Taviani, ha spiegato perché la scelta del soggetto del
film è ricaduta proprio sulla storia di Fenoglio.
“Io e mio fratello abbiamo
sempre amato Beppe Fenoglio ma non eravamo mai riusciti a fare un
film utilizzando una delle sue storie. Ogni volta che leggevamo
qualcosa di suo e provavamo ad acquistarne i diritti, scoprivamo
che qualcuno ci aveva già preceduto.
Siamo sempre arrivati tardi
[ride] Anni più tardi poi mi è capitato di leggere Una Questione
Privata e quelle pagine mi hanno commosso profondamente […] Così ho
telefonato per cercare di acquistare subito i diritti per un film e
dall’altro capo del telefono qualcuno mi ha detto che mio fratello
Vittorio aveva già telefonato per lo stesso motivo“.
Questa è la genesi di Una
Questione Privata raccontata dal regista che ha anche
fatto qualche precisazione riguardo l’importanza del contesto
storico.
“Nel film si parla di una
semplice storia d’amore, un classico triangolo amoroso visto e
rivisto […] ma raccontato da un altro punto di vista […] Questa è
una storia che il pubblico può amare perché più o meno l’ha
vissuta. Il protagonista per colpa dell’amore per un attimo si
dimentica della guerra e della sua missione di partigiano […]
Quanto al fascismo, beh, non è un tema così antico e dimenticato
[…] “
Parlando di fascismo come concetto
astratto e confinato solo ai libri di scuola, Paolo
Taviani ha commentato il recente episodio che ha visto
coinvolti alcuni tifosi della Lazio che hanno utilizzato l’immagine
di Anna Frank in
un fotomontaggio per degli striscioni poi esposti allo stadio
durante il derby contro la Roma.
“I fascisti sono tornati ma non
sono come li conoscevamo […] L’episodio della Lazio mi ha
indignato. Non è ammissibile che al giorno d’oggi ci siano persone
capaci di commettere simili indecenze […] E’ tutta colpa della
scuola che non insegna ai giovani d’oggi l’importanza del
passato.
In un certo senso questi ‘nuovi
fascisti’ sono incolpevoli perché non sanno, non conoscono la
storia dell’Italia […] Gli adulti sono quello che sono, ormai, nel
bene e nel male ma adesso è sui bambini che bisogna lavorare per
cambiare il mondo. Conoscere la storia a scuola dovrebbe essere una
priorità come oggi lo è l’insegnamento dell’inglese. Bisogna fare
qualcosa, mettere un argine […] “
Parole dure ma giuste quelle di
Paolo Taviani condivise anche dagli attori, soprattutto dal
protagonista Luca Marinelli che ha raccontato
della sua esperienza sul set.
“Ovviamente non ho mai vissuto
la guerra né tantomeno l’epoca del fascismo ma questo film mi ha
aiutato a vedere le cosa da un inedito punto di vista. Per me un
film è principalmente un’esperienza fisica e vedere sessanta
persone sul set, ragazzi di vent’anni prendere parte alle riprese
fingendo di essere dei partigiani accampati nelle tende, è stato
molto forte e traumatico […] Tutti dicono che i giovani d’oggi non
hanno ideali in cui credere e non hanno più valori ma non credo che
sia così.
Grazie al rapido accesso ai
socila media, vengono costantemente bombardati dalla verità che li
circonda, possono leggere il tempo reale notizie da tutto il mondo
quindi sono convinto che sappiano riconoscere quali sono i valori
che contano e che ci sono persone disposte a morire per i propri
ideali. I valori non si sono perduti ma sono soltanto meno
chiari”.
Il fascismo è un tema tutt’oggi
molto scottante e difficile da trattare che, nel film dei Taviani,
ha un ruolo decisamente marginale. La guerra è infatti solo la
cornice della storia d’amore tra Fulvia, Milton e Giorgio, tema che
è tuttavia impossibile da ignorare.
Ma se realizzare un film come
Una Questione Privata crea dibattito ora, che
reazione avrebbe suscitato dieci o anche venti anni fa? Per
rispondere a questa domanda, Paolo Taviani ha raccontato un piccolo
aneddoto legato all’uscita del primo film diretti con suo fratello
Vittorio e con Valentino Orsini.
