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week end al cinema 18/12

di Francesco D’Occhio

Natale a Beverly Hills
: Due storie si intrecciano sotto il sole di Beverly Hills.
Carlo (Christian De Sica) ritrova per caso Cristina (Sabrina Ferilli) vecchio amore che aveva abbandonato quando era incinta di 7 mesi. Il figlio Lele ha ora come padre putativo Aliprando (Massimo Ghini) che è stato vicino al ragazzo e alla madre per tanto tempo.
Purtroppo per Carlo presto dovrà riconfrontarsi col suo passato…
Serena e Marcello (Michelle Hunziker/ Alessandro Gassman) festeggiano separatamente l’addio al celibato prima di sposarsi. Purtroppo Serena a causa di una sbornia, crede di aver fatto l’amore con Rocco, un uomo conosciuto fuori dal locale dove festeggiava, quest’ultimo innamoratosi di lei cercherà in tutti i modi di mettere i bastoni tra le ruote e le farà credere di aver passato veramente la notte con lui.
Ventiseiesimo cinepattone che puntuale come tutti gli anni giunge in una moltitudine di sale alle soglie del natale. Per la prima volta dopo l’abbandono di Boldi non vi è Fabio de Luigi mentre per la prima volta vi partecipa la coppia di figli d’arte Alessandro Gassman e Gianmarco Tognazzi.

 
 

week end al cinema 10/12

 

Di Francesco D’Occhio


Dieci Inverni: Siamo nel 1999 a Venezia e due studenti fuori sede, Camilla e Silvestro si conoscono su un vaporetto. Lei lo ospita nel suo appartamento, nelle vicinanze della città lagunare.
Lui è sfacciato, lei è introversa e timida.
Anche se in casa di lei non si concretizzerà nulla, qualcosa nasce.
I due si separeranno per rincontrarsi ancora molte volte per 10 anni ancora, fino a condividere esperienze a Mosca.
Opera prima per Valerio Mieli supportato dalla fotografia di Marco Onorato, già al lavoro per “Gomorra” che punta alla rivisitazione dell’amore distaccandosi dal filone “moccia” per riallacciarsi ad uno più maturo simile al “Un’Amore” di Tavarelli.
Nei panni dei due protagonisti i bravi Michele Riondino e Isabella Ragonese chiamati a interpretare un percorso di crescita e di sentimenti che va dall’adolescenza alla quasi maturità, appunto, Dieci Inverni.

 
 

week end al cinema 04/12

Di Francesco D’Occhio

A Serious Man: Nel 1967 il professore Larry Gopnik è in un periodo nero.
La moglie lo ha lasciato perché innamorata di un collega, uno studente lo ricatta, riceve lettere minatorie e l’affascinante vicina non fa altro che prendere il sole nuda.
Ormai senza speranza l’uomo decide di rivolgersi a tre rabbini per chiedere consiglio.
I fratelli Coen firmano un lungometraggio dai toni sarcastici in cui un uomo in fondo buono vede tutto il male ritorcersi contro lui ad ogni suo gesto.
Presentato con successo al Toronto International Film Festival e al Festival Internazionale di Roma.

 
 

WeCrashed: recensione della serie con Anne Hathaway e Jared Leto

WeCrashed recensione serie tv

“Volevo salvare l’anima della compagna, poi ho capito di essere io l’anima della compagnia…” dice Rebekah Neumann a suo marito Adam in una delle puntate centrali di WeCrashed, serie di Apple TV+ dedicata all’ascesa e caduta dell’impresa WeWork. La donna ha perfettamente ragione: è lei l’anima di quello che per alcuni anni si è rivelato un piccolo grande fenomeno sociale, fino a creare un giro d’affari di alcuni miliardi di dollari.

Lo show in otto puntate ispirato dal podcast di David Brown mette in scena con precisione certosina ed elegante senso della commedia dell’assurdo proprio questo: l’anima della donna e dell’uomo che hanno creato dal nulla un impero economico. La forza principale del progetto è però quella di andare controcorrente e mostrare per intero la vacuità, la meschinità, l’ipocrisia di questi personaggi. Sotto questo punto di vista WeCrashed è un qualcosa di sorprendentemente coraggioso, in quanto non concede mai allo spettatore di  dubitare della superficialità della futilità dei protagonisti.

WeCrashedLa trama di WeCrashed

Fin dall’inizio la loro è una anti-epopea ottimamente costruita a livello narrativo, che puntata dopo puntata sa immergere in un vortice di decisioni dettate puramente da ego smisurato, egoismo, vanità e ipocrisia. In ogni momento in cui la trama sembra lasciar trasparire un minimo di umanità nelle figure di Adam o Rebekah, ecco che qualche colpo di scena oppure un dettaglio dissonante intervengono a ricordarci quanto entrambi siano fuori dal mondo. Raramente è capitato di vedere una miniserie in cui nulla viene concesso alla drammatizzazione di un antieroe, per quanto fallace o ambiguo esso sia. 

In una maniera che, lo ammettiamo, risulta piuttosto complessa da esprimere con totale precisione, WeCrashed potrebbe essere una delle serie più rappresentative di questi anni: attraverso la rappresentazione del vuoto pneumatico rappresentato da Adam Neumann e Rebekah Paltrow – cugina di Gwyneth – la serie riesce a rendere i suoi protagonisti paradigmatici, emblemi assurdi di una società in trasformazione che (probabilmente) ancora non riesce a comprendere del tutto la sua nuova dimensione e cerca punti di riferimento i quali spesso non hanno lo spessore necessario o anche soltanto l’integrità morale per esserlo.

Pur indirizzando i propri strali contro queste due figure ben identificabili WeCrashed propone un discorso tutt’altro che conciliatorio anche sull’ambiente che li ha prodotti e lasciati successivamente proliferare. La New York delle opportunità per tutti, del flusso di denaro inarrestabile, del politically correct a ogni costo, del #MeToo e della “Cancel Culture”, dei millennial e dei social media: quanto tale contesto è (co)responsabile della folle epopea economica e culturale che risponde al nome di WeWork? Costruendo lo sviluppo narrativo dello show come un crescendo rossiniano i creator Lee Eisenberg e Drew Crevello riescono nell’intento di mettere alla berlina tutto e tutti, non salvando un solo personaggio dell’entourage di WeWork. Sotto questo punto di vista la miniserie si fa molto più radicale di altre contemporanee, pur nascondendolo dietro la confezione della commedia satirica. Da notare che alla regia dei primi episodi ci sono John Requa e Glenn Ficarra, registi e sceneggiatori che in passato hanno denotato un tocco sapido e pungente quando si tratta di ironizzare sul nostro presente.

Jared Leto e Anne Hathaway sono i protagonisti

Ultimo tassello del discorso, ma di certo non meno importante dei precedenti, riguarda la performance dei due protagonisti Jared Leto e Anne Hathaway, i quali si prestano con sincero coraggio a impersonare con adesione e puntualità due figure tanto meschine, probabilmente riuscendo al tempo stesso a ridere di loro stessi e del loro stato di “star”: se l’attore che interpreta Adam Neumann è indubbiamente efficace pur lavorando con un trucco che non lo aiuta più di tanto, la vera mattatrice di WeCrashed è una Hathaway che sa cambiare tono, atteggiamento, linguaggio fisico all’interno di una sola scena e risultare comunque credibile e irritante al tempo stesso.

Il lavoro dell’attrice sul personaggio si muove costantemente su un equilibrio instabile tra realismo e caricatura, facendosi puntata dopo puntata sempre più prezioso. Non temiamo di sbilanciarci affermando che l’interpretazione di Rebekah è uno dei capolavori personali per la Hathaway, forse la miglior interpretazione della sua carriera. La capacità di farsi ammirare eppure detestare significa in questo caso aver fatto un lavoro enorme sul ruolo.

 
 

Weaving villain in Captain America

Finora i rumour sul casting di The First Avenger: Captain America si sono concentrati sull’attore che interpreterà il protagonista. Ora si apprende che Hugo Weaving sta per ottenere la parte del villain Teschio Rosso…

 
 

Weapons: Zach Cregger rivela un finale alternativo molto più cupo

Josh Brolin in Weapons

Il regista di Weapons, Zach Cregger, rivela che inizialmente aveva previsto un finale alternativo molto più cupo. Durante un’intervista con Inverse, Cregger ha infatti spiegato che il film originariamente si concludeva semplicemente mostrando il figlio di Archer (Josh Brolin), lasciando il dubbio sulla sua effettiva salute e non conteneva alcuna narrazione che offrisse maggiori dettagli. Anche se Cregger avrebbe preferito quella scelta, ha notato che il pubblico delle proiezioni di prova non l’ha apprezzata.

Il regista ha poi aggiunto: “Inizialmente, la voce fuori campo che si sente alla fine non c’era nemmeno. Non mi piaceva molto l’idea. Volevo semplicemente concludere con lo sguardo di Matthew. Ma alla gente non piaceva. Non c’era la voce fuori campo e abbiamo semplicemente concluso con il volto del ragazzo. Le luci si sono spente ed è apparso il titolo “Scritto e diretto da Zach Cregger”, e una donna in sala ha esclamato: “Ma che c***o?”.

Cosa succede nel finale di Weapons?

Dato che alla fine Gladys è stata uccisa, e in modo raccapricciante, come si addice a un’antagonista del genere, il finale di Weapons può sembrare positivo. Justine Gandy (interpretata da Julia Garner), che era diventata il bersaglio di molti genitori preoccupati a Maybrook, è sopravvissuta a numerosi eventi terrificanti nel film, mentre i bambini sono stati recuperati dai loro genitori e alcuni hanno finalmente ripreso a parlare, come rivelato dal narratore.

Purtroppo, non tutto è finito in modo ottimistico e Maybrook potrebbe essere segnata per sempre da ciò che è accaduto. Ad esempio, Alex è riuscito a sconfiggere Gladys, ma ha dovuto lasciare i suoi genitori, che sono rimasti in stato vegetativo, alle cure di qualcun altro. Anche Justine, e in particolare i suoi giovani studenti, porteranno probabilmente con sé un trauma significativo, che potrebbe plasmare il loro carattere in futuro.

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Weapons: Zach Cregger ha già un’idea per un altro film

Julia Garner in Weapons (2025)
Julia Garner in Weapons

Il regista Zach Cregger parla della possibilità di realizzare un altro film nel mondo di Weapons. Il suo nuovo horror svela il mistero che circonda diciassette bambini, tutti della stessa classe di scuola elementare, scomparsi una notte alle 2:17 del mattino. Riuscendo a nascondere quasi tutti i segreti principali, in particolare all’identità del personaggio noto come Gladys, il film ha continuato a suscitare entusiasmo. Ora che è in sala, sta ricevendo elogi, vantando un punteggio Tomatometer del 95% su Rotten Tomatoes, e probabilmente diventerà un successo commerciale.

