Cujo è un film del
1983 diretto da Lewis Teague e con protagonisti
nel cast Dee Wallace, Daniel Pintauro, Daniel Hugh
Kelly e Ed Lauter.
Cujo, la trama
Nella ridente località di Castle
Rock nel Maine, (dove Stephen King ha ambientato tanti dei suoi
romanzi) un sanbernardo, proverbiale simbolo di mansuetudine
canina, contrae la rabbia e si trasforma in una scatenata
macchina di terrore e morte.
Dopo aver lasciato dietro di sé una
lunga scia di sangue, se la prenderà con una giovane donna e il suo
piccolo figlio che, chiusi in macchina, in un luogo isolato,
diverranno vittime di un autentico assedio da parte della bestia
scatenata, fino all’epilogo, in cui la madre prenderà coraggio,
affrontandola direttamente.
L’analisi del film
Tra gli adattamenti dei romanzi di
Stephen King, Cujo è
uno dei meno riusciti, finito presto nel dimenticatoio, abbastanza
meritatamente. Un film in parte sfortunato, destinato a fare la
fine del vaso di coccio trai vasi di ferro, la sua uscita
‘incastrata’ tra quelle di La zona morta e Christine, anch’essi targati 1983 e
firmati rispettivamente da David Cronenberg e John
Carpenter. A dirigere le danze in questo caso è
Lewis Teague, del quale non si ricordano altre
opere degne di nota, a parte forse il film a episodi L’occhio del gatto, altro adattamento minore dai
racconti di King.
Dee Wallace è la
protagonista, nel ruolo della madre: all’epoca l’attrice era reduce
da E.T., anche in quel caso nel ruolo di una
madre, alle prese con un più innocuo alieno; assieme a lei nel cast
il marito Christopher Stone; più noti
Daniel Hugh Kelly (in seguito protagonista della
serie tv Hardcastle and McCormick, nel ruolo di
quest’ultimo) e soprattutto Ed Lauter, storico
caratterista hollywoodiano con innumerevoli apparizioni al suo
attivo: quella in The Artist è stata una delle ultime, prima
della scomparsa.
Al di là delle prove, di certo non
strabilianti, offerte dagli attori, il film trova il suo limite
principale nell’obbiettiva difficoltà dell’adattamento
dell’originale: il libro di King era un meccanismo perfetto,
giocato sulla costruzione della concatenazione di eventi che
avrebbe portato una donna e suo figlio nell’improbabile situazione
di trovarsi asserragliati in un auto sotto attacco da parte di un
sanbernardo rabbioso; nel passaggio sul grande schermo, gran parte
dell’efficacia della storia si perde, a causa dei necessari
rimaneggiamenti, tagli, sunti… il tutto finisce per essere una
catena di uccisioni da parte del cane, che diviene una sorta di
nemesi, nello stile di prodotti come Venerdì
13 e simili.
Se poi ai già pesanti interventi
sul materiale di partenza, si aggiunge il totale stravolgimento del
finale, reso molto più rassicurante rispetto all’autentico pugno
nello stomaco dell’originale, la mediocrità dell’esito appare
scontata. Nonostante tutto il film ha goduto di un successo
breve ma intenso al botteghino, con incassi che arrivarono quasi a
triplicare il budget di partenza.
Christine – La macchina
infernale è il film del 1982 diretto da John
Carpenter con Keith Gordon, John Stockwell,
Alexandra Paul, Robert Prosky, Harry Dean Stanton, Kelly
Preston.
La trama di Christine – La macchina
infernale
Nella classica cittadina della
provincia americana, il giovane Arnie fugge dai bulli e dalle
tensioni tipiche dell’adolescenza dedicandosi anima e corpo a
rimettere in sesto un’auto d’epoca: l’innocente hobby si
trasformerà ben presto in un’ossessione, assumendo poi contorni da
incubo quando l’auto, animata da vita propria, comincerà ad
eliminare tutti coloro che hanno infastidito il protagonista,
prendendosela anche con la fidanzata di quest’ultimo, vista come
una pericolosa rivale…
Anno d’oro, il 1983, per i cinefili
appassionati di Stephen King: a breve distanza l’uno
dall’altro escono Cujo,
La zona morta e
Christine, confermando lo
status dello scrittore del Maine quale
blockbuster non solo per l’editoria, ma anche per il grande
schermo; portare al cinema i suoi lavori è diventata una
sorta di ‘sfida registica’ per la quale c’è la fila; così, dopo
Brian De Palma con Carrie, il controverso adattamento di
Shining firmato da Stenlay
Kubrick e David Cronenberg con la sua
traduzione de La Zona Morta, è la volta di John
Carpenter, che qui si occupa anche delle musiche,
come al solito.
L’esito, non straordinario, è
comunque convincente: rispettoso, pur se con le tipiche ‘libertà
narrative’, del romanzo originale, Carpenter imbastisce un film con
una sana dose di pathos e un buon ritmo. Cast pieno di giovani
semiesordienti, trai quali però la sola Alexandra
Paul (nel film la fidanzata del protagonista) avrà in
seguito una certa notorietà, diventando uno dei volti fissi della
serie “Baywatch”; il protagonista Keith Gordon
(già visto nel Lo squalo II e
All That Jazz), si è poi fatto apprezzare
come regista sia al cinema (The singing
detective) che in tv (soprattutto in Dexter), mentre il suo migliore amico, John
Stockwell, si è alternato tra regia e recitazione, anche
se senza particolari ‘acuti’. Assieme a loro, va almeno
ricordata la presenza di Harry Dean Stanton e di
Kelly Preston, in seguito ‘signora Travolta’.
La protagonista del film è pero
come nel libro, la vettura e in effetti gli episodi più
coinvolgenti del film, sono quelli in cui l’auto procede ai propri
atti vendicativi, nonché le sequenze in cui si ‘autoripara’, frutto
di effetti speciali oggi del tutto superati, ma efficacissimi
all’epoca. Pur se privo di elementi indimenticabili, a partire
delle interpretazioni, spesso e volentieri abbastanza, impacciata,
Christine – La macchina infernale finisce per
essere comunque un film discreto, caratterizzato da un
riuscito equilibrio di tutte le componenti; un adattamento
non memorabile, ma capace di rendere bene le atmosfere
in chiaroscuro degli ambienti scolastici ed adolescenziali. Accolto
con discreto favore da critica e pubblico, non è comunque riuscito
a sfondare al botteghino come altre trasposizioni dei libri di
King.
Brivido è il film del 1986 diretto da
Stephen King con protagonisti Emilio Estevez,
Pat Hingle, Yeardley Smith.
La trama di Brivido
Quando la Terra si trova nella scia
di una cometa, si verifica una ribellione di massa da parte
di qualsiasi meccanismo creato dall’uomo, dagli elettrodomestici da
cucina agli aerei (con la notabile eccezione delle auto);
seguiamo così le vicende di un variegato gruppo di personaggi, che
dopo essersi rifugiati in una stazione di servizio, partiranno alla
ricerca di una via di fuga.
Re Mida dei cui successi letterari si da al cinema
E’ il 1986, e
Stephen King è all’apice della notorietà, un Re
Mida i cui successi letterari si replicano puntualmente quando
portati sul grande schermo; tuttavia anche i più grandi prima
o poi prendono una cantonata, e per King questo momento arriva
quando ha la malaugurata idea di accettare la proposta di mettersi
egli stesso dietro la macchina da presa, per adattare, ampliandolo,
il racconto Trucks (in italiano Camion, inserito nella raccolta
A volte ritornano).
Il film partirebbe anche bene: la
parte iniziale ci mostra di volta in volta vari episodi della
rivolta delle macchine contro gli umani, non senza trovate ironiche
anche divertenti (in apertura c’è un cameo dello stesso King, nel
ruolo del cliente di uno sportello bancomat che viene riempito di
insulti dalla macchina) ; tuttavia, quando si passa ai personaggi
in carne ed ossa, King mostra di non saper bene dove portare il
film, che diventa una scialba variazione sul tema del gruppo di
persone che cercano di sopravvivere alla minaccia incombente. La
storia mostra poi una serie di incongruenze, a partire dal dubbio
irrisolto: “perché i camion si e le auto no?”, mentre una
postilla finale ribalta completamente le premesse del film,
aggiungendo confusione più che spiegare.
Scarso il contributo offerto dal
cast: Emilio Estevez, dopo i discreti corali
Breakfast Club e I fuochi
di Sant’Elmo, si trova a dover reggere quasi da solo
un’opera mediocre, non avendone il carisma; il ruolo del tipico
cattivo ‘kinghiano’ disposto a tutto pur di trarre benefici anche
dalle situazioni più disperate è affidato allo storico caratterista
Pat Hingle, la cui esperienza non basta però a
salvare il film; degna di nota la presenza di Yeardley
Smith, in seguito divenuta la voce originale di Lisa
Simpson.
Il disastro è completato da una
serie di incidenti che finisce per gettare una luce sinistra sul
progetto, culminata con quello occorso al direttore della
fotografia, l’italiano Armando Nannuzzi, che ci
rimise un occhio; da dimenticare anche l’aspetto commerciale, con
gli incassi rimasti ben al di sotto dei costi. Unica vera nota
positiva del film, l’eccellente colonna sonora firmata AC/DC.
Visto oggi
Brivido (inspiegabile traduzione
italiana, dell’originale Maximum
Overdrive), come all’epoca, strappa
risate più che a impaurire, un fantasma pronto ad animare le sue
notti insonni di
Stephen King, indicato solo ai fan dello
scrittore.
Anno: 1985
Regia: Dan O’Bannon Cast: Clu
Gulager, James Caren, Don Calfa, Thorn Mathews, Beverly Randolph,
Linnea Quigley
Trama: Il giovane
Freddy è al primo giorno di lavoro per una società che si occupa di
raccogliere e distribuire cadaveri a scopo di studio ed esperimenti
per università e ricerche scientifiche; qui, il responsabile del
magazzino gli racconta una strana storia, secondo cui la vicenda
raccontata nel film La notte dei morti viventi nasceva da una
storia vera, e che alcuni di quei cadaveri ambulanti sono stati
ibernati e immagazzinati lì… un incidente finirà per rimettere in
circolazione gli zombie, liberando inoltre un gas, che ricadendo a
terra assieme alla pioggia, ne farà risuscitare altri, nel vicino
cimitero. A farne le spese sarà un gruppo di punk, riunitisi lì per
un festino a base di musica e sesso.
Analisi: Nella
lunga e fertile storia dei film dedicati ai cadaveri
ambulanti, Il Ritorno dei Morti
Viventi si ritaglia uno spazio particolare: un
prodotto che omaggia il genere, senza troppe pretese, ma premendo
spesso e volentieri il pedale dell’ironia. La regia, per cui era
inizialmente previsto Tobe Hooper, passa poi ad un
navigato mestierante come Dan O’Bannon,
collaboratore di Carpenter ai tempi Dark Star, con una
partecipazione agli effetti speciali di Guerre Stellari e alla
sceneggiatura tra gli altri di Alien e
Atto di Forza.
Il cast è composto di attori di seconda fila,
che appartengono alla folta schiera dei caratteristi per cinema e
tv, tutti con svariate apparizioni all’attivo: tra questi,
Clu Gulager, Don Calfa, James Caren; a farsi
notare più di tutti è però Linna Quigley, reginetta dell’horror di
serie B a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, qui tra l’altro
protagonista di un memorabile spogliarello tra le lapidi del
cimitero.
Il film, che conta su effetti
speciali e make up più che discreti, considerando il budget a
disposizione, introduce alcune novità che forse snaturano un po’ i
cardini del genere: i corpi ad esempio continuano a muoversi anche
dopo la decapitazione e, forse per la prima volta, i cadaveri
riescono ad esprimersi in un linguaggio comprensibile, oltre ad
essere affamati, più che di generica carne umana, di cervelli.
Menzione d’onore per una colonna
sonora di prim’ordine, infarcita di brani garage punk di band come
Cramps, Damned e 45 Grave e che può contare anche sulla presenza di
Rocky Erickson, fondatore degli psichedelici 13th
Floor Elevator.
Il Ritorno dei Morti
Viventi godè di un buon successo in patria,
ricevendo discreti apprezzamenti anche dalla critica, tanto da
generarne due sequel, che peraltro con l’originale hanno avuto ben
poco a che fare, destinati esclusivamente al mercato dell’home
video; in Italia passò invece quasi del tutto inosservato,
uscendo come riempitivo estivo, oltretutto vietato ai minori di 18
anni. Un gioellino da recuperare, anche se solo per i cultori
del genere.
