Presentato in anteprima alla
70° Mostra del Cinema di Venezia dove non ha
mancato di suscitare polemiche e critiche contrastanti,
Under the Skin si presenta come un
film
particolarissimo e fortemente stratificato da numerosi simbolismi
narrativi che trasudano a fatica da ogni fotogramma, dando vita a
sentimenti contrastanti e qualche perplessità. Jonathan
Blazer, ritornando al tema prediletto del viaggio
esistenziale e psicologico già sapientemente trattato in
Birth, decide di raccontare con estremo
garbo e visionarietà una storia grottesca e a tratti forse troppo
eccentrica, partendo dall’omonimo romanzo di Michel
Glazer da cui però viene completamente snaturata ogni
venatura fantascientifica e satirica, lasciando esposto un
involucro a metà strada fra il road-movie e le visioni
allucinogene degne dei maestri surrealisti.
In Under the
Skin in un’anonima cittadina scozzese, un misterioso
motociclista trova il cadavere di una ragazza. L’uomo trasporta il
corpo su un’astronave dove una giovane aliena decide di assumerne
le sembianze e di scendere sulla Terra, usando il proprio fascino
per adescare prede maschili da cui trarre il nutrimento per la
propria razza.
Under the Skin, Una storia di
estremo garbo visionario

Dopo un incipit stordente che
richiama le atmosfere psichedeliche e spaziali di
Kubrick, la pellicola si presenta
narrativamente e stilisticamente divisa su due livelli: nel primo
assistiamo al vagabondare della protagonista per le strade scozzesi
a bordo di una macchina con inquadrature fisse che simulano una
ripresa a circuito chiuso e dove i dialoghi appaiono come un certo
cinema verité sul modello del free cinema
inglese. Il secondo livello dà libero sfogo alle fantasie
visionarie più sfrenate, presentandoci la cattura delle malcapitate
prede come la sessione di un incubo, una stanza nera in cui corpi
nudi e crudi vengono letteralmente assorbiti in un mare invisibile,
come un ragno che cattura la sua preda dopo averla ipnotizzata,
prede di cui rimane per l’appunto soltanto la pelle, un involucro
esterno. Pelle simbolo dell’esteriorità, così come testimonia
l’incontro fra l’aliena di sinuose sembianze e un giovane
sfigurato, con il corpo come grande protagonista, mostrato però
come merce in vendita e non come oggetto del desiderio.
Un viaggio narcotico che lascia nella mente una sensazione
disturbante difficile da scacciare.
Scarlett
Johansson regge praticamente da sola ogni singola
inquadratura, giocando sulla scarsità dei dialoghi e sulla
sinuosità della sua fisionomia, offerta generosamente in ogni suo
aspetto, rappresentando l’innocenza e l’intimità di cui ognuno di
noi ha vergogna. Le musiche stranianti di Mica
Levi creano atmosfere oniriche e disturbanti, mentre la
scelta registica operata da Glazer di un forte minimalismo forse
costituisce il punto debole di questo prodotto al di fuori dei
normali canoni, una scelta che finisce per ridurre troppo la
complessità satirica politico-sociale del testo originale lasciando
alla fine una scorza di approssimazione difficilmente digeribile.
Un prodotto particolare e per nulla autococlusivo, un viaggio
narcotico che lascia nella mente una sensazione disturbante
difficile da scacciare.