LEGGI ANCHE: Weapons: la spiegazione del finale del film horror

Durante un’intervista con Variety, Cregger ha quindi discusso della possibilità di tornare nell’universo costruito con questo film. “Certamente. In realtà… è divertente che tu me lo abbia chiesto. Non posso farci niente: ho un’altra idea per qualcosa in questo mondo che mi entusiasma molto. Non lo farò subito, e probabilmente non lo farò dopo il mio prossimo film, ma ne ho uno e mi piacerebbe vederlo sullo schermo un giorno”, ha affermato il regista.

Cosa significa questo per Weapons

Sulla base dei suoi commenti, non è chiaro che tipo di storia abbia ideato Cregger e se sia direttamente collegata a questa sua nuova uscita horror o se semplicemente esista nello stesso universo. Tuttavia, Weapons contiene diversi misteri irrisolti che un altro film potrebbe potenzialmente chiarire. Ciò che è successo ad Alex e ai suoi compagni di classe è stato brevemente accennato alla fine del film. Tuttavia, il pubblico potrebbe essere interessato a saperne di più su di loro e su come Justine Gandy sta affrontando la situazione anni dopo.

Ci sono poi anche molte domande che circondano Gladys e le sue misteriose imprese, prima di minacciare Alex e sconvolgere completamente Maybrook. Poiché Gladys utilizzava la stregoneria come mezzo per alleviare i suoi disturbi e controllare gli abitanti di Maybrook, vale la pena chiedersi da quanto tempo lo facesse e quale fosse la portata dei suoi poteri. Non viene mai rivelato dove Gladys abbia ottenuto i suoi poteri, né da dove provenisse il suo albero, ma questi sono aspetti che un altro film nel mondo di Weapons potrebbe esplorare.

 
 

Weapons: trailer del nuovo horror dal regista di Barbarian

Dalla New Line Cinema e Zach Cregger, la mente originale dietro “Barbarian”, arriva un nuovo horror/thriller: “Weapons”. Quando tutti i bambini di una stessa classe, tranne uno, scompaiono misteriosamente nella stessa notte esattamente alla stessa ora, l’intera comunità si ritrova a interrogarsi su chi – o cosa – sia responsabile della loro sparizione. Il film è interpretato da Josh Brolin, Julia Garner, Alden Ehrenreich, Austin Abrams, Cary Christopher, con Benedict Wong e Amy Madigan.

Cregger firma la regia del film da una sua sceneggiatura originale. Lo stesso Cregger è produttore del film insieme a Roy Lee, Miri Yoon, J.D. Lifshitz e Raphael Margules. Michelle Morrissey e Josh Brolin sono i produttori esecutivi. Il team creativo dietro la macchina da presa include il direttore della fotografia Larkin Seiple, lo scenografo Tom Hammock, il montatore Joe Murphy e la costumista Trish Sommerville. Le musiche sono di Ryan Holladay, Hays Holladay e Zach Cregger. New Line Cinema presenta una produzione Subconscious/Vertigo Entertainment/BoulderLight Pictures, un film di Zach Cregger, “Weapons”. Distribuito da Warner Bros. Pictures, il film arriverà nelle sale italiane il 6 agosto.

Cosa significa questo trailer per Weapons

Questo trailer completo di Weapons conferma diversi dettagli della trama che erano stati già intuiti dal teaser e dalle prime fotografie. Il narratore menziona direttamente che alle 2:17 del mattino tutti i ragazzi escono di casa. Questo orario era già stato visto sull’orologio in una delle prime immagini del film. Poiché gran parte della pubblicità finora ha sottolineato l’ora in cui i ragazzi escono di casa, sembra probabile che questo orario avrà un ruolo significativo nella trama.

Il trailer completo offre anche un’anteprima più dettagliata dell’esperienza di Justine Gandy, l’insegnante la cui classe scompare. Il trailer la mostra per la prima volta in un’immagine inquietante in cui entra in un’aula vuota. Più tardi, sembrano esserci delle accuse quando qualcuno durante una riunione scolastica dice: “Non capisco proprio. Perché proprio la sua classe, perché solo la sua?” Il personaggio viene poi visto piangere in macchina e svegliarsi con degli incubi, a dimostrazione di quanto la scomparsa la stia colpendo profondamente. Weapons seguirà il viaggio di Justine mentre si svela l’orrore.

 
 

Weapons: Pedro Pascal protagonista del nuovo horror dal regista di Barbarian

Pedro Pascal 2022
Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Pedro Pascal, il protagonista di The Last of Us della HBO, ha firmato per recitare in Weapons, il nuovo progetto cinematografico dei cineasti dietro l’horror di successo Barbarian. New Line è alla base del lungometraggio, che ha una sceneggiatura scritta da Zach Cregger, l’attore diventato regista che è anche seduto sulla sedia del regista.   Cregger produrrà anche insieme al suo team di produttori Barbarian, Roy Lee di Vertigo e JD Lifshitz e Raphael Margules di BoulderLight Pictures. Produce anche Miri Yoon di Vertigo.

I dettagli della trama non sono stati al momento resi noti, ma Weapons è descritto come un’epopea horror a più livelli interconnessa e ricorda dal punto di vista dei toni Magnolia del regista Paul Thomas Anderson. I dettagli del personaggio per Pascal non sono stati rivelati. Le riprese dovrebbero iniziare in autunno.

Weapons è stato oggetto di un’intensa guerra di offerte a gennaio, quando gli studi e gli streamer di Hollywood hanno combattuto per avere la possibilità di lavorare con Cregger, il cui Barbarian, prodotto per soli 4,5 milioni di dollari, è diventato un successo non solo di pubblico e di critica ma anche all’interno della stessa industria. La New Line ha vinto l’asta che si è venuta a creare concludendo un accordo che includeva, tra le altre clausole, un via libera garantito e un’uscita nelle sale garantita.

Pedro Pascal è apparso in serie come Narcos e Game of Thrones prima di interpretare il ruolo del cacciatore di taglie con l’elmetto Din Djarin nella serie di Star Wars The Mandalorian. E mentre il volto dell’attore non è stato visto spesso nello spettacolo, la popolarità di Mandalorian ha aumentato il fascino galattico di Pascal. Quest’anno ha recitato in The Last of Us, l’adattamento della HBO del videogioco Sony. Interpretando la figura paterna spezzata e dal cuore di pietra che guida una giovane donna testarda in un’America postapocalittica, lo spettacolo ha sfidato le aspettative del genere zombie per concentrarsi sul dramma e sulle relazioni. 

 
 

Weapons: la storia vera che ha ispirato il film horror

Julia Garner in Weapons (2025)
Julia Garner in Weapons

Il nuovo film di Zach Cregger con Julia GarnerJosh Brolin e Benedict Wong dal titolo Weapons segna il ritorno del regista dopo il suo acclamato debutto con Barbarian. Questa volta, però, Creggers affronta il tema della drammatica realtà dei bambini scomparsi. Con l’uscita del trailer di Weapons, i fan hanno dunque mostrato interesse verso le ispirazioni reali (se ce ne sono state) alla base del film. Sebbene sia un’opera di finzione, il film presenta effettivamente alcuni elementi ispirati a storie vere.

Il film narra di una piccola città americana dove un’intera classe di studenti delle elementari si è inspiegabilmente alzata e se n’è andata nel buio della notte. Il film si concentra poi sui genitori dei bambini scomparsi, che puntano il dito contro l’insegnante (interpretata da Julia Garner) come principale sospettata. Parlando con Entertainment Weekly, il regista ha ammesso che, sebbene il nuovo film sia una storia completamente fittizia, è stato ispirato da alcune esperienze personali e da casi reali di bambini scomparsi.

Cregger ha in quell’occasione descritto cosa ha portato alla scrittura del suo secondo film, raccontando: “ho vissuto una tragedia nella mia vita che è stata davvero molto dura. Una persona molto, molto, molto cara è morta improvvisamente e, onestamente, ero così affranto dal dolore che ho iniziato a scrivere Weapons, non per ambizione, ma solo come un modo per fare i conti con le mie emozioni“. Il regista ha poi definito Weaponsuna storia incredibilmente personale”, aggiungendo che ci sono elementi che sono “autenticamente autobiografici, che mi sembra di aver vissuto”.

Josh Brolin in Weapons
Josh Brolin in Weapons

Su quali storie vere è basato Weapons?

Come descrive il regista Zach Cregger, Weapons non è necessariamente una storia vera, ma è saldamente radicato in esperienze di vita reale. Il famoso regista horror ha dunque utilizzato alcune delle sue esperienze personali (qualunque esse siano) come spunto per iniziare a scrivere il nuovo film. Tuttavia, come da lui dichiarato in altre interviste, si è basato su alcuni reali casi di scomparsa di bambini per la scrittura del film ed il racconto di come i genitori gestiscono l’evento.

Secondo il Centro statunitense per la prevenzione dei crimini contro i minori e la loro sicurezza, ogni 20 secondi negli Stati Uniti un bambino scompare o viene rapito. Tra i tanti casi di questo genere si possono citaer quello di Madeleine McCann, scomparsa mentre era in vacanza a LAgos con la sua famiglia, o ancora quello di Etan Patz. Perdere un figlio è il peggior incubo di un genitore, quindi Weapons pone la domanda: cosa succederebbe se decine di bambini scomparissero tutti in una volta?

Per il film, Cregger ha dunque esaminato casi di questo genere, dando vita a quest’incubo nel suo nuovo film. Non si è però ispirato a nessun caso in particolare, preferendo partire da questo scenario per dar vita ad un film che sfocia poi nel puro horror, con situazioni agghiaccianti e misteri ancor più spaventosi. È il racconto di una comunità sconvolta e senza risposte, proprio come quella che potrebbe presentarsi qualora si verificasse uno scenario simile a quello narrato dal film. In Weapons, dunque, ritroviamo il dolore e la paura per la scomparsa di qualcuno a fare da motori dell’intero racconto.

 
 

Weapons: la spiegazione del finale del film horror

Weapons spiegazione finale

Dopo aver costruito un avvincente mistero horror per gran parte della sua durata, il finale di Weapons porta le cose a una conclusione intensa, inquietante e oscuramente esilarante. Il secondo lungometraggio da solista dello sceneggiatore e regista Zach Cregger ruota attorno alla scomparsa inspiegabile di (quasi) un’intera classe di bambini di terza elementare, che sono scappati dalle loro case di periferia nella stessa notte, esattamente alle 2:17 del mattino.

Il film è diviso in sezioni che seguono personaggi specifici, saltando avanti e indietro nel tempo per coglierli nei momenti chiave del loro coinvolgimento nel caso. Alla fine, man mano che i pezzi del puzzle vanno lentamente al loro posto, diventa chiaro che tutte le stranezze della loro città sono riconducibili a una donna: Gladys, una strega e autoproclamata zia di Alex, l’unico bambino della classe di Justine Grady a non essere scomparso.

