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Marco Bellocchio: un cinema spiazzante

Marco Bellocchio: un cinema spiazzante

È sempre in cerca di novità, di approcci originali, il suo cinema non dà mai nulla per scontato, e questa è certo una delle sue migliori doti, affatto scontata a sua volta, visto che a settant’anni suonati (classe 1939), dopo una lunga e fruttuosa carriera, avrebbe potuto tranquillamente riposare sugli allori o darsi a un cinema auto celebrativo. Ma chiunque conosca almeno in parte il lavoro di Marco Bellocchio sa che un simile atteggiamento non è nelle sue corde.

Marco Bellocchio, la filmografia

Col suo film d’esordio I pugni in tasca (1965), a soli 26 anni suscitò scalpore, mettendo a nudo senza sconti l’universo di una tranquilla famiglia borghese, dietro le cui apparenze si celano legami malati, costrizioni, rancori, desiderio di ribellione e quella vena di follia che, più o meno marcata, ritroviamo in quasi tutti i suoi film.

E sulla famiglia si sofferma spesso il suo lavoro (Nel nome del padre, Salto nel vuoto, La balia, L’ora di religione, Sorelle, Sorelle Mai). Istituzione fondante – e si direbbe “sacra” – della nostra società, essa però costringe, ingabbia l’individuo e può, talvolta, impedirne il sano sviluppo psicofisico, a meno che da quei legami non si abbia il coraggio di emanciparsi, intraprendendo un cammino indipendente. Oggetto di critica da parte del regista di Bobbio sono poi tutte le altre istituzioni costrittive  o tese a creare un effetto di “intorpidimento”  dell’individuo: le forme di religiosità cieca e bigotta, i mass media se usati per manipolare fatti e opinioni, la cattiva politica (a prescindere dagli schieramenti). Un cinema d’impegno e di denuncia, mai superficiale,che non teme di scavare nell’individuo e nella società, e di dire tutto ciò che c’è da dire, con coraggio, ma senza pretendere adesione da parte dello spettatore, che si vuole vigile e attento alle tematiche proposte, ma non asservito al punto di vista del regista.

Marco Bellocchio, gli inizi

Il percorso artistico di Marco Bellocchio inizia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, nel 1959. Qui tre anni dopo ottiene il diploma di regia, per poi partire alla volta di Londra, dove continuerà a studiare cinema. Al suo ritorno, nel ’65, come s’è detto, il suo folgorante esordio I pugni in tasca, che gli vale subito riconoscimenti: la stampa non fatica a rintracciare in lui un indubbio talento, coraggioso e dissacrante e il film si aggiudica il Nastro d’Argento per il Miglior Soggetto e la Vela d’Argento al Festival di Locarno per la Miglior Regia. Lou Castel nei panni di Alessandro e Paola Pitagora in quelli di Giulia, sono perfetti protagonisti di questo dramma familiare: due dei cinque componenti di questo nucleo malato che è la famiglia al centro della pellicola, in cui la rabbia e il rancore sempre covati nascostamente da Alessandro, alla fine esplodono nel gesto più estremo. Il tutto è accompagnato dalle musiche di Ennio Morricone, mentre al montaggio  c’è Silvano Agosti, che collaborerà ancora con Bellocchio.

Dopo la famiglia, Marco Bellocchio sceglie la politica ipocrita e trasformista come bersaglio della sua ficcante analisi in La Cina è vicina (1967), protagonista il professore e aspirante assessore Vittorio Gordini Malvezzi/Glauco Mauri, assieme al ragioniere Carlo/Paolo Graziosi, che lo aiuta nel suo tentativo di ascesa sociale e politica all’interno del PSU (Partito Socialista Unificato). Accanto a questo, però, ancora una volta non manca il sarcasmo verso l’ipocrisia in ambiente familiare (Carlo diverrà amante e poi marito, suo malgrado, della sorella di Vittorio, il quale sposerà l’ex fidanzata di Carlo, unitasi a lui per vendetta verso il suo precedente compagno). Ancora musiche di Ennio Morricone, mentre il montaggio è stavolta affidato a Roberto Perpignani. E ancora premi: Nastro d’Argento per il Soggetto (dello stesso Bellocchio) e la Fotografia di Tonino Delli Colli, Premio Speciale della giuria a Venezia. Nel ’69 il regista partecipa, assieme a nomi del calibro di Bertolucci, Lizzani, Pasolini e Godard, al film Amore e Rabbia, di  cui dirige l’episodio Discutiamo, discutiamo. Nel ’72 dirige Nel nome del padre, film ispirato in parte a vicende autobiografiche, relative agli anni dell’educazione religiosa del regista, avvenuta presso i Salesiani.

Il film è ancora una volta un feroce attacco, stavolta rivolto alle istituzioni religiose e alla loro volontà di controllo e repressione. La vicenda è ambientata alla fine degli anni ’50 e il protagonista, Angelo Transeunti/Yves Beneyton, è un giovane indisciplinato e recalcitrante alle regole costrittive, che entra in un collegio religioso. Qui fa valere la sua forte personalità, scontrandosi continuamente con l’autorità (il vicerettore Corazza/Renato Scarpa) e le ferree regole della “repressione cattolica”, che denigra. La volontà di ribellione culminerà in due rivolte, entrambe fallite, e forse presaghe di altri fallimenti reali. Non manca poi, intrecciato al tema principale, quello della costrizione dei legami familiari. Al film partecipa anche Gisella Burinato, già attrice teatrale, qui per la prima volta sul grande schermo. Dall’unione tra attrice e regista nascerà, due anni dopo, il figlio Pier Giorgio.

Dello stesso anno invece, è Sbatti il mostro in prima pagina. Qui Marco Bellocchiosi concentra sulla “repressione mediatica”, ovvero sul potere dei mezzi di comunicazione di influenzare le menti degli spettatori, di “intorpidirle”, di distrarle. È quello che avviene  nel film dove un cinico e straordinario Gian Maria Volonté (memorabile la sua “lezione di giornalismo” all’ingenuo neoassunto Roveda), direttore di un noto quotidiano, orchestra una campagna stampa ad hoc su un sanguinoso fatto di cronaca, per poi strumentalizzarlo politicamente.

Marco Bellocchio, il 70′

Nel ’75 Marco Bellocchio, che nei suoi film si occupa spesso di psiche e di instabilità mentale, dirige con la consueta passione, assieme a Silvano Agosti, Stefano Rulli e Sandro Petraglia, il documentario Nessuno o tutti – Matti da slegare, che punta il dito contro l’istituzione manicomiale italiana, denunciandone abusi e storture, aggiungendovi una personale analisi che rintraccia nella società l’origine del disagio psichico. Occorre dire che la passione documentaristica lo accompagna fin dal 1969, quando firmò Il popolo calabrese ha rialzato la testa (Paola) e vi tornerà spesso.

Nel 1976 dirige Marcia Trionfale, in cui bersaglio della sua critica è il mondo militare machista e repressivo, protagonisti il giovane soldato Paolo Passeri/Michele Placido e il suo severo superiore Asciutto/Franco Nero. L’impeccabile regia di Bellocchio gli vale il David di Donatello. Il ’77 lo vede invece impegnato nell’adattamento de Il gabbiano di Anton Čechov. Il 1978 è l’anno dell’incontro con lo psichiatra Massimo Fagioli, da cui nascerà un’intensa collaborazione, che darà i suoi frutti negli anni a venire. Intanto, il regista di Bobbio torna ad occuparsi di universi familiari malati e instabilità mentale. Lo fa con la solita lucidità e pregnanza in Salto nel vuoto (1980). Al centro della pellicola, la storia di due fratelli, Mauro Ponticelli/Michel Piccoli e Marta/Anouk Aimeé.

