Daniele Ciprì presenta, assieme
al cast, La Buca, la sua opera seconda in
solitaria dopo E’ stato il figlio.
Co-produzione italo – svizzera di Malìa e Imagofilm, distribuita da
Lucky Red, questa commedia grottesca e surreale sull’incontro tra
un truffatore e un ex detenuto (Sergio Castellitto
e Rocco Papaleo) sarà in sala dal 25
settembre.
Ci sono molte citazioni, da
Dino Risi a Tim Burton, aveva pensato a questi autori? Quali omaggi
voluti ha inserito?
Daniele Ciprì:
“Nel raccontare una storia parto da un’idea realistica, ma
navigo in un’evocazione del cinema (non una citazione, ho paura
quando si dice “citare qualcuno”). Sicuramente voglio fare un
viaggio. Col cinema di oggi, da spettatore, non viaggio più, allora
cerco di farlo coi miei film. Non riesco ad immaginare una storia
in un luogo realistico, così lo faccio in un non luogo, o in un
luogo costruito dal mio immaginario. Cerco di rubare dai caratteri
della vita, per poi farli vivere in questo immaginario, ossia
quello che ho vissuto da piccolo col cinema e con le fiabe. La
fiaba fa parte della storia de La buca”.
Sergio Castellitto:
“C’è un gioco di riferimenti. Quando Daniele mi dice: Jack
Lemmon e Walter Matthau, io rispondo: Gassmann e Tognazzi. Il
cinema di Ciprì sta molto bene nell’impianto culturale della
cinefilia. Il passo in avanti fatto con questo film è aver saputo
sporcarsi le mani con qualcosa di più popolare, comico, sanguigno.
Noi (Castellitto e Papaleo ndr) abbiamo recitato qui come
due solidi attori di commedia, per raccontare cose serissime
ridendo”.
La scena nello studio
fotografico vira al bianco e nero, voleva ricordare così il periodo
del lavoro con Maresco?
C.: “Era un riferimento dovuto a
Mel Brooks, che mi ha accompagnato e ho citato volutamente, con un
film che mi era piaciuto molto: Frankenstein
Junior. Il riferimento al mio passato, invece, è in tutto
ciò che faccio, ma Cinico tv era un altro
pianeta”.
Chi sono i vostri
personaggi?
Rocco Papaleo:
“Armando è un personaggio complesso, anche in un certo senso
monotono. Era complicato da raffigurare. L’idea che mi sono fatto è
che sia una specie di angelo che cade dalla prigione, è senza
rancore, questa è la chiave dell’anima di quest’uomo. Non vuole
vendicarsi, né ribaltare il suo ingrato destino. Se ne sta lì, con
un incanto ingiustificato”.
C.: “E’ sempre divertente
interpretare il ruolo del cattivo. Ho abbandonato la mia tradizione
di attore drammatico e questo personaggio mi ha fatto godere il
piacere dello scatenamento fisico. La possibilità di recitare
velocemente, quasi a limite dell’inciampo, era una bella scommessa,
molto atletica. Oscar è un personaggio che cerca di dare una
dignità quasi filosofica alle truffe che organizza, di rendere
letterario il suo essere un manigoldo. La sua filosofia –
estrae una t-shirt e legge la frase che vi è stampata – è che
“un buon avvocato conosce la legge, un grande avvocato conosce il
giudice”, un tema che in Italia mi sembra sia stato percorso molte
volte”.