Nel momento culminante del film, quasi tutti i personaggi principali (tranne il povero Andrew Marcus, il preside la cui testa è stata schiacciata poco prima quel giorno) si ritrovano nella casa di Alex, dove sono tenuti prigionieri i bambini scomparsi. Justine e Archer, un genitore di un bambino scomparso, cadono però nella trappola di Gladys; Paul, l’ex fidanzato poliziotto di Justine, e James, il tossicodipendente che ha scoperto per caso i bambini scomparsi, sono la trappola. Ne segue un livello di violenza quasi caricaturale.

Josh Brolin in Weapons

Cosa succede nel finale di Weapons

Gladys, rendendosi conto che il gioco è finito e dicendo ad Alex di prepararsi a lasciare la città, ha preparato Paul e James per una versione alternativa dell’incantesimo d’attacco che aveva usato in precedenza. Invece di prendere di mira incessantemente una persona specifica, sono impostati per attivarsi se qualcuno attraversa le linee di sale lasciate sul pavimento, cosa che Justine fa inconsapevolmente. Paul le si avventa quindi contro, mentre James si scaglia su Archer. Sebbene continui a sferrare colpi devastanti al volto di James, Archer non riesce a tenerlo a terra a lungo.

Justine, traumatizzata, dopo che un pelapatate si rivela inefficace, riesce a uccidere Paul con la pistola del poliziotto. Poi la punta contro James e salva Archer, che si dirige verso il seminterrato e trova i bambini scomparsi. Tuttavia, mentre cerca suo figlio Matthew, trova invece Gladys. Nel frattempo, Alex, che ha osservato Gladys compiere i suoi orrori, calpesta il sale che i suoi genitori hanno sparso intenzionalmente. Usa le stanze comunicanti per aggirarli e si fa strada nella stanza di Gladys, che stavano sorvegliando.

Afferra uno dei rami spinosi che lei usa per i suoi incantesimi, uno già in uso, e si rintana nel bagno per ripetere i passaggi che l’ha vista eseguire. Gladys ha a quel punto scagliato Archer contro Justine e lo sta guardando mentre la strangola quando Alex, dopo aver avvolto una ciocca di capelli di Gladys attorno al ramo, lo spezza. Capendo cosa è successo, lei fugge dalla casa urlando, solo per essere inseguita dalla folla di bambini che aveva rapito con la magia. Quando la raggiungono, la fanno a pezzi, rompendo gli incantesimi.

Julia Garner in Weapons (2025)
Julia Garner in Weapons

La spegazione del perché Gladys ha rapito i bambini

Nel capitolo su Alex in Weapons, vediamo Gladys accolta nella casa perfettamente normale della sua famiglia, apparentemente perché è malata e non ha altro posto dove andare. Dalle conversazioni che Alex ascolta di nascosto e dalla breve occhiata che le dà, sembra che sia già in fin di vita. Tuttavia, non passa molto tempo prima che i genitori del ragazzo siano praticamente catatonici e Gladys sia di nuovo in piedi. Dopo un po’ di tempo, una notte confessa ad Alex che la sua malattia, qualunque essa sia, è reale. Anche se spiega le cose come si farebbe con un bambino, è chiaro che Gladys ha in qualche modo rubato la forza vitale dei genitori del ragazzo.

Questo spiega il suo improvviso cambiamento fisico. Pensava che sarebbe stato sufficiente, ma sta già ricominciando a perdere energia. Così, punta gli occhi sui compagni di classe di Alex. Dopo essersi procurata un oggetto appartenente a ciascuno di loro, lancia l’incantesimo che li convoca da lei alle 2:17 del mattino, spiegando perché tutti hanno lasciato le loro case esattamente a quell’ora. Li tiene rinchiusi nel seminterrato, dove rimangono immobili, proprio come i genitori di Alex; lui deve dar loro da mangiare della zuppa per mantenerli in vita. In questo modo, lei prosciuga le loro vite per sostenere la propria.

Dopo la sua morte, apprendiamo solo frammenti sulla guarigione delle sue vittime dal narratore bambino di Weapons, che ci parla a due anni dall’incidente. I genitori, a quanto pare, sono rimasti in uno stato relativamente vegetativo: vengono descritti come bisognosi di essere nutriti con la zuppa altrove, il che indica che sono ancora ricoverati in ospedale dopo tutto questo tempo. I bambini stavano invece abbastanza bene da tornare alla loro vita quotidiana, anche se il narratore riferisce che solo alcuni di loro hanno ricominciato a parlare.

È chiaro che qualsiasi danno abbia causato la magia di Gladys è permanente. Oltre ad essere più anziani, i genitori di Alex sono stati sotto il controllo della strega più a lungo e sono stati la sua unica fonte di energia per un po’, il che spiegherebbe perché siano in condizioni peggiori. I bambini hanno invece maggiori possibilità di guarire completamente. Ma mentre guardiamo negli occhi di Matthew durante l’ultima scena di Weapons, ci viene da chiederci se Archer abbia davvero riavuto suo figlio.

Cary Christopher in Weapons
Cary Christopher in Weapons

La vera identità di zia Gladys

Il cattivo di Weapons probabilmente non è chi sembra essere all’inizio. Dopo essere apparsa brevemente nei capitoli di Justine, Archer e James, principalmente per spaventare i presenti, Gladys fa la sua comparsa effettiva nell’ufficio di Marcus. Si presenta come la zia di Alex (più precisamente, la sorella della nonna di Alex), che si prendeva cura del ragazzo mentre i suoi genitori si stavano riprendendo da gravi malattie. La seconda parte di questa affermazione viene rapidamente e brutalmente smascherata come una bugia, ma la prima parte si complica con il passare del tempo.

Nel capitolo di Alex, prima del suo arrivo, Gladys viene descritta come la zia di sua madre, la sorella della nonna di Alex. In una sorta di litigio ascoltato per caso, i suoi genitori ricordano di averla incontrata almeno una volta, anni fa, ma sono certi che non abbia partecipato al loro matrimonio. La madre di Alex, tuttavia, sembra sicura che sia una parente. E potrebbe esserlo, ma probabilmente è ancora più anziana. Gladys dice a Marcus che il padre di Alex ha “un tocco di tisi”, un termine che risale all’antichità ma che alla fine è diventato sinonimo di tubercolosi, sostituendola.

La malattia batterica è stata formalmente identificata nel 1882 e, sebbene il termine tisi fosse ancora in uso all’inizio del XX secolo, alla fine è diventato materia di letteratura classica e libri di storia. Marcus è colpito dall’anacronismo. Non riesce a capire (né potrebbe farlo uno spettatore che vede Weapons per la prima volta a questo punto) come Gladys stia facendo una battuta macabra sull’uomo di cui ha consumato l’energia. Ma, se associato alla sua confessione ad Alex di essere malata da molto tempo, questo potrebbe indicare che Gladys è almeno una o due generazioni più anziana di quanto creda la sua famiglia.

Benedict Wong e Julia Garner in Weapons
Benedict Wong e Julia Garner in Weapons

Il vero significato del finale di Weapons

Weapons è un film complesso e, anche se otteniamo una spiegazione definitiva della violenta stranezza che ha colpito questa città, probabilmente si rivelerà un terreno fertile per molteplici interpretazioni tematiche. Ma ci sono alcuni dettagli chiave che indicano determinate interpretazioni. Il primo e più importante è la struttura. La narrazione frammentata di Cregger rende la storia avvincente, fornendoci informazioni poco alla volta, ma ci incoraggia anche a prestare attenzione a come le vite dei singoli personaggi si scontrano tra loro. Justine, Archer, Paul e James agiscono tutti sulla base di vari impulsi egoistici, spesso distruttivi, senza preoccuparsi realmente delle loro conseguenze.

In Weapons ci sono diversi casi di persone che fanno pressione su altre affinché facciano qualcosa che non vogliono fare (Justine e Paul che bevono; Archer che guarda il video dei Bailey) molto prima che Gladys venga introdotta. Ci sono anche casi di indifferenza quasi comica, ad esempio il proprietario di un minimarket che urla a Justine di uscire mentre Marcus, dall’aspetto orribile e omicida, la insegue. Questi dettagli creano un inquietante parallelismo con Gladys e la sua magia. La strega è una versione esagerata degli adulti di questo film, un essere di puro egoismo e indifferenza.

È, come un motivo ricorrente sottolinea, un parassita, che priva le persone della loro autonomia per il proprio tornaconto. Ma lei è semplicemente la versione horror di qualcosa che ci viene mostrato come abbastanza normale. Tra gli adulti, solo Marcus sembra motivato dalla preoccupazione per il benessere degli altri, e l’universo lo punisce in modo brutale per questo. Alex è reso vulnerabile per lo stesso motivo. È degno di nota il fatto che Gladys abbia cercato di controllarlo non minacciando la sua sicurezza, ma quella dei suoi genitori.

Julia Garner e Josh Brolin in Weapons
Julia Garner e Josh Brolin in Weapons

Questa divisione tra bambini e adulti è fondamentale anche in Weapons, ed è integrata in modo simile nella sua struttura. Il film è narrato da una ragazzina, che ci racconta questa storia come qualcosa di vero ma soppresso, conferendole l’aria di una leggenda metropolitana. Gli adulti di questo mondo non sono riusciti a gestire la rottura con la normalità e l’hanno seppellita; i bambini la mantengono viva nei sussurri. In questa ottica, la narrazione del film diventa un avvertimento trasmesso da bambino a bambino sui mali che gli adulti sono capaci di infliggere loro, così come gli uni agli altri.

Questa domanda aleggia sull’ultima scena, insieme al dubbio se Matthew riuscirà mai a riprendersi: dato ciò che abbiamo visto di Archer, è davvero fuori pericolo? Lo sono tutti loro? Con il suo finale cruento, Weapons è anche un promemoria di ciò che i bambini sono capaci di fare in cambio. Se il film dovesse essere sintetizzato in un’unica idea, sarebbe che i traumi che cerchiamo di reprimere hanno il potere di ferire chi ci circonda, e il dolore che riversiamo nel mondo ha il potere di tornare indietro verso di noi. Chiunque può diventare un’arma se non sta attento.

Cosa ci lascia il film Weapons

Weapons ci lascia dunque con una riflessione amara e potente: il vero orrore non sta nella magia, ma nelle dinamiche quotidiane di egoismo, indifferenza e abuso che gli adulti infliggono ai più giovani. Gladys è solo la manifestazione sovrannaturale di un male già radicato nella comunità, fatto di pressioni, manipolazioni e traumi silenziosi. La sua fine, per mano dei bambini, non è una vittoria liberatoria ma un grido di dolore restituito. Il film ci dice che il male, se ignorato o represso, si trasforma e si riproduce. E che chiunque, se ferito a sufficienza, può diventare un’arma. Anche un bambino.