Mauro, convinto che la sorella sia sull’orlo della follia, architetta un piano per spingerla al suicidio, con la complicità di un piccolo delinquente, Giovanni Sciabola/Michele Placido. Il piano però fallisce e anzi, Marta riesce finalmente ad emanciparsi dal perverso legame che la teneva avvinta al fratello, anche grazie alla sua relazione con Sciabola. Alla fine, a compiere il “salto” sarà Mauro.

Nello stesso anno, Marco Bellocchio torna, dopo I pugni in tasca, ai luoghi natii, col documentario Vacanze in Val Trebbia, che vede protagonista lui stesso, accanto a Gisella Burinato e al figlio Pier Giorgio, all’esordio davanti alla macchina da presa. Nel 1982, Bellocchio torna a dirigere Lou Castel, già protagonista de i pugni in tasca e poi ritrovato in altre pellicole firmate dal regista.

Qui è di nuovo protagonista, nei panni di Giovanni Pallidissimi, attore, alle prese con la risoluzione di nodi nei suoi rapporti familiari, in particolare con la madre e con Wilma, fidanzata del fratello morto suicida. Stavolta, però, a differenza di quanto accadeva ne I pugni in tasca, tutto si risolve positivamente, in un’ideale percorso di maturazione e crescita. Sceneggiato con Vincenzo Cerami, si avvale delle musiche di Nicola Piovani (come già numerosi altri lavori del regista, a partire da Nel nome del padre). Segue l’adattamento per il grande schermo del dramma pirandelliano Enrico IV, protagonista Marcello Mastroianni. Ancora una volta, i temi cari a Bellocchio: potere, religione, ipocrisia, follia. Accanto a Mastroianni, Claudia Cardinale, Leopoldo Trieste e Paolo Bonacelli, musiche di Astor Piazzolla.

A metà anni ’80 vede la luce il primo lavoro ispirato dal sodalizio con Fagioli, i cui frutti saranno visibili in tre pellicole: Diavolo in corpo (1986), La condanna (1991), Il sogno della farfalla (1994). Tra questi, la pellicola che avrà maggior fortuna è senz’altro La condanna, che otterrà il Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino, protagonisti Vittorio Mezzogiorno e Claire Nebout.

Terminata la collaborazione con lo psichiatra Fagioli, Marco Bellocchio si rifà a un testo teatrale, che decide di portare sullo schermo. Si tratta de Il principe di Homburg (1997), fedele trasposizione dell’omonimo dramma di Kleist. Nel ’99 il regista di Bobbio attinge ad un’altra fonte letteraria: la novella pirandelliana La balia. Protagonisti Valeria Bruni Tedeschi e Fabrizio Bentivoglio, coppia alto borghese d’inizio Novecento, la cui tranquilla esistenza subisce un brusco mutamento con la nascita di un figlio, con il quale la madre non riesce a stabilire un legame affettivo. Il neonato viene così affidato alle cure di una balia (Maya Sansa al suo esordio cinematografico), che invece entra subito in sintonia con il bambino, ma ciò provoca ulteriori tensioni. Dunque, è ancora una volta l’universo familiare ad essere scandagliato dall’analisi di Bellocchio, sulla scorta della fonte letteraria. L’affresco storico sociale resta sullo sfondo, in favore dell’aspetto esistenziale ed intimo. Nel cast anche Michele Placido e Pier Giorgio Bellocchio.

Il nuovo millennio di Marco Bellocchio

Nel nuovo millennio, il regista torna ad occuparsi di religione e famiglia in L’ora di religione (2002), non rinunciando a svelarne ipocrisia e opportunismo. Protagonista della vicenda, genialmente surreale, è Ernesto Picciafuoco/Sergio Castellitto (ultimo di una lunga serie di indovinati nomi parlanti, cari a Bellocchio), pittore, che conduce da anni la sua vita, rigorosamente laica, lontano dal resto della blasonata famiglia.

Tutto cambia, quando viene informato dell’imminente canonizzazione della madre, ordita da una zia (una Piera degli Esposti splendidamente cinica) nella speranza di un ritorno economico che rinverdisca le finanze familiari. Perché il processo vada in porto c’è bisogno della collaborazione di tutti, in special modo dei figli della donna: Ernesto, Ettore/Gigio Alberti, Erminio/Gianfelice Imparato ed Egidio/Donato Placido. La canonizzazione è dunque l’occasione per Ernesto di rincontrare la sua famiglia d’origine – oltre a una serie di stravaganti personaggi che si profileranno sul suo cammino – e per il regista di farci scoprire, tassello dopo tassello, un universo familiare lacerato e devastato dalla pochezza di spirito, dall’inadeguatezza, e dall’ottuso bigottismo della donna che si vorrebbe santificare, che di esso è stata per anni il fulcro, e il tarlo.

Scopriamo così che uno dei fratelli, Egidio (nell’intensa interpretazione di Donato Placido), è stato internato in una struttura psichiatrica, proprio in seguito all’omicidio della madre, e ritroviamo quindi anche il tema della follia. Non manca il sarcasmo nei confronti di una Chiesa che bada alle apparenze e non alla sostanza, come verso l’alta borghesia perbenista e ipocrita, da cui il protagonista s’è voluto staccare, ma che torna anche nella sua nuova famiglia (anche la moglie vuole approfittare dei vantaggi della canonizzazione e vuole far battezzare il loro figlio, così come insiste per fargli seguire a scuola l’ora di religione). Il Bellocchio di sempre, dunque, ma certamente il miglior Bellocchio, che sa dare nuova linfa e originalità alla trattazione cinematografica di temi noti, in un film drammatico, e insieme ironico e brioso.

I premi arrivano copiosi: Menzione Speciale a Cannes, 4 Nastri d’Argento (tra cui Miglior Regia), David di Donatello a Piera degli Esposti e European Film Award (EFA) a Sergio Castellitto per le rispettive interpretazioni. Il regista e l’attore si ritroveranno insieme nel 2006, quando l’uno dirigerà l’altro nel più leggero Il regista di matrimoni.

Nel 2003, il regista emiliano torna invece ad occuparsi di politica, scegliendo una delle pagine più buie e controverse della nostra storia. Rielabora infatti le vicende relative al sequestro Moro in Buongiorno notte, liberamente ispirato al libro Il prigioniero, scritto da Anna Laura Braghetti, brigatista. La pellicola si incentra sulla prigionia di Moro e dunque sul dramma da lui vissuto, ottimamente reso da Roberto Herlitzka, oltre che sulle dinamiche all’interno del gruppo di rapitori, tra cui Chiara/Maya Sansa, dapprima convinta, poi dubbiosa sugli sviluppi del sequestro. Nel cast anche Luigi Lo Cascio, Paolo Briguglia, Pier Giorgio Bellocchio. Il film è un successo al botteghino, rivelandosi uno dei più soddisfacenti del regista in questo senso. Ottiene anche svariati premi, ma non il Leone d’Oro a Venezia, per il quale pure era favorito. Riconoscimenti arrivano comunque: Premio FIPRESCI agli EFA a Bellocchio, David di Donatello e Nastro d’Argento a Herlitzka; Globo d’Oro e Ciack d’Oro a Maya Sansa , Premio Ioma per Miglior Film.

