Il dominio del box office delle
sale americane è dominato per la quarta settimana consecutiva da
Hunger games, che aggiunge altri 21 milioni di
dollari al suo incasso totale che ormai supera i 300 milioni di
dollari. In seconda posizione troviamo invece una nuova
uscita, l’ultima fatica dei fratelli Farrelly in preparazione da
molto tempo che riporta in scena un trio comico classico,
conosciuto da noi come I tre marmittoni,
The three stooges, che narra le vicissitudini di
tre goffi amici. Il film incassa 17 milioni di dollari. In
terza posizione troviamo un altro titolo sul quale c’è molto
interesse: l’horror Cabin in the woods, che
incassa quasi 15 milioni di dollari. In quarta posizione
riemerge da quindici anni fa il transatlantico
Titanic, e nella sua nuova veste in 3D, aggiunge
altri 11 milioni di dollari all’incasso di quest’anno, che è già di
44 milioni di dollari, che quindi contribuiscono a rendere ancora
più irraggiungibile la quota del film più visto di tutti i
tempi. A metà classifica si ferma la riunione di
American Reunion, il nuovo episodio di America
Pie, che ha quanto meno il merito di ridare occupazione a Tara
Reid, che dopo alcuni fallimentari film e reality era caduta
nell’oblio. Il film incassa un totale di quasi 40 milioni di
dollari. Scende in sesta posizione la prima versione di
Biancaneve uscita in sala: Mirror, mirror di
Tarsem incassa altri 7 milioni di dollari per un totale di quasi
50. In settima posizione scende anche Titan’s
Wrath, l’epica non sembra più avere peso, di sicuro meno
dell’horror nei gusti del pubblico nordamericano. Il film ha
incassato 7 milioni di dollari questa settimana per un totale di 71
milioni di dollari. In ottava posizione, dopo 5 settimane di
classifica scende anche 21 Jump street, che però
può vantare un incasso di 121 milioni di dollari. In nona
posizione, un action movie con Guy Pearce,
Lockout, che incassa 6 milioni di
dollari. Chiude la classifica The Lorax, che,
alla settima settimana di classifica, raggiunge i 204 milioni di
dollari di incasso.
La prossima settimana usciranno la commedia indipendente, che
quindi ha nel suo caste per forza di cose Toni Colette,
Jesus Henry Christ, che è passato all’ultima Festa
del cinema di Roma, il thriller The moth diaries,
questo invece visto all’ultimo Festival di Venezia ed una commedia
romantica con Zac Efron The lucky one.
Battleship conquista la testa
della classifica, seguito dal classico Titanic
3D. Biancaneve è terzo,
mentre le altre new entry ottengono risultati discreti.
Il weekend che si è appena concluso
registra un incremento di incassi al box office italiano, persino
superiore al weekend pasquale. Gli esercenti ringraziano dunque il
maltempo, visto che la ‘tradizionale’ fuga degli italiani dalle
sale cinematografiche è dunque rinviata.
Dopo un testa a testa fra due
pellicole “sul mare”, alla fine è
Battleship a conquistare la prima
posizione al botteghino italiano: lanciato in 420 sale, il film
sulla battaglia navale incassa ben 2,1 milioni di euro, staccando
di poco il classico del recente passato. Titanic 3D scende infatti in seconda
posizione con 2.035.000 euro. Nel fine settimana in cui ricorreva
il centenario dell’affondamento del translatlantico, Titanic
3D è il film con la migliore media del weekend: oltre 5000
euro. Il kolossal di James Cameron arriva dunque a 6,2 milioni
totali (che si aggiungono ovviamente ai 40 milioni di quindici anni
fa).
Biancaneve scende al terzo posto e perde
molto poco rispetto alla settimana d’esordio: la commedia fantasy
di Tarsem raccoglie 1,1 milioni e supera quota 4 milioni.
L’inarrestabile Quasi
amici conferma la quarta posizione: l’acclamato film
francese incassa altri 752.000 euro e supera il tetto dei 13
milioni totali. Un trionfo.
Diaz apre
al quinto posto con 665.000 euro: decisamente un risultato
apprezzabile, considerando il genere. Un tantino sopra le
aspettative il debutto di Bel Ami: il
film con Robert Pattinson incassa infatti 664.000 euro e si piazza
in sesta posizione.
Seguono pellicole in calo. Pirati! Briganti da strapazzo (610.000
euro) supera i 2 milioni complessivi, mentre La Furia
dei Titani (477.000 euro) giunge a quota 3,8
milioni.
Chiudono la top10 Act of Valor (460.000
euro), che arriva a 1,8 milioni, e Buona
giornata (337.000 euro), giunto a 2,8 milioni
totali.
Da segnalare infine il tredicesimo
posto di Ciliegine: il film di Laura
Morante ottiene una buona media, avendo incassato 176.000 euro in
meno di 50 sale.