 
 

Weapons: in corso trattative per un prequel sulla zia Gladys

Weapons spiegazione finale

Sarebbero in corso trattative preliminari per la realizzazione di un prequel di Weapons, il suo film horror di grande successo scritto e diretto da Zach Cregger, uscito questo fine settimana, come confermato da Deadline. I dettagli della trama sono ancora segreti e non è chiaro in che veste Cregger parteciperà al progetto, dato che siamo ancora in una fase iniziale. È però stato riportato che New Line Cinema e Warner Bros. stanno corteggiando Zach Cregger per realizzare un prequel sulla zia Gladys, basato in parte sul materiale che aveva ideato per il personaggio e che non è stato inserito nel film.

Fonti indicano che al momento Cregger ha in programma altri due film che lo terranno impegnato nel prossimo futuro. Attualmente sta preparando il prossimo film di Resident Evil per la Sony e si prevede che poi si dedicherà a un progetto originale intitolato Flood. Cregger ha inoltre rivelato di aver scritto uno spin-off sul mondo di Batman intitolato Henchmen, ma questo progetto non è al momento stato confermato.

Il fatto che esista già una parte della storia del misterioso personaggio noto come Gladys significa che, se Cregger fosse abbastanza interessato a tornare a bordo del treno di Weapons, scrivere una sceneggiatura per un lungometraggio potrebbe non essere un’impresa così ardua come, ad esempio, inventare una nuova storia per un sequel (anche se il regista ha confermato di avere delle idee a riguardo).

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Di cosa parla Weapons?

Quando tutti i bambini di una stessa classe, tranne uno, scompaiono misteriosamente nella stessa notte esattamente alla stessa ora, l’intera comunità si ritrova a interrogarsi su chi – o cosa – sia responsabile della loro sparizione. Il film è interpretato da Josh Brolin, Julia Garner, Alden Ehrenreich, Austin Abrams, Cary Christopher, con Benedict Wong e Amy Madigan. Cregger firma la regia del film da una sua sceneggiatura originale.

 
 

Weapons: il secondo trailer del film!

È stato diffuso il secondo trailer ufficiale di Weapons, nuovo film di Zach Cregger, la mente dietro “Barbarian”.

La sinossi recita: quando tutti i bambini di una stessa classe, tranne uno, scompaiono misteriosamente nella stessa notte esattamente alla stessa ora, l’intera comunità si ritrova a interrogarsi su chi – o cosa – sia responsabile della loro sparizione. Il film è interpretato da Josh Brolin, Julia Garner, Alden Ehrenreich, Austin Abrams, Cary Christopher, con Benedict Wong e Amy Madigan.

Cregger firma la regia del film da una sua sceneggiatura originale. Egli stesso è anche produttore del film insieme a Roy Lee, Miri Yoon, J.D. Lifshitz e Raphael Margules. Michelle Morrissey e Josh Brolin sono i produttori esecutivi. Il team creativo dietro la macchina da presa include il direttore della fotografia Larkin Seiple, lo scenografo Tom Hammock, il montatore Joe Murphy e la costumista Trish Sommerville. Le musiche sono di Ryan Holladay, Hays Holladay e Zach Cregger. New Line Cinema presenta una produzione Subconscious/Vertigo Entertainment/BoulderLight Pictures, un film di Zach Cregger, “Weapons”.

Distribuito da Warner Bros. Pictures, Weapons arriverà nelle sale italiane il 6 agosto.

 
 

We’re the Miller: al via le riprese con Aniston e Sudeikis

Sono partite le riprese di We’re the Millers, film che vedrà di nuovo insieme sul set Jennifer Aniston e Jason Sudeikis, dietti da Rawson Marshall Thurber. Il film vede i due attori tornare a recitare insieme dopo l’esperienza di Horrible Bosses (in italiano, Come ammazzare il capo… e vivere felici). La trama vede David Burke (Sudeikis), piccolo trafficante di droga la cui eterogenea clientela vede mescolarsi cuochi e madri di famiglia, finire nei guai dopo essere stato derubato di ‘merce’ e soldi, dovendo inoltre pagare un rilevante debito nei confronti del suo ‘fornitore’ (Ed Helms).

Così, per far fronte alla situazione, il protagonista si imbarca nell’impresa di trasferire un grosso quantitativo di droga attraverso il confine col Messico. Per portare a termine il compito e non destare sospetti, David  mette insieme una famiglia ‘fittizia’ assoldando una spogliarellista (Aniston) e due ragazzi (Will Poulter ed Emma Roberts) dalle vite disastrate. Prevedibilmente, nel corso del film, i rapporti trai quattro, inizialmente improntati al totale opportunismo, finiranno per complicarsi… La sceneggiatura è firmata da Steve Faber e Bob Fisher (2 Single a nozze) e Sean Andersen e John Morris (Un tuffo nel passato).

Fonte: ComingSoon.Net

 
 

We Were Soldiers: trama, cast e la vera storia dietro il film

We Were Soldiers cast

Il cinema di guerra è da sempre uno dei generi più popolari, dove di solito si raccontano di più o meno note imprese militari che hanno contribuito a cambiare gli esiti di importanti scontri bellici. Molti dei più celebri film di guerra sono statunitensi, dove si ripercorrono eventi come la Prima o la Seconda guerra mondiale, la guerra del Vietnam o la più recente guerra del golfo. Grandi capolavori di questo genere, solo per citarne alcuni, sono Apocalypse Now, Salvate il soldato Ryan e The Hurt Locker. Un altro interessante e recente titolo è We Were Soldiers – Fino all’ultimo uomo.

Diretto nel 2002 da Randall Wallace, sceneggiatore di Braveheart e La maschera di ferro, questo film da lui anche scritto si concentra battaglia di Ia Drang, uno degli scontri più violenti e importanti del conflitto tra l’esercito statunitense e quello nordvietnamita. Per raccontare questa storia vera, Wallace si è basato sul libro We Were Soldiers Once … And Young del tenente colonnello Hal Moore, non più in servizio, e del reporter Joseph Galloway, che presero parte alla battaglia. L’ambientazione è dunque quella della guerra del Vietnam, una delle guerre più drammatiche del Novecento.

Pur se interpretato da attori particolarmente noti, il film manco di affermarsi come un grande successo e ancora oggi è un titolo poco ricordato. Per chi ha interesse ad approfondire la vicenda narrata, però, è un buon film da recuperare. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alla storia vera. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

We Were Soldiers – Fino all’ultimo uomo: la trama e il cast del film

La vicenda è ambientata nel 1965 e vede le vicissitudini dell’esercito americano durante la battaglia nella Valle di Ia Drang. Dopo che gli States hanno dichiarato guerra al Vietnam del Nord, il colonnello Hal Moore viene scelto per addestrare e condurre un battaglione in territorio ostile. Sul luogo, i soldati riescono a catturare un disertore vietnamita, apprendendo da lui che sono atterrati nei pressi del campo base di una divisione dell’esercito del Vietnam del Nord di 4.000 uomini. Spaventati da ciò, i soldati statunitensi si rendono conto di essere letteralmente in trappola e che per poter uscire vivi da quella situazione dovranno fare affidamento su tutte le loro abilità.

Ad interpretare il colonnello Hal Moore vi è l’attore premio Oscar Mel Gibson, il quale ebbe modo di prepararsi al ruolo incontrando il vero Moore. Accanto a lui, nel ruolo del reporter Joseph Galloway vi è l’attore Barry Pepper, mentre Madeleine Stowe interpreta Julia Moore, la moglie di Hal. Anche lei ebbe modo di conoscere la vera Julia, apprendendo da lei in particolare cosa vuol dire essere la moglie di un soldato. Sam Elliot interpreta il sergente Basil L. Plumley, con il quale divenne grande amico anche fuori dal set. Quando Plumley, morì Elliot partecipò anche al suo funerale.

Nel film sono poi presenti Greg Kinnear nei panni del maggiore Bruce Crandall, e Jon Hamm in quelli del capitano Matt Dillon. Hamm si era ripromesso di abbandonare la recitazione a 30 se non avesse ottenuto un buon ruolo. Fu proprio questo film a permettergli di continuare la sua carriera. Tutti gli attori coinvolti nel film dovettero partecipare ad un campo di addestramento militare. Pur trattandosi di una versione “semplificata” di un vero allenamento previsto per i soldati, Gibson affermò che fu ugualmente un momento molto intenso, che contribuì al dar vita a interpretazioni più autentiche.

We Were Soldiers storia vera

We Were Soldiers – Fino all’ultimo uomo: la vera storia dietro il film

Nel suo libro We Were Soldiers Once… And Young, Hal Moore dichiara: “Ogni maledetto film di Hollywood ha sbagliato nel rappresentarla [la guerra del Vietnam]“. Il regista, Randall Wallace, ha detto di essere stato ispirato proprio da quel commento nel realizzare il suo film, desideroso di essere fedele a quanto avvenuto durante la battaglia di la Drang. Questa ebbe luogo dal 23 ottobre al 27 novembre 1965 nella Valle di la Drang, una provincia di Pleiku, nel Vietnam del Sud. L’esercito americano si recò lì per iniziare l’operazione bellica volta ad impedire il crollo del Vietnam del Sud e frenare l’espansione comunista. Questo fu uno degli episodi che gli storici considerano come l’inizio di questa feroce guerra.

La missione del Settimo Cavalleria doveva essere abbastanza semplice. I soldati dovevano infatti arrivare sul campo, dispiegare i plotoni e aspettare l’elicottero per ogni dispiegamento. Qui, però, un intero plotone venne assalito da una banda di guerriglieri vietnamiti, guidati dal generale Nguyễn Hữu An. Così, per giorni, l’X-Ray – la zona di atterraggio dell’elicottero – divenne un infernale catino di morte, con gli americani senza via di fuga, accerchiati dagli inesorabili guerriglieri nord-vietnamiti. Dopo tre giorni di totale stallo, il colonnello Moore prese la decisione di far avanzare i suoi per andare in soccorso del plotone decimato.

I pericoli erano però numerosi e andando verso la landing zone di Albany, infatti, i soldati vennero sorpresi da un’imboscata nemica che decimò la compagnia Delta e la compagnia Charlie e, solamente grazie ad un ulteriore intervento in elicottero, con lo sgancio del napalm, riuscirono definitivamente ad avere la meglio. Le perdite furono però ingenti, con 305 uomini deceduti e oltre 400 feriti. Quella “vittoria” non dava però motivo di gioia, poiché da quel momento fu chiaro a tutti di quanto l’esercito vietnamita fosse forte e che quella guerra si sarebbe protratta a lungo e con dolorosissime perdite su entrambi i fronti.

We Were Soldiers – Fino all’ultimo uomo: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire di We Were Soldiers – Fino all’ultimo uomo grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Chili Cinema e Amazon Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di giovedì 23 giugno alle ore 21:00 sul canale Iris.

Fonte: IMDb

 
 

We want sex – Made in Dagenham – recensione

Made in Dagenham, ecco il titolo originale di We want sex, in uscita in Italia il 5 dicembre, e già accolto al Festival Internazionale del film di Roma da scoscianti applausi. La storia racconta del primo sciopero al femminile avvenuto da parte delle operaie della fabbrica Ford proprio di Dagenham, e portato avanti dalla coraggiosa Rita O’Grady, interpretata sullo schermo da Sally Hawkins.