Ancora una volta le ultime ore
dell’anno vengono spese a fare conti e classifiche, a selezionare
film, a scartare l’uno piuttosto che l’altro, a rinuciare
irrimediabilmente a sceglie in alcune occasione e preferire la
democrazia del pari merito. Anche quest’anno, inaspettatamente, la
classifica è stata difficile da stilare, perchè i bei film, diluiti
in 12 mesi, sembrano davvero pochi, ma concentrati in sole 10
posizioni, diventano decisamente troppi.
La classifiche, così come i voti,
non sono cose che amo molto, anche se si confermano operazioni
quasi ludico-ricreative, nonostante il “dolore” connaturato alla
scelta. Ecco di seguito la mia top 10 dell’anno appena trascorso,
che comprende solo titoli distribuiti qui in Italia.
10- Pari merito tra Questione di
Tempo e Before
Midnight. Il primo è una piacevolissima conferma
del talento di Richard Curtis, che si conferma un
vero e proprio cardiologo del grande schermo: ci guarda in faccia,
ci fa ridere, e poi piano piano ci entra nel cuore con i suoi
adorabili e strampalati personaggi, per rimanere lì per sempre.
Before Midnight merita di stare in
classifica anche solo perchè è la “conclusione” di una storia
sospesa che è cominciata 18 anni fa e che ci fa credere quanto il
vero sentimento d’amore sia non solo difficile da vivere, ma anche
da raccontare in maniera realistica e profonda: Jesse e Celine ci
sono riusciti, ancora una volta, e noi spettatori li
ringraziamo.
9- Philomena.
Quando Judi Dench riempie l’inquadratura,
l’equilibrio è perfetto; quando la sua Philomena sorride o versa
una piccola lacrima, con lei piange e ride ogni singolo spettatore.
Quando la regia precisa, la sceneggiatura brillante, la storia
potente concorrono a realizzare il film inaspettato, il cinema si
rivela.
8- Cloud
Atlas. I fratelli
Wachowski hanno creato un universo, una teoria, partendo
da un romanzo complicato e bellissimo, come una rivelazione. Allo
stesso modo il loro film si dischiude davanti agli occhi dello
spettatore, divenendo rivelazione e raccontando di una vita e di
tutte le altre vite che in essa si compiono e si ripropongono.
Tutto realizzato secondo i dettami della meraviglia visiva e
registica.
7- Stoker. Una
grande diva che si fronteggia con una piccola creatura fragile,
Kidman vs Wasikowska in un confronto
paradossalmente ad armi pari in cui la piccola Mia
dimostra una potenza e una violenza insospettate. Il dramma
psicologico travestito da film horror fa di questa incursione
americana di Chan-wook Park un film magnetico, che
emoziona e atterrisce allo stesso tempo, regalando momenti di pure
suspance e di puro gusto ritmico e registico, scandito dal silenzio
assordante dopo un colpo di fucile.
6- Lincoln. Un
trattato di politica dall’uomo più retto e nobile che la storia
americana ricordi, un capolavoro tecnico in cui la luce si fa
personaggio e racconta, un attore (Daniel
Day-Lewis) che sembra spingersi oltre l’umanamente
possibile, finalmente uno Spielberg ritornato
coraggioso alle prese con una storia che non si spaventa nel
mettere a nudo il lato meno nobile della leggenda e lo fa con un
tono dimesso, che diventa epico in una corsa contro il tempo che ha
segnato per sempre la storia dell’umanità.
5- Rush. Ogni
leggenda ha un’origine, e Ron Howard ci ha
raccontato quella di Lauda/Hunt come solo il grande narratore sa
fare. Grazie a due grandi interpreti, a una storia incredibilmente
vera, a una regia attenta ed equilibrata, a una fotografia
luccicante il regista ci ha trasportati indietro nel tempo e ha
realizzato un incontro tra il pubblico e il privato, tra la vicenda
nota e quella meno nota, riportando in vita una grande storia e
regalando alla settima arte un altro tassello importante.
4- Re della Terra
Selvaggia. Il gioiello inaspettato che si trova
nel fango, l’energia della giovinezza e della creatività, la forza
espressiva di un piccolo corpicino fragile alle prese con la
potenza devastante della natura, un ritratto realistico e allo
stesso tempo estremamente poetico di un mondo che sembra non avere
tempo e spazio, attraverso gli occhi innocenti e feroci di una
bambina di otto anni.
3- Noi Siamo
Infinito. Il film che non ti aspetti, la storia
giusta e perfettamente raccontata, un cast di giovani in cui
Logan Lerman e Ezra Miller
brillano come due fulgidi diamanti. Il profondo tatto nel
raccontare il trauma senza ipocrisia, l’indescrivibile poesia della
corsa sotto al tunnel, la voglia di ritornare adolescenti per
sentirsi, ancora una volta, infelici ma invincibili, ancora una
volta, infinito.
2- La vita di
Adele. Quando un film racconta l’urgenza, la
fame, la passione, la curiosità, la normalità allora, racconta la
vita. Adele è tutti noi che ci approcciamo con genuinità al nuovo,
che ci facciamo pervadere dall’emozione, che senza paura
affrontiamo la sofferenza, anche quella più nera, per poi scendere
a patti con la vita. Adele resta con noi, in noi, alla fine del
film, quando i lunghi minuti del racconto si sono esauriti, quando,
nonostante tutto, vorremmo sapere ancora altro di lei, e forse, di
noi.
1- Gravity.
L’universo ingoto, l’oscurità dello spazio profondo, la tristezza
di un animo spezzato, la solitudine. Lo straordinariamente grande
che coincide con l’incommensurabilmente piccolo in una ricerca
della salvezza che passa per una ricerca interiore in cui l’uomo
viene messo alla prova rispetto alle proprie paure.
Gravity ci mette di fronte ad un’opera
perfetta, in cui ogni momento, ogni battito, ogni respiro, ogni
silenzio è fondamentale, in cui lo spettatore si perde, si ritrova
e alla fine in cui annega.
Con grande fatica, da parte mia,
sono rimasti fuori da questa (riduttiva) lista film magnifici, film
che non ho avuto la possibilità di vedere, film che ho amato
profondamente ma che non hanno scalato la vetta. E’ difficile
decretare quale sia il film dell’anno, così come è difficile
scegliere un film preferito in assoluto, nonostante questo ci ho
provato e spero che il risultato non vi dispiaccia.
Da poco meno di una settimana in
programmazione nelle sale americane, l’esordio c’è stato lo scorso
25 dicembre, The Wolf of Wall
Street, ultima fatica dell’ormai consolidato
duo Marin Scorsese–Leonardo Di
Caprio, torna a mostrarsi in due nuovi video che non si
limitano a farci assaporare le atmosfere della pellicola, ma ne
approfondiscono le tematiche attraverso i commenti del regista e
del cast.
Nel primo video, che troverete dopo
il salto, viene sottolineata l’importanza dell’umorismo che la
pellicola trasuda ed è delineata la figura di Jordan Belfort che,
secondo Di Caprio, altro non è che la sincera
espressione di una Wall Street paragonabile al Far
West.
Nel secondo video, invece, il cast
e Scorsese si concentrano sul ruolo
di Leonardo Di Caprio e sul personaggio da
lui interpretato:
Questa la trama del film: Jordan
Belfort, uno dei broker di maggior successo nella storia di Wall
Street, viene condannato a 20 mesi di carcere dopo aver rifiutato
di collaborare alle indagini su di un massiccio caso di frode atto
a svelare la diffusa corruzione vigente negli anni ’90 a Wall
Street e nel mondo bancario americano. Il film è l’adattamento
cinematografico dell’omonimo libro autobiografico di Jordan
Belfort. La pellicola segna la quinta collaborazione tra Martin Scorsese e
Leonardo DiCaprio.
Già giunto nei cinema americani lo
scorso 20 dicembre, Saving Mr.
Banks, film prodotto
dalla Disney, diretto da John
Lee Hancock ed interpretato da
Tom Hanksed Emma
Thompson, arriverà nelle sale cinematografiche del nostro
paese non prima del 20 febbraio 2014.
A rendere meno dura l’attesa per
coloro i quali amarono il sempreverde
classico Mary Poppins ci ha
pensato la rivista Variety che, in
esclusiva, ha pubblicato, attraverso il proprio canale
youtube, un video che ne svela il dietro le quinte.
Come molti sapranno,
Saving Mr Banks porterà sul grande
schermo la storica “guerra” tra il patron Walt
Disney (Tom Hanks) e la
scrittrice Pamela Lyndon
Travers (Emma Thompson) che si
protrasse nel corso della realizzazione di quella che, vincitrice
di 5 premi Oscar, fu la pellicola di maggior successo del
colosso americano: MaryPoppins.
Qui di seguito vi proponiamo il
filmato in questione:
Saving Mr.
Banks con protagonista
Tom Hanksnei panni di Walt
Disney, diretto da John Lee Hancock (The Blind
Side, Alamo-Gli Ultimi eroi) e scritto da Kelly
Marcel e Sue Smith.
Il film narra la storia dei
problemi affrontati da Walt Disney – per ben 14 anni – per portare
sullo schermo il romanzo di Pamela L. Travers,
Mary Poppins, e della difficoltà nel convincere l’autrice a cederne
i diritti. Saving Mr.
Banks segue la realizzazione di questo classico, in
fase di sviluppo, lavorazione e uscita. Mary Poppins, coi suoi 5
Oscar e lo stratosferico successo di pubblico, sarebbe poi
diventato uno dei fiori all’occhiello della Disney. Nonostante
questo, la bisbetica Travers odiò la pellicola, incluse le
straordinarie sequenze animate. Del cast fanno parte, oltre a
Tom Hanks,
Emma Thompso,
Colin Farrell, Bradley Whitford, Jason Schwartzman
e Paul
Giamatti. La release statunitense è fissata per il 20
dicembre 2013. Inoltre, qualora non l’abbiate fatto, vi consigliamo
di dare uno sguardo al trailer italiano
di Saving MrBanks.
Barry Lyndon è un
film del 1975 del regista culto Stanley
Kubrick con nel cast protagonisti Ryan
O’Neall, Gay Hamilton, Marisa Berenson.
Barry Lyndon la
trama
Irlanda, metà
‘700. Il giovane ed ingenuo Redmond Barry (Ryan
O’Neall) è da sempre innamorato della cugina, Mrs. Nora
Brady (Gay Hamilton), la quale invece cerca da
tempo un buon marito in grado di garantire a lei e alla sua
famiglia un futuro agiato e sicuro. L’occasione propizia
sembra giunta con l’arrivo di un borioso capitano inglese, il
quale inizia subito a corteggiarla con la promessa di un’ottima
rendita.
Redmond non accetta il decorrere
degli eventi e offende il rivale in amore tanto da rendere
necessario un duello. Credendo di aver ucciso il capitano, a
Redmond è consigliata la fuga per evitare la forca; gli eventi si
accavallano ininterrottamente, un sali e scendi della sorte che lo
farà arruolare nell’esercito, partecipare alla guerra dei sette
anni, prima con la divisa inglese quindi con quella prussiana. Sarà
una spia agli ordini del Kaiser quindi il braccio destro di un
furbo baro d’alto borgo che gli insegnerà tutto dell’alta
società.
Riuscirà a sposare una nobildonna,
Lady Lyndon (Marisa Berenson), e avvicinarsi al
suo sogno di una vita: diventare un lord e avere un titolo
nobiliare. Ma per Barry, come detto, la vita è un continuo
alternarsi di fortune e sventure e non tutto, alla fine,
quadrerà.
Barry Lyndon, il film
in costume di Stanley Kubrick
Analisi: Barry
Lyndon è l’unico film in costume prodotto e diretto da
Stanley Kubrick e a differenza che in
Spartacus, qui il regista ha avuto, come
suo solito, completa libertà d’azione. Girato nell’ormai lontano
1975, Barry Lyndon rappresenta ancora oggi
una delle opere cinematografiche più mirabili e straordinarie a
livello di rappresentazione scenografica di un periodo storico
lontano. Una testimonianza visiva del XVIII secolo senza pari per
fedeltà e precisione di particolari, spesso utilizzata da storici e
studiosi del periodo in questione.
Dopo la solita
lunga ed estenuante ricerca bibliografica durata anni, Kubrick
trovò finalmente nel romanzo Le memorie di Barry
Lyndon di William Makepeace Tacheray
il soggetto ideale per realizzare quel film ambientato nel ‘700 che
da una vita bramava. Un film lungo e didascalico, che spesso assume
una lentezza voluta e non facilmente comprensibile ma che
rispecchia l’intento del regista di voler mantenere un ritmo
sommesso e adatto ad una fotografia di straordinaria staticità,
immagini e sequenze che assumono l’aspetto di opere d’arte.