Gianni Amelio
porta al cinema Albert Camus. Il romanzo in questione è Il Primo
Uomo, e il regista de Il Ladro di Bambini ne ha fatto un film
delicato e intimo, ma allo stesso tempo molto lucido. Il
giornalista e scrittore Jean Cormery torna in
Algeria, suo paese natale, alla ricerca di suo padre morto durante
la prima guerra mondiale. Tra i ricordi, le fotografie e i luoghi,
Jean trova il modo di ripercorrere anche la sua infanzia, la sua
formazione e di ricordare tutte le persone che hanno caratterizzato
la sua giovane vita che sembrava senza promesse né speranze.
Gianni Amelio
torna, dopo un’assenza di sei anni dal cinema, con un film che gode
del benestare internazionale, avendo già vinto il Premio della
Critica Internazionale al Festival di Toronto, ma che si rivela ben
presto un lavoro davvero particolare. Non era facile partire da un
romanzo autobiografico e incompiuto, perché nell’incompiutezza e
nell’impronta personale dell’autore l’opera trova una sublimazione
altrimenti rara, ma Amelio ne ha fatto un viaggio personale, una
ricerca individuale e sociale.
Il primo uomo, il film
Il primo uomo
riesce a rappresentare il singolo nel suo ambiente, parlando con
naturalezza e realtà delle relazioni intime e dei problemi sociali,
in un’Algeria lacerata tra i francesi e gli arabi che ne
rivendicavano la sovranità. Il primo uomo si apre
quindi ad un gioco di scatole cinesi in cui Jean, interpretato da
un ottimo Jacques Gamblin, è l’alter-ego di Camus stesso, ma allo
stesso tempo il personaggio è racchiuso da Amelio, nella sua
lettura del testo estremamente rispettosa dello spirito ma
assolutamente originale nella riappropriazione di una storia che
può appartenere a chiunque ricerchi la propria radice nel
passato.
In Il primo uomo
accanto a Gamblin, un’intensa Maya Sansa, nel ruolo della giovane madre di
Jean e il piccolo Nino Jouglet, nel ruolo del protagonista da
giovane, un ragazzino dagli occhi di un blu intenso, che con lo
sguardo divora il mondo e allo stesso tempo ne è mortalmente
intimorito. L’eleganza del cinema, quando riesce ad unire
particolare e universale, non ha frontiere e questo Amelio lo sa
bene, e lo dimostra pienamente con Il Primo Uomo.
Esordisce con il To
Rome with Love Cinefilos Tv, la web tv di Cinefilos.it. Qui
troverete le nostre interviste al cast dell’ultimo film di e con
Woody Allen direttamente dal red carpet romano, dove
venerdì 13 si è tenuta la premier mondiale del film.
L’attore, visto in Paul e Parto col
folle, oltre ad aver partecipato al cast vocale originale di
Cattivissimo Me e Kung Fu Panda 2, dovrebbe essere lo scrittore e
protagonista di Clown, remake di un film danese, tratto a sua volta
da una serie televisiva, di grande successo in Danimarca. Scritta e
interpretata da Casper Christensen e Frank Hvam, la serie è stata
portata sul grande schermo nel 2010.
La vicenda narra di due amici che
progettano un viaggio in canoa all’insegna di bevute e
trasgressioni varie; alla vigilia del viaggio uno dei due scopre
però che la propria compagna è incinta e non vuole tenere il
bambino: per provare di poter essere un buon padre, la convincerà a
lasciare andare con loro il suo altro figlio tredicenne, ovviamente
evitando di specificare la reale natura del viaggio…
A dieci anni esatti dalla sua
ultima regia (Unfaithful, con Diane Lane, Richard Gere e Olivier
Martinez) Adrian Lyne sarebbe in procinto di tornare dietro alla
macchina da presa per The Associate, film che segnerà un altro
ritorno, quello degli adattamenti delle opere di John Grisham.
Prodotto dalla Paramount, il film narrerà una tipica vicendà à la
Grisham: un giovane laureato di Yale apprende casualmente
informazioni fondamentali su un caso venendo così costratto a
lavorare per un grande ufficio legale.
Di un adattamento di The Associate
si parla già da qualche anno: in passato al progetto sono stati
accostati i nomi di Tony Scott e Shya LaBeouf. Lyne sta nel
frattempo lavorando su un altro progetto, Back Roads, ancora nelle
prime fasi di sviluppo, probabili protagonisti Andrew Garfield e
Jennifer Garner. Lo stesso Garfield avrebbe espresso interesse per
il ruolo del protagonista di The Associate: Lyne potrebbe dunque
dare la priorità a questo progetto.
A fianco dell’assiduo impegno in 30
Rock, Tina Fey sta aggiungendo vari progetti sul grande schermo: la
sua partecipazione ad Admission di Paul Weitz è già data come
probabile da qualche tempo; ora il suo nome viene associato a The
Intern, nuova commedia di Nancy Meyer, regista di It’s Complicated.
La Fey interpreterà la fondatrice di un’azienda online del settore
della moda che decide di assumere un collaboratore: invece di un
ragazzo fresco di diploma o di un laureato, per il ruolo si
presenta un settantenne, annoiato dalla sua vita di pensionato e
ansioso di dimostrare di poter essere ancora utile.