Le donne che si batterono per avere pari stipendio e pari dignità lavorativa rispetto agli uomini, paralizzarono la Ford inglese smettendo di fabbricare i rivestimenti in pelle per i sedili delle automobili. Il regista Nigel Cole gira con diligenza un film che si basa fondamentalmente su una sceneggiatura brillante (di William Ivory) e su un cast di donne eccezionali, a partire dalla già citata Hawkins che è affiancata da Andrea Riseborough, Jaime Winstone, Lorraine Stanley, Bob Hoskins e Daniel Mays, senza dimenticare tra gli altri una straordinaria Miranda Richardson nel ruolo dell’energico Ministro Barbara Castle.

Il racconto, che si svolge sul filo della commedia, strappando risate, sorrisi e ammiccamenti, riserva un’anima di grandiosità, dovuto alla realtà che sullo schermo è raccontata. Queste donne, sempre impeccabili nei loro abiti economici ma puliti  vivaci portano avanti la loro protesta contro il sistema, e contro i mariti che si sentono abbandonati per questo. Proprio questo contrasto tra la realtà e le cose come dovrebbero essere genera la vera forza del film, la sua anima seria e socialmente impegnata.

We want sex, il film

Questo nucleo forte acquista valore poiché è raccontato con toni leggeri, che solo in due occasioni si incupiscono, ma che donano allo spettatore la godibilità di una bella commedia che racconta una storia vera. Questo grande equilibrio che preferisce ricercare il sorriso invece che la lacrima non si sviluppa mai a scapito della grandissima dignità e importanza della storia che mantiene sempre il primo posto davanti allo spettatore.

Non ci si stanca di seguire le vicende, si parteggia per le protagoniste e si esulta nel finale. Un’esperienza coinvolgente e divertente che guarda con ironia alla severità e alla durezza di quello che è stato, raccontandolo fedelmente. Il titolo in italiano, We want sex, è giustificato dalla scena in cui le nostre vanno a protestare davanti al ministero a Londra e il Ministro legge su uno striscione non completamente srotolato “We want sex (equality)”, sorridendo tra sé e dicendo “Chi non ne vuole”(!).

 
 

We Live in Time – Tutto il tempo che abbiamo: recensione del film con Florence Pugh e Andrew Garfield

We Live in Time – Tutto il tempo che abbiamo, diretto da John Crowley e sceneggiato dal drammaturgo Nick Payne, esplora le sfumature più profonde dell’amore, della perdita e soprattutto del tempo. Presentato al Toronto Film Festival e in seguito alla Festa del Cinema di Roma, il film si affida a una narrazione emotiva complessa, fondata su un montaggio non lineare che, con questo espediente amplifica il senso di ogni momento sottoposto all’attenzione dello spettatore.

La trama di We Live in Time – Tutto il tempo che abbiamo

Protagonisti di questo racconto sono Almut, una chef stellata interpretata da Florence Pugh, e Tobias, interpretato da Andrew Garfield. La loro relazione viene raccontata attraverso una serie di salti temporali che spaziano tra passato e presente, creando un mosaico di ricordi, momenti di tenerezza, circostanze tristi e altre gioiose, scene ricche di emozione. I due personaggi si incontrano in maniera del tutto accidentale (o dovremmo dire “incidentale”?) e si innamorano. Condividono una storia di dieci anni, scandita da quotidianità e complicità, ma anche da un importante evento tragico: una malattia terminale che colpisce Almut. La narrazione si sviluppa attraverso l’uso del montaggio, affidato a Justin Wright, che riesce a dare continuità ai vari momenti della storia, mettendoli tutti in relazione reciproca, scelta che di volta in volta “aggiusta” il significato di ogni scena.

Il percorso narrativo che costruisce John Crowley non è dettato dalla cronologia ma da corrispondenze emotive che di volta in volta permettono al racconto di saltare avanti e indietro nel tempo e costruire un racconto organico e coeso che compone la storia di Almut e Tobias in un’alternanza di momenti felici e dolorosi. La scelta drammaturgica richiama l’esperienza teatrale di Payne, noto per Constellations, in cui esplora le relazioni umane attraverso una struttura ispirata alla teoria delle stringhe, dove ogni scena rappresenta una possibilità alternativa. In questo spettacolo, come in We Live in Time, Payne mette in scena una riflessione sul tempo e sulla transitorietà, rendendo il montaggio un vero e proprio protagonista della storia.

we live in timeLa grande alchimia tra Andrew Garfield e Florence Pugh

L’alchimia tra Andrew Garfield e Florence Pugh è senz’altro uno dei punti di maggiore forza del film. Tobias è un uomo abbastanza ordinario che si trova a confrontarsi con lo straordinario in termini di emozioni e sentimenti e per tutto il film lui cerca di portare ordine e razionalità nella sua vita. Florence Pugh porta invece in scena una Almut intensa e magnetica, capace di attraversare in pochi sguardi un’intero range emotivo, dalla forza alla vulnerabilità, dalla gioia alla disperazione, con naturalezza. La sua Almut sceglie di vivere ogni momento della sua vita con intensità, al 100%, tanto che il suo lavoro diventerà emblematico per la storia stessa. Come ci ha insegnato The Bear di Disney+, in cucina “ogni secondo conta” e la protagonista di We Live in Time lo sa meglio di tutti. Una metafora che si replica anche nel gesto del preparare le uova al mattino, un’immagine di cura e dedizione con cui il film si apre e si chiude, e che ricorre nel corso della storia: il rituale ma anche un gesto quotidiano, speciale e scontato allo stesso tempo, come la storia d’amore che il film racconta.

Una regia intima

La firma di Crowley restituisce un’atmosfera intima e a tratti sospesa, che riesce a evocare spazi infiniti e metaforici, come nella bella scena in cui padre e figlia tagliano i capelli a Almut, ma anche momenti estremamente concreti, presenti, ironici, come la scena del parto in una stazione di servizio. In questa alternanza sapiente di reale e impalpabile, il film nasconde poi la sua vera forza che è quella di raccontare il dolore e la gioia più puri, la paura e l’avventatezza, la passione selvaggia e la tristezza più profonda senza mai ricorrere a facili sentimentalismi e senza mai perdere di autenticità.

Il lavoro di Nick Payne e John Crowley è riflessione sulla natura dell’amore, che non cerca la permanenza, ma l’accettazione della sua finitezza. Lo spettatore è invitato a riflettere sul valore del tempo e sull’importanza di scegliere come vivere il tempo a disposizione, con la consapevolezza che tutto è passeggero su questa Terra.

 
 

We Do It Together: la casa di produzione che sostiene le donne

Si chiama We Do It Together la compagnia di produzione no profit che si prefigge di incentivare il coinvolgimento delle donne nell’industria hollywoodiana e del cinema e della televisione in generale.

Il gruppo è stato fondato da un gruppo di donne, esponenti di spicco della comunità artistica di Hollywood e rappresentante di una varietà culturale e etnica che fa ben sperare per i futuri progetti della casa di produzione e per la battaglia all’uguaglianza di cui tanto si è discusso in questo ultimo mese post-nomination agli Oscar 2016.

Tra le più note e famose citiamo Jessica Chastain, Freida Pinto, Queen Latifah, Catherine Hardwick, Hany Abu-Assad, Ziyi Zhang, Amma Asante, Juliette Binoche, Marielle Heller, Katia Lund, Małgorzata Szumowska, Alysia Reiner, Haifaa Al Mansour.

La compagnia raccoglierà finanziamenti da sponsor governativi e di corporazioni, oltre alle donazioni individuali per investire in film i quali, creando profitto dovrebbero creare una realtà autosostenuta. Il primo progetto della nuova casa di produzione sarà annunciato al Festival di Cannes 2016.

Fonte: The Wrap

 
 

We can be heroes: recensione del film con Pedro Pascal

we can be heroes recensione

Non esiste giorno migliore di quello di Natale per debuttare con un film per famiglie, e Netflix lo sa bene, tanto che quest’anno, ha unito i buoni sentimenti, l’avventura e il divertimento, con un occhio di riguardo ai più piccoli, per mettere a disposizione dei suoi abbonati, proprio il 25 dicembre, We can be heroes, il nuovo film originale della piattaforma, scritto e diretto da Robert Rodriguez.

Sequel diretto di Le avventure di Sharkboy e Lavagirl in 3-D, We can be heroes racconta della nuova generazione di eroi, i figli dei Super, che sono costretti a entrare in azione dopo che i loro genitori sono stati presi in ostaggio dagli alieni che minacciano la Terra.

We Can Be Heroes

We can be heroes è sequel ed erede di Spy Kids

La lezione di Spy Kids si sente forte e chiara, anche se questa volta Rodriguez contamina il suo mondo colorato di piccoli eroi con i superpoteri che hanno invaso cinema, tv, piattaforme e streaming, negli ultimi dieci anni. E così i figli delle spie diventano figli di supereroi alle prese con la pesante eredità dei genitori che, salvando il mondo, stabiliscono standard altissimi per i giovani protagonisti.

Sulla scia dei film tv prodotti in grande quantità da Disney Channel e ora da Disney+, Netflix conferma la sua intenzione di potenziare l’offerta per il pubblico più giovane, a partire dai prodotti di animazione, fino a film del genere che sono sicuramente un diversivo divertente per i più giovani e per un pomeriggio in famiglia.

I temi che il regista affronta sono tutti edificanti, dall’importanza di avere fiducia in se stessi, al valore del lavoro di squadra quando si è in difficoltà, fino alla consapevolezza delle proprie forze e alla fondamentale presa di coscienza del proprio ruolo all’interno di una comunità. La giovane protagonista, Missy (YaYa Gosselin), è infatti l’unica senza superpoteri, ma è anche l’unica in possesso di una capacità di leadership che dovrà imparare a gestire, per accettarsi e farsi accettare dagli altri. 

we can be heroes recensionePersonaggi edificanti ma divertenti

Numerosissime sono invece le trovate divertenti e gustose, che rendono la visione di We can be heroes gradevole anche per i più grandi, come la giovane eroina con una voce magica, A Cappella (Lotus Blossom) che non perde occasione per introdurre siparietti musicali, o la piccola Guppy (Vivian Blair) che va addirittura in modalità berserk quando perde il controllo, proprio lei che è il link con il film precedente, dal momento che è la figlia di Lavagirl e Sharkboy. Oltre a rappresentare un gruppo molto inclusivo, questi simpatici e svegli supereroi sono un gruppo davvero ben scritto e immaginato. Certo il film palesa una ingenuità disarmante, ma svolge egregiamente il suo compito di raccontare una storia edificante per tutti.

Arricchiscono il cast, oltre ai simpatici volti dei giovani protagonisti, anche nomi di prestigio e richiamo, come Pedro Pascal, Priyanka Chopra Jonas, Christian Slater e Boyd Holbrook.