Gli Oscar alla scenografia e alla
fotografia conferiti al film l’anno successivo, sono il
meritatissimo premio ad un lavoro certosino maniacale e di una
competenza inaudita a cui tutti, sarti, fotografi e tecnici,
dovettero sottostare per soddisfare l’esigenza di perfezione del
maestro. Costumi disegnati ricopiando i modelli direttamente dai
quadri d’epoca, esterni selezionati in base all’osservazione dei
capolavori dei grandi paesaggisti inglesi ed una fotografia
impreziosita dall’utilizzo esclusivo di luci naturali…anche in
notturna, dove ci si avvaleva solo di candele e candelabri vari e
ben disposti. Per poter riprendere con una luce così bassa e tenue,
la ditta Zeiss mise a disposizione degli obbiettivi particolari che
aveva appena progettato per la NASA.
Barry Lyndon recensione del film di
Stanley Kubrick
Al
di là dei meriti tecnici, Barry Lyndon è un
film che propone varie tematiche, alcune anche molto attuali.
Quella di Redmond è una storia asimmetrica racchiusa in una lunga
parabola che gli farà conoscere grandi fortune in mezzo ad un
inizio ed una fine tragica. L’arrivismo sociale del protagonista e
dell’anziana madre sono debolezze comuni e molto diffuse anche
nella società moderna; nel film l’inesorabile quanto rapida scalata
sociale del giovane ed innocente ragazzo di campagna cammina a
braccetto con il suo imbruttimento morale, con la sua degenerazione
spirituale.
Kubrick rimase
convinto sempre della scelta di O’Neal nel ruolo del protagonista
certo delle sue qualità, poco espresse nei suoi film precedenti
(Love Story per citarne uno); noi troviamo
l’interpretazione di Ryan alquanto piatta e monocorde, non
particolarmente espressiva. Nonostante questo e nonostante i suoi
difetti e le sue mancanze, lo spettatore, in genere, si affeziona
al personaggio di Redmond forse perché lo trova tanto umano, sia
nel bene che nel male.
Barry
Lyndon, film che non trovò un immediato riscontro di
critica e pubblico, è un film non facile, un film da osservare
oltre che guardare ed ascoltare, ammirare prima che interpretare, e
forse solo dopo essere entrati nel mondo tanto perfettamente
ricreato dal maestro, si potrà instaurare quel rapporto di intimità
con i personaggi che vi farà apprezzare il tutto nella sua
magnifica completezza.
I sette fratelli
Cervi è il film del 1968 di Gianni
Puccini con protagonisti nel cast Gian
Maria Volonté, Don Backy, Riccardo Cucciolla, Renzo Montagnani,
Carla Gravina, Serge Reggiani, Lisa Gastoni.
La trama di I sette fratelli Cervi
In I sette fratelli Cervi
Campegine, Reggio Emilia, 1943. Aldo, Agostino, Gelindo, Antenore,
Ettore, Ferdinando e Ovidio sono i sette figli di Alcide e
Genoveffa Cervi, una fiera ed unitissima famiglia contadina che da
sempre affronta con dignità e orgoglio la dura vita da fittavoli.
Fermamente cattolici, i sette ragazzi sono altresì da sempre
avversi ai soprusi, alla guerra…al fascismo. Quando Aldo, il più
carismatico ed istruito tra loro, allaccia un collegamento con il
movimento partigiano attraverso la bella attrice Lucia Sarzi, i
sette fratelli Cervi iniziano la “loro” battaglia contro tedeschi e
fascisti. Costretti, ormai da mesi, alla macchia sui monti,
torneranno per un ultima volta presso il casolare paterno dove
cadranno in un’imboscata improvvisa. Condotti nelle carceri di
Reggio Emilia non avranno il tempo di domandarsi quale futuro
attendersi che per loro già si è deciso il più terribile degli
epiloghi.
I sette fratelli
Cervi è un film di Gianni Puccini del
1968 basato sulla celebre quanto purtroppo vera, verissima storia
di sette fratelli partigiani fucilati, uno accanto all’altro, in un
freddo mattino del 28 dicembre del 1943.
Se per stendere il soggetto
Gianni Puccini si è avvalso della collaborazione
di Bruno Baratti, la sceneggiatura è stata
impreziosita dalla penna “magica” di Cesare
Zavattini, vecchio ed inseparabile braccio destro del De
Sica “neorealista” del decennio precedente. I sette
fratelli Cervi è un film che vuole, primariamente,
raccontare e rendere omaggio a questi giovani martiri nella lotta
per la libertà entrati da subito nell’immaginario collettivo come
simbolo delle vittime della barbarie nazi-fascista.
Considerato anche l’anno “caldo”
nel quale il film venne girato, possiamo arguire che i partiti di
sinistra, soprattutto quella più anti-governativa, vollero
utilizzare il film come strumento di propaganda politica e di
lotta, una testimonianza visiva ed efficacissima per risvegliare
antichi e sopiti sentimenti anti-fascisti.
I sette fratelli
Cervi di Puccini può in parte rispondere a questa finalità
ma in realtà esprime, con grande onestà intellettuale, quanto le
gesta e le imprese di questi sette ragazzi fossero scollegate da
qualsiasi logica di partito o da direttive superiori con cui anzi
si sono sempre scontrati. Giovani, audaci, coraggiosi, onesti e
antifascisti sì, ma anche credenti e mai veramente parte di un
movimento politico particolare. Il film risalta in modo
straordinario l’incredibile orgoglio di tutta la famiglia Cervi, un
orgoglio ed una dignità trasmessa ai ragazzi da due straordinari
genitori che per primi insegnarono loro a non piegarsi mai alle
prepotenze e alle ingiustizie della vita.
Un cast di attori straordinari in
cui risalta il solito ed immenso Gian Maria
Volontè (Aldo) intenso e vibrante come il personaggio
richiedeva; quindi citiamo Riccardo Cucciolla
(Gelindo) il fratello più saggio ed anziano, la bella Lisa
Gastoni (Lucia Sarzi) che interpreta con grande sentimento
la convinta pasionaria attratta dall’audace e spontanea convinzione
di Aldo, e non ultima Elsa Albani (mamma Cervi)
semplicemente eccellente nella parte forse più difficile del
film.
I sette fratelli
Cervi non è il solito film di retorica anti-fascista e
partigiana, non è un mero strumento di propaganda politica, ma è un
film che con profondità ed onestà racconta una delle pagine più
nere e vergognose della guerra civile combattuta nel nostro paese a
partire dal settembre del 1943. Un film profondo ma anche
essenziale, binomio che troviamo sintetizzato soprattutto
nell’ultima drammatica sequenza, quella girata nel cortile del
poligono di tiro di Reggio Emilia, il luogo della fucilazione. Una
scena scarna e quasi monocorde, priva di musiche melense, primi
piani forzati o altri artifici finalizzati a sollecitare
l’emotività dello spettatore; una scena semplice e dignitosa così
come fu piena di dignità la morte di questi sette fratelli.
Vi abbiamo raccontato in poche
battute quali sono i film che il grande pubblico aspetta per questo
vicinissimo 2014. In questa sede vogliamo invece raccontarvi di
qualche titolo che, magari meno promosso, potrebbe rendere migliore
il vostro rapporto con il cinema nei 12 mesi che verranno.
Partiamo immediatamente da quei titoli
che l’amante della sala più distratto potrà trovare a breve in
sala: Nebraska di Alexander
Payne, The Wolf of Wall Street
di Martin Scorsese, Dallas Buyers
Club di Jean-Marc Vallée. Una
tripletta niente male se pensiamo che tutti e tre questi film
vantano almeno una nomination ai prossimi Golden Globe e un futuro
da protagonisti nella stagione dei premi. Nebraska
segna il ritorno di Payne alla regia, dopo il grande successo di
critica e pubblico del suo ultimo film Paradiso
Amaro, e resta quindi un film da tenere d’occhio. Non
c’è bisogno di troppe parole invece per capire il valore
dell’ultimo film di Scorsese, che già oltreoceano ha fatto scalpore
per la straordinaria interpretazione di Leonardo
DiCaprio, che di nuovo a braccetto con Martin
Scorsese conferma il suo grande talento e forse (ma ormai
non ci speriamo neppure) si aspetta un po’ di considerazione da
parte di “certi” premi, anche se dovrà fare i conti con un certo
Matthew Maconaughey, che si è scoperto grande
attore a più di 40 anni nonostante la ventennale carriera e che
mira molto molto in alto.
Sarà un febbraio 2014
bello fitto per chi vorrà tenere il passo con gli appuntamenti
importanti al cinema. Sappiamo che è in questo periodo che da noi
in Italia arriva il “meglio di Hollywood” ovvero quel cinema che
pur provenendo da una “fabbrica” ha comunque qualcosa da dire, e
un’anima con cui seduce gli spettatori più attenti. Cominciamo con
All is Lost uno stand alone di
Robert Redford che potrebbe riservare molte
sorprese ai fan del leggendario attore e a quelli dei film in cui
l’uomo, solo, si staglia, piccolo ma determinato, contro la Natura.
Passiamo poi ad una saga familiare all stars: I segreti
di Osage County, in cui troviamo Meryl
Streep e Julia Roberts, madre e figlia,
alle prese con il funerale del capofamiglia e con vecchi e nuovi
screzi. Il film, elogiato negli States per le performance delle
attrici protagoniste, potrebbe essere un buon appuntamento al
cinema. Ancora, a febbraio, potremmo vedere il Italia
Monuments Men, film in cui il caro
George Clooney torna alla regia, dopo essersi
goduto il successo da produttore dello scorso anno con
Argo. Così George ci mette la
regia e anche la faccia e si fa accompagnare da Matt Damon,
Cate Blanchett, John Goodman, Bill Murray e Jean
Dujardin; e se quesi nomi non dovessero bastare come
motivazione? Aggiungiamo il fatto che la trama del film, quella di
un gruppo di esperti d’arte che durante la Seconda Guerra Mondiale
si dedicano a salvare i capolavori della cultura mondiale, è tratta
da una storia vera. Arrivano a fine febbraio 12 Anni
Schiavo e Saving Mr. Banks,
due film molto diversi ma che ci sentiamo di consigliarvi perchè
promettono molte emozioni. Il primo, diretto da Steve
McQueen con Chiwetel Ejiofor, Michael
Fassbender e Brad Pitt, è la storia nuda
e violenta della crudeltà dell’uomo; il secondo racconta il
backstage della storia dietro la realizzazione di Mary Poppins:
Tom Hanks e Emma Thompson sono la
garanzia di grande recitazione, mentre la storia vera riletta da
Disney assicura lacrime e trionfo di buoni sentimenti.
A marzo potremo godere
invece degli ultimi film d’alta stagione americana:
Her di Spike Jonze,
Labor Day di Jason
Reitman, The Grand Budapest
Hotel di Wes Anderson. Tre film di
grandi artisti della settima arte che ci sentiamo di consigliarvi,
il primo perchè lo abbiamo già visto al Festival di Roma e,
assicuriamo, si candida a miglior film del 2014; il secondo per
l’interpretazione di Kate Winslet da protagonista;
il terzo perchè guardare un film di Wes Anderson è
sempre come tornare a casa a ritrovare tanti volti familiari, un
po’ cambiati, ma accoglienti e rassicuranti.
Usciranno quest’anno altri due film
che destano la nostra curiosità e che vi consigliamo di andare a
vedere: l’ultima prova da protagonista di James
Gandolfini, Non dico altro;
Gigolò per caso, diretto dall’amico di
Gandolfini, John Turturro con Woody
Allen protagonista davanti alla macchina da presa.
Il 2014 sarà anche
l’anno dei grandi registi. Abbiamo già citato Anderson, McQueen e
Scorsese (tra gli altri) ma non dimentichiamo
Aronofsky, i fratelli Wachowski, Chris
Nolan e ancora, Ridley Scott, che aprendo
l’anno con The Counselor – il
procuratore, lo chiude con
Exodus, rilettura dell’episodio biblioco
di Mosè con protagonsita Christian Bale. Non sarà
l’unico film biblico, perchè Darren Aronofski ci
racconterà invece di Noè, e chissà quali saranno i toni del suo
film, dato il suo modo estremo di fare cinema! Tornano poi anche
Nolan e i Wachowski, e ovunque ci
siano questi grandi cineasti, c’è sempre anche un motivo per andare
al cinema a vedere i loro ultimi viaggi mentali, che condividono, e
di questo li ringraziamo, con noi essere umani “comuni”.