La Meyer ha recentemente spiegato
di aver voluto incentrare il film su una donna molto più giovane di
lei, alle prese con le pressioni della vita lavorativa e della
famiglia, e sul punto di vista di un uomo più anziano, che ha già
vissuto tutti quei problemi. La Meyer ha attualmente in cantiere
anche un altro porgetto, The Chelsea, scritto da sua figlia Hallie
Meyers-Shyer, nel quale ha già coinvolto Felicity Jones.
Shutter Island si è rivelata per
Leonardo DiCaprio un’esperienza più che positiva:
l’attore potrebbe ora tornare ad impegnarsi in un film tratto da
un’opera del romanziere Dennis Lehane, Live By Night. Il libro, che
non raggiungerà gli scaffali prima ottobre, è la seconda parte di
una tiloriga avviata con The Given Day, ambientata nel modno della
polizia di Boston nei primi anni del ‘900, libro che si concludeva
col grande sciopero della polizia della città nel 1919.
Il nuovo libro si concentrerà
invece sulla lotta della polizia a un traffico illegale di rum
proveniente da Cuba durante gli anni del proibizionismo. La Warner
ha già prodotto con successo alcuni adattamenti delle opere di
Lehane, una tra tutte: Mystic River; la presenza di DiCaprio è
ovviamente molto ambita, ma bisognerà vedere se l’attore accetterà
di prendervi parte, anche considerando la sua folta lista di
impegni, che include tra l’altro il nuovo lavoro di Scorsese,
The Wolf Of Wall Street, e il tarantiniano Django
Unchained.
L’attore e regista è stato
associato nelle scorse settimane alla commedia politica Nathan
Decker, alla quale dovrebbe partecipare solo in veste di attore;
nel frattempo, la New Regency si sarebbe già assicurata la sua
partecipazione, a fianco di Justin Timberlake, in Runner, Runner,
ambientata nel modo del gioco d’azzardo via web.
Il film sarà probabilmente diretto
da Brad Furman (Lincoln Layer), su una sceneggiatura di Brian
Koppelman e David Levien, che già avevano affrontato il tema del
gioco d’azzardo, stavolta nel mondo ‘reale’, in Rounders. L’avvio
delle riprese tuttavia appare non essere imminente, visto che i due
attori sono al momento impegnati, Affleck nella post produzione di
Argo, thriller incentrato su un rapimento e Timberlake in Trouble
With The Curve con Clint Eastwood ed Amy Adams, dopo aper
concluso il lavoro su Inside Llewyn Davis dei fratelli Coen.
Wentworth Miller, che molti
ricorderanno trai protagonisti della serie Prison Break, sembra
aver trovato la propria vera realizzazione nella scrittura
piuttosto che nella recitazione: mentre Stoker (con Nicole Kidman e
Mia Wasikowska) è in fase di post produzione, sembra che un altro
copione dello sceneggiatore inglese, The Disappointments Room, sia
in procinto di essere realizzato.
Il film viene descritto come un
thriller drammatico, protagnosita una famiglia che trasferitasi in
una vecchia casa, ne scopre l’oscuro passato. The Disappointments
Room verrà prodotto in collaborazione tra la Killer Films (I’m Not
There, The Notorious Bettie Page) e la Voltage Pictures,
responsabile della vendita sui mercat internazionali dei film di
Steven Seagal, ma anche di The Hurt Locker; a questo punto è
partita anche la ricerca del regista. Miller non ha comunque
abbandonato la carriera da attore, comparendo in Resident Evil:
Afterlife e in un episodio del Dr. House, ma al momento la
scrittura continua ad essere il suo interesse prioritario, al punto
di aver già cominciato a mettere mano al seguito di Stoker,
intitolato Uncle Charlie.
Ecco l’intervista a Rihanna, la pop
star racconta l’incredibile esperienza del set di Battleship,il
nuovo film di Peter Berg con Alexander
Skarsgård, Brooklyn Decker, Liam
Neeson, Rihanna, Taylor Kitsch. Battleship: dal 13 aprile
2012 al cinema.
Da oggi, lunedì 16
aprile, è disponibile in homevideo in esclusiva sul web il film
HAI PAURA DEL BUIO, l’esordio cinematografico di
Massimo Coppola: per la prima volta in Italia, in
accordo con Indigo Film, che l’ha prodotto, e Bim Distribuzione che
lo ha portato in sala, un film distribuito nei canali tradizionali
– prima la partecipazione alla 67.
Videodrome è il
film di David Cronenberg del 1983 con protagonisti nel
cast James Woods, Sonja Smits, Deborah Harry, Leslie
Carlson, Jack Creley, Peter Dvorsky e Lynne
Gorma
Anno: 1983
Regia: David
Cronenberg
Cast: James
Woods, Sonja Smits, Deborah Harry, Leslie Carlson, Jack Creley,
Peter Dvorsky, Lynne Gorma
Trama: Max Renn è
il proprietario di CIVIC TV, piccola rete televisiva dedita alla
trasmissione di programmi dal contenuto violento. Affrancato dai
vincoli morali dei grandi network, Renn è alla continua ricerca di
format inediti, tali da colpire per singolarità, licenziosità e
depravazione un pubblico sempre più assuefatto.