Disponibile dal 25 dicembre sulla piattaforma, We can be heroes è un’avventura divertente per tutta la famiglia, perfetta per le vacanze di Natale casalinghe che si prospettano in questo 2020 disastroso.

 
 

We can be Heroes: il nuovo film Netflix dal 25 dicembre

We Can Be Heroes

Il 25 dicembre debutta su Netflix in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo We can be Heroes, il nuovo film live action per i ragazzi e le famiglie diretto da Robert Rodriguez.

Nel cast di We can be Heroes YaYa Gosselin, Pedro Pascal, Priyanka Chopra Jonas, Christian Slater, Boyd Holbrook, Christopher McDonald e Adriana Barraza. Nel cast anche Vivien Lyra Blair, Isaiah Russell-Bailey, Akira Akbar, Lyon Daniels, Nathan Blair, Lotus Blossom, Hala Finley, Andy Walken, Dylan Henry Lau, Andrew Diaz, Taylor Dooley, Sung Kang, Haley Reinhart, J. Quinton Johnson, Brittany Perry Russell e JJ Dashnaw.

We can be Heroes, la trama

Quando gli invasori alieni rapiscono tutti i supereroi della Terra, i loro figli vengono portati al sicuro in un rifugio del Governo. La giovane e intelligente Missy Moreno (Yaya Gosselin) non si fermerà però davanti a nulla per salvare il suo papà supereroe Marcus Moreno (Pedro Pascal). Missy fa squadra con il resto dei giovani super per sfuggire a Miss Granada (Priyanka Chopra-Jones), la misteriosa babysitter inviata dal Governo per controllarli.

Se vogliono salvare i loro genitori, dovranno lavorare insieme usando i propri super poteri – dall’elasticità al controllo del tempo, fino alla capacità di prevedere il futuro – formando un team straordinario. Ricco di azione ed emozioni, WE CAN BE HEROES è diretto da Robert Rodriguez (SPY KIDSLE AVVENTURE DI SHARKBOY E LAVAGIRL) e vede nel cast anche Boyd Holbrook, Christian Slater, Chris McDonald e Adriana Barraza.

 
 

We Can Be Heroes, prime immagini dal film Netflix

We Can Be Heroes
We Can Be Heroes

Netflix rilascia le prime immagini di We Can Be Heroes, la nuova avventura live action per i ragazzi e le famiglie. Diretto da Robert Rodriguez, il film arriverà il 1° gennaio 2021 in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo.

Nel cast Pedro Pascal, Christian Slater, Priyanka Chopra, Boyd Holbrook, Adriana Barraza, Chris McDonald e Yaya Gosselin.

Nel cast anche Vivien Blair, Isaiah Russell-Bailey, Akira Akbar, Lyon Daniels, Nathan Blair, Lotus Blossom, Hala Finley, Andy Walken, Dylan Henry Lau, Andrew Diaz, Taylor Dooley, Sung Kang, Haley Reinhart, J. Quinton Johnson, JJ Dashnaw.

La trama di We Can Be Heroes

Quando gli invasori alieni rapiscono tutti i supereroi della Terra, i loro figli dovranno fare squadra e imparare a lavorare insieme se vogliono salvare i propri genitori e il mondo.

 
 

We Bought A Zoo di Cameron Crowe: Trailer!

E’ stato finalmente diffuso il Trailer di We Bought A Zoo, nuovo film del regista Cameron Crowe con protagonisti Matt DamonScarlett Johansson, Elle Fanning. Per vedere il trailer:

 
 

We Are Your Friends: trailer del film con Zac Efron

È stato pubblicato online il nuovo trailer di We Are Your Friends, commedia che vede protagonisti Zac Efron, Emily Ratajkowski e Wes Bentley. Il film sarà distribuito da Warner Bros Pictures.

Ecco il trailer:

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We-Are-Your-Friends-posterWe Are Your Friends è prodotto dalla Working Title Films e Studio Canal ed è ambientato nel mondo della  della musica elettronica e della vita notturna di Hollywood. Un aspirante ventitreenne DJ di nome Cole (Zac Efron) passa le sue giornate a divertirsi con i suoi amici e la notte a lavorare. Ma la sua vita cambia quando incontra un DJ carismatico di nome James (Bentley) che lo prende sotto la sua ala. Ma le cose si complicano subito quando Cole inizia a perdere la testa per una ragazza molto più giovane di lui, Sophie  (Ratajkowski).

Fonte: FirtShowing.net

 
 

We Are Your Friends: recensione del film con Zac Efron

We Are Your Friends film

We Are Your Friends racconta la storia di un aspirante DJ, il ventitreenne Cole Carter (Zac Efron), che trascorre le giornate uscendo con gli amici di sempre e le notti nei locali a caccia della traccia perfetta, quella che sarà in grado di segnare finalmente il suo successo. L’incontro con il famoso DJ e produttore musicale James Reed (Wes Bentley) cambia le cose. Reed diventa il suo mentore e lo prende sotto la sua ala, spingendolo a fare musica nuova. Ma quando Cole si innamora della giovane fidanzata/assistente personale di James, Sophie (Emily Ratajkowski), le cose si complicano.

We Are Your Friends segna il debutto alla regia di Max Joseph, più conosciuto come produttore di Catfish: false identità, il reality show di MTV che racconta le verità e le bugie delle relazioni online. Il suo uso di grafica e animazione che si intreccia con la storia risulta poco originale. La sceneggiatura, scritta dallo stesso Joseph insieme a Meaghan Oppenheimer, è tratta da un racconto di Richard Silverman, produttore esecutivo del film.

We Are Your Friends, tra musica e comicità

La musica è stata curata da Randall Poster (The Wolf of Wall Street, Divergent, Spring Breakers), ma anche se nelle canzoni ci sono dei bit originali, questi svaniscono facilmente nel susseguirsi di tracce simili e senza anima.

Qualche parola c’è da dire anche su Zac Efron, che non aggiunge nulla di nuovo alle sue doti recitative, interpretando per l’ennesima volta lo stesso personaggio dei suoi ultimi film. We Are Your Friends è una ridicola rappresentazione di cosa vuol dire essere un DJ di musica elettronica. Il film prende qualcosa che in origine può sembrare attraente e tenta di spiegarlo, esagerarlo e trasformarlo in qualcosa di più profondo e più drammatico di quanto non sia realmente. Complessivamente, il film sembra un video musicale stilizzato di 96 minuti, con troppi slow-motion e primi piani su parti del corpo che si agitano, una sorta di pubblicità progresso sui pericoli di alcol e droga, e una povera lezione informativa su cosa, secondo chi ha raccontato il film, serve per essere un DJ.

 
 

We Are Your Friends con Zac Efron per la Warner Bros

Zac Efron

La Warner Bros. Pictures ha annunciato oggi di aver acquistato i diritti di distribuzione negli USA del film di Max Joseph, We Are Your Friends, commedia che vede protagonisti Zac Efron, Emily Ratajkowski e Wes Bentley. L’annuncio è stat dato da Greg Silverman, responsabile sviluppo creativo della Major, e Sue Kroll, presidente Worldwide Marketing e distribuzione internazionale.

We Are Your Friends è prodotto dalla Working Title Films e Studio Canal ed è ambientato nel mondo della  della musica elettronica e della vita notturna di Hollywood. Un aspirante ventitreenne DJ di nome Cole (Zac Efron) passa le sue giornate a divertirsi con i suoi amici e la notte a lavorare. Ma la sua vita cambia quando incontra un DJ carismatico di nome James (Bentley) che lo prende sotto la sua ala. Ma le cose si complicano subito quando Cole inizia a perdere la testa per una ragazza molto più giovane di lui, Sophie  (Ratajkowski).

 

 
 

We are the World. La notte che ha cambiato la storia del pop: la recensione del documentario Netflix

We are the World. La notte che ha cambiato la storia del pop recensione film

Sono passati 39 anni da quando fu incisa una delle canzoni simbolo degli anni Ottanta, We are the World, per sollevare l’attenzione sul tema della povertà in Africa. We are the World. La notte che ha cambiato la storia del pop, il documentario diretto da Bao Nguyen che ne porta il titolo, racconta la lunga sessione di registrazione e lo straordinario lavoro di preparazione che ha consentito di riunire per beneficienza quasi cinquanta artisti agli A&M Studio di Los Angeles nella notte tra il 28 e il 29 gennaio 1985 per interpretare il brano.

C’erano proprio tutte, o quasi, le voci più note dell’epoca, oltre ad alcune ingloriose assenze, come quella di Madonna, ritenuta una fugace meteora, alla quale fu preferita la ‘rivale’ Cindy Lauper, e Prince, che snobbò invece l’invito a partecipare a brano già assegnato. Il numero dei cantanti riuniti in studio scese a quarantaquattro dopo le defezioni in corso d’opera di Waylon Jennings, che rifiutò la proposta di cantare un verso in swahili non comprendendone il significato, e di Sheila E, batterista di Prince, stanca di sentirsi chiedere quando sarebbe arrivato Lui.

We are the World. We are the Stars

Il documentario racconta il dietro le quinte di quella notte ma, soprattutto, le settimane che l’hanno preceduta e durante le quali lo staff del produttore musicale Ken Krieger ha organizzato l’evento con modalità da agenti dei servizi segreti per non far trapelare la notizia. Niente smartphone, email, chat a disposizione: stiamo parlando di quattro decennni fa, quando i business men viaggiavano con valigie ricolme di rubriche cartacee e i cantanti incidevano i demo su musicassetta. Portar fuori dalle chart e dai tour mondiali le star più acclamate dell’epoca per farle incontrare in una data condivisa da tutti apparve fin da subito estremamente complicato. Come ci riuscirono?

USA for Africa: dagli American Music Awards all’Etiopia

Fu Harry Belafonte ad avere l’idea di quello che nasce come l’Ethiopia Project. La sua attività per il riconoscimento dei diritti civili e l’attenzione per le condizioni della povertà in Africa erano note, per quanto, come testimonierà tra gli altri Bruce Springsteen, non si parlava né si sapeva molto del problema della fame (e chissà se il Boss avrà poi apprezzato il titolo originale inglese del film, We are the Word. The greatest night in Pop, dimenticandosi completamente dei rocker). Il 23 dicembre 1984, Belafonte propone a Kriegen di organizzare un evento per sollevare l’attenzione sulla questione, perché “i bianchi salvano i neri ma non ci sono neri che salvano i neri“.

Il riferimento è chiaramente a Bob Geldof, in corsa per il Live Aid che si sarebbe tenuto nel successivo mese di luglio. Nessuna competizione tra i due eventi, tanto che Geldof portò di persona i suoi saluti agli A&M Studios per raccontare ai colleghi gli aspetti della povertà in Africa e l’importanza dell’aiuto che sarebbe potuto arrivare anche solo da quel semplice brano. Il vero motivatore della serata e dell’intera avventura fu tuttavia Lionel Richie, narratore principale nel video e mattatore dell’evento benefico, che per tutta la notte si mosse da un gruppo all’altro per raccogliere focolai di discontento e spegnerli tempestivamente.