E voi cosa ci consigliate? Quali
sono i film nascosti, in attesa di data d’uscita, quelli piccoli e
bellissimi che si vedono solo ai festival e che forse usciranno nel
2014? Quali sono i vostri consigli a noi per il nuovo anno?
Qualunque sia la vostra scelta,
auguriamo a tutti un anno cinefilo, all’insegna del cinema che fa
bene alla mente, allo spirito e anche all’umore.
Buone nuove per gli
appassionati dei progetti Marvel, gli amanti della
Disney ed i filo-nipponici che, alle porte del
nuovo anno, potranno godere di ulteriori informazioni
circa Big Hero
6film d’animazione in computer
grafica già presentato in occasione dell’expo
Disney D23 la scorsa estate.
L’ultima nuova circa quello che sarà
il 54esimo film della serie Walt Disney Animated
Classic Series, riguarda l’arrivo di Chris
Williams che affiancherà alla regia il
confermato Don Hall (Winnie The
Pooh, I Robinson – Una
FamigliaSpaziale) e
di Roy Conli che tornerà a collaborare
con la Disney in qualità di produttore dopo
l’esperienza di Tangled e
de Il Pianeta delTesoro.
Williams non è
nuovo al fiabesco mondo della Disney, avendo
già co-diretto e sceneggiato il film
d’animazione Bolt e collaborato alla
stesura di Mulan, I
Vestiti Nuovi dell’Imperatore e Koda
Fratello Orso.
Vi ricordiamo
che Big Hero6 sarà
l’adattamento di una serie a fumetti Marvelideata
da Steven T. Seagle e Duncan
Rouleau e pubblicata a partire dal settembre 1998.
Realizzato in computer grafica e basato su di un 3D stereoscopico,
il film racconterò le avventure di Hiro Hamada, ragazzo
prodigio della robotica, che coadiuvato da un robot di nome Baymax
da egli stesso creato, dovrà salvare San Francisco da un intrigo
crimanale. Ai due, nel corso della pellicola, si aggregheranno
anche i personaggi di Gogo, Honey Lemon, lo chef sushi Wasaby ed il
fanboy Fred.
Big Hero
6 è atteso nei cinema il 7 novembre
2014.
Arrivano online, grazie a The
Playlist, una serie di nuove bellissime immagini promozionali di
Nymphomaniac, il prossimo film del
regista danese Lars von Trier. Le immagini
rappresentano dei veri e propri ritratti dei protagonisti della
pellicola. Eccole, per voi, di seguito.
Il nuovo, controverso e provocatorio
film di Lars von Trier sarà rilasciato
negli Stati Uniti suddiviso in due lungometraggi; uno in
uscita a marzo e l’altro ad aprile. La prima parte uscirà
nelle sale il 21 marzo 2014; la seconda, invece, esordirà nelle
sale il 18 aprile 2014.
Di seguito la sinossi ufficiale del
film:
“Il film è la storia poetica e
selvaggia del viaggio erotico di una donna dalla sua nascita fino
all’età di cinquant’anni, raccontata dalla protagonista, la
ninfomane Joe. Una fredda sera d’inverno l’anziano scapolo
Seligman trova Joe in un vicolo, è stata picchiata. La porta a casa
sua, e cerca di curarla, chiedendole nel frattempo informazioni
sulla sua vita. Ascolta così il racconto in otto capitoli la storia
della sua complicata e lussuriosa vita, ricca di coincidenze
fortuite e collegamenti.”
Serata all’insegna della poesia per
l’ultimo giorno dell’anno. Infatti, il film che consigliamo oggi in
programmazione è L’attimo fuggente, film
diretto da Peter Weir con protagonista Robin Williams. Nel cast anche un
giovanissimo Ethan Hawke.
Dead Poets
Society, questo il titolo originale, racconta
di John Keating, insegnante di letteratura inglese, arriva nel
1959 alla Welton Academy dove regnano Onore, Disciplina, Tradizione
e ne sconvolge l’ordine insegnando ai ragazzi, attraverso la
poesia, la forza creativa della libertà e dell’anticonformismo.
Coraggioso nella scelta tematica,
discutibile nella sua poco critica esaltazione dell’individualismo
e con qualche forzatura retorica, è una macchina narrativa
perfettamente oliata che non perde un colpo sino al finale che
scalda il cuore, inumidisce gli occhi e strappa l’applauso.
o capitano mio capitano
Per tutti quelli cresciuto con la
televisione è impossibile non sapere la trama dell’Attimo Fuggente
o, anche le celebri frasi del film, tra cui o capitano mia
capitano. Ma il film è anche ricco di curiosità.
Il titolo della versione italiana,
L’attimo fuggente, differisce da quelli degli
altri paesi, che mantengono la dicitura originale Dead Poets
Society («Setta dei poeti estinti» secondo la versione doppiata in
italiano). L’American Film Institute lo ha inserito al 52º
posto nella 100 Cheers.
Tra le lezioni del protagonista,
una di queste si ispira alla celebre locuzione del poeta latino
Orazio che invita a «cogliere l’attimo» (in latino Carpe diem,
nella versione originale Seize the day, scritto su uno dei quaderni
degli studenti).
L’attimo fuggente, le frasi più belle
La frase: “Carpe diem, cogliete
l’attimo ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita” ha
ottenuto il 95º posto nella classifica AFI’s 100 Years… 100
Movie Quotes. Ma non è l’unica frase celebra del film. Infatti il
film è ricco di frasi che conosciamo. Eccone una selezione delle
più celebri:
«Cogli la rosa quando è il
momento, | ché il tempo, lo sai, vola | e lo stesso fiore che
sboccia oggi, | domani appassirà.» (Pitts)
C’è un tempo per osare e uno per
essere cauti, e l’uomo saggio comprende a quale è chiamato”.
“E ora, miei adorati, imparerete
di nuovo a pensare con la vostra testa. Imparerete ad assaporare
parole e linguaggio. Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee
possono cambiare il mondo”
“Non leggiamo e scriviamo poesia
perché è carina. Leggiamo e scriviamo poesia perché siamo membri
della razza umana. E la razza umana è piena di passione”
«Venite amici, | che non è tardi
per scoprire un nuovo mondo. | Io vi propongo di andare più in là
dell’orizzonte, | e se anche non abbiamo l’energia che in giorni
lontani | mosse la terra e il cielo, siamo ancora gli stessi. |
Unica, eguale tempra di eroici cuori, | indeboliti forse dal fato,
ma con ancora la voglia | di combattere, di cercare, di trovare e
di non cedere.»(Neil)
«Sulla strada polverosa, viveva un
uomo chiamato William Bloat. Aveva una moglie, piaga della sua
vita, che lo faceva uscire dai gangheri e allora lui un giorno la
colse nel sonno e squarciò la sua candida gola.» (Pitts)
«Preso dalla fede ebbi una
visione, | dall’orgia io fuggivo ma non senza derisione. | Vidi il
fiume Congo, scavare con la testa, | e una lingua d’oro tagliare la
foresta.» (Meeks)
Per la prima volta in vita mia, so
che cosa voglio fare! E per la prima volta, ho intenzione di farlo!
Che mio padre sia d’accordo o no! Carpe diem! (Neil)
Mi piace insegnare, non voglio
vivere in altri posti. (Keating)
Ho incontrato una ragazza di nome
Chris, è bionda e ha occhi di cielo. Toccarla sarebbe il
paradiso. (Knox)
«Se noi ombre vi abbiamo offeso,
per poterci dare il perdono fate conto di aver dormito mentre
queste visioni apparivano e che a mostrarvi paesaggi immaginari sia
stato un sogno. Signori non ci rimproverate, se ci perdonate
rimedieremo. Ascoltate l’onesto Puck, se avremo la grande sorte di
sfuggire ai vostri insulti, potremo rimediare signori, che Puck non
è un mentitore. Quindi buona notte a tutti voi, datemi la mano e
siamo amici e Puck i danni vi rifonderà.» (Neil)
L’attimo fuggente, la trama
Il film racconta dell’autunno 1959
all’Accademia Welton, una scuola elitaria e conformista ubicata
sulle colline del Vermont, i metodi assolutamente insoliti di un
nuovo insegnante di materie umanistiche, John Keating, sono
considerati con timore e sgomento dal preside Nolan e dalle
famiglie.
Keating affascina la sua classe non
solo per intelligenza e simpatia, ma per novità pedagogiche: per
lui la poesia sopra ogni altra cosa è il fulcro per far nascere e
sviluppare lo spirito creativo e per “liberare” nei ragazzi non
solo l’amore per Keats, Withman o Shakespeare (considerati in
maniera meno arida e puramente letteraria), ma tutte le premesse
migliori per la più indovinata e fertile scelta di vita.
Nella classe di Keating, che matura
le suggestioni culturali anche con iniziative divertenti e
stravaganti, sette allievi lo seguono con interesse particolare,
capeggiati da Neil Perry, un diciassettenne da sempre dominato da
un padre autoritario, che scopre in se stesso la vocazione di
attore.
I sette ragazzi hanno fondato la
“Società dei Poeti Estinti” e di notte lasciano spesso e volentieri
l’Accademia per riunirsi in una grotta, per meglio comunicare tra
loro e recitare versi, propri ed altrui. Gerard Pitts, Todd
Anderson, Charlie Dalton, Knox Overstreet, Richard Cameron, Steven
Meeks vivono così una loro specialissima stagione, fervida di
scoperte ed entusiasmi. Ma i metodi del professor Keating e le
azioni dei suoi allievi si scontrano con il conformismo e la
serietà che sempre hanno regnato a Welton.
In occasione delle votazioni per le
nomination relative agli Oscar 2014, la IFC Films
ha diffuso un red band trailer esclusivo de La vita di
Adele, il vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2013.
Il trailer è incentrato in maniera particolare sulla protagonista
Adèle Exarchopoulos, con la speranza di aumentare
una sua possibile candidatura nella categoria “Migliore Attrice
Protagonista”. Eccolo di seguito.
La pellicola
di Abdellatif Kechiche racconta la storia
d’amore di due donne interpretate dalle rivelazioni Léa
Seydoux e
AdèleExarchopoulos. E’
uscita in Italia lo scorso 24 Ottobre.
PER LEGGERE LA NOSTRA
RECENSIONE DE LA VITA DI ADELE CLICCATE QUI.
Trama: A 15 anni, Adele ha due
certezze: è una ragazza, e una ragazza di solito esce con i
ragazzi. Il giorno in cui intravede il blu dei capelli di Emma,
sente che la sua vita sta per cambiare. Sola con i suoi dilemmi
adolescenziali, cambia l’idea che ha di se stessa e sente
trasformarsi il modo in cui gli altri la guardano.
Con certi mostri sacri ci vorrebbe
un bel bignami, tipo: Philip Anthony Hopkins, ‘Sir’ dal ‘93,
nasce in Galles nel 1937 da genitori panettieri e da piccolo mostra
i segni di una leggera dislessia, ma compensa con una discreta
padronanza del pianoforte. Nel 2000 ottiene la cittadinanza
americana (con sommo disappunto dei suoi connazionali), e da
qualche anno vive stabilmente a Los Angeles. 3 mogli e una
figlia all’attivo, di mestiere fa l’attore famoso. Famosissimo.
Ma come si fa a rinchiudere in un
paragrafetto la biografia di uno che dopo gli studi alla Royal
Academy of Dramatic Arts e la gavetta di rito, nel 1965 entra al
celeberrimo National Theatre diretto niente meno che da Sir
Laurence Olivier? Che poi, quando il grande istrione sarà
colpito da un attacco di appendicite acuta, è proprio Anthony che
lo sostituisce in Danza di morte di
Strindberg. Come si dice, non tutti mali vengono per
nuocere. O era ‘mors tua vita mea’? Vabbè, comunque, dopo tanto
teatro, il debutto cinematografico arriva nel ‘67 con Il
leone d’inverno, al fianco di Peter O’Toole e
Katharine Hepburn. L’enorme successo del film non può che
giovare all’attore in ascesa, che d’ora in poi si dedicherà sia al
piccolo che al grande schermo, senza però mai abbandonare il
palcoscenico.
Tanto che lo chiamano anche a
Broadway e, dalla seconda metà degli anni Settanta, Anthony
comincerà a divedersi tra la madre patria e gli U.S.A., tra
Attenborough (Quell’ultimo ponte) e
Lynch (The Elephant Man). Proprio in una
produzione americana ottiene il ruolo della vita, prestando il
volto (e la mandibola) allo psichiatra cannibale Hannibal
Lecter ne Il silenzio degli innocenti (1991).