Si imbatte così in
Videodrome, una frequenza pirata, votata
all’esclusiva diffusione di immagini brutali di maltrattamento,
tortura, coercizione ed omicidio. Da subito molto interessato, Renn
si impegna a rintracciarne i produttori, intenzionato anche a
procurasi del materiale da poter distribuire attraverso CIVIC TV.
Determinato, ed attratto sempre più da efferatezza ed
irrazionalità, Renn si troverà presto proiettato in una dimensione
in cui realtà e finzione si scambiano arbitrariamente e
spietatamente i ruoli, svelando disegni cospirativi,
filo-governativi, volti a servirsi di Civic TV per la diffusione di
Videodrome, canale di promozione di un verbo mediatico di controllo
e coartazione.
Analisi: La
lungimiranza e l’innegabile estro di David
Cronenberg, mirabile visionario ed acutissimo
precursore, hanno ammantato Videodrome di una
straordinaria attualità. Seppur velato da un delirio ricorrente ed
ossessivo, il profilo dell’analisi di David
Cronenberg, è infatti facilmente leggibile. Lo sguardo
del regista, lucido e consapevole, si sofferma sul potere
dell’immagine, in una società che si scopre sempre più vincolata
all’arena mediatica. La relazione collettività-media è poi serrata
sapientemente da un modello commerciale privo di scrupoli che
invece di essere ripudiato compiutamente ed universalmente è
accreditato strumento in grado di dar forma alle ossessioni del
singolo, rifiutate nel privato, ma riconosciute come
rappresentazione del reale nei media.
In questo
quadro, David
Cronenberg conforma Max Renn ad immagine e somiglianza
dello spettatore medio, conferendogli, a rafforzare la sua
implicazione, il ruolo di addetto ai lavori. Renn, chiarendo fin da
subito le sue inclinazioni in materia di trasmissioni televisive,
chiede a gran voce programmi che, privati di trama e contenuto,
siano semplice consumo di immagini. L’immagine, proposta al
pubblico senza alcun riferimento logico-temporale, attraversa
facilmente i labili filtri di uno spettatore che, posseduto dal
bisogno di evasione, preferisce ascoltare le rivendicazioni della
propria insoddisfazione piuttosto che reclamare un’indipendenza di
scelta e di pensiero. Il rapporto, privo di qualsiasi finalità
ultima, con il dolore e quindi la passiva accettazione alla visione
di programmi espressamente violenti, si estrinseca nel tentativo
ultimo di provare che si è ancora in grado di sentire qualcosa,in
carne e coscienza.
La carne invece, maltratta,
seviziata e torturata, per David
Cronenbergnon può che mutare, vessata dalle
feroci contaminazioni con media ed elettronica, si fa videoparola
nel braccio armato di Renn, diventato in conclusione messo
accidentale ed inconsapevole del Videodrome.
Videodrome è un film allucinato e funesto, in
cui Cronenberg
paventa, con evidente preoccupazione, la possibilità di un
controllo catodico sull’individuo. Pervaso da atmosfere cupe,
acuite da una fotografia serrata ed ambientazioni spesso
claustrofobiche, Videodrome sembra voler essere di
ammonimento, riproducendo sapientemente la tanto temuta
da Cronenberg
narcotizzazione collettiva.
La notizia ufficiale apparirà
soltanto il 19 aprile, ma l’ultimo film di Matteo Garrone, Big
House, sembra avviato verso la selezione ufficiale del 65 festival
di Cannes. Il regista italiano, divenuto famoso grazie a
Gomorra e già premiato con il Gran Prix Speciale della Giuria nel
2008, ha scelto come tema del suo ultimo film il mito dei reality
show e il modo in cui questi influiscono sulla vita di determinate
persone. La scelta di tale soggetto, un fenomeno tipico del mondo
contemporaneo, conferma l’interesse di Garrone per il tessuto
sociale e materiale in cui viviamo e la sua necessità di
scandagliare situazioni reali e concrete.
Il regista, classe 1968, già dai
suoi esordi manifesta infatti un forte interesse per le dinamiche
sociali, accompagnato da uno stile peculiare di fare cinema. Egli,
infatti, dopo essersi diplomato al Liceo Artistico nel 1986, si
dedica per molti anni soltanto alla pittura, imparando così tutto
il potere delle immagini e la loro forza prima di avventurarsi nel
mondo del grande schermo.
L’esordio di Garrone come regista,
nel 1996, non passa inosservato: con il cortometraggio Silhouette
vince il Sacher Festival organizzato da Moretti e, l’anno
successivo, è già in grado di girare il suo primo lungometraggio,
Terra di Mezzo. Questo film, diviso in tre parti, racconta tre
storie di immigrazione (una delle quali è ripresa dal corto
Silhouette) ambientate nella città di Roma e ha già in nuce quel
particolare stile, il fondere insieme la fiction e il documentario,
la storia e la forza dell’immagine reale, che Garrone porterà
avanti lungo tutta la sua filmografia.