Il film in questione è Un Uomo Da Bruciare,
datato 1962, liberamente tratto dalla vita di Salvatore Carnevale,
sindacalista socialista di origini siciliane.
“Io e Vittoria abbiamo sempre
fatto parte del Partito Comunita e quando abbiamo presentato il
film al partito non abbiamo ricevuto pareri entusiastici. Ricordo
che Mario Alicata
[parlamentare comunista, partigiano nonché critico letterario] si
alzò dopo la proiezione e ci disse che avevamo oltraggiato con il
nostro film la memoria di Carnevale […]
Quello stesso anno presentammo
il film alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia dove fu
accolto molto bene da pubblico e critica […] Il giorno dopo andammo
a leggere ansiosi le recensioni sui giornali e ci accorgemmo che
alcune di loro non erano esattamente positive […]
Quello stesso pomeriggio
incontrammo Amendola [si riferisce a Ferruccio Amendola] sulla
spiaggia e fu proprio lui a farci ragionare sul fatto che le
recensione negative non sono poi così importanti poiché i giornali
non sono organismi autonomi ma vengono sempre influenzati dalle
linee di partito”.
Xavier Dolan,
regista prodigio canadese, è stato ospite alla Festa del
Cinema di Roma 2017, incontrando il pubblico
dell’Auditorium. Di seguito gli scatti dal red carpet.
A più di cinquant’anni dalla
pubblicazione postuma del romanzo Una Questione
Privata di Beppe Fenoglio, scrittore e
partigiano, i fratelli Paolo e Vittorio Taviani
portano sul grande schermo un piccolo spaccato di storia d’Italia.
Questo film, tuttavia, non è semplicemente l’ennesima
rappresentazione cinematografica dell’epoca fascista italiana ma
bensì la storia di un amore conteso e tormentato. Si parla dunque
di un triangolo amoroso nel bel mezzo della resistenza, di un
sentimento così forte da offuscare la mente del nostro protagonist,
spingendolo a considerare anche gesti estremi.
Ne Una Questione
Privata è l’estate del 1943 quando l’estroversa Fulvia
(Valentina Bellè) incontra due giovani studenti,
il mite Milton (Luca
Marinelli) e l’affascinante Giorgio (Lorenzo
Richelmy). I tre ragazzi passano mesi a giocare nei
boschi, ad ascoltare musica e in generale a godere della reciproca
compagnia. Ma mentre la civettuola Fulvia tiene sulle spine
entrambi i ragazzi, nel mondo scoppia la Seconda Guerra Mondiale e
i nazifascisti invadono l’Italia. E così un anno dopo ritroviamo
Milton, ormai arruolato nei partigiani, in balia tra i ricordi di
quella spensierata estate e l’orrore della sua quotidianità in
trincea.
Una Questione Privata: il melodramma
dei Fratelli Taviani al Festiva di Roma
Quello dei Taviani è il vero e
proprio dramma interiore di un uomo pazzo d’amore e di gelosia,
alla disperata ricerca di una verità che sembra continuamente
sfuggirgli dalle mani. La camera da presa segue infatti
pedissequamente il protagonista della storia che si muove tra i
boschi e le campagne piemontesi infestati dalla nebbia, come un
fantasma in una casa stregata.
La storia è quindi molto semplice,
quasi elementare, un classico triangolo amoroso, che però non fa
che scontrarsi con una regia eccessivamente rigorosa e affettata.
Tutto, dalla fastidiosissima nebbia digitale, al look fin troppo
curato dei partigiani che tornando da uno scontro a fuoco, alla
recitazione appesantita della Bellè e di Marinelli – molto lontano
dalle glorie dello Zingaro di Lo Chiamavano Jeeg Robot -, contribuisce ad
affossare un impianto narrativo debole e una sceneggiatura fin
troppo scarna e ripetitiva.
Più vicina allo stile teatrale che
a quello cinematografico, Una Questione Privata
finisce purtroppo col sembrare invece una banale fiction
televisiva, sovraccarica di inutili sentimentalismi, primo su tutti
l’ossessiva ripetizione di Somewhere Over The
Rainbow, leitmotiv dell’intera opera. I flashback, che
dovrebbero fornire importanti informazioni sul passato dei tre
protagonisti, non sono funzionali alla storia che sembra seguire le
‘regole’ del nonsense narrativo. L’esercizio di stile dei
fratelli Taviani si traduce quindi, purtroppo, in
un film assurdo e farraginoso, estremamente difficile da seguire e
godere.
