Se c’è qualcuno, in Italia, in grado
di dar corpo alle ombre e agli incubi della ragione umana
attraverso un perfetto connubio tra creatività e scienza, quello è
proprio Sergio Stivaletti, il “mago” degli effetti
speciali e della prostetica, autore delle macabre illusioni di film
come Phenomena di Dario
Argento o Demoni di
Lamberto Bava; quest’ultimo presentato- a distanza
di trent’anni dalla sua prima uscita- al Torino
Comics, convention di tre giorni (dal 17 al 19 Aprile)
durante la quale Stivaletti stesso ha tenuto dei corsi “intensivi”
sugli effetti speciali nella cornice dell’Horror
Fest, festival alla sua prima edizione.
Abbiamo scambiato due parole proprio
con lui, a proposito del suo mestiere, del suo ruolo da artigiano,
del passato del presente e del futuro della sua professione
direttamente dal suo laboratorio.
Allora
Sergio, era il 1985 quando usciva nelle sale italiane
Demoni di Lamberto Bava… che ricordi hai di quel periodo?
Ci puoi raccontare qualche aneddoto “rubato” dal set e soprattutto
che legame hai con la pellicola?
Confesso che
Demoni è il primo film a cui ho
“ufficialmente” preso parte: è stato la mia “tesi di laurea” dopo
il primo banco di prova in Phenomena di
Dario Argento; nella pellicola di Bava bisognava
realizzare una trasformazione complessa inoltrandosi nell’ambito
dell’animatronica vera e propria (utilizzando diversi meccanismi
come il make-up, la scultura, la prostetica etc… NdA) e proprio per
tale motivo avvertivo su di me un senso di “attesa”, di speranza
riposta nelle mie mani, perché ero un giovane che si affacciava per
la prima volta al mondo degli effetti speciali, e Bava- come pure
Argento- avevano una gran fiducia nel mio lavoro e la speranza che
anche in Italia fosse possibile realizzare una sequenza come quella
girata da John Landis in Un Lupo
Mannaro Americano a Londra, uscito nelle sale nel
1981, che aveva rivoluzionato la storia degli effetti speciali
introducendo per la prima volta una trasformazione in una creatura
mostruosa immortalata step by step, inquadratura dopo
inquadratura. Di registi che in Italia avevano osato con gli
effetti speciali nelle loro pellicole ce n’erano già stati molti
fino a quel momento- uno su tutti: Lucio Fulci-ma
qui per la prima volta volevamo sperimentare di più, osare là dove
nessuno aveva provato, realizzare la risposta italiana a
Landis.
Il tuo lavoro sugli
effetti speciali è un classico esempio di artigianato che vive di
trucchi, protesi e scultura: come cambia quindi il loro ruolo
nell’era di oggi, dominata dalla computer grafica e dalle
meraviglie digitali?
Allora, devo partire da una premessa
importante: non sono mai stato un fautore esclusivo dell’uso del
make- up nell’ambito degli effetti speciali- e quindi di un
approccio esclusivamente artigianale all’argomento: ho cominciato a
“fare cinema” negli anni ’70, l’era di Star
Wars e degli incredibili effetti speciali della
computer grafica elaborati da Lucas, destinati a realizzare ciò che
fino a quel momento era considerato impensabile; di conseguenza, i
miei primi approcci con questo mondo hanno coinvolto gli effetti
ottici, poi integrati con l’uso del make- up e con una mia
particolare attenzione alla resa effettiva nella pellicola.
Beh, quindi in effetti
sei stato un pioniere degli effetti speciali in
Italia?
Direi di sì, visto che ho
sperimentato subito gli usi diversi e disparati degli effetti
speciali- declinati in tutte le loro varianti, utilizzando
materiali diversi tra loro- in svariate pellicole, dai film di
Argento (Phenomena, La Sindrome di
Stendhal) come anche nel mio film La
Maschera di Cera.
E oggi? Come vedi il
futuro quindi della tua arte?
Secondo me, oggi la strada migliore
consiste nell’applicare la computer grafica e gli effetti digitale
in generale alla fisica per simulare ed imitare la realtà che ci
circonda, integrandola con i prodigi dei nuovi software. Il fine
sarebbe quello di riuscire ad ingannare lo spettatore, come in una
sorta di gioco di prestigio: gli effetti sono la distrazione che
ammaliano il suo occhio spingendolo allo stupore e alla meraviglia.