Il 28 gennaio, Richie, all’apice della sua carriera, avrebbe presentato gli American Music Awards: tutte le personalità più importanti del mondo della musica USA sarebbero state riunite nella stessa città, in uno stesso luogo: quale altra occasione avrebbe consentito di avere tutte quelle star in una volta? Gli artisti furono invitati a incidere subito dopo la cerimonia di premiazione. Alcuni mossi dallo scopo benefico dell’operazione, altri semplicemente legati da un profondo rapporto di stima agli organizzatori. Mancava solo la canzone e qui cominciano gli aneddoti con Stevie Wonder che, contattato per primo dal produttore Quincy Jones, se la prende comoda e Lionel Richie che si ritrova a comporre musica e testo di We are the World nella villa-zoo di Michael Jackson in mezzo a uccelli, scimmie e pitoni.

We are the World. La notte che ha cambiato la storia del pop Michael Jackson Bob Dylan

Tutto in una notte

Una sola notte a disposizione per legare insieme voci, altezze e personalità di oltre quaranta primedonne. Jones appese un foglio A4 all’ingresso della sala di registrazione con su scritto ‘Check your Ego at the door’ e, a giudicare dai filmati d’archivio, lo scopo è stato raggiunto, tanto che alla fine c’è chi, come Diana Ross, scoppia a piangere perché non vuole che quella notte finisca.

Il documentario si avvale anche del materiale audio raccolto dal giornalista David Breskin, della rivista Life Magazine, che intervistò molti degli intervenuti nelle settimane precedenti la registrazione, fermando anche testimonianze oggi impossibili da recuperare come quella di Jackson.

Tre mesi dopo la canzone fu trasmessa dalle radio di tutto il mondo e fu un successo: We Are the World totalizzò un milione di dollari nel primo fine settimana di vendite per raggiungere la cifra record di ottanta milioni di dollari. La somma fu destinata all’Etiopia, toccata da una pluriennale carestia che le Nazioni Unite stimarono aver provocato un milione di morti. Sarebbe bello sapere come fu speso il denaro raccolto per la beneficienza ma per questo ci vorrebbe un altro documentario.

 
 

We Are The Thousand: intervista ad Anita Rivaroli e Fabio Zaffagnini

Ecco la nostra intervista ad Anita Rivaroli e Fabio Zaffagnini, rispettivamente regista e ideatore di We Are The Thousand – L’incredibile storia di Rockin’1000, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2020.

We Are The Thousand – L’incredibile storia di Rockin’1000 racconta la storia di Rockin’1000, la più grande Rock Band al mondo, iniziata nel 2015 quando per la prima volta al mondo 1000 musicisti si incontrarono nel Parco Ippodromo di Cesena, per eseguire il più grande tributo mai realizzato: suonare all’unisono Learn To Fly e recapitare il video ai Foo Fighters. Diventato virale in poche ore, il video attirò l’attenzione della band statunitense che non esitò a rispondere con un concerto epico, proprio a Cesena. We Are The Thousand – L’incredibile storia di Rockin’1000, il progetto cinematografico diretto da Anita Rivaroli, racconta l’evento attraverso le testimonianze dei suoi protagonisti, mille musicisti di tutte le età provenienti da ogni parte d’Italia uniti dall’amore per la musica. Un mega concerto unico nel suo genere che grazie alle immagini live e ai racconti di chi l’ha vissuto riesce a emozionare e appassionare lo spettatore, coinvolto e trasportato quasi per magia nel Parco Ippodromo di Cesena.

Oggi Rockin’1000 è una realtà conosciuta a livello globale, che riceve riconoscimenti, inviti e proposte di collaborazione in tutto il mondo. Dal 2016 organizza veri e propri concerti negli stadi – Cesena, Firenze, Parigi, Francoforte – e iniziative speciali che vedono protagonisti 1000 musicisti. Rockin’1000 nasce da un’idea di Fabio Zaffagnini, Claudia Spadoni, Martina Pieri, Mariagrazia Canu, Francesco Ridolfi “Cisko” e Anita Rivaroli.

Sotto la sapiente regia di Anita Rivaroli, We Are The Thousand – L’incredibile storia di Rockin’1000 porta sul grande schermo un momento epico della storia della musica live italiana. “E’ prodotto da Indyca in collaborazione con Rockin’1000 e New Lanark Film & Music, sostenuto dalla Film Commission Emilia Romagna e dal Piemonte Doc film Fund”; We Are The Thousand – L’incredibile storia di Rockin’1000 sarà sugli schermi italiani come evento I Wonder Stories dal 25 al 28 ottobre.

 
 

We Are The Thousand, una featurette esclusiva del documentario

I Wonder Pictures ha diffuso una featurette esclusiva del documentario We Are The Thousand – L’incredibile storia di Rockin’1000, il lungometraggio diretto da Anita Rivaroli.

We Are The Thousand – L’incredibile storia di Rockin’1000 racconta la storia di Rockin’1000, la più grande Rock Band al mondo, iniziata nel 2015 quando per la prima volta al mondo 1000 musicisti si incontrarono nel Parco Ippodromo di Cesena, per eseguire il più grande tributo mai realizzato: suonare all’unisono Learn To Fly e recapitare il video ai Foo Fighters. Diventato virale in poche ore, il video attirò l’attenzione della band statunitense che non esitò a rispondere con un concerto epico, proprio a Cesena. We Are The Thousand – L’incredibile storia di Rockin’1000, il progetto cinematografico diretto da Anita Rivaroli, racconta l’evento attraverso le testimonianze dei suoi protagonisti, mille musicisti di tutte le età provenienti da ogni parte d’Italia uniti dall’amore per la musica. Un mega concerto unico nel suo genere che grazie alle immagini live e ai racconti di chi l’ha vissuto riesce a emozionare e appassionare lo spettatore, coinvolto e trasportato quasi per magia nel Parco Ippodromo di Cesena.

Oggi Rockin’1000 è una realtà conosciuta a livello globale, che riceve riconoscimenti, inviti e proposte di collaborazione in tutto il mondo. Dal 2016 organizza veri e propri concerti negli stadi – Cesena, Firenze, Parigi, Francoforte – e iniziative speciali che vedono protagonisti 1000 musicisti. Rockin’1000 nasce da un’idea di Fabio Zaffagnini, Claudia Spadoni, Martina Pieri, Mariagrazia Canu, Francesco Ridolfi “Cisko” e Anita Rivaroli.

Sotto la sapiente regia di Anita Rivaroli, We Are The Thousand – L’incredibile storia di Rockin’1000 porta sul grande schermo un momento epico della storia della musica live italiana. “E’ prodotto da Indyca in collaborazione con Rockin’1000 e New Lanark Film & Music, sostenuto dalla Film Commission Emilia Romagna e dal Piemonte Doc film Fund”; We Are The Thousand – L’incredibile storia di Rockin’1000 sarà sugli schermi italiani come evento I Wonder Stories dal 25 al 28 ottobre.

 
 

We Are Marshall: la storia vera dietro al film con Matthew McConaughey

We Are Marshall film storia vera
Matthew McConaughey e Matthew Fox in We Are Marshall (2006)

We Are Marshall è il film biografico sportivo del 2006 diretto da McG. Il film racconta le conseguenze dell’incidente aereo del 1970 che causò la morte di 75 persone: 37 giocatori della squadra di football Thundering Herd della Marshall University, cinque allenatori, due preparatori atletici, il direttore sportivo, 25 sostenitori e l’equipaggio dell’aereo, composto da cinque persone.

Matthew McConaughey interpreta il capo allenatore Jack Lengyel, Matthew Fox il vice allenatore William “Red” Dawson, David Strathairn il presidente dell’università Donald Dedmon e Robert Patrick lo sfortunato capo allenatore della Marshall Rick Tolley. L’allora governatore della Georgia Sonny Perdue ha un cameo nel ruolo di un allenatore di football della East Carolina University.

L’incredibile storia vera di We Are Marshall

La storia raccontata in “We Are Marshall” sembra un po’ l’invenzione di uno sceneggiatore. Un aereo che trasporta la squadra di football di un’università si schianta, uccidendo quasi tutti i giocatori, la maggior parte dello staff tecnico e diversi tifosi di spicco. L’università e l’affiatata comunità circostante sono sconvolte, ma decidono di perseverare. Un nuovo allenatore mette insieme una squadra di matricole e di atleti che non hanno mai giocato a football. Questa squadra eterogenea vince la sua prima partita in casa con un numero record di tifosi presenti.

Ma nonostante sembrino fatti per Hollywood, questi eventi sono realmente accaduti. Il 14 novembre 1970, il volo 932 della Southern Airways si schiantò durante l’avvicinamento all’aeroporto Tri-State di Kenova, in West Virginia. La Marshall University aveva noleggiato l’aereo per riportare a casa la sua squadra di football, i Thundering Herd, dopo una partita contro la East Carolina University. Tutti i 70 passeggeri e i cinque membri dell’equipaggio sono morti. Solo pochi membri dei Thundering Herd non erano a bordo.

Matthew McConaughey e Matthew Fox in We Are Marshall (2006)
Foto di – – © 2006 Warner Bros. Entertainment Inc.2006 Legendary Pictures. All Rights Reserved.

L’aereo, un McDonnell Douglas DC-9-31, aveva volato da Atlanta, in Georgia, a Kinston, nella Carolina del Nord, per prendere i suoi passeggeri. Il volo 932 è partito da Kinston alle 18:38 (Eastern Standard Time) e il volo, della durata prevista di 52 minuti, è proseguito normalmente. Ma a circa 1 miglio (1,6 metri) dalla pista dell’aeroporto Tri-State, l’aereo ha colpito gli alberi su una collina, incidendo una striscia larga 75 piedi e lunga 279 piedi (22,8 x 85 metri) prima di schiantarsi al suolo. L’aereo è esploso all’impatto. Il relitto principale è atterrato a soli 1.286 metri dalla pista.

Il controllore della torre di controllo ha iniziato a sorvegliare il volo 932 dopo che aveva superato il segnalatore esterno del sistema di atterraggio strumentale (ILS). Alle 19:36 EST, il personale ha notato un bagliore rosso a ovest della pista. Il controllore non era entrato in contatto visivo con l’aereo, ma ha visto l’esplosione e il fuoco che hanno provocato l’incidente. Non riuscendo a contattare l’aereo, l’equipaggio della torre ha avviato le procedure di emergenza. Sono intervenuti la polizia, i vigili del fuoco e la Guardia Nazionale.

Il National Transportation Safety Board (NTSB) ha indagato sull’incidente e ha rapidamente escluso una grave negligenza o un’azione dolosa: L’aereo era in buone condizioni ed era stato sottoposto a una manutenzione adeguata. Aveva fatto rifornimento a Kinston prima della partenza. L’equipaggio aveva presentato un piano di volo accurato e lo aveva rispettato. L’aereo non era sovraccarico e il suo centro di gravità era entro i limiti normali. Il pilota e il primo ufficiale erano esperti e qualificati per effettuare il volo. Il pilota aveva un periodo di riposo di 20 ore prima di presentarsi in servizio. Il primo ufficiale aveva un periodo di riposo di 18 ore.