Niente male per un vegetariano dichiarato: si merita senz’altro
l’Oscar come miglior protagonista. Se il riconoscimento non desta
certo sorpresa, è comunque un record per l’Academy aver premiato
l’interpretazione di Hopkins che – per quanto assolutamente
incisiva – occupa poco più di 16 minuti di pellicola,
pari a un 14% scarso dell’intero film. Peccato che le
successive apparizioni di Hannibal the Cannibal/Hopkins
(Hannibal e Red Dragon) non siano
all’altezza dell’exploit, ma Sir Anthony ha altro a cui pensare. I
progetti a venire sono – manco a dirlo – numerosi ed eterogenei,
anche se, scorrendo i titoli del suo curriculum, si nota una certa
predisposizione per gli adattamenti letterari/le saghe familiari
(vedi Casa Howard, Quel che resta del
giorno, Vento di passioni, Vi presento
Joe Black), con una predilezione per registi come
Ivory (4 film insieme) e per il compagno di
cavalleriaSir Attenborough (5 collaborazioni).
Non mancano nemmeno i drammi
storici come Amistad, Titus e
Alexander, né le incursioni nel fantastico che, a
partire da Dracula di Bram Stoker nel ’92, si
ripropongono di quando in quando nella sua filmografia (La
leggenda di Beowulf, Wolfman, i due
Thor). E sebbene Hopkins faccia capolino anche in
pellicole meramente commerciali come Spice Girls: Il
film e La maschera di Zorro, la sua
reputazione certo non ne risente, visto che è lui il prescelto per
interpretare l’icona nazionale Hitchcok nell’omonimo biopic
del 2012. Ora, mentre lo aspettiamo nel biblico Noah
di Aronofsky, diamo inizio ai festeggiamenti. Forse lui
preferirebbe un bel piatto di fave e un buon Chianti, ma noi siamo
tradizionalisti e restiamo fedeli alla torta e allo spumante. HAPPY
BIRTHDAY SIR HOPKINS!
Continua la terrificante campagna
promozionale per Paranormal Activity The Marked
Ones: sul web arriva, dopo il trailer ufficiale e
l’inquietante pubblicità virale, una nuova clip tratta dal film.
Gli ingredienti del franchise sono ancora e sempre gli stessi.
Traballanti inquadrature e telecamere a mano per coinvolgere gli
spettatori in prima persona nell’orrore, annidato tra le
rassicuranti mura casalinghe.
Paranormal Activity The Marked
Ones arriverà al cinema negli Stati Uniti il
3 Gennaio 2014.
Vi ricordiamo che Paranormal
Activity: The Marked Ones è stato scritto e diretto da
Christopher Landon, alla sua seconda prova dietro
la macchina da presa, e vede nel cast
Richard Cabral, Carlos Pratts, Eddie J. Fernandez, Jorge
Diaz, David Fernandez Jr., Kimberly Ables Jindra, Tonja
Kahlens e Frank Salinas.
I Marvel Studios hanno diffuso online
un nuovo video promozionale di The Amazing Spider Man
2. Questa notte, a Times Square (New
York), a dare il benvenuto al 2014 ci sarà anche l’uomo ragno,
e per l’occasione la Sony presenterà una nuova clip esclusiva
tratta dal film. In attesa dell’evento, il video arrivato online
grazie alla Marvel presenta il nostro eroe in
cima all’enorme sfera di Times Square, simbolo del nuovo anno.
Eccolo di seguito.
Abbiamo sempre saputo che la
battaglia più importante di Spider-Man è quella che combatte dentro
di sé: la lotta tra gli impegni quotidiani di Peter Parker, e
le straordinarie responsabilità di Spider-Man. Ma in The
Amazing Spider-Man 2: Il Potere di Electro, Peter Parker si
ritrova a dover affrontare un conflitto molto più
grande.
E’ bello essere Spider-Man
(Andrew Garfield). Per Peter Parker, non c’è niente di più
emozionante che oscillare tra i grattacieli, sapere di essere un
eroe, e passare del tempo con Gwen (Emma Stone). Ma
essere Spider-Man però ha un prezzo: solo Spider-Man può
proteggere il suo concittadini newyorchesi dai malvagi che
minacciano la città. Con la comparsa di Electro (Jamie
Foxx), Peter deve affrontare un nemico molto più potente di lui. E
con il ritorno del suo vecchio amico Harry Osborn (Dane
DeHaan), Peter si rende conto che tutti i suoi avversarsi hanno una
cosa in comune: la OsCorp.
Ecco Andy Serkis,
pioniere della mocap, alle prese con le riprese de Il
Pianeta delle Scimmie Revolution, in cui riprende il
ruolo del gorilla Cesare. Ecco l’attore sul set:
Questa la trama del film
Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie: La
crescente nazione delle scimmie guidata da Caesar è minacciata da
una banda di umani sopravvissuti al devastante virus diffuso dieci
anni prima. Raggiunta una fragile pace, essa sarà molto breve, ed
entrambe le parti si troveranno sull’orlo di una guerra che
deciderà quale sarà la specie dominante sulla Terra.
Andy Serkis ritorna nel ruolo di Caesar. Faranno parte
del cast di
Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie anche
Jason Clarke (Zero Dark
Thirty, Public Enemies, The Great
Gatsby),
Gary Oldman (The Dark Knight
Rises, The Harry Potter film series),
Keri Russell (The
Americans, Mission Impossible III), Toby
Kebbell (The Prince of Persia, Wrath of the
Titans, Rock N Rolla), Kodi
Smit-McPhee (Let Me
In, ParaNorman), Enrique
Murciano (Traffic, Black Hawk
Down), Kirk Acevedo (The Thin Red Line)
e Judy Greer (The
Descendants, Three Kings, 13 Going on
30).
Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie arriverà al
cinema in Italia il 30 Luglio.
Dopo aver dedicato una copertina all’eroe patriottico
per eccellenza, Empire on line pubblica quatro nuove immagini di
Captain America: The Winter Soldier. Nelle
immagini vediamo tutti, o quasi, i personaggi fondamentale di
questa seconda avventura in solitaria di Steve Rogers: ci sono Nick
Fury e Alexander Pierce, Natasha Romanoff e Steve stesso e infine,
il Soldato d’Inverno.
La storia si legerà alla fine di
The Avengers, continuando a seguire il Captain America impegnato
con Nick Fury e la S.H.I.E.L.D e alle prese con la modernità. Al
momento l’uscita del film è prevista per il 4 aprile del 2014. Vi
ricordiamo che tutte le news sul film sono reperibili nel nostro
speciale: Captain America: il soldato
d’inverno. Tutte le info utili nella nostra scheda:
Captain America: The Winter
Soldier.
Incassi in crescita al box office
italiano nell’ultimo weekend del 2013, con Frozen che
rimane in testa, seguito dai film italiani natalizi.
Il weekend post-natalizio è il
periodo più florido dell’anno per il botteghino italiano, quando
anche gli italiani che non frequentano abitualmente le sale optano
per un film al cinema. Così il box office beneficia di un aumento
degli incassi e del numero di spettatori paganti, a vantaggio
soprattutto delle pellicole che si scontrano per trionfare come
incasso maggiore delle feste.
Per la seconda settimana
consecutiva, Frozen – Il Regno di Ghiaccio rimane in
testa alla classifica incassando ben 6,1 milioni di euro negli
ultimi quattro giorni con una media impressionante di oltre
novemila euro per sala. Il cartoon Disney è la vera sorpresa delle
feste, in grado di superare già il totale di 10,3 milioni.
Impennata anche per Colpi di
fortuna, che sale in seconda posizione con 4,2 milioni
incassati alla seconda settimana, giungendo a quota 8,4
milioni.
Le due pellicole italiane
direttamente concorrenti al film di Neri Parenti ottengono un
incremento analogo: Indovina chi viene a Natale?
raccoglie 3,2 milioni e arriva a 5,7 milioni complessivi, mentre
Un fantastico via vai giunge a 7,1 milioni totali con
i 2.667.000 euro incassati alla sua terza settimana di
programmazione.
Lo Hobbit: La Desolazione di
Smaug scende al quinto posto con altri 2.644.000 euro, per
un totale di 10,6 milioni ottenuti anche grazie al 3D.
I sogni segreti di Walter
Mitty rimane stabile in sesta posizione, arrivando a 3,5
milioni totali con 1,9 milioni raccolti negli ultimi quattro
giorni.
Philomena conferma il
settimo posto incassando 1,6 milioni alla sua seconda settimana di
sfruttamento. Giunta a 2,5 milioni complessivi, la pellicola con
Judi Dench ha ottenuto in questo weekend una media straordinaria di
7500 euro per sala.
L’unica new entry a entrare nella
top10 è Piovono Polpette 2, che si piazza in ottava
posizione con 1,3 milioni incassati in quasi 450 copie.
Chiudono la top10 Blue
Jasmine (426.000 euro) e La mafia uccide solo
d’estate (315.000 euro), giunti rispettivamente a 3,4
milioni e 3,3 milioni.
Anche per la settimana
di Natale, cambiano poche cose in vetta al box office nordamericano
di questa settimana, dove domina ancora una volta Lo Hobbit:
the desolation of Smaug, che incassa quasi 30 milioni di
dollari, arrivando ad un totale di 190. Segue in seconda posizione
Frozen adatto al periodo festivo, che incassa 28
milioni di dollari portando il suo totale a 248. Segue in terza
posizione Anchorman 2, che incassa 20 milioni di
dollari per un totale di 84, mentre il quarto posto è occupato da
American Hustle, con ben 60 milioni di dollari
raccimolati nella prima settimana di uscita. Segue in quinta
posizione un altro film molto atteso: The Wolf of Wall Street, di
nuovo Leonardo Di Caprio con Martin
Scorsese e con Jonah Hill come supporto.
Il film incassa 34 milioni di dollari. Il sesto posto è
occupato da una storia scritta per ricordare quanto bisogna fare e
insistere per portare a compimento le proprie idee: Saving
Mr Banks narra dell’incontro/scontro di Walt Disney, qui
impersonato da Tom Hanks con l’autrice di Mary
Poppins. Il film è stato realizzato per il cinquantenario
dell’uscita del classico film della Disney. La pellicola, fuori in
sala da 3 settimane, ha incassato 14 milioni di dollari questa
settimana per un totale di 38. Il settimo posto è occupato da
The secret life of Walter Mitty, remake di un film
del 1947 con Danny Kaye, interpretato e diretto da
Ben Stiller. Il film incassa 25 milioni di dollari. In ottava
posizione scende lentamente Hunger games: catching fire, con
un incasso settimanale di 10 milioni di dollari per un totale di
391. Il nono posto è invece occupato da un altro remake o comunque
una nuova edizione di una storia classica giapponese: 47
Ronin, che incassa 10 milioni di dollari questa settimana,
per un totale di 20. Chiude la classifica a Madea
Christmas, giunto alla terza settimana di classifica con
un incasso di 7 milioni questa settimana per un totale di quasi
44.
La prossima settimana uscirà
La migliore offerta e una nuova sperimentazione di
James Franco: Interior. Leather Bar.
Dopo un anno pieno di cinema e di
super poteri, il 2014 si preannuncia altrettanto ricco di uomini
volanti e geneticamente modificati, ma anche di lucertoloni, uomini
d’azione, mutanti, robot giganti e uomini meccanici. Stiamo
ovviamente parlando dei titoli più attesi di quest’anno che sta per
cominciare, un anno che vedrà nel film della Fase 2 Marvel i suoi momenti più caldi.
Dopo Thor the Dark World e
Iron
Man 3, che hanno riportato i Marvel Studio al cinema dopo il
primo riepilogo (costituito naturalmente da The
Avengers), arriverà in questo 2014
Captain America The Winter Soldier. Qui
infatti ritroveremo Steve Rogers/Capitan America/Chris
Evans alle prese con il Soldato d’Inverno, insieme a
Natasha Romanoff/Vedova Nera/Scarlett Johansson. Insieme a Cap
arriverà anche i Guardiani della
Galassia, verso la fine del 2014 però, film di
cui abbiamo avuto un assaggio dopo i titoli di coda di
Thor the Dark World e che ci porterà in
un mondo sconosciuto con tanti personaggi inediti per il grande
schermo.
Ma con i supereroi non abbiamo
finito qui, perchè dalla Sony e dalla Fox si scalpita: il 2014 sarà
anche l’anno del secondo adattamento di dedicato a l’uomo ragno
firmato Marc Webb, The Amazing Spider-Man 2 Il potere di
Electro, e del ritorno di Bryan
Singer che avrà di nuovo (finalmente) a che fare con i
mutanti, in X-Men Days of Future Past.
Entrambi i film, attesissimi dal pubblico, portano sullo schermo
personaggi della Marvel i cui diritti di
sfruttamento cinematografico rimangono però in mano ad altre case
di produzione.