Tre anni dopo, torna ad occuparsi di una vicenda privata, ma al tempo stesso dagli evidenti risvolti politici. Con Vincere infatti il regista porta sullo schermo la storia di Ida Dalser, amante di Benito Mussolini, e madre di suo figlio Benito Albino. L’idea del film è nata, dic e Marco Bellocchio, dalla scoperta di questa forte figura femminile, attraverso la lettura della sua corrispondenza. A colpirlo, infatti, sono proprio la sua incrollabile fiducia e l’abbandono col quale si getta nella storia d’amore col Duce, così come l’ostinazione con la quale poi non accetterà di essere da lui abbandonata, assieme al figlio. Ad interpretarla un’efficacissima Giovanna Mezzogiorno, adatta a renderne la caparbietà, a dispetto della realtà e dell’evidenza. E di nuovo il confine tra sanità e follia è labile. Lo stesso può dirsi per gli altri due personaggi principali della storia, Benito Mussolini e Benito Albino, teso verso orizzonti di gloria il primo, e quasi assente dalle sue vicende personali; allevato nell’ossessione dell’ingombrante padre traditore il secondo, che finirà i suoi giorni in manicomio. Filippo Timi interpreta magistralmente entrambi. Il film, unico italiano in concorso nel 2009 al Festival di Cannes, non otterrà in questa sede i premi sperati. In compenso però farà incetta di riconoscimenti ai David di Donatello, conquistandone ben sette, tra cui quello per la Miglior Regia. Nastro d’Argento a Giovanna Mezzogiorno.

La passione di Marco Bellocchio per il suo lavoro si esprime però anche nella conduzione del laboratorio Fare Cinema, scuola di regia e recitazione che si tiene ogni anno, in estate, nella natia Bobbio, cui si accompagna il Bobbio Film Festival. E da questa esperienza nasce nel 2006 un primo lungometraggio dal titolo Sorelle, il cui soggetto sarà poi ripreso nel film Sorelle Mai (2010), che ne è ulteriore elaborazione.

La pellicola raccoglie materiale girato durante il laboratorio nel corso di dieci anni, a detta del regista senza l’intento iniziale di farne un film, ma che ne ha poi preso la forma. Al centro, inevitabilmente, un nucleo familiare, che in parte coincide con quello del regista stesso: le sorelle Letizia e Maria Luisa, il figlio Pier Giorgio, la figlia Elena, inseriti però in una  vicenda di fantasia, tra allontanamenti e ritorni nella terra natia, vittorie e sconfitte. Ed è proprio alle sue sorelle, con la loro vita “di confortevoli rinunce”, come la definisce lui stesso, che Marco Bellocchio dedica il film. Con quest’opera il regista ci spiazza ancora una volta, accettando e vincendo quella che per lui resta “la sfida” del cinema oggi: parlare di ciò che ci riguarda, farlo in maniera profonda e originale, nella specificità estetica del cinema, senza scimmiottare modelli televisivi, e non cercare mai di compiacere nessuno, ché altrimenti viene meno la libertà espressiva.

Dieci Inverni: recensione del film di Valerio Mieli

Dieci Inverni: recensione del film di Valerio Mieli

Dieci inverni è il film del 2010 diretto da Valerio Mieli con protagonisti Isabella Ragonese, Michele Riondino, Glen Blackhall, Sergej Zhigunov.

Dieci inverni racconta la sera d’inverno del 1999 i diciottenni Silvestro e Camilla , studenti fuori sede a Venezia , si incontrano su un vaporetto: sarà l’inizio di un percorso lento e graduale, lungo dieci anni in cui si avvicineranno e perderanno, sempre per pochi attimi e sempre d’inverno, prima di riuscire a comprendere e a rivelare i propri sentimenti.

Può un amore palesemente scritto nel destino dover attendere dieci anni prima di sbocciare pienamente? Dopo Harry ti presento Sally e in attesa dell’imminente One Day di Lone Scherfig con Anne Hathaway e Jim Sturges, nuove passioni lente ad esprimersi attraversano i Dieci inverni di Valerio Mieli: ben lontano dal rischio di cadere nelle trappole delle più tremende commedie sentimentali, il luminoso esordio del regista romano è un racconto pulito e spontaneo, abile nel descrivere i quadri invernali del decennio che porta ai trent’anni senza la retorica e le convenzioni giovanili esasperate dai romanzi di Moccia, regalandoci un’esperienza intimamente coinvolgente e felicemente isolata dai più recenti trend di un cinema italiano quasi poco interessato a lavorare su un terreno più squisitamente emotivo senza prendersi in giro e cercare la risata.

Dieci Inverni, tra malinconia e suggestione

E’ una Venezia malinconica quella in cui accettiamo piacevolmente di immergerci, assai più affascinante e suggestiva nel suo abito pallido e silente che nelle colorate e caotiche cartoline turistiche, preferendo a un rampante motoscafo o alla solita gondola in Canal Grande un vaporetto arrugginito dove un ragazzo con una buffa pianta e una ragazza che porta una strana lampada si incontrano per la prima volta in una fredda sera d’inverno; dopo una prima castissima notte apparentemente senza seguito, le strade di Silvestro e Camilla iniziano a incrociarsi numerose volte  per pochi attimi o per brevi periodi, in frammenti di vita in attesa come gelidi cristalli di neve.

Attraverso un cammino perennemente in fieri, fra frasi non dette e grandi speranze che cedono spesso alle piccole cattiverie e vendette della quotidianità, Camilla e Silvestro provano a cercare altre strade verso la felicità fingendo di poter rinnegare consapevolmente sé stessi: senza che il sole faccia mai capolino i due intraprendono carriere differenti, vivono altre storie e si dividono fra le calli deserte di Venezia e le rigide sere moscovite, in due città tanto diverse quanto abili entrambe a congelare i sentimenti. Quando  le reciproche esperienze li hanno fatti finalmente crescere dandogli il coraggio di rischiare, l’incantesimo invernale finalmente può infrangersi e lasciare arrivare la primavera, con il sole che illumina gli sguardi e quella casetta dove da studenti avevano convissuto,  sfiorandosi senza mai riuscire davvero a toccarsi e a bruciare.

Un film delicato e sospeso

Valerio Mieli costruisce dunque col suo saggio di diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma un film delicato e sospeso, una finestra sul mondo dei sentimenti che nella semplicità trova il suo punto di forza e che nonostante i tempi lenti e la fredda ambientazione non annoia e scalda il cuore, complice  il suggestivo pianoforte di Francesco De Luca e Alessandro Forti e la surreale fotografia di Marco Onorato; ottime le prove di Michele Riondino e Isabella Ragonese, bravissimi nel tratteggiare le storie di due personaggi immaturi e inesperti ma mai eccessivi o caricaturali, nelle cui umane insicurezze e reazioni sbagliate ma all’apparenza inevitabili è facile identificarsi: almeno una volta nella vita abbiamo sperato di trovare qualcuno che ci accompagnasse lungo il percorso, abbiamo pensato che si nascondesse lontano in qualche luogo remoto dove non siamo mai stati quando invece era lì, così vicino a noi, senza che riuscissimo a riconoscerlo.

Habemus Moretti: dal 15 aprile al cinema

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“Intorno alla Città del Vaticano, le televisioni di tutto il mondo trasmettono da impalcature costruite apposta o dalle terrazze dei palazzi”. Questa è una didascalia tratta dalle prime scene della sceneggiatura ( visibile sul sito ufficiale ) di Habemus Papam. E se il Papa appena eletto ha una crisi di fede?