Le donne, il burqua, l’inferiorità,
la cultura e la tradizione. The Breadwinner, film
d’animazione diretto da Nora Twomey e prodotto da
Angelina
Jolie, affronta con lo strumento dell’animazione
argomenti delicati e terribilmente attuali, offrendosi sotto forma
di cartone animato, con tanto di risvolto fantastico, a un pubblico
di giovani e giovanissimi, occidentali, iniziati così a determinati
aspetti delle culture dall’altra parte del mondo. Il film è basato
sul romanzo omonimo best-seller di Deborah
Ellis.
La storia è quella di Parvana, una
ragazzina che vive a Kabul con il padre che ha perso una gamba in
guerra, la madre, la sorella maggiore in età da marito e un
fratellino molto piccolo. Parvana, in quanto donna, non può uscire
di casa da sola, non può acquistare prodotti al mercato, non può
imparare a leggere o a scrivere. Fortuna che il padre è un maestro
e la inizia alle lettere, ma quando l’uomo viene arrestato, Parvana
diventa l’unica a essere in grado di provvedere alla famiglia.
Tagliati i capelli e indossati gli abiti di suo fratello maggiore,
misteriosamente morto, si finge uomo e comincerà a portare il cibo
in casa, sperando sempre di riuscire a riportare il padre in
famiglia.
La storia di The Breadwinner si sviluppa parallela al racconto
di un eroe, alter ego della protagonista
La Twoney ha un
approccio bilanciato al racconto: affronta una storia difficile, in
una realtà violenta, ma lo fa ad altezza di bambino, regalando
equilibrio alla brutalità della guerra con la narrazione, le storie
e il loro potere di arricchire, regalando profondità e spessore
alla vita, trasformandola.
Narrativamente il pregio del film è
proprio quello di creare un parallelo che si sviluppa in crescendo
tra la protagonista e l’eroe di un racconto inventato, mentre la
prima cerca i modi per portare in salvo la famiglia e il padre e il
secondo per affrontare magiche e feroci creature e mettere in salvo
il suo villaggio.
La tecnica di animazione ricalca la
dicotomia della storia, diventando un vero strumento visivamente
prezioso che regala anche una varietà cromatica ed emotiva al film
che comunque vive di un messaggio sotteso relativo
all’emancipazione femminile, non solo in Afganista. In una società,
anche Occidentale, dove la parità non è ancora raggiunta, è sempre
utile (anche se forse troppo facile) ricordare che ci sono ancora
tante battaglia da combattere e tante menti da aprire.
Nella sua risoluzione felice e allo
stesso tempo malinconica, The Breadwinner riesce a
toccare lo spettatore a più livelli, rivelandosi un film facile ma
prezioso.
Sulla scia della morte di Clark
Kent/Superman per mano di Doomsday, il vigilante Bruce Wayne/Batman
rivaluta i suoi metodi estremi e comuncia la ricerca di
straordinari eroi per assemblare una squadra di combattenti contro
il crimine per difendere la Terra da ogni tipo di minaccia. Insieme
a Diana Prince/Wonder Woman, Batman trova l’ex star del
football al college, ciberneticamente migliorato, Vic Stone/Cyborg,
il velocista Barry Allen/The
Flash e un guerriero atlantideo, un re, Arthur Curry/Aquaman. Insieme si schierano contro Steppenwolf,
l’araldo e il comandante in seconda dell’alieno signore della
guerra Darkseid, incaricato da Darkseid stesso di trovare tre
manufatti nascosti sulla Terra.
Ecco il primo
trailer di Justice
League dal Comic Con
Justice League è stato
diretto da Zack Snyder, mentre Joss
Whedon è entrato nella produzione solo a fine
lavoro ed è previsto per il 16 novembre 2017. Nel film vedremo
protagonista Henry
Cavillcome Superman, Ben Affleckcome
Batman, Gal
Gadotcome Wonder Woman, Ezra Millercome
Flash, Jason
Momoacome Aquaman, e Ray
Fishercome Cyborg. Nel cast confermati
anche: Amber Heard, Amy Adams, Jesse Eisenberg, Willem
Dafoe, J.K. Simmons e Jeremy
Irons. I produttori esecutivi del film
sono Wesley Coller, Goeff
Johns e Ben
Affleck stesso.