Negli anni 1997/1998
gira due documentari: il primo a New York, Bienvenido espiritu
santo e il secondo a Napoli, Oreste Pipolo, fotografo di matrimoni.
Il 1998 è un anno particolarmente produttivo per il regista, poiché
prima firma, insieme a Massimo Gaudioso e Fabio Nunziata, il
cortometraggio Un caso di forza maggiore e poi, da solo, il suo
secondo lungometraggio, Ospiti, presentato alla Mostra d’Arte
Cinematografica di Venezia. Questa pellicola, che racconta la
storia di due ragazzi albanesi arrivati da poco a Roma, tratta il
tema dell’immigrazione da un punto di vista originale e prosegue il
filone iniziato con Terra di Mezzo: le riprese sembrano quasi da
documentario, viene utilizzata molto la telecamera a spalla e la
realtà entra nella storia in maniera prepotente, sia per le
ambientazioni reali e per il suono in presa diretta, che per
l’impiego di attori non professionisti. Il cinema per Garrone non
deve essere solo spettacolo, ma un mezzo al servizio della realtà.
Un mezzo forte che, grazie, alle immagini, possa non tanto
denunciare determinate dinamiche, ma riportarle, comunicarle e
quasi trascenderle attraverso le immagini.
Il suo stile, che deriva dalla
combinazione sapiente di elementi di assoluta improvvisazione e da
un’attenta ricerca formale, è diverso da quello di chiunque altro e
giunge a maturazione nel suo terzo lungometraggio, Estate Romana.
Questo film, una fiction che si avvicina molto al genere della
commedia, è girato con uno stile documentaristico e vede come perno
narrativo la città di Roma in attesa del Giubileo. Una Roma non
solo impacchettata e ribaltata da cantieri e palazzi in
costruzione, ma soprattutto percorsa da eccentrici protagonisti che
testimoniano nuovamente i disagi esistenziali che Garrone aveva
accennato nei suoi film precedenti.
Inoltre il suo modo di
concepire il cinema e l’originalità tipica dell’autodidatta si
concretizzano in produzioni molto particolari: la sua troupe è
sempre numericamente ridotta, quasi una famiglia, lui stesso spesso
e volentieri è l’operatore di macchina, proprio per quell’esigenza
di cogliere gli attimi di realtà che entrano nella finzione, per
essere sicuro di riuscire a rendere quell’insinuarsi della vita
vera nell’interpretazione attoriale. Fino a questo momento, però, i
film di Garrone non riscuotono alcun successo di pubblico. Il suo
nome, infatti, circola solo tra i critici e all’interno dei
festival.
La svolta nella sua carriera si ha
solo nel 2002, quando l’Imbalsamatore, presentato anche a Cannes,
vince il David di Donatello per la miglior sceneggiatura. Questo
film, prodotto dalla Fandango di Domenico Procacci, attraverso il
rapporto a tre che si instaura tra un nano imbalsamatore, il suo
assistente e la ragazza di quest’ultimo, disegna un triangolo
ambiguo di individui perdenti, egoisti e borderline, in lotta tra
loro nella ricerca disperata di un legame affettivo durevole e
profondo. Il noir di Garrone, nonostante il budget consistente
messo in campo dalla casa di produzione, mantiene fede al suo stile
originario: ogni orpello e arricchimento viene messo da parte,
l’attenzione per lo scorrere della realtà resta comunque
preponderante, così come la ricerca formale. Ciò che interessa al
regista è la rivelazione dell’essenziale, l’equilibrio effimero tra
la realtà e l’astrazione pittorica.
Tale tendenza stilistica prosegue
nel 2004 con l’uscita nelle sale di Primo Amore, in concorso alla
54°Berlinale, la storia drammatica di un orafo che impone alla sua
ragazza una dieta rigidissima perché si avvicini il più possibile
al suo modello di donna ideale. Una storia di amore folle e
perverso che Garrone prova a registrare oggettivamente, sospendendo
ogni giudizio. Questo film, così come i precedenti, non vuole
essere una denuncia sociale. Il regista, infatti, nonostante metta
in scena personaggi apparentemente ossessivi e malati, dà sempre
l’impressione di voler restare al di fuori delle loro vicende.
Garrone non critica, non dà certezze, né risposte, ma opera una
costante ricerca all’interno delle pieghe dell’animo umano.
Ricerca che incontra
finalmente il successo di pubblico con Gomorra nel 2008. Il film,
che prende titolo e tema dall’omonimo libro di Roberto Saviano, non
cerca infatti di dare conto della complesse vicende della camorra
napoletana, ma segue, con la consueta sete di reale tipica di
Garrone, le vicende di cinque soggetti, cinque personaggi immersi
nella delinquenza ordinaria che guida le loro vite. Anche qui le
ambientazioni non sono ricostruite e il regista dà conto
dell’atmosfera labirintica delle Vele di Scampia girando dentro
l’edificio, segue i protagonisti con la telecamera in spalla
cercando di avvicinarsi il più possibile a loro senza però poter
entrare nelle loro psicologie, nelle loro teste, riporta l’orrore
quotidiano senza fronzoli, senza facili spiegazioni.
