Otto settimane di lavoro
“intenso, complesso ma anche molto doloroso”: così il
Direttore della 71esima Mostra Cinematografica di Venezia,
Alberto Barbera, definisce il processo di
selezione dei titoli presentati quest’anno alla kermesse del Lido.
Ma, a quanto pare, ne è valsa la pena: “Siamo davvero
soddisfatti del risultato… il programma è vario ed articolato, e
include opere di circa 50 Paesi diversi”.
Sono tante le aspettative e le
speranze suscitate da Barbera e da Paolo Baratta,
alla sua seconda Presidenza della Biennale, nel tentativo di
rinnovare e continuare il prestigio internazionale di un Festival
che vuole anzitutto porsi come manifestazione “d’avanguardia,
rischiando e investendo sui giovani: un Festival che si dimostri al
passo con i tempi e con le sfide della contemporaneità”.
E in effetti, il programma del 2014
è ricco e invitante. Si parte dai titoli in gara, con l’atteso e
già anticipato The Cut del tedesco
Fatih Akin, in cui al dramma del genocidio armeno
si sovrappone una storia famigliare. Sembra promettere bene anche
il lungometraggio di Ramin Bahrani, 99
Homes (la produzione è statunitense), che affronta la
crisi dei mutui bancari americani e la conseguente perdita delle
case. Interessante anche il tema scelto dal regista-sceneggiatore
Andrew Niccol, che in Good Kill,
protagonisti Ethan Hawke e Bruce
Greenwood, racconta l’uso dei droni in ambito
militare.
Quello della guerra si pone, del
resto, come uno dei “fili rossi” che, a detta di Barbera, segnano
questa edizione del Festival – basti pensare al documentario di
Oppenheimer, The look of
silence, fotografia della rivolta anti-comunista in
Indonesia, o al giapponese Nobi
(Fires on the Plain), di
Tsukamoto. David Oelhoffen tratta
la Guerra civile algerina con Loin des
hommes, produzione francese che può contare su una
star del calibro di Viggo Mortensen.
Al Pacino sarà
invece al centro del thriller firmato da David Gordon
Grenn Manglehorn, nei panni di
un anziano fabbro dal passato criminale. Con lui anche
Holly Hunter e Harmony
Corine.
L’Italia fa la sua parte con
Il giovane favoloso di Mario
Martone, un film – Barbera ne è convinto – che “non
deluderà”: se non altro, aggiungiamo noi, per il cast di tutto
rispetto (protagonisti sono Elio Germano, Massimo Popolizio e
Isabella Ragonesi). Altra produzione nostrana è
Anime nere di Francesco
Munzi, tratto dall’omonimo romanzo di Gioacchino
Griaco, parabola esistenziale di tre giovani
dell’Aspromonte e delle vicende che li conducono sulla strada
dell’illegalità.
Grande l’attesa anche per le opere
fuori concorso, una tra tutte She’s funny that
way, regia di Bogdanovich, che
Barbera non esita a definire “un vero e proprio omaggio alle
grandi commedie di Lubitsch. (…) Un film, insomma, come non se ne
fanno più, di una freschezza e comicità straordinarie”. Tra i
protagonisti Owen Wilson, il britannico ed
irresistibile Rhys Ifans, Jennifer Aniston e
Imogen Poots (la biondina tutto pepe di recente
vista nella commedia Non buttiamoci
giù).
Spazio anche per il
genere della serie tv con il progetto voluto, prodotto ed
interpretato da Frances McDormand – titolo
Olive Gutteridge. Qui, afferma Barbera,
assistiamo ad un cinema “puro, classico, con grandi attori” (a
fianco della McDormand ci sono nientemeno che
Bill Murray e Richard Jenkins):
del resto, le tv series sono oggi “la nuova frontiera della
narrazione”, ed ormai il cinema americano sembra averne preso
atto.
L’Italia predilige invece lo
spaccato storico/politico/sociale, con La zuppa del
demonio di Davide Ferrario, ritratto
del sogno dell’industrializzazione dagli inizi del XX secolo agli
anni 70, e con l’attesissimo La
trattativa – a detta di Barbera, il film “più bello,
anche dal punto di vista formale” di Sabina
Guzzanti, incentrato sull’annosa e tuttora irrisolta
questione della trattativa Stato-mafia.
Originale l’idea che ha ispirato il
documentario di Salvatores, Italy in a
day – Un giorno da italiani, racconto di una giornata
di fine ottobre 2013 attraverso i 45000 filmati amatoriali
realizzati dagli italiani attraverso smartphone, telecamere o
fotocamere. Una selezione che, ovviamente, ha richiesto un enorme
lavoro di montaggio, sapientemente coordinato da Massimo
Fiocchi e Chiara Grizotti.
E poi c’è Orizzonti, una volta mera
“sezione laterale” della kermesse veneziana, ora finalmente resa
competitiva e in grado di tenere testa alla sezione In concorso – e
Barbera non esita a definirla “l’altra faccia del
Festival”. Film d’apertura sarà The
President, di Moshen Makhmalbaf,
sorta di apologo politico sulla caduta dei dittatori che riflette
sulla caducità del potere. Segnalato l’esordio alla produzione di
Pierfrancesco Favino,
protagonista di Senza nessuna pietà di
Michele Alhaique, e La vita
oscena firmato da Renato De Maria.
Per il filone letterario ci sarà Michael Almereyda
con il suo Cymbeline, che partendo da
Shakespeare dà vita ad un dramma moderno sul commercio della droga
nel Bronx (protagonisti la Jovovich e Ed
Harris).
Il problema della droga viene
inoltre trattato nell’opera prima dei fratelli Josh e Ben
Sadfie, che firmano Heaven Knows
What. E infine, Barbera strizza l’occhio alla
questione dei tempi “biblici” dei nostri processi quando,
introducendo il film Court sulla lentezza
della giustizia in India, afferma ridendo: “Ecco, forse così
non ci sentiremo più tanto soli”.
Insomma, quest’anno ce ne sarà per
tutti i gusti: dalla politica alla Guerra, dalla commedia
sofisticata alle problematiche sociali. Il film “del cuore” che
Barbera non ha potuto inserire nella sua (lunga) lista di titoli?
Il Direttore del Festival non sembra avere troppi dubbi: “E’
quello di Olmi. Ermanno ci sta ancora lavorando, non sappiamo in
realtà quando sarà finito. Ad ogni modo, ha già annunciato che il
film vuole essere una ‘testimonianza del dramma della Guerra, un
invito alla riflessione su questa tragedia’, e non vuole che sia
inserito e visto in un contesto cinematografico come quello di un
Festival”.