L’attenzione
sulla Justice League cresce sempre di più man
mano che ci avviciniamo alla data di uscita del film, e oggi
arrivano anche le prime previsione su potenziale incasso del
film.
Infatti secondo quanto apprendiamo
dai primi sondaggi fatti negli USA, Justice League dovrebbe incassare una
cifra trai 110 e i 120 milioni di dollari, dunque confermato quello
che potrebbe essere un debutto epico del film. Considerato che le
previsione sia per Batman v Superman che per Wonder Woman sono state sempre ampiamente
superate, p possibile che il film raccolga anche una cifra
superiore a quella prevista.
Quello che è certo è che
probabilmente il film supererà l’incasso d’apertura del film con
Gal Gadot che fu di 103,2 milioni di dollari e l’incasso
potrebbe essere ulteriormente influenzato in positivo anche dalla
scia del successo di
Thor Ragnarok, aumentando la voglia degli spettatori
medi di vedere più film di supereroi.
Sulla scia della morte di Clark
Kent/Superman per mano di Doomsday, il vigilante Bruce Wayne/Batman
rivaluta i suoi metodi estremi e comuncia la ricerca di
straordinari eroi per assemblare una squadra di combattenti contro
il crimine per difendere la Terra da ogni tipo di minaccia. Insieme
a Diana Prince/Wonder Woman, Batman trova l’ex star del
football al college, ciberneticamente migliorato, Vic Stone/Cyborg,
il velocista Barry Allen/The
Flash e un guerriero atlantideo, un re, Arthur Curry/Aquaman. Insieme si schierano contro Steppenwolf,
l’araldo e il comandante in seconda dell’alieno signore della
guerra Darkseid, incaricato da Darkseid stesso di trovare tre
manufatti nascosti sulla Terra.
Ecco il primo
trailer di Justice
League dal Comic Con
Justice League è stato
diretto da Zack Snyder, mentre Joss
Whedon è entrato nella produzione solo a fine
lavoro ed è previsto per il 16 novembre 2017. Nel film vedremo
protagonista Henry
Cavillcome Superman, Ben Affleckcome
Batman, Gal
Gadotcome Wonder Woman, Ezra Millercome
Flash, Jason
Momoacome Aquaman, e Ray
Fishercome Cyborg. Nel cast confermati
anche: Amber Heard, Amy Adams, Jesse Eisenberg, Willem
Dafoe, J.K. Simmons e Jeremy
Irons. I produttori esecutivi del film
sono Wesley Coller, Goeff
Johns e Ben
Affleck stesso.
La Warner Bros ha
diffuso un contributi inedito sulla Justice League dedicato completamente
a Wonder Woman, il personaggio
interpretato dalla bella Gal Gadot.
Sulla scia della morte di Clark
Kent/Superman per mano di Doomsday, il vigilante Bruce Wayne/Batman
rivaluta i suoi metodi estremi e comuncia la ricerca di
straordinari eroi per assemblare una squadra di combattenti contro
il crimine per difendere la Terra da ogni tipo di minaccia. Insieme
a Diana Prince/Wonder Woman, Batman trova l’ex star del football al
college, ciberneticamente migliorato, Vic Stone/Cyborg, il
velocista Barry Allen/The
Flash e un guerriero atlantideo, un re, Arthur Curry/Aquaman. Insieme si schierano contro Steppenwolf,
l’araldo e il comandante in seconda dell’alieno signore della
guerra Darkseid, incaricato da Darkseid stesso di trovare tre
manufatti nascosti sulla Terra.
Ecco il primo
trailer di Justice
League dal Comic Con
Justice League è stato
diretto da Zack Snyder, mentre Joss
Whedon è entrato nella produzione solo a fine
lavoro ed è previsto per il 16 novembre 2017. Nel film vedremo
protagonista Henry
Cavillcome Superman, Ben Affleckcome
Batman, Gal
Gadotcome Wonder Woman, Ezra Millercome
Flash, Jason
Momoacome Aquaman, e Ray
Fishercome Cyborg. Nel cast confermati
anche: Amber Heard, Amy Adams, Jesse Eisenberg, Willem
Dafoe, J.K. Simmons e Jeremy
Irons. I produttori esecutivi del film
sono Wesley Coller, Goeff
Johns e Ben
Affleck stesso.
E’ finalmente al cinema in Italia
Thor Ragnarok e in questi giorni il
regista Taika Waititi è letteralmente preso
d’assalto con domante in merito a tutto il Marvel Cinematic
Universe e al suo potenziale coinvolgimento con altri
personaggi.
Proprio in merito a ciò gli è stato
chiesto durante una recente intervista quale personaggio vorrebbe
approfondire in un nuovo film, e per la gioia dei fan ha rivelato
che sarebbe molto interessato a Black Widow, Vedova Nera interpretata da
Scarlet Johansson.
“In tutta onestà credo che
probabilmente potrei portare qualcosa di piuttosto unico in tutti i
franchise, quindi mi piacerebbe molto vedere Black Widow. Vorrei
vederla in modo unico e con qualcosa di pazzesco tra le mani, un
po’ più divertente di quanto ci si aspetta da lei. Conosciamo la
sua storia ed è molto oscura e il suo passato è molto dark. Ma qual
è la visione più divertente del personaggio e di quella
storia?”
E’ interessante come l’approccio
del regista si sposi alla perfezione con i toni e le intenzioni
dell’universo Marvel, anche se considerato il
passato di Black Widow, non è propriamente nelle sue corde.
Tuttavia sarebbe comunque interessante vederla in un film
standalone che ormai tutti quanti chiedono a gran voce.
Thor
Ragnarok è diretto da Taika Waititi. Nel cast
del film Chris
Hemsworth sarà ancora Thor; Tom Hiddleston
il fratello adottivo di Thor, Loki; Il
vincitore del Golden Globe e Screen Actors Guild Award Idris Elba sarà la
sentinella di Asgard, Heimdall; il premio Oscar Sir Anthony Hopkins
interpreterà nuovamente Odino, signore di Asgard.
Nelle new entry invece si annoverano il premio
OscarCate Blanchett (Blue
Jasmine, Cenerentola) nei
panni del misterioso e potente nuovo cattivo Hela, Jeff Goldblum
(Jurassic Park, Independence
Day: Resurgence), che sarà l’eccentrico
Grandmaster, Tessa Thompson
(Creed, Selma)
interpreterà Valkyria, mentre Karl Urban
(Star Trek, il Signore degli
Anelli: il ritorno del re) aggiungerà la sua forza
nella mischia come Skurge. Marvel ha anche confermato che
Mark Ruffalo riprenderà
il suo ruolo di Bruce Banner / Hulk nel sequel. La data d’uscita è
prevista per il 3 novembre 2017.
La trama di Thor
Ragnarok – “In Marvel Studios’ Thor Ragnarok, Thor è
imprigionato dall’altro lato dell’universo senza il suo formidabile
martello e si trova in una corsa contro il tempo per tornare a
Asgard per fermare il Ragnarok, la distruzione della sua casa e la
fine della civiltà asgardiana, dalle mani di una nuova e potente
minaccia, la spietata Hela. Ma prima deve sopravvivere a una
mortale lotta tra gladiatori che lo metterà contro uno dei suoi
amici Avengers, l’incredibile Hulk.
La 20th Century Fox
dopo il trailer ufficiale ha diffuso due nuovi affascinanti teaser
inediti di The New Mutants, l’atteso nuovo
film sui mutanti targati Marvel Comics.
I due contributi pur essendo molto
brevi ma le immagini e il testo che li accompagna hanno suscitato
molte speculazioni in quanto potrebbero riferirsi a Rahne
Sinclair, Aka Wolfsbane, personaggio interpretato da
Maisie Williams, noto per essere Arya Stark di
Game of Thrones.
Rahne infatti è una ragazza che ha
condotto una vita molto protetta ed è profondamente religiosa e le
frasi “Peccati del nostro passato” , il crocifisso e “Alcune cose
non possono essere ingabbiate” sono un chiaro riferimenti alla
Bestia che Sinclair può diventare quando è la sua rabbia si
scatena.