Dai fumetti in senso stretto
passiamo alle graphic novel e vi ricordiamo che il 2014 è anche
l’anno del ritorno di Sin City, nel
secondo film basato sull’opera di Frank Miller:
A Dame to Kill for, e di
300, che riporta la storia greca riveduta
e corretta al cinema, con 300 l’Alba di un
Impero. Rimaniamo sempre nell’ambito delle opere
cinematografiche tratte dalla carta e accenniamo a
Capitan Harlock 3D, che uscirà il primo
gennaio per inaugurare l’anno all’insegna del cinema per nerd
nostalgici. E proprio di nostalgia si può parlare citando due
attesi remake che vedranno la loro uscita nei prossimi 12 mesi; si
tratta di RoboCop e Godzilla, entrambi film cult di
generazioni passate che ritornano in nuove vesti per cercare di
stregare anche i nuovi spettatori.
Nell’ambito dei blockbuster non si
può non citare Transformers Age of
Extinction, quarto film che ha per protagonisti i
robottoni trasformabili della Hasbro e, tra 12 mesi o poco meno, il
terzo e conclusivo caitolo de Lo Hobbit: Racconto di un
Ritorno, che completerà (?) i viaggi di Peter
Jackson nella Terra di Mezzo. In questa categoria
inseriamo anche The Lego Movie, un film
che promette di essere una vera e propria esperienza esilarante,
come non se ne sono mai viste in precedenza.
Ma il 2014 non è solo l’anno dei
blockbuster, e in attesa di annunci e nuovi titoli per cui varrà
sicuramente la pena di andare al cinema, vi citiamo altri tre film
che hanno catturato la nostra fantasia e che sono molto attesi dai
fan: American Hustle, di David O.
Russell, che uscirà proprio il giorno di Capodanno;
The Counselor – il procuratore, che segna
il ritorno di Ridley Scott al cinema con un cast
di attori da sogno; e A proposito di
Davis, dei fratelli Coen, altro film
già visto all’estero che non vediamo l’ora di accogliere nei nostri
cinema.
Questo 2014 si preannuncia un anno
non particolarmente interessante, con le dovute eccezioni, e con un
sacco di riproposizioni e di remake e sequel, un anno rassicurante
per certi versi, che ci inviterà al cinema usando come esca il
nostro affetto verso storie e personaggi che già conosciamo. Sarà
un’esca abbastanza appetitosa?
Ecco la prima foto ufficiale di
Exodus, prossimo progetto colossale di
Ridley Scott che vedrà protagonista
Christian Bale (nella foto) negli inediti panni di
Mosè. In piena tradizione hollywoodiana infatti, mentre il regista
Darren Aronofsky si sta dedicando alle rifiniture
del suo film su Noè (Russel Crowe) e sull’episodio
biblico del Diluvio Universale, Scott si dedica a colui che nella
tradizione ebraica ha restituito la libertà al popolo eletto dalla
schiavitù d’Egitto.
Vediamo di seguito la foto del film che raffigura Bale/Mosè
durante la costruzione di un edificio faraonico:
Come da tradizione, quando il
faraone ordina di uccidere ogni primo nato del popolo ebraico, la
madre di Mosè lo affida alle acque del Nilo, al sicuro in una
cesta. Qui il bimbo viene ritrovato dalla figlia del Faraone che lo
alleva come suo insieme al figlio stesso del Faraone, quello che
diventerà Rhamses II. Cresciuti i due sono amici, ma la scoperta da
parte di Mosè delle sue vere origini farà cambiare completamente i
loro rapporti e il loro futuro. La storia, celebre nella Bibbia, è
stata portata sul grande schermo con immenso successo nel 1956 da
Cecil B. De Mille, I Dieci
Comandamenti, con protagonista Charlton
Heston nei panni di Mosè.
Exodus diretto da Ridley Scott
su sceneggiatura di Bill Collage, Adam Cooper e
Steven Zaillian vede nel cast Christian
Bale, Ben Kingsley, Joel
Edgerton, John Turturro, Sigourney Weaver, Indira
Varma e Aaron Paul. Il film uscirà il 5
dicembre del 2014 nel Regno Unito.
Erano i primi anni ’90 quando
Lars Von Trier, Thomas Vinterberg e un’altra manciata
di registi danesi formularono le basi per la famosa scuola Dogma
95: cinema verità, ad ogni costo, cercando assolutamente di
eliminare dalle pellicole ogni scena superflua tipo quelle di
violenza estetizzanti, e per questo, la damnatio memoriae dei
generi.
Questa sembrava la tendenza
dominante del cinema scandinavo, un cinema da sempre attento alla
psicologia dei suoi personaggi e al peso delle parole, ma
soprattutto dei silenzi, dei “non detti” carichi di significato,
dai tempi di Sjostrom passando per il maestro
Bergman. Poi, tutto cambiò improvvisamente.
A portare una vera e propria
rivoluzione cinefila (e cinematografica) fu un allora ventenne
cresciuto tra l’Europa e l’America, New York precisamente: un
figlio del mondo pronto a riscrivere le regole del genere (e dei
generi) con la sua visione estetizzante, feticistica, quasi
pornografica della violenza e delle immagini.
Stiamo parlando di Nicolas
Winding Refn, classe 1970, vero e proprio enfant prodige che
nel 1996 scrive e dirige il suo primo film facendo breccia nel
mondo della celluloide: Pusher è la storia (scandita
in base ai giorni della settimana) della “tranquilla” routine di un
piccolo spacciatore di Copenaghen, Frank, che crede di potersi
arricchire facilmente ed in poco tempo comprando dell’eroina dal
terribile trafficante serbo Milo.
Film cupo, al limite del realismo
(ben lontano quindi dalla violenza estetizzante e coreografica di
Drive e Solo Dio Perdona Only God
Forgives) Refn racconta con sguardo fisso e sadico uno
spaccato di vita borderline mostrando un interesse non trascurabile
per le cronache del “sottobosco” danese e per i personaggi che si
muovono al suo interno, piccoli spacciatori, poliziotti, pericolosi
boss, prostitute e debitori, un grande circo pulp dove la forza sta
proprio nell’impatto visivo, nella capacità di raccontare una
storia con economia di mezzi ma regalando un grande impatto
visivo.
Alcune sequenze, poi, sono un
saggio di cinema: la scena della tortura di un debitore dello
spacciatore (ripreso tutto con la camera a mano in un lungo piano
sequenza intriso di luci ed ombre espressionistiche) hanno mostrato
la qualità registica- e il talento- di questo giovanissimo
cineasta.
La sua seconda regia arriva a
distanza di pochi anni, nel 1999, quando dirige
Bleeder, cronaca di due tristi storie d’amore legate
tra loro da esili fili narrativi. Si raccontano, infatti, le
vicende di due coppie: Louise e Leo, dove entrambi sono
insoddisfatti delle proprie vite ma la scoperta di aspettare un
figlio getta lui nel caos spingendolo fino alla violenza cieca e
incorrendo nell’inevitabile vendetta del fratello della moglie;
l’altra, invece, è la coppia costituita dal commesso di una
videoteca, Lenny, timidissimo ed introverso, e dalla cameriera Lea.
Il personaggio di Lenny rappresenta un omaggio cinefilo di
Nicolas Winding Refn al cinema in generale ma, soprattutto,
al cinema che ama, consacrandolo grazie ad una lunga sequenza tra
le file degli scaffali ingombri di dvd; un sentito omaggio meta
cinematografico al credo di una vita, alle fonti- e ai maestri- che
hanno spinto Refn a seguire questa strada. Se in
Pusher era la vita dei bassifondi di Copenaghen ad
essere raccontata, qui sono storie “di ordinaria follia” ambientate
in una periferia degradata, dove la violenza e la tenerezza sono
strettamente connesse tra loro, dove l’amore e la morte (Eros e
Thanatos) sono due facce della stessa medaglia.
Il primo approccio di “conquista”
del mercato americano da parte di Refn risale al 2003, quando firma
la regia del surreale Fear X: “surreale” nel senso
propriamente “surrealista” del termine, poiché confeziona una
pellicola dal gusto lynchiano sospesa tra luoghi e non luoghi,
situazioni oniriche e dinamiche che inscenano il processo paranoico
critico tipico del sogno.
Harry (interpretato da un
magistrale John Turturro) è il guardiano di un centro
commerciale ossessionato dalla morte tragica della moglie. Vittima
dei suoi rimorsi, continua a visionare incessantemente le
registrazioni di sorveglianza del negozio dove è stata uccisa alla
continua ricerca del suo assassino. E proprio questo desiderio di
vendetta lo condurrà in un viaggio spaventoso e terrificante al
confine della realtà.
Refn mette in scena tutto il suo
“onirismo” visivo, la maestria tecnica, la perizia fotografica
confezionando un prodotto pregevole che rielabora temi e atmosfere
tipiche dei film di Lynch senza cadere però nella copia conferme,
nella sbiadita imitazione dell’originale. Il cineasta danese riesce
a “dare corpo” alle ombre inquietanti del suo protagonista, ma il
pubblico non lo premia comunque: il film è un flop al botteghino e,
per risollevare la sua “drammatica” situazione finanziaria, accetta
di girare un episodio della serie tv inglese incentrata
sull’improvvisata detective Miss Marple.
Solo otto anni dopo l’uscita del
primo elemento di una futura trilogia, quindi nel 2004, Refn
aggiunge finalmente un altro tassello a questo ambizioso progetto:
Pusher II- Sangue sulle mie mani si concentra
stavolta su un altro personaggio comprimario del primo film,
l’inquietante Tonny (interpretato da uno straordinario Mads
Mikkelsen, vero feticcio nelle mani di Refn) il quale, uscito
di prigione, ritorna prepotentemente alla propria vita, ma non è
così semplice: nessuno lo rispetta ed è oggetto di scherno da parte
di tutti, dai suoi scagnozzi a suo padre (pericoloso boss di
Copenaghen con il quale ha contratto un ingente debito) fino alla
scoperta spiazzante di una paternità inaspettata e casuale grazie
ad una prostituta.
Questo seguito, realizzato con
fondi economici più sostanziosi rispetto al primo capitolo, va
oltre le classificazioni strette e categoriche del “film di
genere”: oltre il gangster movie, in realtà mette in scena
dinamiche drammatiche, problemi esistenziali e dilemmi etici sullo
sfondo di un mondo lurido, sordido e lercio come quello della
Copenaghen dei bassifondi malavitosi, una sorta di “girone
dantesco” dove i protagonisti si agitano simili ad anime dannate
senza tregua né speranza. Per realizzare quest’opera Refn attinge a
tutto il suo universo cinefilo, quello che ha sempre amato,
rielaborandolo personalmente alla luce di una sua personale poetica
delle emozioni.
Finalmente dobbiamo arrivare al
2005 per vedere completata la trilogia di Pusher:
con il terzo capitolo, intitolato L’angelo
della morte, Refn concentra il suo occhio indagatore sul
temibile personaggio del boss serbo Milo, regalandoci un film
intriso di violenza, malessere e angoscia: una definitiva discesa
negli inferi, fino al girone più in basso piuttosto che una
redenzione, dove il malessere psicologico della vita familiare del
boss (la festa della figlia) si riflette nella furia iraconda della
sua logica criminale (il conflitto con le altre gang nascenti).
Nell’universo creato da Refn e dominato da “l’etica dei ladri” non
valgono più logiche di vittima e carnefice: tutti sono colpevoli,
nessuno è innocente. La violenza domina e regola un mondo a sua
volta amministrato da leggi arcaiche e recondite, un universo
infernale e dantesco che scandaglia, sempre più a fondo, le ombre e
i drammi chiaroscurali dell’animo umano.
La trilogia di Pusher
getta uno sguardo decisamente post-moderno, innovativo, sul genere
lontano dal sarcasmo e dall’ironia nera delle opere pulp
tarantiniane rispolverando, anzi, una tradizione ben più antica che
vede in William Shakespeare u illustre predecessore, con le
sue storie “nere” a base di drammi umani, psicologici e storici
capaci, però, di sorprendere con inaspettati quanto necessari
picchi di inevitabile violenza visiva.
Dopo la prima trilogia,
dal sapore shakespeariano, legata a temi quali la famiglia, la
paternità, il potere, l’ascesa e la caduta, Nicolas Winding
Refn si prepara ad affrontare alle soglie del 2009 una nuova
impresa, stavolta concentrandosi su una nuova figura in
particolare, eredità di un universo cinefilo più vicino al western
ma anche al noir: l’eroe taciturno, schivo, dalla morale ambigua,
un personaggio solitario simile ai tanti incarnati da Clint Eastwood nella “trilogia del
dollaro” firmata Leone: protagonisti laconici costretti dagli
eventi ad agire per cambiare i loro destini, mentre su di loro
aleggia un clima di morte e vendetta.