Personalmente, sono favorevole all’uso del digitale ma integrandolo
con altro: usarlo da solo perché è più “facile” è un uso sbagliato
e riduttivo delle sue potenzialità, mentre invece usarlo insieme ad
altri effetti combinati con l’artigianato o particolari movimenti
di macchina, oltre a potenziarne l’effetto finale, rendono più
“snello” il lavoro di post produzione riducendo i costi grazie ad
alcuni trucchi ad appannaggio degli addetti ai lavori. Purtroppo,
oggi, troppo spesso questi trucchi stanno cadendo nel dimenticatoio
e la tradizione sta lentamente svanendo, mentre invece bisognerebbe
preservarla proprio per via dell’unicità del concetto di “effetti
speciali”, talmente inaspettati ed innovativi da moltiplicare
all’infinito le possibilità di sperimentazione.
Quest’anno in
occasione del Torino Comics e all’interno della prima edizione
dell’Horror Fest sono stati allestiti degli stand dove terrai dei
corsi pratici proprio sugli effetti speciali: un’iniziativa
strettamente legata anche alla tua scuola, La Fantastic Forge
School a Roma, dove tieni dei corsi e quindi entri costantemente in
contatto con le nuove leve, i tuoi “eredi” in quest’ambito. Cosa
cerchi nei giovani che si preparano ad intraprendere il tuo stesso
percorso?
Al Torino Comics sono stati
allestiti degli stand, anche se purtroppo non ho potuto portare con
me tutti i miei “strumenti” del mestiere visto che sono reduce da
un altro festival! Per esigenze di tempo (la durata di tre giorni,
NdA) non ho potuto approfondire- ovviamente- svariati aspetti che
tendo ad analizzare dettagliatamente, invece, nei corsi della
scuola, ma ho cercato comunque di condensare la mia filosofia: la
tendenza che ho è quella di non insegnare le tecniche standard pre-
confezionate ai miei allievi, piuttosto- ispirandomi
all’insegnamento di grandi maestri americani come Dick Smith ,
Rambaldi, Baker , Wiston, Greg Cannom ed altri- preferisco spiegare
l’uso dei materiali più utili e gli esiti che danno, spingendoli
poi ad imitare liberamente la tecnica che preferiscono- compresa la
mia, basata sulle mie esperienze di vita e sul set- lasciandosi
influenzare dalla realtà stessa, che fornisce sempre spunti molto
interessanti. Cerco di non imporre agli allievi della scuola niente
di particolare, fornendo solo loro gli strumenti per poi lasciar
andare liberamente la loro creatività: l’impianto della mia scuola,
più che seguire quello tradizionale di un’Accademia, segue
piuttosto la struttura- e l’organizzazione- di una bottega dove
l’artigiano insegna praticamente il mestiere a chi vuole impararlo
sul serio.
Ritengo che come caratteristiche
specifiche, in quest’ambito, siano importanti le abilità
personali che sfruttano l’intelligenza, la creatività, la
curiosità- una delle molle più importanti- e l’amore per la
scienza: sembra incredibile, ma il talento artistico da solo non
basta per quanto riguarda gli effetti speciali, bisogna conoscere
la zoologia e l’anatomia comparata per capire i meccanismi di
paura, disgusto, stupore e meraviglia che il prodotto finale
suscita negli spettatori… a tal proposito, mi viene in mente il
lavoro compiuto da Carlo Rambaldi e Hans Ruedi
Giger nella creazione di Alien: per suscitare un senso di
repulsione nel pubblico, si ispirarono alla struttura degli
insetti, in particolare degli scarafaggi. Ciò dimostra come la
natura sia piena di esempi utili dai quali trarre ispirazione,
attraverso le tecniche digitali/ prostetiche/ animatroniche etc.
possiamo studiare questi meccanismi per poi poterli usare. E sempre
a tal proposito, mi torna in mente sempre Rambaldi- che ho avuto la
fortuna di conoscere molto tempo fa- quando si trovò a pensare e
progettare ET: dichiarò di essersi ispirato nella struttura della
sua testa ad un cucciolo di gatto, con gli occhi grandi che
ispiravano tenerezza.
Un’altra scienza che può tornare
utile per chi si occupa di effetti speciali è la fisiognomica:
anche se ormai screditata, serve per conoscere meglio i caratteri
umani e riprodurli.
Ciò che spero di trovare, in futuro,
è la possibilità di ottenere delle nuove soddisfazioni attraverso
la scuola italiana degli effetti speciali, migliorando la qualità
del lavoro attraverso una maggior tranquillità e dei tempi meno
serrati- uniti a dei budget meno limitati- per poter tirare fuori,
al meglio, la creatività di ogni artista.
Spero di non eccedere, se dico che
il mio modello è Leonardo da Vinci: un artista/ artigiano a 360°
capace di esplorare l’arte attraverso la scienza, come cerco di
fare anch’io- nel mio ambito- sia sul set che nei miei corsi.
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