Gli investigatori non hanno riscontrato alcun segno di guasto catastrofico nella struttura dell’aereo, negli strumenti o nel sistema di alimentazione. Inoltre, non hanno riscontrato gravi errori nell’aeroporto. La pista era bagnata a causa del tempo, ma l’equipaggio di volo era a conoscenza delle sue condizioni e aveva regolato la discesa per compensarle. Nonostante la pioggia e il freddo, il personale dell’aeroporto ha riferito di una visibilità di otto chilometri fino a poco dopo l’incidente. Le luci della pista e i lampeggianti di notifica erano tutti funzionanti.

Matthew McConaughey in We Are Marshall (2006)
Foto di – – © 2006 Warner Bros. Entertainment Inc.2006 Legendary Pictures. All Rights Reserved.

Tuttavia, a causa della natura del terreno circostante, l’aeroporto non disponeva di un pendio di planata come parte dell’ILS. Un pendio di planata trasmette un segnale al velivolo per aiutare il pilota ad assicurarsi che l’aereo scenda con la giusta angolazione. A causa dell’assenza del pendio di planata, l’atterraggio è stato considerato un avvicinamento strumentale non di precisione. L’aeroporto è stato autorizzato a operare senza il pendio di planata, ma senza di esso i piloti hanno avuto uno strumento in meno per atterrare in sicurezza.

Gli investigatori hanno anche escluso l’altezza degli alberi come fattore. Gli alberi erano troppo alti secondo i regolamenti dell’aviazione federale in vigore all’epoca. Tuttavia, queste norme erano utilizzate per scopi amministrativi, come l’assegnazione di fondi o la notifica al pubblico di una costruzione. L’altezza degli alberi non violava gli standard statunitensi per le procedure terminali strumentali (TERPS). In altre parole, in circostanze normali, l’altezza degli alberi non avrebbe dovuto influire sulla capacità di atterraggio di un aereo.

Secondo l’analisi finale dell’NTSB, l’aereo si è schiantato perché si trovava al di sotto della quota minima di discesa (MDA). In altre parole, si è schiantato perché era troppo vicino al suolo durante la discesa. Ma l’NTSB non è stato in grado di stabilire con precisione perché l’aereo volasse troppo basso. Gli investigatori hanno ristretto il campo a due possibilità. Secondo il rapporto sull’incidente, “le due spiegazioni più probabili sono (a) l’uso improprio dei dati della strumentazione della cabina di pilotaggio o (b) un errore del sistema altimetrico” [fonte: NTSB Aircraft Accident Report]. In altre parole, o gli strumenti funzionavano male o il pilota e il primo ufficiale utilizzavano i dati in modo errato.

We Are Marshall: Analisi dei dati del volo 932

Durante l’indagine, l’NTSB ha analizzato gli strumenti dell’aereo e il comportamento dell’equipaggio. L’aereo volava chiaramente troppo basso e l’NTSB voleva determinarne il motivo. Inoltre, il registratore dei dati di volo (FDR) mostrava che l’aereo aveva superato per due volte la quota di volo e poi aveva corretto la velocità di discesa. Ciò suggerisce che il pilota potrebbe aver compensato letture strumentali errate.

I funzionari hanno condotto test approfonditi sugli altimetri barometrici dell’aereo. L’analisi ha rivelato che sia la strumentazione del pilota che quella del primo ufficiale potrebbero aver avuto un malfunzionamento. Sembravano indicare che l’aereo fosse più alto di 91,4 metri. Tuttavia, l’impatto dell’incidente potrebbe aver fatto sì che entrambi gli altimetri riportassero altitudini errate.

Un’altra teoria è che il pilota e il primo ufficiale abbiano usato i loro radioaltimetri per determinare l’altitudine dell’aereo. Un radioaltimetro funziona essenzialmente come un radar. Misura il tempo impiegato dalle onde radio per raggiungere il suolo e tornare indietro. Ma in terreni molto collinosi o irregolari, come l’area della West Virginia in cui l’aereo si è schiantato, i radioaltimetri potrebbero fornire letture imprecise. Il pilota e il primo ufficiale lo sapevano bene grazie al loro addestramento. Gli investigatori dell’NTSB hanno riferito che l’uso dei radioaltimetri durante l’avvicinamento all’aeroporto era possibile, ma non probabile.

Indipendentemente dal motivo esatto per cui l’aereo volava troppo basso, il pilota e il primo ufficiale erano probabilmente del tutto inconsapevoli di farlo. Le chiamate del primo ufficiale registrate nel registratore vocale della cabina di pilotaggio (CVR) erano costantemente più alte delle misure registrate nell’FDR dell’aereo. Non è chiaro se il pilota abbia verificato le chiamate sui propri strumenti o se si sia affidato alle letture del primo ufficiale.

Inoltre, secondo le conversazioni registrate dal CVR, l’equipaggio riteneva che l’aereo fosse in normale discesa verso l’aeroporto. Il pilota e il primo ufficiale non hanno notato alcun motivo di preoccupazione, a parte un piccolo problema con l’autopilota. Sembrava che avesse catturato un segnale di pendio di planata anche se l’aeroporto non aveva pendii di planata. Il pilota ha anche osservato che l’autopilota sembrava lento. Gli investigatori non ritengono che il pilota stesse usando l’autopilota in modo scorretto o che l’autopilota abbia causato l’incidente.

Il CVR ha registrato anche un commento del coordinatore del volo charter, un dipendente della Southern Airways che si trovava nella cabina di pilotaggio poco prima dell’incidente. Le mansioni del coordinatore di volo gli imponevano di parlare con il pilota, quindi gli era consentito di stare in cabina di pilotaggio. Poco prima dell’incidente, ha osservato: “Sarà un mancato avvicinamento”. Gli investigatori ritengono che abbia notato che l’aereo si stava avvicinando a MDA ma non aveva stabilito un contatto visivo con l’aeroporto. Ciò avrebbe richiesto che l’aereo si livellasse e virasse. I dati dell’FDR suggeriscono che il pilota abbia cercato di fare proprio questo prima di colpire gli alberi.

L’NTSB ha rilevato alcuni punti in cui il pilota o il primo ufficiale non hanno rispettato rigorosamente le procedure di atterraggio durante l’avvicinamento all’aeroporto Tri-State. Ad esempio, sembra che il pilota abbia cercato di livellare solo dopo aver raggiunto la quota minima di discesa. Questo avrebbe permesso all’aereo di passare attraverso la MDA e di continuare a scendere mentre si livellava. Tuttavia, poiché le cime degli alberi si trovavano a oltre 300 piedi al di sotto della MDA, un livellamento anticipato non avrebbe probabilmente impedito l’incidente. In realtà, l’unica cosa che avrebbe probabilmente evitato l’incidente era un pendio di planata nell’aeroporto. L’aeroporto Tri-State ha installato un pendio di planata con fondi federali nel 1972.

L’incidente ha causato la morte di tutti i passeggeri: il pilota, il primo ufficiale, due assistenti di volo, il coordinatore del charter, 24 tifosi della Marshall University, nove allenatori e 37 giocatori. Vedremo cosa è successo al programma di football della Marshall University.

Ricostruire il calcio dell’Università di Marshall

Già prima della stagione 1970, il programma di football della Marshall University aveva incontrato alcune difficoltà. Negli anni ’60 la squadra aveva avuto un bilancio negativo, con stagioni senza vittorie. Nel 1962, il suo stadio fu condannato per violazioni della salute e della sicurezza. Nel 1969, la Mid-American Conference espulse Marshall dai suoi ranghi a causa di oltre 100 violazioni in materia di reclutamento. All’epoca dell’incidente, Marshall faceva parte della National Collegiate Athletic Association (NCAA) ma era in libertà vigilata a causa delle stesse accuse.

Nel 1970, la scuola aveva apportato alcuni miglioramenti. Il Fairfield Stadium era stato completamente ristrutturato e il campo da gioco era stato dotato di un nuovo AstroTurf. Anche se il 1970 non fu una stagione vincente, l’ultima partita della squadra contro la East Carolina University fu combattuta. Marshall perse con un punteggio di 14 a 17.

L’incidente colpì sia l’Università che la comunità circostante. Dopo l’incidente, gli uffici governativi e le attività commerciali locali rimasero chiusi. L’Università ha cancellato molte attività e ha tenuto una cerimonia commemorativa allo stadio domenica 15 novembre. Ha anche cancellato le lezioni del lunedì. I funerali e le commemorazioni si sono svolti nelle settimane successive. I corpi dei sei giocatori di football che non è stato possibile identificare sono stati sepolti insieme nel cimitero di Spring Hill, che si affaccia sul campus di Marshall.

Il 17 marzo 1971 Jack Lengyel divenne il nuovo allenatore di football della Marshall University. Il vice-allenatore Alfred “Red” Dawson, che aveva fatto il viaggio in auto per tornare in West Virginia, tornò ad allenare per un anno. Con l’aiuto di altri membri del corpo docente e dello staff sopravvissuti, iniziarono a mettere insieme una nuova squadra di football.

Iniziarono con i giocatori che non erano stati a bordo del volo a causa di infortuni, conflitti accademici e altri motivi. A questi giocatori si aggiunsero atleti che praticavano altri sport. La scuola ha anche chiesto alla NCAA il permesso di far giocare le matricole, cosa che la NCAA ha concesso. Lengyel ribattezzò la squadra Young Thundering Herd, fino a quando non riprese la sua struttura originale di classe quadriennale.

I Young Thundering Herd persero la prima partita, contro Morehead. Ma vinse la seconda partita – la prima in casa – contro la Xavier University con il punteggio di 15 a 13. La squadra vinse un’altra partita nella stagione 1971.

I Thundering Herd iniziarono ad avere stagioni vincenti nel 1984. Marshall ha partecipato ai playoff della NCAA Division I-AA nel 1987 e al campionato di football della Southern Conference nel 1988. Nel 1992 e nel 1996 Marshall è stato campione della NCAA Division I-AA. La squadra è passata alla Division I-A nel 1997 e ha vinto il suo primo bowl game nel 1998.

La tragedia del 1970 fa ancora parte della vita di Marshall e della città di Huntington. Ogni anno si svolge una cerimonia commemorativa presso la fontana del Memorial Student Center, inaugurata il 12 novembre 1972. Dopo questa cerimonia, la scuola chiude l’acqua della fontana fino alla primavera.

Oltre al film del 2006 “We Are Marshall”, il documentario “Ashes to Glory” e il libro “Real Tragedy, Real Triumph: True Stories and Images from the Crash and Rebirth of Marshall University Football” raccontano la storia della squadra di football della Marshall University. Per ulteriori informazioni sul disastro aereo della Marshall University, su “We Are Marshall” e su argomenti correlati, consultare i link sottostanti.

 
 

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