Ma prima di calarsi in questa nuova
avventura, Refn realizza una piccola perla che è
Bronson (2008) un presunto biopic sul criminale
inglese Michael Peterson, detto Charles Bronson per
gli “amici”, il più celebre detenuto inglese della storia
condannato prima a sette anni per rapina, divenuti in seguito
trentaquattro di cui trenta scontati in isolamento, fino alla
condanna definitiva all’ergastolo. Un biopic sui generis perché
sfugge ad ogni intento morale o di denuncia: l’interesse di Refn
non è quello di mostrare al mondo le condizioni delle carceri né
tantomeno raccontare la storia- con rassicurante morale- di un uomo
che si è perso lungo la via della perdizione: Bronson è un attore,
un istrione egocentrico conciato come un clown grottesco, una
maschera inquietante che racconta ad un pubblico incredulo la
propria storia di “ordinaria follia”, attraverso una lucida ironia
e con una parlantina logorroica inarrestabile con la quale ci
trascina nel suo mondo come un attore consumato sul palcoscenico,
dove però stavolta le luci della ribalta sono quelle della prigione
e la violenza l’unica forma possibile di comunicazione e di
scambio.
Nel 2009 Refn mette nuovamente le
mani su un suo progetto ben lontano dal concetto di “film su
commissione” e regala ad una platea di cinefili appassionati
Valhalla Rising-Regno di Sangue, un film criptico ed
oscuro, per molti ancora un’incognita indecifrabile, per alcuni un
puro esempio di “cinefilia autoreferenziale” da parte del regista
danese, sicuramente un’operazione coraggiosa e rischiosa. Refn
accentua il suo linguaggio estetizzante, la violenza trasuda da
ogni inquadratura e le parole si riducono sempre di più lasciando
spazio a teutonici silenzi. Il risultato? Quasi un incontro tra
Bergman ed Herzog (sotto mescalina, come hanno commentato alcuni);
i simbolismi sono innumerevoli e coglierli tutti diventa una sfida;
l’aspetto religioso sembra essere il motivo dominante (come si
deduce anche dai titoli scelti per suddividere la pellicola in
capitoli, à-la-Tarantino): rappresentare lo scontro tra il culto
pagano degli antenati nord europei e il cristianesimo eccessivo e
dogmatico, velato di fanatismo, dei crociati. Il protagonista, One
Eye, eroe muto ma dalle straordinarie facoltà (forse rappresenta
Odino stesso, capo degli Dei da un occhio solo che tutto vede)
scampa a una condizione di schiavitù per imbarcarsi insieme ad un
gruppo di crociati alla ricerca della terra santa. Ma ciò che
troveranno, dopo aver attraversato una sorta di limbo infernale
avvolto nella nebbia aleggiante intorno alle acque dello Stige,
sarà una terra ricoperta da una natura ostile pronta a sopraffarli,
o saranno loro stessi a sopraffarsi da soli perché incapaci di
conservare un rapporto autentico con le radici, con un mondo
primordiale?
La pellicola, anche se complessa e
non riuscita al 100%, getta comunque uno sguardo epico su una
mitologia lontana e arcaica, avvolta da un sapore mitico e da una
paura ancestrale ed indecifrabile.
Nel 2011, alle soglie dei quaranta
anni, riprende il suo lavoro sulla trilogia ideale degli eroi
silenziosi e ci regala il suo capolavoro, un ottimo compromesso
commerciale aurorale con un film “su commissione” che non ha amato
dall’inizio, ma che gli ha donato la fama internazionale e un’ampia
porzione di pubblico: rielaborando insieme allo sceneggiatore
Hossein Amini e ad altri la trama di un romanzo noir di
James Sallis realizza Drive, un film atipico,
un concentrato shakerato della sua poetica estetica e cinefila, un
western metropolitano che riscrive le regole del genere noir ed
attinge a piene mani dall’estetica retrò anni ’80 (soprattutto a
livello musicale, con eccezionali esempi di synth-pop) e dai film
cult di genere anni ’70 come il famoso Drive di
Walter Hill o l’angeriano Scorpion Rising. Il
film ottiene la Palma d’Oro al 64esimo Festival
di Cannes per la miglior regia, con tanto di “benedizione” da
parte di Robert – Taxy Driver – DeNiro e la definitiva
consacrazione per Nicolas Winding Refn dopo una ventennale
carriera.
La storia è quella di uno stuntman
part-time, dal passato misterioso e senza nome (interpretato da uno
straordinario Ryan Gosling che riduce al minimo i movimenti
facciali come un perfetto giocatore di poker, regalandoci una
performance e un’ottima prova d’attore) che arrotonda i propri
guadagni lavorando nell’officina del suo mentore Shannon, ex
stuntman ora invalido, e facendo l’autista per colpi, rapine e
furti d’ogni genere. Freddo, controllato e impassibile non vuole
sapere niente: lui guida e basta (come dichiara all’inizio del
film). Ma le cose si complicano quando si innamora della sua vicina
di casa, Irene, giovane madre con un marito in carcere che si
ritrova coinvolto in un brutto giro e Driver, pur di difenderla,
mette a repentaglio tutto sé stesso.
I primi minuti sono un vero e
proprio saggio di cinema: Refn riprende un adrenalinico
inseguimento in auto ma dall’interno dell’auto stessa (cosa mai
fatta prima) creando un climax di tensione e azione mai visti
prima. I titoli di testa flou (in fucsia), la colonna sonora
ricercata ma retrò (la bellissima “Real Hero” e lo score di
Cliff Martinez), l’estetica noir ricercata che immortala una
LA dal sapore lynchiano e un protagonista da antologia che rimane
sempre con lo stesso giubbotto argentato con scorpione dall’inizio
alla fine del film, creano un gioiello della moderna cinematografia
riscrivendo le regole di un genere e creando una nuova mitologia,
con al centro un anti-eroe metropolitano, un “cavaliere elettrico”
romantico ma pronto ad abbandonarsi a repentini quanto
incontenibili scatti d’ira, un personaggio dotato di una morale
ambigua contrassegnata da luci ed ombre (come la scena
dell’ascensore ben esplicita).
Cavalcando l’onda del successo di
Drive (un successo quasi “non voluto” da Refn) il
regista, finalmente balzato agli onori della cronaca, si è potuto
dedicare al suo ultimo progetto, un’idea più in linea con la sua
“poetica visionaria” e cinematografica, un lavoro che apre uno
scenario sulle prossime opere che realizzerà in futuro (tipo un
remake di Barbarella o un adattamento di una serie a
fumetti firmata Moebius- Jodorowski): un film dal carattere
orientaleggiante, un altro western in salsa muai-thai, Solo
Dio Perdona Only God Forgives, un’altra storia dal
carattere epico e incalzante, un’altra discesa negli inferi senza
redenzione ma con un tocco più personale e surreale, cedendo a
quell’iperrealismo violento e visivo degno del miglior Alejandro
Jodorowski (a cui è dedicato il film); anche in questa
pellicola ritroviamo Ryan Gosling litico protagonista
laconico dall’espressione fissa e dallo sguardo perso che si cala
nei panni di Julian, un ragazzo americano trasferitosi a Bangkok
per gestire un losco traffico di stupefacenti che fanno capo alla
terribile madre interpretata da una camaleontica Kristin Scott
Thomas; qui nella città asiatica gestisce un club di thai boxe
insieme al fratello Billy, pervertito ben avviato sulla strada per
l’inferno, che commette un delitto orribile: uccide e sevizia una
prostituta minorenne, scatenando la terribile vendetta del padre, e
proprio in questo contesto entra in scena- forse- il vero
protagonista del film, un poliziotto (interpretato dalla scoperta
thailandese Vithaya Pansringarm) super-partes in grado di
giudicare le colpe di tutti, in grado di perdonare o vendicare… un
terribile Deus-ex
Machina che tutto vede e tutto sa.
Nato dopo un periodo di
riflessione esistenziale e di rabbia nei confronti di Dio stesso
(Refn dixit, NdA) il film alterna solito montaggio frammentato e
caotico, le analessi e le prolessi temporali ad una fotografia
mozzafiato quasi esclusivamente notturna (com’era già accaduto in
Drive, del resto) e colonna sonora epica che evoca le
atmosfere degli spaghetti western di Sergio Leone e dialoghi
stringati e lapidari, come se il solito Bergman incontrasse
stavolta John Woo.
La vendetta aleggia sulle teste dei
protagonisti al quale non si può scappare, come una sorta di debito
inestinguibile; a Dio è lasciato il perdono, agli uomini solo la
vendetta che passa attraverso la violenza.
E stranamente, proprio il concetto
di “violenza” attraversa l’opera di Nicolas Winding Refn: si
definisce un “pornografo” perché nei suoi film ama rappresentare
tutto senza sconti, senza censure, non nascondendo un piacere
latente e sadico nell’assistere a scatti di rabbia cieca ben
lontani dalla sua natura nella vita di tutti i giorni; e proprio
per questo si definisce pure un feticista, uno a cui piace vedere
integralmente ciò che in realtà non farebbe mai, traendone
piacere.
E forse è proprio per questo che
oltre vent’anni fa fu definito un enfant prodige venuto dal nord e
che oggi, invece, è uno dei registi più promettenti, innovativi ed
originali del nuovo millennio.
David O. Russell, in occasione
della promozione del suo ultimo film, American Hustle
L’apparenza inganna, approda nella facoltà di lettere
dell’Università di Roma, ‘La Sapienza’ per una chiacchierata sul
suo cinema e una lezione un po’ diversa da quelle a cui gli
studenti universitari sono abituati.
Nell’aula, insieme al professore di
Storia e Critica del Cinema Maurizio De Benedictis
(che ha reso possibile l’incontro) e Piera
Detassis (direttrice della rivista di cinema Ciak),
O. Russell porta con sé la sua esperienza nel
cinema, trasferendola ai suoi uditori con estrema semplicità.
Dopo la presentazione del professor
De Benedictis, che ha introdotto agli studenti l’autore, facendo
una carrellata della sua filmografia e soffermandosi
sull’innovazione che il regista ha saputo apportare alla nuova
commedia americana, parte l’intervista, moderata dalla
Detassis.
Piera Detassis: Ho
letto in un’intervista che preferisci definirti autore piuttosto
che regista. Cosa significa questo rispetto al cinema
americano?
David O. Russel: Penso che
ci siano molti differenti tipi di autore. Sergio Leone è un autore,
Michael Bay è un altro tipo di autore..il tipo a cui potrei
corrispondere o che vorrei essere è quello a cui piace
raccontare storie che siano basate essenzialmente sui personaggi.
Io faccio film principalmente sulle persone, che spesso sono
divertenti e assurde, ma anche e soprattutto vere.
Anche in The Fighter non ho fatto un film sulla boxe,
o comunque, non lo definisco tale. Si tratta più di un film sul
personaggio e sulla sua famiglia. Riguardo a Il lato positivo,
poi, è un film per me molto personale perché ho un figlio che ha
il disturbo della personalità bipolare, e, sebbene sia vero che è
un film tratto da un romanzo, mi sento molto coinvolto. Anche il
mio ultimo film ha dei personaggi che non rientrano in determinate,
specifiche categorie ed è proprio questa la cosa affascinante
riguardo loro.
PD: Parliamo di attori e
star. Tu sei un autore che ama lavorare con le star, mentre certi
autori sono un po’ diffidenti. Come riesci a gestirli sul
set?
DR: Io trovo che le star siano elettrizzanti, trovo i
film elettrizanti. Per me è una cosa bella quando le star dei film
fanno i miei film. Sono fortunato a essere socio di uno studio che
mi permette di fare film con queste star, perché la loro
stessa presenza mi permette di poter correre più rischi perché sono
comunque una certezza per il ritorno economico del film. Con loro
posso rischiare di fare cose nuove e posso divertirmi a farle
perché il bello è proprio vederli alle prese con qualcosa che
nessuno ha mai fatto fare loro.
PD: Sarebbe possibile
senza le star fare questo tipo di cinema, il suo, a
Hollywood?
DR: Sarebbe molto più
difficile. Come ho detto, rispetto tutti i tipi di registi, ma
credo che non potrei fare questo genere di film senza di loro (le
star). Ovviamente ho iniziato senza avere queste possibilità, e ci
ho messo comunque grande passione.. però per il tipo di cinema che
faccio, senza di loro sarebbe tutto più ridimensionato, e
sicuramente meno gente andrebbe a vedere il film. Soprattutto oggi,
con la facilità di reperire film su internet, credo che l’andare al
cinema debba essere un’esperienza speciale. E’ un po’ come cercare
di attirare le persone sotto il “tendone”. Ed è questo che fai con
gli attori a cui fai fare cose a cui il pubblico non è
abituato.