David di Donatello 2011: tutte le nominations

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David di Donatello 2011: tutte le nominations

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David di Donatello 2011: super-candidato è Noi credevamo, il film di Mario Martone che racconta un Risorgimento inedito e lontano dalla visione appiattita da molta aneddotica passata nella storiografia ufficiale. La pellicola, presentata al Festival del Cinema di Venezia 2010 e che per l’argomento ha subito nella sua prima fase una distribuzione piuttosto travagliata, nell’anno delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia raccoglie ben 13 nomination, tra cui quelle pesanti nelle categorie miglior film e miglior regia.

Jennifer Aniston dentista sexy in Horrible bosses

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Con i capelli più scuri, spietata, provocante e ninfomane. Jennifer Aniston si è trasformata in una calorosa dentista in Horrible Bosses, il film di Seth Gordon

Javier Bardem in trattative per Dark Tower!

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Giunge notizia che l’attore Javier Bardem, recentemente diventato papà grazie alla compagna Penelope Cruz, è vicinissimo alla firma del contratto, che lo vedrà tra i protagonisti diDark Tower,  trasposizione della saga di Stephen King per mano del regista Ron Howard che sta iniziando a provinare gli aspiranti interpreti per gli altri ruoli.

David Heyman cerca un sostituto di Harry Potter: Oscar Pill?

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David Heyman, famoso per aver prodotto la saga di Harry Potter  e alla ricerca di un nuovo personaggio che prenda il posto del maghetto occhialuto, e sembra aver trovato un nuovo progetto…

 

Call of Duty: notizie sulla trasposizione!

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Call of Duty: notizie sulla trasposizione!

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Giunge notizia che  Dwayne Johnson(The Rock) ha dichiarato di avere in mente una riduzione cinematografica del videogioco Call of Duty. Sembra che sia seriamente intenzionato a trarre un film dal famoso videogame per console.

 

Source Code: recensione del film con Jake Gyllenhaal

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Source Code: recensione del film con Jake Gyllenhaal

Arriva al cinema distribuito da 01 Distribution Source Code, il film di genere fantascienza,  diretto da Duncan Jones, con protagonisti Jake Gyllenhaal e Vera Farmiga.

Il capitano Colter Stevens si risveglia su un treno in un corpo che non è il suo, non capisce come ci è finito ma all’improvviso il treno esplode e lui si risveglia in una capsula senza sapere esattamente dove si trova. Vede solo in uno schermo una donna in uniforme, Goodwin, che gli spiega la situazione: lui è stato scelto per entrare nel Source Code, un software che permette ad una persona compatibile con il sistema di entrare nel corpo di una persona negli ultimi 8 minuti della sua vita. Colter dovrà quindi ritornare nel corpo dello sconosciuto ripetutamente fino a che non riuscirà a trovare l’attentatore e la bomba sul treno.  Ma quando il destino di Colter incrocia la sua strada, incarnato nella bella Christina, il soldato capirà che la sua missione non è solo scoprire chi è il terrorista, ma salvare anche la donna che in quegli 8 minuti eterni ha imparato ad amare.

Duncan Jones, reduce dall’ottimo lavoro presentato con Moon, porta sullo schermo questa storia scritta da Ben Ripley ed interpretata da un cast eccellente che accanto al protagonista Jake Gyllenhaal, vede una bella coppia di signore: Vera Farmiga e Michelle Monaghan. Source Code pur non essendo nato dalla mente di Jones, presenta molte affinità con l’opera prima del regista, su tutte la rarefazione dei personaggi e del mondo che si muove intorno ad essi e la dimensione claustrofobica dello spazio che li ingabbia e contemporaneamente è anche spazio aperto, libero e infinito. Si sprecano infatti, nella spettacolare sequenza d’apertura, le panoramiche di Chicago, estremamente bella sotto il sole, in contrapposizione con l’oscura vastità interstellare di Moon.

Ad un inizio leggermente noioso segue un film importante, ben girato e scandito da un montaggio eccellente. Jones conferma il suo talento e ci racconta una storia di fantascienza ma allo stesso tempo una storia umana, di un uomo in particolare, che fino alla fine della sua vita si dedica agli altri e finalmente trova poi la forza di fare qualcosa per sé. Jake Gyllenhaal offre una performance ordinaria, e come al solito si rivela un attore diligente, perfettamente calato nel ruolo del soldato, senza però strafare e lasciando comunque l’impressione che quello che fa il suo personaggio non sia nulla di straordinario: il suo Colter sbaglia, picchia e viene picchiato, si arrabbia e si innamora, proprio come ogni persona normale.

Source Code trova nel suo finale un perfetto coronamento, grazie anche ad una colonna sonora funzionale e ad un racconto lineare e chiaro per quanto lo consente il complesso meccanismo alla base della trama del film. La fantascienza è fatta da uomini che si rapportano a tecnologie superiori, ma qui l’uomo riesce a piegare questa tecnologia estranea con la propria forza di volontà diventando artefice del proprio futuro e riscrivendo la (sua) storia. Film potente e mozzafiato, Source Code è sicuramente da vedere poiché alla buona fattura e alla storia non originalissima, ma raccontata con precisione ed efficacia, unisce il ritratto di una grande personalità tutta umana.

Gyllenhaal e Jones a Roma per Source Code

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“Se avessi un solo minuto a disposizione prima di morire certo non risponderei alle vostre domande! Chiamerei la mia famiglia e probabilmente vorrei mangiare un piatto di pasta!” E’ Jake Gyllenhaal a parlare, arrivato questa mattina a Roma per presenziare alla conferenza stampa di Source Code, insieme al regista Duncan Jones.

Anche Jean-Paul Belmondo al Festival di Cannes

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Bébel, 77 anni, sarà festeggiato il 17 maggio con la proiezione del documentario che gli hanno consacrato Vincent Perrot e Jeff Domenech, “Belmondo, itinéraire…”, seguita da una grande festa con tutti i soliti noti del grande schermo transalpino.

Lindsay Lohan interpreterà Sharon Tate?

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Lindsay Lohan potrebbe interpretare Sharon Tate, la bellissima e sfortunata moglie di Roman Polanski uccisa brutalmente nel 1969 da Charles Manson e la sua ‘famiglia’. Il film in questione si intitolerà Eyes of a Dreamer e vedrà alla regia quel Tyler Shields amico e fotografo della turbolenta attrice. Nelle sue intenzioni ci sarebbe quella di realizzare un film macabro e particolareggiato sulla storia di Manson.

La Lohan, la cui carriera è stata stroncata da una serie di vicissitudini personali, avrà così forse l’ultima possibilità di risollevarsi professionalmente parlando, dopo la mancata partecipazione al biopic su Linda Lovelance dello scorso anno.

Fonte: badtaste

Nicole Kidman e Clive Owen sul set di Emingway!

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Continuano le riprese per Nicole Kidman e Clive Owen, del film della HBO Hemingway & Gellhorn. In rete sono state diffuse nuove foto che questa volta ritraggono un insolito Clive Owen con i baffi e un basco.

Cars 2: nuovo Trailer!

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Cars 2: nuovo Trailer!