Il film, vincitore a Cannes e
vincitore nelle sale italiane, oltre ad avere il merito di
denunciare le insopportabili condizioni di vita che la camorra
impone a parte della popolazione partenopea, ha anche il pregio di
aver finalmente portato al successo Matteo Garrone dopo dieci anni
di carriera. Personaggi del suo calibro, infatti, non solo
garantiscono una rivalutazione del cinema italiano all’estero, ma
aprono la strada ad una nuova poetica filmica, in grado di unire
ricerca stilistica e sostanza narrativa.
La mummia è il
film del 1999 di Stephen Sommers e con
protagonisti Brendan Fraser, Rachel Weisz, John
Hannah, Arnold Vosloo.
La mummia, la
trama: Nel 1719 a. C., a Tebe in Egitto, nasce un
amore proibito tra il cattivo gran sacerdote Imhotep e Anck Su
Namum, amante del Faraone. Anck si uccide e Imhotep si lascia
andare a gesti disperatia Humunaptra, Città dei Monti, suscitando
così lira degli dei. Gli dei gli infliggono una tremenda
maledizione per la sua condotta immorale: il suo corpo sarà
mummificato ma Imhotep non morirà, vivrà per sempre un’esistenza
torturata a meno che qualcuno non riporti alla luce il suo cadavere
in decomposizione. Le urla di dolore del disgraziato si
affievoliscono man mano che il suo sarcofago viene calato giù nella
fossa; la maledizione si avvera e il suo cuore cattivo e
vendicativo comincia a battere nel buio con un suono sinistro e
incessante.
La mummia,
analisi
Tra tutti i film d’avventura e
azione il colossal La mummia del 1999
merita particolare attenzione. Prima pellicola della trilogia
(La mummia – Il ritorno del 2001 e La
mummia – La tomba dell’Imperatore Dragone del 2008), la
saga comprende anche due spin-off Il Re Scorpione
e Il Re Scorpione 2 – Il destino di un
guerriero.
Con la regia di Stephen
Sommers, La mummia è il remake
dell’omonima pellicola del 1932, diretta da
K.Freund con Boris Karloff.
Prodotto dalla Universal, ambientato nell’Egitto del 1290 a.C.
incentrato sulla storia di Imhotep, sacerdote amante della consorte
di Seti I, che si suicida dopo l’assassinio del faraone; ad
Hamunaptra, Imhotep e i suoi seguaci iniziano la cerimonia per
resuscitare la bella ma vengono catturati. Per la profanazione
sacrilega vengono mummificati vivi, a Imhotep viene imposta la
maledizione del “Hom Dai”, seppellito vivo secondo un rituale che
lo consegna all’eterna dolorosa agonia.
Questa storia leggendaria si lega,
tremila anni dopo, nel 1923,
alla vita del legionario Rick O’Connell, scopritore di tesori, che
s’imbatte nell’antichissima città dei morti. Stringe amicizia con
la simpatica egittologa Evelyn Carnahan e col fratello Jonathan che
trova un misterioso “scrigno” che conduce alla mitica città. Inizia
la spedizione, la donna scopre il Libro di Amun-Ra che, unito allo
scrigno si trasforma nella “chiave” per leggere il rito di
rinascita ma accidentalmente risveglia anche la mummia trovando per
caso il sarcofago di Imhotep. Si scatenano le piaghe d’Egitto e i
poteri della mummia riprendono ad imperversare; contemporaneamente
una squadra di profanatori scopre i segreti dell’antica sepoltura
di Anck-su-Namun.
La mummia si
evolve in un crescendo d’azione e avventura finché si scatena la
maledizione della Mummia, ritornata completamente in vita “rubando”
le energie vitali dai corpi di cui s’appropria. Così i profanatori
vengono uccisi, mentre l’intento di Imhotep è di servirsi della
bella Evelyn per riprendere il rituale lasciato in sospeso e
riportando in vita Anck-su-Namun. Rick lo interrompe e dopo una
serie di situazioni rocambolesche si ritrova in volo pilotando un
biplano a sfidare la mummia che si trasforma in un gigantesco muro
di sabbia. Nella sfida finale Rick combatte direttamente con
Imhotep, che diventa mortale ma viene trafitto con una spada e
annega nell’inferno delle anime dannate ritornando mummia.
Hamunaptra inizia a scomparire
nella sabbia, Rick conquista il cuore di Evelyn nell’happy end
finale. La mummia unisce azione, humour,
avventura e fantastico con fantastici effetti speciali che lasciano
senza fiato. Il regista ha compiuto un lavoro davvero entusiasmante
insieme ai light & sound designers della “Industrial Light &
Magic” fondata dal geniale George Lucas.
Di rilievo le suggestive
scenografie arricchite da inquadrature e panoramiche dalla
grandissima potenza visiva. La Mummia rappresenta
l’esempio più riuscito degli ultimi anni nel genere “adventure”
grazie anche all’interpretazione di Brendan Fraser, Arnold
Vosloo, straordinario interprete della mummia. Voci
parlano di un remake che la Universal vorrebbe realizzare con la
sceneggiatura di Jon Spaihts collaboratore di Ridley
Scott.
I guardiani del
giorno è il film fantasy del 2006 diretto da Timur
Bekmambetov e conKonstantin Khabenskiy, Vladimir Menshov, Viktor
Verzhbitskiy, Aleksey Maklakov, Alexandr Samoylenko, Anna
Slyusareva, Mariya Poroshina, Dmitriy Martynov, Galina Tyunina,
Nurzhuman Ikhtymbayev, Aleksey Chadov.protagonisti
I guardiani del giorno, la
trama: Nella Mosca contemporanea, la millenaria tregua tra
gli Altri della Luce (veggenti e mutanti) e gli Altri delle Tenebre
(vampiri e stregoni), apparentemente comuni mortali, ma in realtà
individui dotati di straordinari poteri, vacilla; l’accordo di
reciproca sorveglianza pare essere prossimo alla fine per lasciar
spazio al devastante scontro finale.
Il guardiano della notte Anton
Gorodetsky (Kostantin Khabenskiy), affiancato dalla potente Altra
Svetlana (Maria Poroshina), porta avanti il suo compito di
sorveglianza sulle Tenebre serbando nel cuore una ferita: suo
figlio Yegor (Dmitriy Martynov), un Altro dalle grandi e decisive
potenzialità, è diventato un adepto delle Tenebre e il signore
dell’oscurità Zavulon (Viktor Verzhbitskiy) gli fa da mentore. Per
mettere fuori dai giochi Anton una volta per tutte, le Tenebre
cercano di incastrarlo facendolo apparire, anche agli occhi dei
membri della Luce, come un assassino. Quando tutto sembra esser sul
punto di precipitare, con le forza dell’oscurità pronte a far
ripiombare il mondo nell’eterno conflitto tra Luce e Tenebre, Anton
trova la chiave della salvezza nel Gesso del Destino, magico
oggetto proveniente dal leggendario mondo di Tamerlano.
I guardiani del giorno,
l’analisi
Se I guardiani della notte era un
po’ confuso, il sequel I guardiani del giorno, tratto dal secondo
libro della trilogia di Luk’janenko, è proprio mal raccontato. Ed è
un vero peccato; difficile cavarsela con una semplice alzata di
spalle: è forte infatti l’odore di occasione persa. Perché
scegliendo e maneggiando la materia letteraria di Luk’anjenko, il
regista Bekmambetov dimostra di voler far del fantasy che non sia
soltanto un anti stress da fine giornata pieno di biondi che amano
bionde e ammazzano orchi, ma che, in ossequio a tanti felici
prodotti della tradizione letteraria e audiovisiva russo-sovietica
e più in generale dell’Europa orientale, si sostanzi di argomenti e
riflessioni – sulla verità, sulla libertà, sul tempo, su quanto a
volte sia difficile capire il Bene e condannare il Male – di ampia
e problematica portata sui quali ragionare (raccontando)
all’interno di configurazioni, appunto, fantastiche, di cornici
permeate dal sovrannaturale e tuttavia – altro dato, questo, da
mettere in evidenza – mai dimentiche della quotidianità, delle
strade, delle stanze e delle parole di tutti i giorni, delle
afflizioni e delle pieghe del mondo “così com’è”.
Ciononostante, come detto, si
tratta di un’occasione persa, poiché gli intuibili buoni propositi
si scontrano con una narrazione a tratti davvero irritante,
impossibile da seguire, in grado di “far sentire” il libro non
nella traduzione, agile o meno, della sua prosa, ma nella sua non
cauterizzabile mancanza. Il Gesso del Destino che sbriglia, nel
finale, l’accumulo di tensione e la suprema crisi tra le parti
combattenti va più generalmente a diluire l’ansia da comprensione
dello spettatore, donandogli almeno una certezza così
sintetizzabile: l’agognato Gesso salva la baracca.
L’estetica de I guardiani
del giorno prosegue quella de I guardiani della notte. Si
può, come molti hanno fatto, parlare di estetica da videogame, da
videoclip e da spot pubblicitario, a patto di non porre d’ufficio
queste categorie molto pop sul versante del disvalore. Tuttavia, se
nella prima trasposizione da Luk’jankenko i guizzi della macchina,
le accelerazioni, i ralenti, le segmentazioni del quadro e le
diavolerie sonore strutturano piacevolmente il film, ne I
guardiani del giorno questo fare creativo sta un po’ a
guardarsi allo specchio e sfocia nella maniera. Si perdono finezze
riccamente espressive, pezzi d’alto artigianato, come quelle che
costellano la visita del giovane Anton alla strega Darya (Rimma
Markova), una delle prime sequenze de I guardiani della notte, in
favore di fragori un po’ monocordi: si pensi alle prolungate
evoluzioni automobilistiche con cui Alisa (Zhanna Friske) si reca
in auto (letteralmente) nelle stanze di Zavulon.
I guardiani del
giorno – sempre che non si creda nell’esistenza di
qualche monolitico manuale del bravo cineasta – può ben avvalersi
del linguaggio della pubblicità, dei video musicali, della
videoarte, del videogame. Non può forse giovarsi, o non ancora, di
un lusso che i citati linguaggi, in alcune loro manifestazioni,
possono concedersi: la mancanza di un intreccio. Non che nell’opera
di Bekmambetov manchi: ma a volte pare crollare e
insopportabilmente dileguarsi. Certo, non ci si può illudere
d’esser al cospetto di una videopoesia di oltre due ore in cui sono
in gioco determinati valori e sentimenti, sparsi a chiazze e senza
impegno; una trama, si capisce, vuole esserci. Eppure, lo si è
detto, è terribilmente difficile starle dietro. Soltanto un libro –
il nido originario delle avventure di Anton e soci – può contenere
certi labirinti narrativi?
Chi può saperlo. Nel frattempo,
restiamo al fianco di Bekmambetov, almeno per il suo strizzar
l’occhio tutto sommato tiepido al brodo dell’ovvietà e della
compiacenza, per la sua percepibile convinzione che il fantasy non
debba per forza essere un giocattolone elementare, per il suo
devoto bagnarsi nelle acque – tra le più salubri del novecento –
del Bulgakov de Il Maestro e Margherita.
Ecco tante foto di Safe, thriller con
protagonista Jason Statham. Diretto da Boaz Yakin (Le ragazze dei
quartieri alti), Safe uscirà negli USA il 27 aprile. Nel cast
Jennifer Connelly
entra a far parte – la cosa non è ufficiale, ma le trattative sono
davvero a un passo dalla fumata bianca – del cast di Noah,
nuovo progetto di Darren Aronofsky; i due tornano a lavorare
assieme dopo l’esperienza di Requiem for a Dream (2000). Per la
Connelly è pronta la parte di Naameh, la moglie di Noé; negli
onerosissimi panni del protagonista vedremo Russel Crowe. I due
sono già stati marito e moglie (John e Alicia Nash) in A Beautiful
Mind di Ron Howard. L’arca di Aronofsky arriverà nei cinema il 28
marzo 2014.
Per gioco, s’è fatto bendare e poi
tatuare “alla cieca”. L’immagine l’ha scelta, naturalmente senza
avvisare, un amico. Ecco che, il giovanotto in questione, si è
ritrovato sul polpaccio
A poche ore dalla
diffusione della foto di Johnny Depp nei panni di Tonto, ecco che
arriva un altro scatto dal set newmexicano di The Lone Ranger,
nuovo film
Proprio quando ogni speranza
di vederlo nel terzo Ghostbusters sembrava persa, Bill Murray ha
riacceso una luce nei fan. Come? Nell’ambito di un intervista a
tema sportivo, l’irresistibile protagonista de Il giorno della
marmotta e Lost in Translation, quando gli è stato chiesto della
sua presenza nel terzo film sugli Acchiappafantasmi, ha risposto:
“It’s a possibility”. Non esattamente una porta spalancata ma,
almeno, un laconico spiraglio. E’ giusto sperare? Oppure la
risposta non vale granché, e rischia solo di creare false
aspettative negli appassionati? Chissà. Nel frattempo, il progetto,
diretto come i primi due capitoli da Ivan Reitman, prosegue con gli
altri tre confermatissimi accalappiatori di fantasmi – Dan Akroyd,
Harold Ramis e Ernie Hudson – affiancati da Sigourney Weaver, Anna
Faris, Eliza Dushku e Annie Potts. Murray sarà prossimamente nei
cinema con Moonrise Kingdom assieme a stelle del calibro di Bruce
Willis, Tilda Swinton, Edward Norton, Harvey Keitel e Frances
McDormand. Diretto da Wes Anderson (I Tenenbaum), Moonrise Kingdom
aprirà il Festival
di Cannes il 16 maggio.
Il nuovo numero di Entertainment
Weekly offre alcune movimentate foto di attesissimi film. Le
presentiamo di seguito; vediamo, dall’alto verso il basso, Arnold
Schwarzenegger
Per il suo film d’esordio come regista Laura
Morante ha creato intorno a sé la troupe dei suoi sogni:
parafrasando un consiglio di Alain Resnais che ha applicato per
scegliere i suoi personaggi, ossia: “Fai il cast pensando agli
attori che veramente vorresti nel tuo film, per quanto
irraggiungibili possano sembrare” lei lo ha fatto anche per la
troupe che, in sette lunghi anni, ha messo in piedi il film
Ciliegine.
Comingsoon.net ha pubblicato altre
foto di Emma Watson sul set di The Bling Ring, il film scritto e
diretto da Sofia Coppola che racconta le vicende realmente accadute
che hanno
Dwayne Johnson, già nel cast di
“Viaggio nell’isola misteriosa” di Brad Peyton ed in quello di
“Fast and Furios 6” di Justin Lin, si appresta a lavorare ad un
altro progetto.