PD: I tuoi personaggi
femminili sono i più interessanti, i meno banali del cinema
americano. Sei cosciente del fatto che stai costruendo e
glorificando una nuova donna, fuori dagli schemi?!
DR: Assolutamente sì. In
questa nuova fase del mio cinema sono arrivato a rendermi conto che
le donne sono delle vere e proprie armi nel cinema e sono anche
molto sottovalutate. In The fighter le figure femminili sono
anche molto più influenti dei due fratelli. Ne Il lato
positivo, il personaggio di Jennifer Lawreence, è molto
interessante. Penso che le donne siano, per certi aspetti, molto
più intelligenti., molto più forti degli uomini. Quindi mi piace
mostrare tutte le loro sfumature, la loro sensualità, la loro
forza, la loro capacità manipolatrice.
PD: E’ vera la leggenda che fa molto
improvvisare gli attori sul set?
DR: No, non c’è
improvvisazione. Le sceneggiature sono molto precise a livello di
inquadrature e dialoghi. Se cambiamo qualcosa, lo facciamo insieme,
magari solo un piccolo dettaglio. Quello che per me è importante è
la percezione di aver catturato qualcosa di vivo, una realtà.
Detesto la pretenziosità, il “far finta che”, mi piace che le cose
siano reali. Non utilizzo mai luci artificiali sul set, in modo che
se entri nella stanza non ti sembra di essere su un set. Io sono
sempre presente nella stanza, con gli attori. Non vado mai al
monitor, sono sempre vicino la macchina da presa, perché ho bisogno
di sentire l’attore. Giro sempre in pellicola e non ci fermiamo
mai, se anche do indicazioni, lo faccio sempre quando la pellicola
continua a girare, in modo che l’attore si dimentichi di star
girando..deve avere l’impressione di star facendo qualcosa di vivo.
Ad esempio Robert de Niro mi ha fatto notare che aveva davvero
l’impressione di stare in qualcosa di vero, mentre
giravamo.
I: American Hustle: cosa ti ha convinto a portare sullo
schermo lo script? Perchè hai cambiato il titolo orginale, American
Bullshit?
DR: La cosa che mi ha
convinto sono stati i personaggi: erano fantastici. Avevo voglia di
raccontare questi personaggi sorprendenti e i guai in cui si
trovano, volevo mostrare le loro varie sfumature, il tema della
sopravvivenza, del reinventarsi. E riguardo il personaggio di
Christian Bale, lo immaginavo non come un imbroglione, ma
come una persona che aveva una curiosità verso le altre persone.
Come regista volevo raccontare più dei personaggi, che degli
eventi. Mi interessano i loro sentimenti, i loro amore, come
vivono. Gli eventi mi servono più che altro come uno stratagemma
per raccontare le persone. Ho cambiato il titolo perché
American Bullshit mi sembrava molto cinico. Non sono cinico, non
amo il cinismo. Forse lo ero quando ero più giovane, ma adesso non
mi interessa più. Quando i sentimenti sono veri, quando i
sentimenti sono intensi e reali, allora non puoi scadere nel
mieloso.
Maurizio De Benedictis: Il cinema di
personaggi vuole una categoria di attori adatti a creare questi
personaggi. Come mai il sistema americano riesce ad assicurare
attori così bravi? Come si formano, nonostante sia comunque
decaduto lo star system?
DR: Credo che quello che accada oggi è che gli attori si
rivelino. Fanno film piccoli, come ha fatto Christian Bale, e poi
si dimostrano bravissimi. Christian Bale ha fatto un provino per
Three Kings, ma io non lo ricordo affatto. Lui sì, perché non ebbe
la parte. Jennifer Lawrence, ha fatto Un gelido inverno
ed ha mostrato al mondo quanto c’era di speciale in lei. Bradley
Cooper era in un certo senso sottovalutato come attore, ma io mi
sono reso conto, incontrandolo, che era una persona molto più
profonda, che aveva un’ anima e pensava come un artista. Mi
piacciono gli attori che mostrano di aver fame: Amy Adams prima
di The Fighter non aveva mai avuto un ruolo del genere.
Molti pensavano che non ce l’avrebbe fatta, ma io l’ho vista
nei suoi occhi, quella voglia di imparare, di fare. Metterli in
condizione di fare qualcosa di assolutamente nuovo e assurdo
permette anche allo spettatore di farsi prendere di più dal
personaggio.
Ecco in due nuove immagini Electro,
il prossimo villain contro il quale si dovrà scontrare il nostro
amichevole Spider-Man di quartiere nel prossimo film di
Mark Webb The Amazing Spider-Man
2.
Ecco la trama di
The Amazing Spider-Man 2:
Abbiamo sempre saputo che la
battaglia più importante di Spider-Man è quella che combatte dentro
di sé: la lotta tra gli impegni quotidiani di Peter Parker, e
le straordinarie responsabilità di Spider-Man. Ma in The
Amazing Spider-Man 2: Il Potere di Electro, Peter Parker si
ritrova a dover affrontare un conflitto molto più
grande.
E’ bello essere Spider-Man
(Andrew Garfield). Per Peter Parker, non c’è niente di più
emozionante che oscillare tra i grattacieli, sapere di essere un
eroe, e passare del tempo con Gwen (Emma Stone). Ma
essere Spider-Man però ha un prezzo: solo Spider-Man può
proteggere il suo concittadini newyorchesi dai malvagi che
minacciano la città. Con la comparsa di Electro (Jamie
Foxx), Peter deve affrontare un nemico molto più potente di lui. E
con il ritorno del suo vecchio amico Harry Osborn (Dane
DeHaan), Peter si rende conto che tutti i suoi avversarsi hanno una
cosa in comune: la OsCorp.
Batmaniac prende in esame
Batman vs Superman attraverso un
ragionamento che punta a far riflettere sul sovraffollamento di
personaggi a cui rischia di andare incontro il sequel di
Man of
Steel.
L’editoriale parte dall’analisi
delle strategie dello studio rivale, ossia i Marvel Studios. Lo studio, prima di progettare
The Avengers, ha preferito introdurre uno
a uno i personaggi coinvolti con film propri, riuscendo così a
scatenare la curiosità di molti fan nel vedere tutti assieme questi
personaggi già conosciuti precedentemente al cinema; il risultato
alla fine fu clamoroso con Avengers che diventò il terzo film ad
aver incassato più tutti nella storia del cinema. Tutto questo però
non significa che Dc dovrebbe agire allo stesso modo.
Ci sono stati molti altri film
corali, prima di Avengers, che hanno
avuto un grande successo e tra questi possiamo citare
Il Signore degli Anelli (con 22
personaggi) o la saga di Danny Oceans partita con
Oceans Eleven; in questi film tutti i
personaggi sono ben bilanciati sullo schermo e vengono utilizzati
molto bene per gli scopi della trama.
Le critiche di chi non vuole un
film corale puntano sopratutto sul fatto che un personaggio dei
fumetti è diverso da un personaggio di un libro e quindi dovrebbe
avere, almeno inizialmente, uno spazio tutto suo. Ma tornando al
sovraffollamento del film, è interessante notare come la maggior
parte dei film tratti da fumetti che usciranno nel prossimo anno
avranno molti più personaggi rispetto a Batman vs
Superman; partendo da Captain America: The winter
Soldier con 20 personaggi, passando da
X-Men Giorni di un futuro passato (16)
fino a The Amazing Spider-Man 2
(15) e Guardians of the Galaxy (23).
Come si può ben vedere, rispetto ai
6 confermati per
Batman vs Superman, tutti i film di fumetti che
usciranno saranno ben più corposi, con Guardians of the
Galaxy che stabilirà addirittura un primato.
Da tutto questo è facile dedurre
quale sia la risposta alla domanda:
Batman vs Superman ha troppi personaggi? I fan
non devono temere un flop assicurato perché, come abbiamo visto,
partire con un film corale non è sempre sinonimo di insuccesso,
sopratutto se il lavoro di sceneggiatura risulta essere valido nel
dare i giusti spazi a ogni protagonista.
Batman vs Superman dovrebbe uscire il 17 luglio
2015 con alla regia il confermato Zack Snyder e la
sceneggiatura curata dallo stesso regsita con Chris
Terrio (sulla base della storia scritta da David
S. Goyer). Confermatiper ora nel cast del film
Henry Cavill, Ben Affleck, Amy Adams, Laurence Fishburne,
Diane Lane e Gal Gadot.
Nei territori
dell’antica Persia, il piccolo Dastan è un orfano che viene
sorpreso dalle guardie imperiali a rubare una mela al mercato.
Presente alla scena, il re Sharaman nota con ammirazione il
coraggio e l’incredibile destrezza del ragazzo, decidendo così di
risparmiargli la mano e di accoglierlo a palazzo. Sedici anni dopo,
Dastan viene considerato un nobile principe di Persia assieme ai
due diretti discendenti del re, Tus e Garsiv, anche se le sue
abitudini restano quelle di un ragazzo del popolo. Quando lo zio
Nizam annuncia che nella città santa di Alamut vengono nascoste
armi per i nemici della Persia, i tre principi conducono un attacco
alla città e la espugnano grazie soprattutto all’intervento di
Dastan.
Questa sera viaggeremo nel tempo con
Dastan, interpretato da Jake Gyllenhaal,
accompagnato dalla bellissima principessa Tamina, Gemma
Arterton. Prince of Persia Le sabbie del
tempo è, come è noto, l’adattamento cinematografico
del famosissimo gioco omonimo della Ubisoft (la stessa di
Assassin’s Creed) e non è un segreto che i fan accaniti
del gioco si siano rivoltati a causa di questa versione per il
grande schermo, tanto che adesso la Ubisoft, per portare sullo
schermo il suo gioco di punta, ovvero Assassin’s, sta portando
avanti una lunghissima fase di preproduzione che sembra si avvarrà
del talento di Michael Fassbender e di produzioni
indipendenti.
Di seguito una piccola curiosità su
Prince of Persia Le sabbie del tempo, in
onda su Rai Tre: quando Dastan e Tamira sono nel deserto,
quest’ultima afferma che se Dastan fosse rimasto sperduto, “sarebbe
stato circondato da tanti bambini che cantano “il Mondo È Mio”: si
riferisce alla canzone “A Whole New World” del classico Disney
“Aladdin”.
Il sequel de La notte del
giudizio uscirà nei cinema americani a fine giugno
2014 e per questo le selezioni del nuovo cast si fanno più
pressanti per James DeMonaco (confermato alla
regia dopo il successo del primo film) che sarà affiancato dal
produttore del momento per il genere, ovvero Jason
Blum.
Oggi arriva la notizia che ad
affiancare il nuovo protagonista Frank Grillo ci
saranno Michael K. Williams, Carmen Ejogo, Zach
Gilford e Kiele Sanchez, con il primo già
noto al grande pubblico per i suoi ruoli in The Wire e
Boardwalk Empire. Il sequel dovrebbe avere
un’ambientazione simile a quella originale ovvero una volta
l’anno,per 12 ore, sono consentiti tutti i tipi di reati senza
alcune ripercussione penale.
I produttori ovviamente sperano di
ripetere il boom economico avuto con la pellicola precedente
quando, a fronte di un costo di realizzazione di 3mln, il film
riuscì a incassarne ben 90.
Si intitolerà da noi
Un giorno come tanti, il film che sta
facendo di nuovo accostare la bravissima Kate
Winslet alla stagione dei premi tanto da farle già
ottenere una nomination ai Golden Globe. Il film che in originale
si intitola Labor Day, vede protagonista
accanto alla Winslet Josh Brolin ed è diretto da
Jason Reitman e basato sul romanzo omonimo
di Joyce Maynard.
A completare il cast del film ci
sono Tobey Maguire, Clark Gregg, James Van Der
Beek e Brooke Smith.
Trama: La storia è ambientata nei
primi anni ’80, durante uno degli ultimi weekend estivi. Adele, una
madre divorziata è dedita allo shopping con il figlio tredicenne
Henry quando incontra un uomo ferito che sanguina copiosamente e
che chiede loro un passaggio. I due, contro ogni buon giudizio,
glielo danno. Sono ostaggi, complici o semplicemente degli illusi?
Mentre la polizia scandaglia la città da cima a fondo alla ricerca
dell’evaso, madre e figlio scoprono la vera storia.
Di seguito uno spot esteso del film
con protagonista Kate Winslet: