Nell’era di internet, dei blog, della velocità e dell’informazione che viaggia a cavallo di un tweet, James Vanderbilt, alla sua prima prova da regista, racconta il mondo del giornalismo d’inchiesta, così com’era fino a pochi anni fa, un mondo fatto di ricerche, di storie, di scandali, di comande, alla ricerca della verità.
Truth racconta infatti le vicende che hanno coinvolto Mary Mapes e Dan Rather alla CBS quando, nel 2004, hanno provato a portare alla luce il passato di George W. Bush nella Guardia Nazionale, prima della sua seconda elezione a Presidente degli Stati Uniti. La ricerca della verità si confonde con la propaganda politica, diventando un’arma nelle mani di entrambe le parti politiche, repubblicani e democratici, che giocano la partita a loro favore.
Partendo da un fatto realmente accaduto, il Rathergate che scoppiò appunto qualche mese prima delle elezioni Presidenziali del 2004, Truth sembra porsi l’ambizioso obbiettivo di raccontare il momento esatto in cui l’informazione, il giornalismo, è stato stravolto completamente dalla violenza diretta e senza controlli della rete, dei blogger, di quel berciare continuo che non lascia tempo all’approfondimento e spaccia per notizie voci, dicerie, soffiate da fonte dubbia.
Ritmi serrati e dialoghi fitti ci accompagnano nella minuziosa ricostruzione di una vicenda storica che ha segnato la fine di Mary Mapes, interpretata da una straordinaria Cate Blanchett e autrice del libro Truth and Duty: The Press, the President, and the Privilege of Power, su cui lo stesso regista ha basato la sceneggiatura. Alla fine dello scandalo mediatico, la Mapes è stata licenziata dalla CBS, dopo 15 anni di lavoro, mentre Dan Rather (Robert Redford) si è ritirato dopo una folgorante a prestigiosa carriera.
Il film si fa portavoce di una parabola drammatica, che viene portata in scena da attori di primo livello tra quali ovviamente spiccano i due protagonisti. Blanchett e Redford regalano due interpretazioni solide e coinvolgenti, affascinando lo spettatore con un carisma fuori dal comune.
L’aspetto umano e la ricerca della verità diventano i veri protagonisti di un finale che, forse in maniera troppo sistematica, porta alla luce il vero significato di quel giornalismo che non c’è più: la curiosità, la voglia di fare domande e di arrivare, appunto, alla verità. Una conquista mutevole e indefinita, che cambia appena si crede di averla afferrata, una condizione che resta paradossalmente tra le più relative delle realtà umane.
Truth è un film solido e classico, che racconta con minuzia, a volte eccessiva, il lavoro del giornalismo d’inchiesta, ma gli restituisce anche la sua nobiltà e il senso di fatica che c’è dietro all’incessante ricerca della verità di chi non si stanca mai di fare le giuste domande.

erman in guerra, sorge qualcosa di nuovo che mette l’umanitá in un pericolo mai conosciuto prima”.

Disney ha già adattato la storia raccontata da Rudyard Kipling in due occasioni. La prima nel 1967, con un film d’animazione diretto da Wolfgang Rethierman, ultimo film prodotto da Walt Disney, che morì durante la produzione. La seconda nel 1994, con un remake live-action diretto da Stephen Sommers.

Diretto da Kevin Reynolds, Risorto ha un approccio elementare e forse proprio per questo genuino, si meraviglia e gioisce degli accadimenti mostrati e si presenta come una confezione televisiva proiettata su grande schermo e destinata a quel pubblico ben disposto, che non si fa troppe domande. La caratterizzazione dei personaggi è perciò canonica, con un cattivo crudele e ottuso, un protagonista che segue una parabola narrativa precisa e prevedibile, dei personaggi di contorno accessori e gli Apostoli e Gesù che rappresentano l’unica nota di curiosa novità nel quadro. Liberi dalla sofferenza con cui il cinema li ha dipinti negli ultimi anni, questi discepoli, insieme al loro cristo risorto, sono gioiosi come bambini, portatori di quella sana allegria che a dire il vero si predica effettivamente dagli altari e che nel film conferisce un tocco, se non di vita, almeno di novità a un quadro decisamente piatto.
Captain America Civil War è diretto da

I quattro Cavalieri tornano per un’altra straordinaria avventura, elevando i limiti delle illusioni da palcoscenico e nuove altezze. Un anno dopo il loro straordinario spettacolo in stile Robin Hood, e dopo aver gabbato l’FBI, i quattro prestigiatori tornano con uno spettacolo di proporzioni enormi, nella speranza di smascherare un magnate della tecnologia.

Diretto da Timur Bekmambetov (“WANTED – SCEGLI IL TUO DESTINO”) e scritto da Keith Clarke (“THE WAY BACK”) e John Ridley (“DODICI ANNI SCHIAVO”), il film si ispira al romanzo epico di Lew Wallace Ben-Hur (Ben-Hur: A Tale of The Christ). I produttori sono Sean Daniel (trilogia de “LA MUMMIA”), Mark Burnett (“SON OF GOD”), Joni Levin (“THE WAY BACK”) e Duncan Henderson (“MASTER & COMMANDER – SFIDA AI CONFINI DEL MARE”). La produzione esecutiva sarà di Roma Downey (“LA BIBBIA”), Keith Clarke, John Ridley e Jason Brown. Le riprese avranno luogo a Roma e a Matera, Italia, l’uscita del film è prevista per il 26 Febbraio 2016.
La giovane regina di ghiaccio grazie alle sue abilità di congelare il nemico ha trascorso decenni in un remoto palazzo a radunare una legione di cacciatori letali, tra cui Eric (Hemsworth) e la guerriera Sara (Chastain), soltanto per scoprire che i suoi prediletti hanno ignorato il suo unico ordine: mai permettere al vostro cuore di cedere all’amore.
Lungo la strada, Mohammed incontrerà la tragedia e proverà la solitudine. Il mondo che lo circonda andrà in frantumi. Nonostante tutto, comunque, Mohammed sa che la sua voce lo libererà dal dolore che lo pervade, e porterà a un popolo senza voce la gioia. Per pagarsi gli studi universitari canta ai matrimoni e guida un taxi. Anche quando l’assedio nel territorio di Gaza si intensifica, e si vive in una situazione sempre più minacciosa, Mohammed sa di avere un dono raro; con la sua voce può far sorridere e dimenticare i problemi e i dolori.
È come prendere un personaggio degli X-Men, imbottirlo di LSD e rispedirlo su schermo.”