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La Disney Pixar ha diffuso sul suo canale youtube un nuovo trailer del nuovo e secondo capitolo di Cars 2, film d’animazione che racconda le vicende di un gruppo di auto. Per vedere il trailer…

Drive Angry 3D: recensione del film con Nicolas Cage

Drive Angry 3D: recensione del film con Nicolas Cage

ll regista Patrick Lussier dirige questo nuovo, ennesimo film minestrone dal titolo Drive Angry 3D, e dopo il primo San Valentino di Sangue riprova a fare il pienone di pubblico, ma questa volta il 3D non è certo una novità.

Con un’opera come questa le pretese non sono altissime ma ben chiare e delineate: voler mettere insieme un film ritmato che ha come unico scopo quello di intrattenere il pubblico.Il film racconta la storia di Milton, scappato dall’Inferno per un’ultima occasione di redenzione. L’uomo deve fermare una pericolosa setta che ha ucciso sua figlia ed ha tre giorni di tempo prima che questa setta sacrifichi suo nipote neonato sotto la luna piena. Si aggiunge alla sua crociata Piper (Amber Heard), una giovane e sexy cameriera che si è liberata della macchina rossa del suo ex per aiutare Milton. I due sono sulle tracce del leader di questo culto mortale, Jonah King (Burke), che crede sia il suo destino usare il bambino per portare in terra l’inferno. Ma il culto assettato di sangue è l’ultimo dei problemi di Milton. La polizia è sulle sue tracce. A peggiorare la situazione c’è un enigmatico assassino conosciuto come il Contabile (Fichtner), che è stato mandato dal diavolo a recuperare Milton e a riportarlo all’inferno.

Il risultato è un discreto B movie con un buon senso dell’humor che a tratti riesce ad essere degno di nota, strizzando l’occhio certamente a quel cinema degli anni 70’ che ha reso tanto celebre attori del calibro di Charles Bronson. Tra una sequenza d’inseguimento, una bella dose si sesso e bibbia, manco fossimo in un film di De Mille, il film rimane ingabbiato forse in alcuni stereotipi troppo rigidi che non aiutano la narrazione. Nella fattispecie il personaggio interpretato da Fichtner, che certamente rappresenta una notevole presenza scenica, limita però il talento dell’attore, che realizza una fotocopia già vista di un estensione demoniaca in terra. O ancora il personaggio di Burke, Jonah King, che sembra essere una brutta copia dei cattivi che hanno dominato un certo cinema degli anno 80’, pessimo, fuori ruolo e impalpabile.

Tolti i panni da critico, il film risulta essere piacevolmente godibile, forse eccessivamente lungo ma ben confezionato. Menzioni speciali vanno dedicate alla qualità del 3D, che se fino ad ora aveva troppe volte deluso, diventando solo espediente per incrementare gli incassi; invece questo film  si distinguerà per un ulteriore passo in avanti verso un 3D che letteralmente buca lo schermo e finalmente aggiunge qualcosa all’opera, aiutato certamente da una scrittura servizievole alla causa stereoscopica.  Altra nota positiva è l’attrice  Amber Heard, di ritorno dall’ultimo Carpenter in ordine di tempo, adatta al ruolo e buona spalla per il protagonista Nicolas Cage, che fa sempre il suo, fresco della splendida prova data in Kick Ass, in attesa di lidi migliori in cui ammirarlo.

Tutto sommato Drive Angry è un discreto blockbuster che può essere apprezzato per il 3D, ma resta tuttavia vittima di alcuni stereotipi che lo limitano, rendendolo abbastanza prevedibile e scontato.

Paul Haggis: Re Mida delle sceneggiature hollywoodiane

Paul Haggis: Re Mida delle sceneggiature hollywoodiane

Il regista, sceneggiatore e produttore Paul Haggis, canadese classe ’53, ha da poco presentato a Roma la sua ultima fatica, che lo vede in tutte e tre le vesti sopracitate: The next three days, un thriller che ha come protagonista Russell Crowe, impegnato in una lotta contro il tempo in nome dell’amore.

C’era molta attesa per questa nuova pellicola, essendo Paul Haggis uno degli sceneggiatori più stimati di Hollywood. È stato infatti vincitore nel 2006 del Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura con il film Crash – Contatto fisico. Nota e proficua anche la sua collaborazione con Clint Eastwood, per il quale ha scritto Million dollar baby – che si è aggiudicato l’Oscar come Miglior Film – e le due pellicole speculari dirette da Eastwood sulla battaglia di Iwo Jima (Lettere da Iwo Jima e Flags of our fathers).

In pochi anni dunque si è guadagnato la stima di critica e pubblico creando storie che hanno saputo coniugare abilmente intrattenimento e impegno. Si è occupato di razzismo, intolleranza, eutanasia, guerra, non rinunciando a schierarsi, dandoci la sua visione, senza dimenticare però le esigenze dello spettatore medio americano, che vuol essere avvinto da trame articolate, d’azione e spettacolo.

Paul Haggis, film e filmografia

Ma la carriera di Paul Haggis comincia con la televisione. L’esordio nel 1975, che lo porterà a firmare due delle serie televisive americane più amate degli anni ’70-’80: Il mio amico Arnold e Love Boat. Nel ’77 sposa Diane Christine Gettas, da cui avrà tre figli. Dal ’93 al 2001 lavora ancora in tv, curando  la serie Walker, Texas ranger, con Chuck Norris. Nel frattempo, debutta anche sul grande schermo dietro la macchina da presa e sposa, dopo il divorzio dalla prima moglie, Deborah Rennard con la quale ha una figlia. Da lei si separerà nel 2009, ma i due resteranno molto legati, tanto che a tutt’oggi è proprio alla ex moglie che spetta il primo giudizio sul lavoro di Paul.

Il primo grande successo per il cinema risale al 2004 ed è proprio la sceneggiatura di Million dollar baby. Eastwood infatti, convinto dallo script del canadese, decide di portare sul grande schermo la storia di Maggie Fitzgerald (un adattamento dai racconti di F. X. Toole). Ottiene così un risultato su cui piovono riconoscimenti: come Miglior Film conquista non solo l’Oscar, ma anche il Golden Globe, il Nastro d’Argento e il David di Donatello (in questi ultimi due casi come film straniero).

In più, riconoscimenti per la regia ad Eastwood e per le interpretazioni a Hilary Swank, protagonista nel ruolo di Maggie, e a Morgan Freeman. Il film ha varie sfaccettature e momenti, e tiene abilmente insieme diversi temi: la determinazione grazie alla quale è possibile, come fa la protagonista, cambiare il proprio destino (diventerà una grande pugile), a dispetto di pregiudizi e sfiducia; il tema del rapporto padre-figlia, che finisce per instaurarsi tra Maggie e Frankie Dunn/Clint Eastwood, suo allenatore e manager, svelando la profonda umanità dello scontroso Frankie; la morte e la domanda su come porsi rispetto ad essa, che qui in particolare prende la forma di una riflessione sulla legittimità dell’eutanasia. Il tutto, in una visione non semplicistica, che dà conto della complessità del reale, scandita da dialoghi arguti, ironici, ma anche intensi, senza essere stucchevoli. Il film è prodotto dallo stesso Paul Haggis che ha fondato la sua casa di produzione, la Hwy 61.

I riconoscimenti più importanti arrivano però per il canadese con un’altra pellicola, firmata nello stesso anno (2004), e stavolta da lui diretta, oltre che sceneggiata e prodotta: Crash – Contatto fisico. Qui il regista sceglie una strada non facile: quella di intrecciare in un’unica trama diverse storie, e svariati personaggi. Tematica  comune è quella del razzismo, in un contesto fortemente multietnico come quello americano, ma più in generale di un disagio profondo, quello di una società in cui alla logica dell’incontro tra individui si è sostituita, appunto, quella dello scontro. Anche qui, i temi sono trattati senza schemi preconcetti, o divisioni manichee. Nel cast, Sandra Bullock, Brendan Fraser, Matt Dillon. La pellicola si aggiudica tre Oscar: Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura e Miglior Montaggio, e il David di Donatello come Miglior Film Straniero. È la consacrazione di Haggis tra le stelle di Hollywood.

Prosegue poi la collaborazione con Eastwood, nel 2006, per il quale scrive la sceneggiatura di Flags of our fathers e il soggetto di Lettere da Iwo Jima, ma gli viene anche  affidata la stesura della sceneggiatura di Agente 007 – Casinò Royale, che sarà considerato uno dei migliori degli ultimi anni del “filone Bond”, tanto che Haggis curerà anche il successivo Agente 007 – Quantum of Solace (2008). Ma allo sceneggiatore canadese piace variare, e nel 2006 firma la sceneggiatura del remake de L’ultimo bacio di Gabriele Muccino: The last kiss.

Il 2007, invece, vede  Paul Haggis ancora dietro la macchina da presa, a dirigere Nella valle di Elah, in cui affronta il tema della guerra  – delicato e attualissimo nell’America post-11 settembre – con la consueta arguzia. Il film è infatti l’odissea di un padre (Hank Deerfied/Tommy Lee Jones), che parte alla ricerca del figlio, scomparso al suo ritorno dall’Iraq. Hank, che ha già perso un altro figlio in guerra, scoprirà un’atroce verità, con l’aiuto di un’ostinata poliziotta (Emily Sanders/Charlize Theron). Il quadro della vita militare che emerge, ne svela gli aspetti più crudi e oscuri, ed è una chiara denuncia degli effetti della guerra su tutti gli individui che ne fanno esperienza. Accanto a Tommy Lee Jones, nei panni della moglie, Susan Sarandon. Paul Haggis è, qui, anche nelle vesti di sceneggiatore.

Dall’8 aprile prossimo, invece, sarà nelle sale la sua ultima creatura, cui s’è accennato in apertura: The Next three days. Ancora una volta il regista è alle prese con la complessità della natura umana, e stavolta in particolare col sentimento dell’amore, e con ciò che un uomo è disposto  a fare per la donna che ama. Anche qui, come in Crash, c’è un lasso di tempo relativamente breve nell’arco del quale si svolge l’azione (i tre giorni del titolo), in cui il protagonista Russell Crowe/John Brennan, farà di tutto per riavere con sé sua moglie, incarcerata con l’accusa di omicidio. Il film è un remake del francese Pour Elle, diretto da Fred Cavayé nel 2007, la distribuzione italiana è affidata a Medusa Film. Inoltre, è in preparazione Honeymoon with Harry, per la regia di Jonathan Demme, con Robert De Niro, che vede Haggis alla sceneggiatura.

The Dark Knight Rises verrà girato a Pittsburgh!

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Giunge notizia che Christopher Nola ha oramai deciso dove girare il terzo capitolo della sua saga su Batman, The Dark Knight Rises. Il regista ha intenzione di girare la gran parte delle riprese a Pittsburgh PA. Le riprese inizieranno questa estate..

Ecco le dichiarazione del regista:

Pittsburgh è una città bellissima”, dice, “Siamo stati in grado di trovare tutto quello che cercavamo qui e sono entusiasta di trascorrere l’estate a Pittsburgh per la nostra ultima volta in Batman.”

Fonte: superherohype

The Dark Knight Rises verrà girato a Pittsburgh!

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chis nolan

Giunge notizia che Christopher Nola ha oramai deciso dove girare il terzo capitolo della sua saga su Batman, The Dark Knight Rises. Il regista ha intenzione di girare la gran parte delle riprese a Pittsburgh PA. Le riprese inizieranno questa estate..

C’è chi dice NO: recensione del film

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C’è chi dice NO: recensione del film

In C’è chi dice NO Max, Irma e Samuele sono tre ex compagni di scuola che hanno in comune un solo nemico: i raccomandati. Tutti e tre professionisti in gamba vengono scalzati da raccomandati che prendono ingiustamente i loro posti, e così decidono di darsi una mano rendendo la vita impossibile ai tre ‘usurpatori’.

Raccomandazione, calcio, segnalazione, comunque la si voglia chiamare è una gran brutta storia, che in Italia va per la maggiore. E così con C’è chi dice NO Giambattista Avellino ci racconta questa storia, equilibrata, divertente ma mai ridanciana, con protagonisti ben scelti e qualche bravo comprimario. Luca Argentero, a furia di fare film, sta imparando qualcosa e sembra sempre più convincente nei ruoli che gli vengono assegnati, abbastanza bravo anche ad emulare un fiorentino che non gli si addice molto me che è sembrato un ostacolo per tutti, anche per la sempre brava Cortellesi, in questo film forse troppo sacrificata alla coralità del racconto. Molto bravo invece Paolo Ruffini, livornese senza problemi d’accento che diverte ed emoziona, mantenendo sempre un discreto equilibrio che caratterizza poi tutto il film. Comprimario d’eccezione è Giorgio Albertazzi che interpreta un decano dell’Università, completamente invischiato in loschi affari di favoritismi e raccomandazioni: inutile sottolineare che qualunque fosse stato il suo ruolo, l’avrebbe interpretato a meraviglia.

C’è chi dice NO, il film

Poco convincente la distribuzione nel tempo degli eventi; anche se la storia si muove su dinamiche ben costruite, l’idea finale della protesta collettiva, giustamente ambientata all’università, viene portata avanti un po’ tropo tardi e resta solo un accenno che poteva invece costituire non solo un vero e proprio filo conduttore, ma anche una sostanziale novità nella drammaturgia della commedia odierna. Interessante però notare come la commedia si sposti sempre di più su temi sociali, che sono straordinariamente attuali (era successo già con Benvenuti al Sud e Nessuno mi Può Giudicare), tanto da sembrar essere stati girati qualche giorno prima della presentazione, un segnale importante che discosta finalmente il cinema nostrano da quell’intimismo buonista che aveva visto in passato un susseguirsi di storie d’amore più o meno identiche e lo accompagna forse verso un nuovo grado di maturità.

Resta tuttavia il rimpianto di una volontà, sebbene negata, palesemente edulcorante nel finale che pur dando una visione consolatoria risulta anche falsata.

C’è chi dice NO – il cast presenta il film

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I raccomandati sono un tema scottante, importante e d’attualità, oggi come ieri, e così Gianbattista Avellino ne ha fatto un film che oggi ha presentato alla stampa insieme ai produttori e ai protagonisti: Luca Argentero, Paola Cortellesi e Paolo Ruffini che interpretano dei professionisti ai quali viene sottratto il posto da soggetti meno meritevoli ma raccomandati.

Bret McKenzie nel cast de Lo Hobbit!

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Giugne notizie che Bret McKenzie è entrato a far parte del cast de Lo Hobbit. L’attore della serie Flight of the Conchords, ritornerà dunque a lavorare con Jackson sopo la breve apparizione ne La compagnia dell’Anelo e nel Il ritorno del re.

Il film è attualmente in fase di ripresa, sotto la guida nuovamente di Peter Jackson.  Ian McKellen e Andy Serkis ritorneranno nei rispettivi ruoli. Lo Hobbit verrà girati in 3D e uscirà in due parti, rispettivamente nel dicembre del 2012 e 2013.

Bret McKenzie nel cast de Lo Hobbit!

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Hobbit

Giugne notizie che Bret McKenzie è entrato a far parte del cast de Lo Hobbit. L’attore della serie Flight of the Conchords, ritornerà dunque a lavorare con Jackson sopo la breve apparizione ne La compagnia dell’Anelo e nel Il ritorno del re.

Ufficiale Shyamalan dirigerà Will Smith e e figlio!

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Ufficiale Shyamalan dirigerà Will Smith e e figlio!

Finalmente arriva l’ufficialità: M. Night Shyamalan dirigerà per la Sony un nuovo progetto fantascientifico che ha scrittto assieme Gary Whitta, con Will Smith e suo figlio Jaden come protagonisti.

Il film verrà prodotto come anticipato dalla Sony/Columbia Pictures. La regia è stata affidata a M. Night Shyamalan(Il sesto senso, The Village, Signs), che nonostante alcune recenti cadute d’apprezzamento rimane comunque uno affidabile. Sembra che Will Smith abbia voluto fortemente il regista indioamericano alla guida di questo nuovo progetto. Il titolo non è stato menzionato nel comunicato ufficiale, ma voci lo identificano come: One Thousand A.E. La storia è ambientata un migliaio di anni dopo che la Terra è stata abbandonata, quando un bambino e suo padre si ritrovano sul pianeta che nel frattempo è diventato astile e inospitale, dopo un atterraggio di emergenza con la loro astronave.

Primi commenti da parte dl presidente della Sony Doug Belgrad:  he loro due lavorino assieme a questo progetto. Commenta Shyamalan: Un film spaventoso e fantascientifico con Jaden e Will Smith: questo progetto è il mio sogno nel cassetto. Il film sarà prodotto dalla Overbrook Entertainment di Will Smith.

Fonte: comingsoon.net

Ecco il poster di Cannes 64

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Il prossimo, 64esimo, Festival di Cannes ha una madrina: è Faye Dunaway che campeggia sul bellissimo poster della kermesse cinematografica che comincerà il prossimo 11 maggio.

Ecco il poster di Cannes 64

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Il prossimo, 64esimo, Festival di Cannes ha una madrina: è Faye Dunaway che campeggia sul bellissimo poster della kermesse cinematografica che comincerà il prossimo 11 maggio.

The Next Three Days: recensione del film di Paul Haggis

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The Next Three Days: recensione del film di Paul Haggis

Cosa saresti disposto a fare per la donna che ami? E se ciò che fai ti rendesse un uomo che lei potrebbe non amare più? Queste sono le domande che si pone John (Russell Crowe) quando sua moglie Lara (Elizabeth Banks) viene arrestata con l’accusa di omicidio. Quando anche la richiesta alla corte suprema viene respinta e Lara tenta il suicidio, John non ha altra scelta che cercare di salvare quello che resta della sua famiglia e perciò comincia a progettare l’evasione della moglie. Comincia così The Next Three Days, ultimo film del pluripremiato con l’Academy Awards Paul Haggis che vede un Russell Crowe rotondetto fare di tutto per salvare la bella moglie da un destino di prigione.

Il film The Next Three Days di Paul Haggis si distingue per l’esiguità dei dialoghi che lasciano invece molto spazio ai gesti e agli sguardi, a ciò che non viene detto ed a ciò che le immagini mostrano. Mattatore della vicenda è Crowe, che si trova a suo agio nei panni di un uomo sereno e con una vita normale che si trova a dover fare i conti con circostanze straordinarie. Asciutto e molto efficace, l’attore de Il Gladiatore mette a segno una buona prova, dopo le sua interpretazione un po’ fiacca del Robin Hood di Ridley Scott.

The Next Three Days cast

Principalmente un one man show, The Next Three Days

Principalmente un one man show, The Next Three Days si avvale anche di bravi attori per piccoli ruoli, a parte ovviamente la convincente Elizabeth Banks, troviamo la bella e lanciatissima Olivia Wilde in un ruolo marginale e uno straordinario per quanto relegato a comparsa Liam Neeson in veste quasi di mentore del nostro professore che si improvvisa criminale per amore.

A parte però l’ottimo cast, The Next Three Days si rivela estremamente dilatato nei ritmi e decisamente troppo diluito nella narrazione; a momenti avvincenti si alternano sequenze di immobilità che sbilanciano l’integrità del film, minandone la godibilità. Ci mette una pezza la colonna sonora, splendida protagonista nei prolungati momenti di silenzio firmata da Danny Elfman, già autore di notevoli composizioni da film (Spiderman, Edward Mani di Forbice). The Next Three Days però non manca di grandi momenti narrativi, come il finale costruito su ritmi di alto livello linguistico (si tratta sempre della mano che è stata dietro a Crash – contatto fisico!) e la provocazione finale sull’attendibilità del giudizio umano, che spesso condiziona l’esistenza di persone e di intere famiglie.

The Next Three Days paga la sua eccessiva lunghezza con il calo di attenzione che coglie lo spettatore a metà film, ma come spesso succede riesce in qualche modo a lasciare di sé una parziale buona impressione, merito dell’happy end che come Haggis stesso ha detto “piace sempre a tutti”.

Box Office USA del 4 aprile 2011

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Box Office USA del 4 aprile 2011

I film di animazione sono un gran investimento in forze, basta guardare i titoli di coda di un qualsiasi film per rendersene conto, ma sono spesso ben ricompensati dal rientro di cassa. E’ quello che succede questa settimana al botteghino Usa dei film più visti.

Esce infatti una nuova produzione animata della Universal, Hop, di cui si era iniziata la promozione molti mesi fa, proiettando nelle sale un teaser trailer con il coniglio protagonista impegnato in un assolo di batteria. Il film, nella prima settimana di uscita, incassa 38 milioni di dollari, più del doppio rispetto al secondo film più visto: Source code, con Jake Gyllenhall, che ne guadagna poco meno della metà. Questo film è la seconda prova alla regia del figlio di David Bowie, Duncan Jones, che deve confermare le ottime critiche ricevute per la sua fatica precedente, un altro film che forzava i limiti del reale, Moon. Oltre il reale, ma in maniera più decisa, va anche il terzo film più visto della settimana: Insidious, un thriller di James Wan in cui una coppia di genitori cerca di evitare che il figlio in coma venga trasportato in un luogo chiamato The Further, letteralmente: ciò che è più lontano. Il film è una produzione del 2010 in cui spicca, tra i vari nomi dei produttori, quello di Oren Peli, il regista del primo Paranormal Activity.

In quarta posizione, con un incasso di 10 milioni di dollari che si aggiungono ai precedenti per raggiungere quota 38 milioni, troviamo Diary of a Wimpy Kid: Rodrick Rules, una commedia più che adolescenziale, che quindi ha il suo pubblico durante lo Spring break di questi giorni nelle scuole statunitensi. Limitless, con Bradley Cooper, Abbey Cornish e Robert De Niro, resiste ancora in quinta posizione, con un incasso totale di 55 milioni di dollari.

Matthew McConaughey tiene la sesta posizione e quasi 40 milioni di dollari di incasso totale con The Lincoln Lawyer, mentre Sucker Punch, ultima fatica filmica di Zack Snyder che ritorna agli  attori in carne ed ossa dopo i gufi di Ga’Hole,  delude le aspettative, alla seconda settimana di uscita è infatti solo in settima posizione, con un incasso che raggiunge a malapena i 30 milioni di dollari. Rango, il film di animazione di Gore Verbinsky in cui Johnny Depp dà la voce ad un camaleonte, è ancora tra i dieci film più visti della settimana, con un ragguardevole incasso di 114 milioni di dollari in totale, che raggiunge grazie ai 4 milioni guadagnati questa settimana. In nona posizione troviamo invece Paul, un film non di animazione ma su due appassionati di fumetti che si trovano ad avere a che fare con un alieno. Chiude la classifica Battle: Los Angeles, che si appresta ad abbandonare la classifica dei primi dieci con quasi 80 milioni di dollari di incasso.

Le uscite attese per la prossima settimana sono di sicuro interesse: Wes Craven torna dopo dieci anni nel campus del primo Scream e riunisce il cast originale per Scream 4, esce il nuovo film della Fox, realizzato dallo stesso regista della saga dell’Era Glaciale, Carlos Saldanha, che questa volta però si sposta nelle zone ben più temperate del Brasile per seguire le avventure di un pappagallo che segue il proprio amore in Rio.

Robert Redford torna alla regia con The conspirator, in cui mette in scena le vicissitudini accadute alla donna accusata di aver organizzato l’omicidio del presidente Abraham Lincoln, mentre Keanu Reeves, dopo essere stato protagonista del web a causa di una sua foto, in cui appariva solo e trasandato su di una panchina, e che ha dato vita al meme “Sad Keanu,  torna sul grande schermo con Henry’s crime. L’ultima uscita prevista è quella di Water for  elephants, un nuovo tentativo di Robert Pattinson di scrollarsi di dosso il vampiro Edward diventando il veterinario di un circo.

Street Dance 3D: recensione

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Street Dance 3D: recensione

Arriva al cinema distribuito da Eagle Pictures, Street Dance 3D, il film diretto da Max Giwa, Dania Pasquini e con protagonisti Nichola Burley, Ukweli Roach, Charlotte Rampling.

In Street Dance 3D Carly (Nichola Burley), una ballerina di strada che di giorno prepara panini, è innamorata di Jay (Ukweli Roach) insieme al quale fa parte di un gruppo di streetdancer che lavora duramente per arrivare alla finale del campionato UK Street Dance Championship. Quando Jay lascia Carly tocca a lei prendere le redini della compagnia, compito non facile vista la diffidenza e la poca collaborazione di alcuni membri a cui si aggiunge la perdita dello spazio in cui si svolgevano le prove. Un giorno Carly capita per una consegna alla lussuosa Ballet Academy dove incontra l’istruttrice di danza classica Helena (Charlotte Rampling) che, colpita dalla passione e dalla tenacia di Carly, le propone di esercitarsi nello studio dell’accademia in cambio di una collaborazione con i suoi ballerini che di passione ne hanno davvero poca. Inizialmente incredula la ragazza accetta ma la cooperazione fra due universi culturali così diversi non sarà per nulla facile.

Dopo Step Up 3D arriva sugli schermi il primo live action completamente realizzato in 3D tutto inglese, Street Dance 3D girato dai registi di videoclip Max Giwa e Dania Pasquini che lavorano insieme da oltre dieci anni e che hanno collaborato con artisti come Oasis, Sophie Ellis Brextor, Girls Around, Westlife, Craig David e Lee Ryan. Sceneggiato dalla debuttante Jane English che aveva scritto alcune parti per la serie televisiva Sugar Rush, Step Up 3D rientra a pieno titolo in quel filone danzereccio di strada che da Footloose in poi è partito senza mai più fermarsi e che si è sempre nutrito a piene mani di effetti speciali e nuove tecnologie. Nella maggior parte dei casi il problema di tal genere sussiste proprio nella costruzione dei personaggi e nella scrittura che vengono, si potrebbe quasi dire, volontariamente trascurati e ridotti a stereotipi per esaltare invece l’elemento spettacolare.

Sarebbe inutile perciò accanirsi su quanto possano essere scontati e ridicoli i personaggi e i dialoghi di Step Up 3D, su quanto i soliti poveri ragazzi squattrinati grazie a talento amore e passione riescano alla fine a dimostrare quanto possano valere, perché se un merito ce l’ha questa pellicola è proprio quello di esserne in parte consapevole e di puntare tutto, ma proprio tutto, sulle sessioni di ballo che occupano la stragrande maggioranza del film. Forse ci si sarebbe potuto aspettare di più dall’incontro scontro fra la danza classica e quella street, ciò non toglie che la combinazione fra spettacolari coreografie, regia ritmica, musica e 3D riesca a catturare bene l’attenzione e a trasformare lo schermo in un palco a tutti gli effetti ribadendo la natura di puro prodotto di intrattenimento, l’unica che una pellicola simile possa avere anche sfoderando in campo attrici come Charlotte Rampling.

Box Office ITA 04/04/2011

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Incassi deprimenti nell’ultimo weekend, che vede Nessuno mi può giudicare ancora in testa, seguito da Mia moglie per finta e Hop. Risultati che possono tranquillamente essere associati a  quelli di un tipico weekend di piena estate (!)

Forse la parola scandalo risulterebbe eccessiva, ma il disastro rivelatosi al botteghino italiano in questo fine settimana è semplicemente sbalorditivo.

In verità, non soprende più di tanto la tenuta di Nessuno mi può giudicare, al primo posto per la terza settimana consecutiva, considerando il passaparola positivo: così con altri 668.000 euro la commedia giunge a 6,4 milioni di euro complessivi.

Dietro… le briciole. A sorpresa, nonostante l’atteso Boris, la new entry più forte è Mia moglie per finta, che debutta al secondo posto con 478.000 euro. Segue Hop, che esordisce in terza posizione con 457.000 euro.

Boris – Il film, invece, si piazza soltanto quarto con 423.000 euro raccolti in oltre 300 sale. E il fanbase? Possibile che il pubblico si sia già precipitato in spiaggia o abbia preferito una gita al weekend al cinema? Probabilmente sì, considerando le temperature e i risultati deprimenti dei film in classifica in questo fine settimana.
E pensare che ci lamentiamo di giugno/luglio/agosto, il periodo ‘peggiore’ per gli esercenti italiani…

Amici, amanti e… scende in quinta posizione con altri 282.000 euro per 1,2 milioni complessivi.

Segue l’altra novità più attesa, ovvero Kick-Ass, in grado di raccogliere appena 202.000 euro al suo debutto italiano. Ma in questo caso il pessimo risultato del film cult è da attribuire al ritardo (oltre un anno) con cui è stato distribuito in Italia. Di certo, chi è interessato al film aveva già avuto modo di vederlo…

La fine è il mio inizio debutta al settimo posto con 188.000 euro e con la migliore media, considerando le 75 copie di distribuzione.

Sucker Punch precipita all’ottavo posto, replicando il pessimo andamento oltreoceano, con 141.698 euro e 820.000 euro totali.
The Ward – Il reparto debutta con 141.435 euro, mentre Amici miei – come tutto ebbe inizio (116.000 euro) si appresta ad abbandonare la top10 con i suoi 3,2 milioni.

Paul Haggis a Roma per The Next Three Days

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Paul_Haggis

“Quello che mi interessa maggiormente con un film è intrattenere e far riflettere.” E’ Paul Haggis, regista e sceneggiatore premio Oscar, che stamattina ha raccontato alla stampa il suo film The Next Three Days, nelle sale dall’8 aprile. Il film è un thriller, ma si muove su molte altre direzioni.