Il divertente
mockumentary che spiega l’assenza del Dio del
Tuono da Civil War è, purtroppo, non canonico, ma
dal set di Thor Ragnarok, per bocca del
produttore Brad Winderbaum, arrivano alcuni
dettagli che ci aiutano a collocare il film di Taika
Waititi nella timeline del MCU:
“Non è che cinque minuti dopo la
fine di Ultron si comincia questo film. Si tratta di un paio di
anni dopo gli avvenimenti di quel film… Questo film si ambienta…
sapete, è difficile. Nella timeline del MCU, le cose che accadono si
sovrappongono a volte, specialmente ora, nella Fase Tre. I film non
sono così concatenati come nella Fase Uno, durante la grande
settimana di Nick Fury e tutto il resto. Quindi Thor Ragnarok si
svolge tra Civil War e Spider-Man Homecoming, approssimativamente
lì in mezzo.”
Thor
Ragnarok è diretto da Taika Waititi. Nel cast
del film Chris
Hemsworth sarà ancora Thor; Tom Hiddleston
il fratello adottivo di Thor, Loki; Il
vincitore del Golden Globe e Screen Actors Guild Award Idris Elba sarà la
sentinella di Asgard, Heimdall; il premio Oscar Sir Anthony Hopkins
interpreterà nuovamente Odino, signore di Asgard.
Nelle new entry invece si annoverano il premio
OscarCate Blanchett (Blue
Jasmine, Cenerentola) nei
panni del misterioso e potente nuovo cattivo Hela, Jeff Goldblum
(Jurassic Park, Independence
Day: Resurgence), che sarà l’eccentrico
Grandmaster, Tessa Thompson
(Creed, Selma)
interpreterà Valkyria, mentre Karl Urban
(Star Trek, il Signore degli
Anelli: il ritorno del re) aggiungerà la sua forza
nella mischia come Skurge. Marvel ha anche confermato che
Mark Ruffalo riprenderà
il suo ruolo di Bruce Banner / Hulk nel sequel. La data d’uscita è
prevista per il 3 novembre 2017.
La trama di Thor
Ragnarok – “In Marvel Studios’ Thor Ragnarok, Thor è
imprigionato dall’altro lato dell’universo senza il suo formidabile
martello e si trova in una corsa contro il tempo per tornare a
Asgard per fermare il Ragnarok, la distruzione della sua casa e la
fine della civiltà asgardiana, dalle mani di una nuova e potente
minaccia, la spietata Hela. Ma prima deve sopravvivere a una
mortale lotta tra gladiatori che lo metterà contro uno dei suoi
amici Avengers, l’incredibile Hulk.
Nello stesso numero di Empire che ci ha proposto nuove
immagini da Star
Wars Gli Ultimi Jedi, troviamo delle altre
dichiarazioni di John Boyega (Finn) in merito al
film, ai suoi toni e a quello che dovremo aspettarci
dall’Episodio VII.
L’attore ha dichiarato: “Questo
è il secondo film nella trilogia, quindi è facile tracciare
parallelismi con L’Impero Colpisce Ancora in termini di toni dark.
Scaviamo nei personaggi: li sfidiamo e le cose diventeranno
difficili per tutti. Ma non volevo diventasse troppo oscuro. Una
delle cose che ho preso da J.J. Ambrams era il senso di
divertimento e gioco che è indicativo di Star Wars tanto quanto la
famosa battuta ‘Sono tuo padre'”.
La sinossi: “In Star
Wars Gli Ultimi Jedi della Lucasfilm, la saga Skywalker continua
quando gli eroi de Il Risveglio della Forza si uniscono alle
leggende della galassia in un’epica avventura che svelerà i misteri
della Forza e le scioccanti rivelazioni del passato risalenti
all’Era antica. Star Wars Gli Ultimi Jedi arriverà nei cinema
USA il 15 dicembre 2017.”
FIRST LOOK –
Carrie Fisher in Star Wars Gli Ultimi Jedi
Il film sarà
diretto da Rian Johnson e arriverà al
cinema il 15 dicembre 2017. Il film racconterà le vicende
immediatamente successive a Il Risveglio della
Forza.
In Thor Ragnarok
rivedremo sia Lady Sif che i Tre Guerrieri, quattro potenti
combattenti che sono stati trai protagonisti dei primi due film sul
Dio del Tuono, interpretati da Jaimie Alexander, Ray
Stevenson, Tadanobu Asano e Zachary
Levi.
Durante la visita sul set, ScreenRant ha intervistato il
produttore del film, Brad Winderbaum, che ha
spiegato in maniera molto sintetica che il film mostrerà brevemente
i quattro personaggi e che conosceremo la loro sorte.
Sembra che non vedremo
Sif e i Tre Guerrieri, ma sapremo cosa accadrà
loro?
Thor
Ragnarok è diretto da Taika Waititi. Nel cast
del film Chris
Hemsworth sarà ancora Thor; Tom Hiddleston
il fratello adottivo di Thor, Loki; Il
vincitore del Golden Globe e Screen Actors Guild Award Idris Elba sarà la
sentinella di Asgard, Heimdall; il premio Oscar Sir Anthony Hopkins
interpreterà nuovamente Odino, signore di Asgard.
Nelle new entry invece si annoverano il premio
OscarCate Blanchett (Blue
Jasmine, Cenerentola) nei
panni del misterioso e potente nuovo cattivo Hela, Jeff Goldblum
(Jurassic Park, Independence
Day: Resurgence), che sarà l’eccentrico
Grandmaster, Tessa Thompson
(Creed, Selma)
interpreterà Valkyria, mentre Karl Urban
(Star Trek, il Signore degli
Anelli: il ritorno del re) aggiungerà la sua forza
nella mischia come Skurge. Marvel ha anche confermato che
Mark Ruffalo riprenderà
il suo ruolo di Bruce Banner / Hulk nel sequel. La data d’uscita è
prevista per il 3 novembre 2017.
La trama di Thor
Ragnarok – “In Marvel Studios’ Thor Ragnarok, Thor è
imprigionato dall’altro lato dell’universo senza il suo formidabile
martello e si trova in una corsa contro il tempo per tornare a
Asgard per fermare il Ragnarok, la distruzione della sua casa e la
fine della civiltà asgardiana, dalle mani di una nuova e potente
minaccia, la spietata Hela. Ma prima deve sopravvivere a una
mortale lotta tra gladiatori che lo metterà contro uno dei suoi
amici Avengers, l’incredibile Hulk.
Vincitore della Palma
d’Oro a Cannes nel 2013 con l’acclamato film La Vie d’Adele, il regista
tunisino Adbellatif Kechiche torna nel
circuito dei festival presentando al pubblico della Laguna la sua
nuova fatica cinematografica Mektoub, My Love: Canto
Uno.
Un giovane scrittore in erba, Amin
(Shaïn Boumédine), torna a casa per le vacanze, in
visita da Parigi, nel suo paese natale, un piccolo villaggio di
pescatori del sud della Francia. Durante tutta l’estate il ragazzo
ha l’occasione dei riabbracciare i suoi familiari, i suoi amici più
cari e di godere di tutto il divertimento e la spensieratezza di
quel piccolo angolo di paradiso.
Dopo l’emozionante La Vie
d’Adele, Kechiche si perde tra le bellezza di una Francia
selvaggia e serena, dove il tempo sembra essersi fermato, non
esiste una sola preoccupazione al mondo e dove splende sempre il
sole. Mektoub, My Love: Canto Uno è un film
orizzontale, senza colpi di scena, battute d’arresto o accelerate
improvvise; è il semplice racconto di un’estate spensierata fatta
di mare, risate e tanto divertimento, paradigma della gioavinezza.
Il giovane Amin, ‘costretto’ a vivere in una città come Parigi,
definita grigia, fredda e tetra, dopo aver mollato la facoltà di
medicina per inseguire il sogno di diventare uno scrittore, sembra
essere alla disperata ricerca di ispirazione. Attraverso la
fotografia sembra riuscire a soddisfare solo in parte le sue
esigenze creative ma gli abitanti del suo piccolo paesino gli
forniscono costantemente materiale per le sue sceneggiature. Il
protagonista di Kechiche è un ragazzo timido e riservato ma
affamato di bellezza, elemento predominante del film che pullula di
donne giovani e bellissime, sia giovani che mature, che il regista
non ha paura di mostrarci in tutto il loro splendore. A turbare
però i sogni di Amin è Ophelie (Ophélie Bau), la
sua vecchia amica d’infanzia, di cui il ragazzo è chiaramente
innamorato ma che ha una tresca con suo cugino Tony (Salim
Kechiouche), un don Giovanni senza scrupoli. La ragazza
rappresenta, in mezzo a quel mare di carne e sensualità, in
concetto stesso dell’eros, tanto caro al regista e protagonista di
ogni scena.
Mektoub, My Love: Canto Uno
– primo capitolo, a detta del regista, di una
trilogia sulla giovinezza – non è un film particolarmente
significativo o interessante poiché non racconta una storia ma è il
semplice resoconto di una vacanza estiva di giovane spensieratezza
in compagnia di amici, parenti e conoscenti dell’ultimo minuto, una
sorta di Spring Breakers tutto europeo. Il pubblico, un po’ come
Amin, è lo spettatore passivo del divertimento degli altri che,
tentano di convincerlo a partecipare ai festeggiamenti, senza
riuscirci. Ma proprio come il ragazzo trae piacere nell’osservare
le sue bellissime e formose amiche, straripanti di vitalità,
dimenarsi sulla pista dalla ballo come se non avessero un solo
problema al mondo, così anche noi non possiamo far altro che stare
a guardare, quasi ipnotizzati, quel meraviglioso spettacolo
offertoci da Kechiche. La forza di Mektoub è infatti proprio lo
stile del regista tunisino che riesce a concretizzare la sua fame
di bellezza in un film che diventa un’esperienza sensoriale
completa e trascinante, uno spettacolo per gli occhi dal quale è
difficile staccarsi.
Anni fa ero in vacanza a Parigi con
la mia fidanzata (oggi mia moglie). Eravamo al Musée
d’Orsay ad ammirare i quadri degli impressionisti,
romanticamente mano nella mano trasportati dalle emozioni che solo
l’arte pura sa regalare. A un certo punto entra nella sala un
tizio, con la fidanzata. Sono un po’ come noi, ma di molto meno
svegli. Si mettono davanti a un quadro, doveva essere
‘Colazione sull’erba’ e lui, riflessivo, e ad alta
voce, si pone una delle questioni universali (in italiano):
“Ma che differenza c’è tra Manet e Monet?”.
Capite? Una domanda che apre una visione del suo sguardo sul mondo.
Cosa vuoi rispondere a una domanda del genere, se non che “uno ha
il nome con la O, l’altro il nome con la A”?
Per lui era motivo di questione. Era
una cosa importante. Non riusciva a considerare che la quasi
omonimia fosse casuale. Forse immaginava che fossero lo stesso
pittore in due versioni provenienti da due dimensioni parallele,
forse che avesse dovuto cambiare nome per qualche motivo, come quel
tipo che si chiamava “Felice Mastronzo” e dovette
cambiare il nome in “Mastranzo”, anche se gli
amici gli mandarono poi biglietti con su scritto “per
noi rimani sempre Mastronzo”. Ma ancora più
risolutiva fu la risposta della fidanzata: “Che uno è
impressionista e l’altro no”. Sbagliata, ovviamente,
ma affascinante. Come se il cambio di una vocale nel cognome
potesse dettare le regole di uno stile pittorico. Li abbiamo presi
per il culo per settimane e ogni tanto ancora lo facciamo. Ma la
vita insegna che quello che semini prima o poi lo raccogli, quindi
ieri sono stato punito per tutta la mia ridanciana attività contro
l’ignoto avventore dell’Orsay. Si fa tanto parlare di rinascita del
cinema di genere in Italia, e sti cazzo di registi di genere si
chiamano tutti nello stesso modo. Mainetti, Manetti, Minetti. Ah,
no. La Minetti è la cantante cieca, ma in finale sticazzi, al
giorno d’oggi se fai cinema di genere in Italia poi fà il regista
pure se sei cieco, basta che ci metti Giampaolo Morelli,
Alessandro Borghi, Claudio Santamaria o Luca
Marinelli, il film ha successo pure se li riprendi dalla
cintola in giù, forse anche di più.
Comunque, qui al Lido c’erano sia
Gabriele Mainetti – noto per Lo
chiamavano Jeeg robot ma qui presente per aver
prodotto un corto di Claudio Santamaria come regista. Guardacaso
proprio Claudio Santamaria – che i Manetti Bros.,
che invece come vi dicevo ieri portavano il loro film,
Ammore e Malavita, con Giampalo Morelli,
guardacaso proprio Giampaolo Morelli. Anyway, cosciente dei miei
limiti, per tutta la giornata mi sono ripetuto: “Stai
seguendo i Manetti, non scrivere Mainetti. Stai seguendo i Manetti,
non scrivere Mainetti. Stai seguendo i Manetti, non scrivere
Mainetti. Stai seguendo i Manetti, non scrivere
Mainetti” come se fosse un mantra. L’ho detto anche
in redazione: “Oh ragà, è pazzesco. Mi confondo sempre tra
i Manetti e Mainetti, non trovate sia buffo?”. Tutti a
ridere. Purtroppo qualcuno ha nominato Gabriele
Mainetti mentre stavo concludendo il pezzo e scrivendo il
titolo.
Indovinate chi ha fatto passare il
titolo ‘Mainetti Bros. e il musical napoletano’ in
ogni dove, sul sito, nella newsletter, sui social media, ovunque? E
indovinate chi ha bestemmiato la sera tardi, quando se ne è
accorto? La verità è che stiamo quasi in chiusura e stiamo tutti
cotti, infatti – a parte me – non se ne è accorto quasi nessuno.
Probabilmente nemmeno Manetti, i Mainetti, la Minetti, Manet,
Monet, Morelli, Marinelli, Mastranzo, Mastronzo, Santamaria e
Borghi che ieri sono andati alla festa del film tutti insieme e poi
a fare il puttantour del Lido mentre io sono rimasto a casa a
crogiolarmi nella vergogna e nello scempio. Non è vero, in realtà
ho pensato ‘sticazzi’. Sono rimasto a casa perché
avevo voglia – e come vedete, bisogno – di dormire, anche perché
oggi devo essere bello e in forma per un evento importante.
Presento infatti (spot mode on) il libro
‘Heroes: i piccoli protagonisti degli anni ‘80’ di
Chiara Guida (spot mode off). Se siete dei
frequentatori abituali di Cinefilos il nome
dell’autrice non vi suonerà nuovo, essendo lei uno dei due capi di
questa meraviglioso e sfavillante carrozzone. Dicono che
Abdellatif Kechiche abbia presentato un film pieno
de fregna e de culi – che strano, lui che ha vinto la Palma d’oro a
Cannes praticamente con un porno – ma io dovevo prepararmi le
domande e quindi nada. Lo recupererò più avanti, magari solo le
scene salienti. Vi saluto e vado a farmi intelligente, che più
bello di così non posso.
Ang
Sono per l’appunto di ritorno dalla
presentazione del libro della nostra cara responsabile editoriale,
si Chiara, quella che ce vo’ talmente bene che non ci censura manco
quando parliamo di culi e di Marinelli nello stesso post. La
presentazione è andata molto bene, anche perché il libro che è
bellissimo, è venuta moltissima gente, anzi alla fine eravamo pure
troppi, nel senso che senza accorgercene, mentre Chiara e Ang erano
alle prese con le domande del pubblico il buffet era stato preso
d’assalto da una combriccola de crucchi che ha iniziato a sbocciare
pensando che fosse aperto a tutti, e alla fine pareva ‘na festa di
Toni Servillo. Io ero un po’ stravolta, come fai non esserlo quando
passi la giornata in sala a vedere film e poi ti trascinano a feste
assurde in cui la musica è la stessa dei corsi di aerobica che fai
in palestra, per cui dopo cinque minuti in cui ancheggi non gliela
puoi fare, e ti viene naturale iniziare a fare la stessa sequenza
di squat che fai col trainer a tempo di musica, solo che tu sei in
pista, in mezzo a gente improponibile.
In più vorrei aggiungere la mia
ansia da prestazione legata alla presenza nel locale della festa di
Luca Tommassini, noto coreografo ormai di fama
internazionale che ha lavorato coi più grandi, per dirvi persone
del calibro di Madonna e Rihanna. Io, che sono nota per avere
alcune passioni scultissime, appena l’ho visto in pista (è l’autore
delle coreografie del film dei Mainetti, Marinelli, Manet…
Manetti, imbecille!) ho iniziato a sentirmi male.
Mi sono venute le allucinazioni, ho iniziato a vedere apparizioni
di Beyoncé e mi sanguinavano glitter dagli occhi. Per cui ho
pensato che o dovevo farmi un selfie con lui o dovevo dargli prova
della mia immensa bravura dance. Perché diciamocelo, sto lavorando
sui movimenti di Shakira essendo costretta per motivi che ora non
sto qui a dirvi a seguire un umiliante corso de
Zumbademmerda, ma sulla dance, ehi, non ne ho per
nessuno. Così ho improvvisato qualche coreografia anni ’90 in
pista, ma mentre mi dimenavo col mio solito partner Fantasia mi
sono resa conto con la coda dell’occhio che Tommassini era più
interessato al buffet che al mio Moonwalk.
Così, umiliata, ho ripiegato sul gin
tonic, tornando a casa su una navetta col logo Ammore e
Malavita che me sembrava la definizione sul
dizionario della mia, di vita. Ammore per il
cinema e Malavita alcolica. Ora tutto questo
spiegone era solo per dirvi che oggi ci sono volute ore dal
truccatore per avere un viso che non sembrasse un angelo caduto dal
cielo de faccia, e con le bombe a mano nella capoccia sono andata
alla presentazione del libro delle persone a cui tengo di più in
questa landa disperata. Nonostante il mio orgoglio amicale, il mio
atteggiarmi a ‘ehi, sono miei amici questi fantastici
ragazzi che parlano così bene di cinema’, sono riuscita a
fare demmerda i primi 10 secondi di diretta Facebook, perché va
bene che lavoro col digitale, va bene che so smanettona, ma io
dirette Facebook raramente le uso, anche perché con gli stalker
alla frutta che me ritrovo avrei seri problemi a geolocalizzarmi
così, a cuor leggero. Insomma approfitto di questo spazio per
chiedere scusa ai video spettatori, e dire grazie a quel fantastico
uomo che mi ha imbruttito, facendomi sentire una cretina digitale
mi hai permesso di riprendermi da quella botta di inerzia che ti fa
trascinare tra un martedì e un mercoledì come se fosse un lunedì, e
sono tornata in me.
Chiudo con una palese marchetta nei
confronti di chi mi ospita in questo spazio virtuale
(Chiara cazzo non censurarmi), nonché migliore
amica che si possa avere. Comprate il libro, fatevi un bellissimo
regalo (disponibile dall’8 settembre a questo
link).
Una storia d’amore diversa e
delicata è al centro del nuovo film di Silvio
Soldini, realizzato a diversi anni di distanza dal suo
ultimo lavoro Il Comandante e la cicogna
(2012).
Il colore nascosto delle
cose racconta la storia di Teo, un creativo pubblicitario
quarantenne, donnaiolo e scapestrato. Teo è completamente
preso dal suo lavoro e vive una relazione vaga e stanca con una
donna che vorrebbe da lui delle certezze in più. Come se non
bastasse ha un amante e sempre uno sguardo pronto per nuove
eventuali avventure. Un giorno conosce per caso Emma, una grintosa
quanto tenera osteopata che ha perso la vista all’età di sedici
anni e dopo infinite difficoltà per accettare la drammatica
situazione e se stessa è riuscita a costruirsi una vita normale.
Teo, quasi per gioco, si innamora di Emma, entrando prepotentemente
nella sua vita, senza curarsi troppo dei suoi sentimenti e delle
conseguenze che ne potrebbero derivare.
Silvio Soldini
dice che aveva da tempo l’idea di lavorare sul tema dei non
vedenti, soprattutto dopo aver girato un documentario intitolato
Per altri occhi. Durante la realizzazione di
questo progetto ha avuto modo di scoprire persone piene di vita e
di estrema ironia, rimanendo stupito ed entrando in un mondo
sconosciuto che non si aspettava minimamente.
Ha constatato che,
nonostante il loro handicap, le persone non vedenti lavorano, fanno
sport, viaggiano, fruiscono di film e di cose che nell’immaginario
comune sono godibili solamente di chi può vedere.
Soldini afferma “Mi sono poi reso conto che al
cinema non avevo mai visto niente di tutto ciò, che i ciechi erano
spesso dipinti in modo drammatico, scontato, o con dei quasi
super-poteri. Così ho deciso di filmare una storia d’amore con una
non vedente come accade nella vita. Raccontare l’incontro tra due
mondi lontanissimi, di un uomo che cambia, del coraggio di
affrontare la vita, con leggerezza e profondità. E raccontare Emma
e Teo come fossero due di noi, due persone amiche”.
I due protagonisti sono
interpretati da Adriano Giannini e Valeria Golino. Entrambi molto bravi e
perfettamente calibrati. Ma un plauso va sicuramente a lei, per
essere riuscita a restituire sullo schermo la vita di tutti i
giorni di una persona priva della vista, attraverso piccoli gesti,
espressioni quasi impercettibili, microscopiche gaffe, alternando
dolcezza e caparbietà, incertezza e sensualità.
Quello che si potrebbe obiettare è
forse l’ovvietà di alcuni snodi narrativi e una costruzione un po’
stereotipata della trama, che porta purtroppo a intuire fin dalle
prime battute come si concluderà la storia. Inoltre stride
un’eccessiva caratterizzazione negativa del personaggio maschile.
Nonostante questo, Il colore nascosto delle cose è
un film garbato, che affronta il problema della diversità da
handicap, in maniera non scontata e soprattutto mai
lacrimevole.
Sono ufficialmente iniziate le
riprese Aladdin,
il nuovo film live action targato Walt Disney Picturesche sarà
diretto da Guy Ritchie e basata sull’omonimo
film d’animazione.
Inoltre l’attore Will Smith ha
diffuso la prima foto dal set che lo ritrae al fianco di altri
interpreti Mena Massoud che sarà Aladdin,
Naomi Scott che sarà Jasmine e
Marwan Kenzari che sarà Jafar.
Nel cast del nuovo Aladdin
anche Navid Negahban (Homeland) che
interpreterà il Sultano.
Aladdin vinse
due premio Oscar, per la colonna sonora e per la canzone
originale “A whole new world”.
Aladdin
Dan Lin che
ha prodotto i due film su Sherlock
Holmes per la Warner Bros,
produrrà anche Aladdin con la sua Lin
Pictures company mentre Jonathan
Eirich sarà il produttore esecutivo. La sceneggiatura
del live-action è stata scritta da John
August.
Il film d’animazione originale del
1992 raccontava di un giovane straccione che trova un genio
intrappolato in una lampada e coglie l’opportunità fortunata per
mettere in mostra le sue straordinarie doti umane e conquistare il
cuore di una bella principessa, non senza affrontare prima un
temibile nemico. Il genio, nella versione originale, venne doppiato
dall’inarrivabile Robin Williams, mentre nel
doppiaggio italiano il compianto attore venne sostituito dal
bravissimo Gigi Proietti.
Coppia super sexy nella
vita, Penelope Cruz e Javier Bardem hanno
presentato Fuori Concorso a Venezia 74 Loving
Pablo, una ricostruzione, l’ennesima, della straordinaria
e fuorilegge vita di Pablo Escobar.
E’ stata diffusa una clip inedita
del documentario I Am Heath Ledger, nel
quale possiamo ammirare l’attore come Joker
durante la lavorazione di The Dark Knight di
Christopher Nolan.
La clip del documentario racconta
di quando l’agente di Ledger ha ricevuto la chiamata che
confermava che l’attore avrebbe interpretato Joker nel prossimo
film di Christopher Nolan. Il coach di Ledger
e gli amici parlano della sua trasformazione nel Joker.
Arrivano tre foto inedite
dall’atteso Star
Wars Gli Ultimi Jedi, il sequel del film di successo
di JJ Abrams che sarà diretto da Rian
Johnson. Nelle nuove immagini Luke, il Leader
Supremo Snoke e Finn Rose.
La sinossi: “In Star
Wars Gli Ultimi Jedi della Lucasfilm, la saga Skywalker continua
quando gli eroi de Il Risveglio della Forza si uniscono alle
leggende della galassia in un’epica avventura che svelerà i misteri
della Forza e le scioccanti rivelazioni del passato risalenti
all’Era antica. Star Wars Gli Ultimi Jedi arriverà nei cinema
USA il 15 dicembre 2017.”
FIRST LOOK –
Carrie Fisher in Star Wars Gli Ultimi Jedi
Il film sarà
diretto da Rian Johnson e arriverà al
cinema il 15 dicembre 2017. Il film racconterà le vicende
immediatamente successive a Il Risveglio della
Forza.
La Warner Bros
dopo mesi di trattative ha finalmente annunciato il regista e
sceneggiatore che darà vita a Suicide
Squad 2, l’annunciato sequel del film campione
d’incassi del 2016.
A prendere l’eredità di
David Ayer in Suicide Squad
2sarà il regista e
sceneggiatore Gavin O’Connor, che ha già
diretto per la Warner Bros The Accountant, oltre ad aver diretto anche film di
successo comeWarrior
e Pride and Glory.
Suicide Squad che ha debuttato nel
DC
Extended Universe l’estate scorsa ha introdotto
molti noti cattivi della DC che hanno da subito conquistato i fan,
come Deadshot (Will Smith), Harley Quinn
(Margot Robbie), Captain Boomerang (Jai
Courtney) e Joker (Jared Leto).
Dalle ultime notizie lo Studios
stava accelerando lo sviluppo del film e questa notizia oggi
conferma la volontà della WB di avere un sequel del film al più
presto nelle sale. Inoltre
Variety riferisce che Warner Bros. spera
che il film inizia la produzione entro la fine del 2017, se così
fosse il film potrebbe essere potenzialmente pronto per una
data di uscita nel 2019/2020.
Suicide Squad
2
Il casting per il regista aveva
coinvolto oltre a O’Connor i nomi del calibro
di con Mel Gibson (Hacksaw
Ridge), Jaume Collet-Serra ( Le
Shallows ), Jonathan Levine (Warm Bodies) e
Daniel Espinosa (Safe House). Al momento il regista stava
lavorando allo sviluppo del sequel di The
Accountant con Ben Affleck, ma ora è
probabile che quel progetto passi in secondo piano.
Alla Warner Bros
c’è grande fermento per il DC
Extended Universe. Infatti sono in sviluppo molti film
tra cui
un film sulle origini del Joker separato dall’Universo
principale, oltre all’annunciato Gotham
City Sirens che dovrebbe sostituire. In
cantiere sono anche i film su Flash Point con Ezna
Miller. The
Batman vedrà protagonista Ben Affleck
nuovamente nei panni di Bruce Wayne e sarà diretto dall’acclamato
regista Matt Reeves. Nel cast ritorneranno Geremy
Irons nei panni di Alfed e J.K. Simmons in quello
del Detective Gordon. Wonder Woman 2, Green Lanter Corps
e Batgirl che sarà diretto da Joss
Whedon.
Nuovo e importante progetto
cinematografico per i THE SWEET LIFE SOCIETY
la band guidata da Gabriele Concas e Matteo
Marini, uno dei pochi esempi di musica italiana da
esportazione che ha suonato nei più famosi festival inglesi –
Glastonbury, Eurosonic, Bestival, Lovebox, Wilderness,
Latitude Boomtown.
Il 7 settembre saranno alla
Mostra del Cinema di Venezia nella sezione
Orizzonti con la soundtrack originale di Brutti e
Cattivi (musiche di Gabriele Concas e Matteo Marini,
edizioni CAM/Gruppo Sugar e BMG Rights Management), film di
debutto di Cosimo Gomez, con un cast di culto, da
Claudio Santamaria a Marco D’Amore. Fa
inoltre parte della colonna sonora anche l’opera “Taggato dal
Signore”, composta dallo stesso regista del film Cosimo
Gomez.
Da anni Gabriele Concas e
Matteo Marini, oltre a girare l’Europa, gli Stati Uniti e
il Canada con i loro concerti, sono attivi nel campo della
produzione musicale con esperienze che vanno dal cinema, al teatro,
alla pubblicità. L’uscita del loro prossimo album è invece
prevista per l’inizio del 2018.
Il 7 settembre dalle 22.30 i
“The Sweet Life Society” saranno live a Venezia
Lido al Pachuka. L’8 settembre alle ore 22, durante la 74
Mostra del Cinema di venezia Kino Venice Nights organizza nel
bellissimo scenario del Lido, Riva di Corinto sulla barca Edipo Re
che fu di Pier Paolo Pasolini, Brutti e Cattivi incontro con Cosimo
Gomez e concerto live di “The Sweet Life Society”, autori delle
musiche del film.
Columbia Pictures & Sony Pictures
hanno diffuso il cortoª “2036: NEXUS DAWN” con JARED
LETO di Blade Runner
2049, il sequel del capolavoro di Ridley
Scott diretto da Denis
Villeneuve, regista di Sicario e Arrival prodotto dallo stesso
Ridley Scott con Ryan Gosling,
Harrison Ford, Robin Wright, Mackenzie Davis, Dave
Bautista e il premio OscarJared
Leto.
Di seguito la prima sinossi del film: “Trent’anni dopo
gli eventi del primo film, un nuovo blade runner, l’Agente LAPD K
(Ryan Gosling), dissotterra un segreto a lungo sepoltoche potrebbe avere il potere
di gettare nel caos quello che è rimasto della società.
La scoperta di K lo guida in una ricerca con lo scopo di trovare
Rick Deckard (Harrison Ford), un ex blade runner della LAPD che è
rimasto nasconsot per 30 anni.”
In Blade Runner
2049 protagonisti sono Ryan Gosling, Harrison Ford, Robin Wright, Ana
de Armas, Sylvia Hoeks, Carla Juri, Mackenzie Davis, Barkhad Abdi,
Dave Bautista, David Dastmalchian, Lennie
James, Hiam
Abbass e Jared
Leto.
La
sceneggiatura del sequel, ambientato diverse decadi dopo
l’originale pellicola del 1982, è affidata a Hampton
Francher e Michael Green e
segue la storia originale scritta da Francher e David
Peoples basata sul romanzo di Philip K.
DickIl Cacciatore di
Androidi.
Produttori esecutivi del film sono Frank Giustra
e Tim Gamble, CEO di Thunderbird Film. Lo stesso
Ridley Scott sarà produttore esecutivo della pellicola così come
Bill Carraro.
Tre anni fa i Manetti
Bros. Avevano stregato pubblico e critica alla
Festa del Cinema di Roma con Song’ e
Napule e stavolta sono decisi a conquistare la Laguna. E’
stato presentato oggi il loro nuovo film, Ammore e
Malavita, che sembra già aver fatto strage di cuori.
La storia si svolge come sempre
nella bella città di Napoli dove il boss Don Vincenzo, dopo aver
subito un’aggressione, sembra deciso a ritirarsi dagli affari
insieme a sua moglie e a lasciare tutte le sue attività in gestione
ai suoi body guard, Ciro e Rosario. La banda decide così di
inscenare la morte del boss ma qualcosa nel loro piano va
storto…
Conosciuti e amati dal pubblico per
la famosa serie tv L’ispettore
Coliandro e per il già citato Song’ e
Napule, che ha avuto un grande successo,
Antonio e Marco Manetti provano a fare il bis
portando il loro film pop e di genere in concorso alla
Mostra del Cinema di Venezia sperando di riuscire
a sbaragliare l’ingombrante concorrenza e fare breccia nel cuore
dei giurati.
Ammore e Malavita, il film
Il boss della malavita napoletana
Don Vincenzo (Carlo
Buccirosso), detto “o’ re do pesce”, dopo essere
sopravvissuto quasi per miracolo ad un agguato, è deciso ad
‘abdicare’ al suo trono e a lasciare tutto in gestione alle sue
Tigri, le temibili guardie del corpo, Rosario (Raiz) e Ciro (Giampaolo
Morelli). Ma per uscire di scena ha bisogno di un
piano strategico che gli viene fornito da sua moglie Maria
(Claudia
Gerini), piano che purtroppo andrà a gambe all’aria a
causa dell’intromissione di Fatima (Serena
Rossi), un’infermiera che si trovava al posto
sbagliato e al momento sbagliato.
I Manetti Bros.
fanno il pieno di applausi qui a Venezia 74 con l’attesissimo
Ammore e Malavita, arruolando lo stesso
meraviglioso cast di attori – più qualche new entry – e presentando
al festival un nuovo ed irresistibile film destinato a diventare un
vero e proprio cult. Un po’ gangster movie e un un po’ action, la
nuova fatica cinematografica dei fratelli Marco e Antonio sembra
stavolta avere una marcia in più; mentre nel precedente Song’ e
Napule si parlava solo di musica, nel caso di Ammore e
Malavita si tratta di un musical a tutti gli effetti.
Le musiche originali di
Pivio & Aldo De Scalzi e le liriche del cantautore
Nelson – vincitore nel 2014 del David di Donatello
per la canzone A’ Verità, scritta a quattro mani
con Franco Ricciardi -, sostituiscono di fatto le
battute dei personaggi che, cantando, rendono la storia molto più
fresca e scorrevole. Ancora una volta dunque i Manetti ci
raccontano di Napoli e della sua malavita in maniera del tutto
originale e irresistibilmente verace; i dialoghi sono pieni di
battute brillanti e le canzoni, in pieno stile neomelodico, sono a
dir poco travolgenti e trasformano il film in una sorta di moderna
sceneggiata napoletana. Non passa infatti inosservata la presenza
del grande Pino Mauro, cantante partenopeo con una
grande tradizione musicale alle spalle.
Ottima prima prova anche di
Raiz, all’anagrafe Gennaro Della Volpe, cantante
degli Almamegretta dal 1991, perfetto nella parte
del killer del boss, uno dei personaggi più oscuri del film. Ad un
incredibile Carlo Buccirosso – che potrebbe anche
arrivare a competere per la Coppa Volpi – si
affianca inoltre una straordinaria Claudia Gerini
che, dopo lo splendido film tv diretto da Lina
Wertmüller dal titolo Francesca e
Nunziata del 2002, torna a recitare in un perfetto
dialetto napoletano con una tale disinvoltura da far quasi
dimenticare le sue origini romane.
E come non citare il sempre
affascinante Giampaolo Morelli che stavolta,
svestiti i panni dell’esuberante Lollo Love, si trasforma
in una sorta di killer sociopatico, con l’agilità di un ninja e la
forza di un soldato, capace di far fuori un plotone di sicari
armati fino ai denti in pochi secondi. Non possiamo dimenticare
ovviamente la bella Serena Rossi, protagonista di una delle scene
più epiche del film; nonostante la colonna sonora sia completamente
originale, per la scena in questione i registi hanno pensato di
adattare un testo inedito in napoletano alla melodia di
What a Feeling, da Flashdance,
canzone che segna l’incontro tra Ciro e Fatima, i due amanti
sfortunati del film.
Ammore e Malavita
è un’opera straordinaria, un film che parla di camorra ma che rema
contro la corrente del ‘gomorrismo’, un piccolo capolavoro di
genere che vi farà ridere ed emozionare, cantare e ballare come se
non ci fosse un domani e pianificare una vacanza nella bella
Napoli.
Ultima tappa di un tour mondiale
che lo ha portato in tutti gli angoli del Pianeta, Edgar
Wright arriva a Roma per promuovere il suo ultimo film,
Baby Driver – il genio della fuga, maggior
successo al botteghino per il regista inglese e ritorno al cinema
dopo la difficile esperienza con Ant-Man
e con la Marvel.
Ecco la nostra intervista:
Leggi la recensione di Baby Driver – il
genio della fuga di Edgar Wright
Il film arriverà il 7 settembre nei
cinema italiani e vede protagonisti Ansel Elgort,
Kevin Spacey, Lily James, Jon Bernthal, Eiza González, Jon
Hamm e Jamie Foxx.
Trama: La storia
ruota attorno a un pilota che si presta a fughe criminali e che si
affida al ritmo della sua musica preferita per essere il migliore
nel campo. Costretto a lavorare per un boss, il ragazzo dovrà
prestarsi ad una rapina destinata al fallimento che metterà a
rischio la sua vita, il suo amore e la sua libertà. La vicenda è in
parte ispirata al video musicale “Blue Song” della band Mint
Royale, che Wright diresse nel 2003.
Baby Driver: il nuovo
trailer del film di Edgar Wright
LaÈ stato presentato in Concorso
nella selezione ufficiale della 74° Mostra d’Arte Cinematografica
di Venezia, Ammore e Malavita, il nuovo film dei
Manetti Bros.
Di seguito potete vedere il primo
trailer del film che arriverà in sala il prossimo 5 ottobre. Nel
cast del film Giampaolo
Morelli, Serena
Rossi, Claudia
Gerini, Carlo Buccirosso
e Raiz.
La trama di Ammore e Malavita
Napoli. Ciro (Giampaolo Morelli) è
un temuto killer. Insieme a Rosario (Raiz) è una delle due “tigri”
al servizio di don Vincenzo (Carlo Buccirosso), “o’ re do pesce”, e
della sua astuta moglie, donna Maria (Claudia Gerini). Fatima
(Serena Rossi) è una sognatrice, una giovane infermiera. Due mondi
in apparenza così distanti, ma destinati a incontrarsi, di
nuovo.
Una notte Fatima si trova nel posto
sbagliato nel momento sbagliato. A Ciro viene dato l’incarico di
sbarazzarsi di quella ragazza che ha visto troppo. Ma le cose non
vanno come previsto. I due si trovano faccia a faccia, si
riconoscono e riscoprono, l’uno nell’altra, l’amore mai dimenticato
della loro adolescenza.
Per Ciro c’è una sola soluzione:
tradire don Vincenzo e donna Maria e uccidere chi li vuole
uccidere. Nessuno può fermare l’amore. Inizia così una lotta senza
quartiere tra gli splendidi scenari dei vicoli di Napoli e il mare
del golfo. Tra musica e azione, amore e pallottole.
Da qualche giorno al Lido di
Venezia campeggiano meravigliosamente delle immagini che vanno
oltre la mera pubblicizzazione commerciale di un film. Per
un’inusuale coincidenza, sono state realizzate dallo stesso
artista, per lanciare due dei titoli più forti e discussi in
concorso alla Mostra d’Arte Cinematografica: The Shape of
Water di Guillermo del Toro e
Mother!
di Darren Aronofsky.
L’autore è un bravissimo, quanto
originale, pittore e illustratore Taiwanese, James
Jean.
James Jean nasce a
Taipei nel 1979. Si trasferisce negli USA, dove studia e si diploma
presso la School of Visual Arts di New York nel 2001. Poi
comincia a imporsi realizzando copertine per le pubblicazioni della
DC Comics
raccogliendo sette premi
Eisner, tre premi Harvey consecutivi, due
medaglie d’oro e una d’argento dalla Society of Illustrators of
Los Angeles e una medaglia d’oro dalla Society of
Illustrators of New York. Lavora anche in campo pubblicitario
per clienti prestigiosi, come: Time Magazine,
The New York Times, Rolling Stone,
Playboy, e Prada. Realizza le copertine per la
serie di fumetti Fables e The Umbrella Academy, vincendo sei
premi Eisner come “Best Cover Artist“.
Realizza inoltre copertine per
album musicali, come The Black Parade di My Chemical
Romance, del 2006.
Poi nel 2008 James
Jean decide di ritirarsi dai progetti commerciali per
concentrarsi solamente sulla pittura e incarichi che rappresentino
il suo estro espressivo. Evidentemente i film di Del
Toro e Aronofsky erano tra questi.
Varie volte, in questo spazio e in
altri, ho spiegato perché spesso marino le feste durante i
festival. Ho detto ‘marino’? Davvero? Deve essere la stanchezza.
Intendevo dire ‘piscio le feste’. I soliti: c’ho mal de panza, c’ho
sonno c’ho fame, sono stanco e di solito non ho l’invito – grazie
ar cazzo, non ce vado mai. Te credo che non mi invitano – il che
non sarebbe un problema perché tanto mendicando da una parte
all’altra a entrare si riesce. Solo che se dovevo andare a fare il
mendicante me mettevo all’angoletto della fermata Vittorio Emanuele
e facevo pure più soldi che a venì ai Festival. Tra l’altro, una
delle poche cose che mi piace fare alle feste, non essendo un buon
ballerino e non volendo perdere la voce per fare rapporti di
pubbliche relazioni urlando come un’aquila per sovrastare la musica
demmerda che di solito mettono, è ubriacarmi come un marinaio
marsigliese, e visto come sto messo coi reni, meglio evitare.
Ieri sera però avevo pensato di
affacciarmi alla festa dei ‘Ciak,’ giusto perché ogni tanto vedano
che questa faccia dietro alle cazzate che scrivo esiste davvero.
Quasi ero pronto a uscire, quando purtroppo mi hanno colto delle
gravi allucinazioni che manco Leonardo di Caprio
quando si faceva di Quaalude in The Wolf of Wall
Street.
Mi metto un attimo in
balcone, che devo dire la vista della casa che ho qui al Lido non è
niente male, dà direttamente su uno dei canali principali – per cui
occhio che vi sento, quando parlate male dei colleghi tornando a
casa a tarda notte ubriachi come merde, voi non mi vedete ma io,
dal balcone, sì – in cerca di ispirazione. Magari mi viene voglia
di uscire, hai visto mai.
M’accendo un sigaro. E vedo una
barca passare. E che sarà mai una barca al Lido, direte voi. Solo
che non è una barca normale. È un’automobile. Con un motore per
barca attaccato, che bellamente se ne va in giro sull’acque alla
faccia del ‘dove stiamo andando non c’è bisogno di strade’ di
zemeckisiana memoria. Sgrano un paio di volte gli occhi, me li
stropiccio. E niente. La visione non scompare. Anche abbastanza
preoccupato penso che le traveggole mi vengano dall’abuso di
Toradol o da una sempre più presente stanchezza (e del resto, oggi
si fa il giro di boa della ‘settimana che siamo qui’, ci sta pure)
e mi dico che di andare a fare il cazzone a feste dove manco
m’hanno invitato, a maggior ragione che sto impazzendo, non è il
caso.
La pazzia incombente, però, la
prendo con nonchalance, un po’ come il protagonista del film di
Aronofsky prende l’orrenda esecuzione del figlio appena nato: come
uno scherzo un po’ pesantuccio, ma perdonabile. Ecco, per me la
follia non è che una seccatura, in questo marasma di appuntamenti e
corse. Quindi mi metto a letto pensando che il giorno dopo, dopo
qualche ora di sonno, le allucinazioni spariranno. Stamattina
l’auto-barca sta ancora là, attraccata proprio sotto casa mia. O
era tutto vero, oppure sto definitivamente dando di matto. Ma non
ho tempo per pensarci, devo correre all’alba alla proiezione del
film dei Manetti Bros. , che in qualche modo mi
rincuora.
Intendiamoci, sto Ammore e
malavita che presentano qui non è niente di che. Un
musical napoletano misto a Crime Story, come lo era in un certo
senso il precedente Song e’ Napule, e come in
Song e’ Napule – che, detto per inciso, era molto
migliore di questo – ci sono Giampaolo Morelli,
Serena Rossi e vari avanzi da ‘Un posto al sole’
che contribuiscono di molto a rendere la vicenda più partenopea
possibile, con tanto di volute sceneggiate alla Mario
Merola che sono la parte più divertente. Dopo un inizio
scoppiettante, però, il film si siede parecchio e si appoggia su un
fantastiliardo di citazioni messe lì a cazzo, da
Flashdance a 007 a Ritorno al Futuro, che mandano
in visibilio la platea manco stessero vedendo la madonna. Io
intanto mi appisolo, sereno. Perché evidentemente non sono l’unico
che sta impazzendo qua in giro.
Tra la proiezione e la conferenza mi
arriva una soffiata su dove si trova Michael
Caine, e scatta l’operazione selfie. Più che altro perché
è un investimento, dato che lui stesso va in giro a dire “sono
malato e tra poco vi lascio”. Michael, ti stimo e non è pé fa il
coccodrillo, ma sai com’è. Oggi sì, domani non se sa. Purtroppo
l’operazione non mi riesce. Lo portano fuori dalla lounge quattro
gorilla grossi il doppio di Vince Vaughn in
Brawl in Block Cell 99, perché deve andare in bagno e in
effetti molti dei presenti lo hanno beccato proprio al cesso, che è
un grande punto di ritrovo che accomuna star, addetti ai lavori e
comuni mortali inferiori (ogni tanto i lettori vanno sempre
insultati, ricordiamocelo). Dal cesso, tutti ci devono passare.
Però io e Michael siamo gentlemen, e tra noi gentlemen vige la
regola di non bloccare mai per nessun motivo un uomo che va a
pisciare. Quindi niente, me lo vedo passare davanti e basta, anche
perché incombono gli impegni di lavoro e mi devo allontanare. Ok,
la verità è che dovevo pisciare pure io.
Ang
Ieri ho sentito molto la mancanza di
Ang, perché in effetti alle feste ci vado con lo stesso spirito e
quindi siamo solidali l’uno con l’altro. Spesso utilizziamo una
famosa tattica militare che si trova nei testi di politica
internazionale, che si chiama ‘modalità Zoran’,
dal luogo in cui questa strategia fu messa in atto da due
irredentisti macedoni durante una battaglia. In sostanza questi
tipi si fecero vedere mentre brandivano con disinvoltura armi
davanti ai loro colleghi combattenti, e appena tutti erano
impegnati a menà come in un film con la bonanima de Bud Spencer si
sciacquavano allegramente dai coglioni.
Ecco, questa strategia a noi è molto
cara. Ma non perché siamo snob, semplicemente perché siamo due
amanti delle cose semplici (la famosa triade dormì/magnà/fa pipì),
quindi stare a informarci per raggiungere in ginocchio sui ceci un
posto che sta in culo ai lupi e forse riesci ad entrare ci sembra
davvero un’esagerazione. Invece ieri, dicevo, visto che l’invito lo
avevo e visto che per una volta la festa era in un posto
comodissimo, ho fatto un salto.
All’ingresso pronunciando la parola
magica si sono aperte le acque come se fossi Noè e sono entrata in
uno spazio temporale alienante, popolato da gente proveniente da
qualsiasi epoca, ricevendo prova che dio esiste, ma non è
classista. In tutto questo vorrei ricordarvi una cosa importante,
cioè che l’inferno deve essere invece un posto in cui esistono solo
open bar e buffet liberi, perché io mi sono sentita dannata. Sarò
banale, ma ancora rabbrividisco a vedere la gente che agli open bar
fa outing (tacito o palese non importa) sulla propria infanzia
agghiacciante, sul proprio lavoro, sul fatto che dorme ancora con
l’orsacchiotto de peluche. Così come rabbrividisco a vedere gente
normalissima che in quei posti si trasforma.
Per cui ti ritrovi a fare il trenino
su A-E-I-O-U-Y con uno che scrive magari
accanto a te in sala stampa e ti imbruttisce se ricevi una
telefonata mentre lavori, ti trovi a ballare
Flashdance con persone che te urlano
dietro se hai il pass in fila ed entri prima di loro. Perché
diventiamo solo contatto umano, quello che spesso in dieci giorni
di Lido ti manca. Ma di contatto in quei metri quadri ce n’era pure
troppo, tanto che a questo punto mi sono chiesta se non fosse un
trappolone messo in atto dagli autoctoni o da sedicenti registi di
opere prime per fare una marmellata di critici, e riempire i
cornetti del Mulino Bianco (no, non dirò i Buondì
cazzo, almeno io).
E infatti è così e col terrore negli
occhi mi allontano per fumarmi una sigaretta in pace, da sola. A un
certo punto mi si avvicina uno, che mi mitraglia di domande.
Stringo gli occhi e scuoto leggermente la testa, che universalmente
significa: “E’ inutile che ti accolli. Evapora“.
Ma lui non batte ciglio, per cui credo di capire di aver risposto
di sì a una specie di proposta in linguaggio elfico-lagunare
“ofrirajnlaejrvinoohcichetooo?” (ovvero: “bevi?”),
e mi ordina un barile di un liquame stranissimo, che considerando
che sto fumando e tengo la giacchetta dovrei essere un giocoliere
nano scappato dal Circo Togni per farcela, oppure
dovrebbe reggere tutto lui ficcandomi una cannuccia in gola. Sto
mostro della Laguna. Con i soli muscoli che riesco a muovere gli
mimo, diovirzì, che non voglio bere, voglio fumare
e possibilmente poi annà a dormì, da sola. Mi guarda incredulo,
come se tra i due lui brillasse per fascino e la deficiente fossi
io. Decido di evaporare io allora, nel modo più elegante possibile,
trattenendo quell’impeto improvviso di fargli il dito medio mi
avvio verso le mie amiche, barcollando (niente, la dignità non è
più il mio forte già dopo due cocktail) e mi levo dalle palle.
Detto questo visto che
continuavo a sentirmi poco a mio agio e pressata come una fetta di
lattuga in un hamburger mi guardo intorno con orrore, e a un certo
punto ho temuto persino che si fosse imbucato
Aronofsky e al suo tre tutta quella gente
iniziasse a sbranarmi come un pollo allo spiedo, per cui al minimo
cenno delle mie amiche di andarcene scodinzolo come un Labrador. Ci
dormo (male) su. Stamattina me facevano male pure le ciglia ma
decido di andare comunque a vedere i Manetti, e
mentre stavo per rimuovere una frase in particolare mi rievoca
l’esperienza carnaio di ieri, fa più o meno così ‘per loro
l’umanità è come a pummarola ncopp o spaghetto avvongole. Non conta
nu cazz’.
P.S. gli autori ci
tengono a sottolineare che i fatti sono spesso (ma non sempre)
romanzati a partire da cose realmente accadute, questo per
tranquillizzare qualsivoglia fan di qualsiasi attore, regista,
organizzatore di party, protettore di morti di fi*a li legga per
sbaglio, involontariamente, o mentre è al cesso, compreso
Michael Caine.
Chi lo dice che il genere dei
legal drama è un’esclusiva degli americani? Il grande
regista giapponese Kore-Eda Hirokazu presenta in
Laguna la sua ultima fatica cinematografica, The Third
Murder, che esplora il tema spinoso della giustizia e
della ricerca della verità in un’aula di tribunale.
In The Third
Murder dopo essere stato ingiustamente licenziato, il
signor Misumi Takashi (Yakusho Koji), già accusato
e condannato in passato per altri due omicidi, uccide in maniera
brutale il suo ex capo e dà fuoco al cadavere lungo il letto di un
fiume. L’efferatezza dell’assassinio e la confessione spontanea
dell’uomo, che ha già scontato trent’anni per omicidio, lo
riconducono in prigione; a causa del suo passato e quindi
dell’aggravante della recidiva, l’uomo rischia stavolta la pena
capitale. Ma qualcosa nel suo comportamento non convince Shigemori
Tomoaki (Fukuyama Masaharu), il suo avvocato –
figlio del giudice che lo aveva condannato trent’anni prima -, che
farà di tutto per difenderlo e scoprire la verità.
Il nipponico Hirokazu porta in
concorso alla Mostra del Cinema di Venezia un film
decisamente lontano dal suo stile ma non per questo meno incisivo.
Utilizzando come espediente la storia di Misumi, il regista fa una
profonda riflessione su come verità e giustizia oggigiorno non
sempre viaggino sullo stesso binario. All’interno di un carcere e
poi del tribunale, i protagonisti di The Third
Murder discutono non solo di quale sia la punizione adatta
per l’imputato ma anche, indirettamente, di cosa sia eticamente
giusto. Nonostante gli avvocati siano considerati persone senza
scrupoli pronte a tutto pur di far carriera e guadagnar soldi
difendendo anche le persone più abbiette, Shigemori si appassiona
al caso di Misumi e pian piano cerca di ricostruire il puzzle di
quella nefasta notte. Le sue indagini porteranno alla luce drammi
familiari dimenticati svelando segreti ingombranti e riaprendo così
vecchie ferite.
La narrazione è fluida e le due ore
del film scorrono senza intoppi anche se il regista, per creare la
giusta tensione emotiva, si ritrova spesso a giocare con le
inquadrature e con i prolungati silenzi interrotti solo dalla
magnifica musica di Ludovico Einaudi. Sono molte
infatti le scene di confronto tra Misumi e Shigermori in carcere i
quali, divisi solo da un vetro, passano il loro tempo a studiarsi a
vicenda più che a discutere davvero della strategia giusta per il
processo. I due protagonisti rappresentano infatti verità e
giustizia e sono le due facce della stessa medaglia; durante i
colloqui il riflesso sul vetro del viso dell’uno si sovrappone e
quasi si confonde con quello dell’altro, un espediente fin troppo
banale ma di grande effetto.
Ma quello che destabilizza è di
sicuro il finale che ci lascia sommersi dai dubbi; le dichiarazioni
dell’imputato continuano a depistarci e a non trovare riscontro
nelle scoperte fatte durante le indagini dal suo avvocato che, come
lo spettatore, non riesce a rassegnarsi all’idea di perdere in
aula, condannando così un uomo a morte certa. Ma del resto, come
dice proprio Shigemori all’inizio del processo ad uno dei suoi
associati, lo scopo di un bravo avvocato “non è trovare la
verità ma la sua versione più convincente”. Una storia, quella
di The Third Murder, dolceamara, piena di pathos e
colpi scena che aiuta a riflettere ma che ci lascia con l’anima a
brandelli.
Sky arte HD e Viva film hanno
prodotto Diva!, dedicato a Valentina
Cortese, una delle più importanti attrici italiane ancora
in vita, che ha lavorato con Fellini, Truffaut e per molti anni per
a Hollywood. 8 attrici, Barbora Bobulova, Anita Caprioli,
Carolina Crescentini, Silvia d’Amico,
Isabella Ferrari,
Anna Foglietta, Carlotta Natoli, Greta Scarano danno
voce all’autobiografia dell’attrice, scritta qualche anno fa
“Quanti sono i domani passati” in cui ripercorre andando a ritroso,
la sua vita sul set, sul palcoscenico e quella sentimentale, negli
Stati Uniti e in Italia dove ebbe una relazione burrascosa con
Giorgio Strehler.
Il documentario inizia con quella
che è forse la sua interpretazione più famosa: l’attrice italiana
nel film Effetto notte di François
Truffaut, di cui ci vengono raccontati degli aneddoti
interessanti. La vita professionale e personale ricca di colpi di
scena che viene raccontata nel libro viene riproposta sullo schermo
incarnata nelle attrici contemporanee, forse anche per testimoniare
quanto Valentina Cortese fosse molto avanti con i
tempi, curiosa e coraggiosa. L’amore per la recitazione, per il suo
mestiere emerge già dalla giovane età quando abitava a Stresa sul
lago Maggiore, organizzando spettacoli teatrali con le sue
amiche.
Il film Diva! è
vorticoso come la vita della Cortese, diva anzitempo, donna
testarda, amata da uomini forti, come Jules Dassin
e appunto Giorgio Strehler che in questo film è
interpretato da Michele Riondino che legge una
lettera che il regista del Piccolo scrisse a Valentina
Cortese e che testimonia come la loro fosse una relazione
tra due persone di carattere forte un tiro alla fine in cui i
compromessi erano essenziali per restare in equilibrio e andare
avanti.
Il regista Francesco
Patierno che debuttò nel 2002 al Festival di Berlino con
Pater Familias da tempo si dedica al documentario,
ha realizzato La guerra dei vulcani sulla storia
di amore e tradimento del triangolo Rossellini-Magnani-Bergman e
l’anno scorso ha portato alla Festa del cinema di Roma il
documentario d’archivio Napoli ‘44 sul
bombardamento della città partenopea realizzato con la
collaborazione di Benedict Cumberbatch. Dal 2012 è presidente di
Venezia Classici, la sezione del Festival dedicata ai restauri dei
film classici. Diva! è stato presentato come
proiezione speciale al Festival del cinema di Venezia 74 e sarà
mandato in onda su Sky Arte HD a dicembre.
Sweet country, un
western lentissimo, con tutti i canoni di questo genere, ma
trasportato nella terra dei canguri. Una vicenda di razzismo,
intolleranza e ignoranza, non troppo distante in fondo da quello
che succede ai nostri giorni.
Sweet country, la trama
Nel 1929, in una regione brulla e
inospitale del nord dell’Australia, i nativi aborigeni vengono
sfruttati e impiegati per lavori umili e massacranti a supporto dei
coloni bianchi, degli stolti bifolchi che vivono di bestiame. Uno
di questi aborigeni, Sam, uccide per difesa della propria
famiglia un proprietario terriero bianco, Harry March. Si trova
così costretto a fuggire insieme alla moglie Lizzie. Ma dopo un
lungo periodo di latitanza scopre che la donna aspetta un bambino,
in conseguenza dello stupro subito dall’uomo da lui ucciso. Per
proteggerla si consegna alla giustizia, affrontando un lungo
processo affidato al giudice Taylor.
Warwick Thornton
il regista, spiega che il film non è frutto di fantasia: “Il
film è basato su una vera storia, raccontatami dallo scrittore
David Tranter, dell’aborigeno Wilaberta Jack, che negli anni venti
fu arrestato e processato per l’omicidio di un uomo bianco nella
Central Australia. Wilaberta Jack è Sam, diventato un personaggio
indipendente, con una sua storia. Se Sam è il cardine della trama
su cui tutto ruota, la vicenda riguarda anche Philomac, giovane
aborigeno di quattordici anni, che vive in una fattoria e sta per
diventare adulto, mentre si ritrova coinvolto nella rivoluzione
sociale e nel conflitto culturale della vita di frontiera nella
Central Australia degli anni venti.”
Sweet Country
girato nella catena montuosa delle MacDonnell Ranges, vicino ad
Alice Springs è un western tipico, caratterizzato da tutti quegli
elementi che rendono riconoscibile il genere: la terra di
frontiera, la sopraffazione delle popolazioni indigene locali,
l’arroganza e la sfrontatezza dei colonizzatori, i panorami
mozzafiato che caratterizzano una terra bellissima quanto ostile,
il continuo confronto con la natura.
E il regista afferma di
aver voluto costruire proprio un western per cercare di avvicinare
di più il pubblico alla storia e ai contenuti che voleva
sottolineare, creando una sorta di favola per descrivere
l’oppressione e la sopraffazione di un popolo.
Sweet Country
purtroppo non presenta nulla di originale, ha dei tempi
estremamente dilatati e non riesce mai a coinvolgere completamente,
avanza in maniera stanca verso il processo finale, raccontando
fatti ormai già visti e abusati nel cinema. Non basta sapere che si
tratta di una storia vera, per quanto ingiusta e tragica possa
essere, per mantenere alta l’attenzione.
Netflix ha diffuso il trailer
di Mudbound, il nuovo film originale diretto
da Dee Rees presentato al Sundance Film
Festival 2017. Nel cast Carey Mulligan, Jason
Clarke, Rob Morgan, Mary J. Blige e Garrett
Hedlund.
Mudbound sarà disponibile
in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo a partire dal
17 Novembre 2017.
Mudbound, trama
Ambientato tra le campagne degli
Stati Uniti meridionali durante la Seconda Guerra Mondiale,
Mudbound è la storia epica di due
famiglie, messe l’una contro l’altra da una gerarchia sociale
spietata, eppure legate dalla terra che lavorano: il Delta del
Mississippi.
Mudbound
segue le vicende della famiglia McAllan, che si è da poco
trasferita in Mississippi dalla tranquilla città di Memphis e non è
preparata alle difficoltà della vita di campagna. Nonostante i
sogni grandiosi di Henry (Jason Clarke), sua moglie Laura (Carey
Mulligan) continua a credere nei progetti senza speranze di suo
marito.
Nel frattempo, Hap e Florence
Jackson (Rob Morgan, Mary J. Blige) – mezzadri che hanno lavorato
la terra per intere generazioni – lottano con coraggio per
realizzare i propri sogni nonostante le rigide barriere sociali che
devono affrontare.
La guerra stravolge i piani di
entrambe le famiglie, mentre i loro cari appena tornati, Jamie
McAllan (Garrett Hedlund) e Ronsel Jackson (Jason Mitchell),
stringono un’amicizia difficile, che sfiderà la brutale realtà in
cui vivono: il Sud delle Leggi Jim Crow.
Esce il prossimo 7 settembre
Miss Sloane – giochi di potere, film diretto
da John Madden, il regista del film premio
Oscar Shakespeare in Love (1998). La pellicola sceglie di
raccontare l’inusuale mondo delle lobby politiche, ponendosi a metà
strada tra il genere del politic drama e quello del thriller
imprevedibile.
Elizabeth Sloane (Jessica
Chastain) è una lobbista di Washington abituata a
vincere le sue cause con qualsiasi mezzo possibile. Algida e
cinica, non prova troppi rimorsi nell’utilizzare i sentimenti delle
persone affinché possano servire ai suoi scopi. Proprio per la sua
freddezza, le viene fatta un’offerta vantaggiosa
nientepopodimeno che dalla lobby delle armi, affinché promuova la
loro causa tra l’elettorato femminile. Più per sfida che per motivi
etici, Miss Sloane deciderà di schierarsi con
l’opposizione, lavorando per una società che sta cercando di far
approvare un disegno di legge che ponga un più severo controllo
sulle armi.
Il ruolo, a detta del
regista, è stato pensato appositamente per la Chastain, che difatti regge su di sé l’intero
film. L’attrice è riuscita a rendere in maniera perfetta questa
figura di donna in carriera “assolutista”, che non contempla i
sentimenti o il rispetto altrui non tanto perché non è capace di
provarli, quanto perché li considera un cattivo investimento.
Elizabeth Sloane è una stratega, e in quanto tale prevede e
anticipa le mosse degli avversari. Talmente bene che l’apparente
impossibilità di opporsi alla lobby delle armi, è una sfida alla
quale non può sottrarsi. Nonostante i rischi che questa comporti e
che infatti metteranno a repentaglio la sua carriera.
Il punto debole del film risiede
nella scelta avventata di aver dato carta bianca ad un solo ed
inesperto sceneggiatore: l’inglese Jonathan
Pereira. Al suo primo copione, Pereira
concepisce una storia che prende spunto da un avvenimento di
cronaca reale, quello di un lobbista finito in prigione per un
illecito. Il suo limite sta nel voler strafare. Lo sceneggiatore
mette troppa carne al fuoco, infarcendo il film di paroloni tecnici
e svariate sotto-trame che male si conciliano col ritmo
serratissimo, tipico dei film di spionaggio.
Per i primi venti minuti si segue
una storia, quella dell’andamento di mercato relativo all’olio di
palma, che apparentemente non c’entra nulla con le restanti due
ore. Il tono del film è altalenante: inizialmente
scende nel tedio delle tematiche burocratico-politiche, poi
si fa più incalzante, quasi frenetico, nel seguire le lotte tra
speculatori a suon colpi di scena (telefonatissimi).
Il più grande difetto di
Miss Sloane – giochi di potere è di essere un film
che parla un suo linguaggio e non si preoccupa che questo possa
essere compreso da altri. Ammesso e non concesso che lo spettatore
mastichi termini di macroeconomia ( più o meno universalmente
riconosciuti), non è plausibile che si conosca altrettanto bene la
scienza politica made in USA, costante imprescindibile di queste
due ore di film. E se nonostante ciò è encomiabile il labile
tentativo di critica nei confronti dell’ormai vetusta costituzione
americana (su tutti, il secondo emendamento, che sancisce il
diritto di possedere armi), rimane lampante l’ambiguitá
tipica statunitense che giustifica e promuove leggi scritte due
secoli fa.
Così Miss Sloane,
che vorrebbe parlare – se non provocare – riguardo al tema della
libera detenzione delle armi e delle stragi fatte in sua
causa, in realtà si esprime in termini volutamente poco
comprensibili. Su un tema analogo si veda il più accattivante e,
nella sua irriverenza, azzeccato Thank You For
Smoking (2005).
Ecco il primo trailer
di The Man Who Invented Christmas, biopic con
Dan Stevens nei panni di Charles
Dickens. Di seguito il video:
La pellicola, la cui
sceneggiatura è firmata da Susan
Coyle (Mozart in The
Jungle) racconta la figura di Charles
Dickens da un punto di vista più umano e
complesso.
Queste le dichiarazioni
di Stevens sulla pellicola:
“È qualcosa di intrigante e
divertente. Ho pensato che fosse una ventata di aria fresca,
soprattutto in Inghilterra dove Dickens è posto su un piedistallo.
Ma il ragazzo era in alcuni momenti infantile e giocoso e in
altri un po’ oscuro e poco piacevole.”
Ecco la prima immagine ufficiale di
Rami Malek nei panni di Freddie
Mercury per il biopic Bohemian
Rhapsody, che sarà diretto da Bryan
Singer.
A dirigere Bohemian
Rhapsody è stato chiamato Bryan
Singer, che conferma ufficialmente la sua partecipazione
al progetto dopo una lunga trattativa. Bryan
May e Roger Taylor, membri
dei Queen, saranno i produttori esecutivi.
Questo coinvolgimento potrebbe portare dei problemi di lavorazione,
data la vicinanza emotiva dei due al materiale originale.
Il ruolo di Freddie
Mercury, per molto tempo passato dalle mani di
Sacha Baron Cohen a quelle di Ben
Wishaw, è arrivato adesso all’attore che forse riuscirà a
rendere giustizia alla grande personalità del cantante e musicista
prematuramente scomparso nel 1995. Rami Malek ha
raggiunto la notorietà grazie a Mr. Robot, serie
premiata e arrivata alla terza stagione. Oltre a Rami Malek, che
interpreterà Freddie Mercury, in Bohemian
Rhapsody ci saranno Ben Hardy, che
sarà il batterista Roger Taylor, Gwilym
Lee il chitarrista Brian May e
Joe Mazzello sarà invece il bassista John
Deacon. Il film è diretto da Bryan
Singer.
Bohemian Rhapsody, recensione del film
con Rami Malek
Sono state diffuse nuove immagini da
Miss Sloane, il film con Jessica
Chastain in arrivo al cinema il 7 settembre prossimo.
Eccole di seguito: [nggallery id=3166]
John
Madden ha diretto successi cinematografici internazionali,
come “Ritorno al Marigold Hotel”, “Il Mandolino del Capitano
Corelli” e “Shakespeare in Love” per il quale è stato candidato al
Premio Oscar come miglior regia nel 1999.
Nel mondo dei power-broker
e dei mediatori politici, dove le poste in gioco sono altissime,
Elizabeth Sloane (Jessica Chastain) è una lobbista straordinaria,
la più ricercata a Washington. Famosa per la sua astuzia e una
lunga storia di successi, ha sempre fatto qualsiasi cosa per
vincere, ma quando deve affrontare l’avversario più potente della
sua carriera, scopre che la vittoria può costarle un prezzo troppo
alto.
Dopo Miller e Lord,
che hanno lasciato la regia di Han Solo a produzione inoltrata,
anche Colin Trevorrow lascia un progetto alla
Lucasfilm: Star
Wars Episodio IX.
Il regista era stato scelto per
dirigere il capitolo conclusivo della nuova trilogia, ma un
comunicato della Studio ha annunciato che entrambe le parti sono
state d’accordo a togliere la regia del film a Trevorrow a causa di
“differenti visioni per il progetto”.
Colin Trevorrow lascia la regia di
Star Wars Episodio XIII
Al momento le riprese sono previste
per Gennaio 2018, ma a questo punto ci aspettiamo uno slittamento.
Intanto già fioccano i nomi per sostituire Trevorrow e tra questi
spiccano JJ Abrams e Rian
Johnson, i registi di Episodio VII e VIII.
Il prossimo appuntamento con la saga
è a dicembre con l’Episodio VIII. Il
filmsarà diretto da Rian
Johnson e arriverà al cinema il 15 dicembre 2017. Il film
racconterà le vicende immediatamente successive a Il
Risveglio della Forza.
Non solo film e sezioni, ma anche
abiti, ospiti, eleganza e originalità. Anche questo è
Venezia 74 e ve lo mostriamo in alcuni scatti
realizzati durante la Mostra sul tappeto rosso che porta alla
Sala Grande, dove viene presentata la magia del
cinema. [nggallery id=3163]
Esce venerdì 8 settembre The
Devil’s Candy, un nuovo film prodotto dalla
Midnight Factory. Questa piccola casa di
distribuzione, nata da una cellula della Koch Media
Italia, è relativamente nuova nel settore, ma vanta il
merito di avere come obiettivo primario quello di portare in Italia
film poco conosciuti, pellicole indipendenti e classici del passato
rimasterizzati… il tutto, rigorosamente di genere horror.
Grazie alla Midnight
Factory abbiamo potuto godere anche in Italia di ottime
opere come Babadook, ItFollows, The Invitation,
Somnia e molti altri. Questo autunno ci porta sui
grandi schermi The Devil’s Candy, nuovo film di
Sean Byrne, qui alla sua seconda opera dopo il
discreto The Loved Ones (2009).
La storia gira attorno ad una
famigliola americana piuttosto sui generis. Mamma, papà e
figlioletta sono infatti fan sfegatati della musica heavy metal,
genere di per sé poco rilassante. Sulle note vibranti di
Killing Inside dei Cavalera
Conspiracy si recano a comprare la loro nuova casa. Che
manco a dirlo risulta avere qualcosa che non va, e li farà
imbattere in strani avvenimenti provocati dall’inquietante ex
inquilino della magione (Pruitt Taylor Vince).
Il suono ha una parte
molto importante. La pellicola si apre con accordi sconnessi ma
assordanti di una Gibson Flying V (la chitarra più
amata dai musicisti “dannati”: da Jimi Hendrix ad Eddie Van Halen,
passando per Keith Richards), che per altro riveste un ruolo
simbolico piuttosto interessante. Lo strumento, nella sua variante
rosso fuoco, è spesso accostato al crocifisso capovolto, lungo
tutta la durata del film.
Sembra che la trama sia stata in
parte ispirata alla leggenda secondo cui il musicista Robert
Johnson avesse fatto un patto col diavolo per diventare il miglior
chitarrista vivente.
Contrariamente a quanto vuole a
tutti i costi dimostrare, The Davil’s Candy non è
un film particolarmente innovativo. Classico horror su una casa
stregata, risulta essere piuttosto un Amityville in salsa metal.
Non brilla per colpi di scena o per trovate narrative, ma nella sua
prosaicità è comunque un prodotto dignitoso.
È apprezzabile lo sforzo di questo
piccolo film indipendente, per esempio nell’uso di un linguaggio
visivo simbolico: un protagonista dannato con le fattezze del
Messia; l’uso frequente del colore rosso come riferimento alla
tentazione e al peccato; la pittura come mezzo attraverso cui parla
la nostra anima.
Ma la sensazione che l’uso di una
colonna sonora così particolare sia solo uno specchietto per le
allodole (per attirare quella particolare fetta di fan), è forte e
persistente.
Per chi ama questo genere di musica,
o per chi ama la musica e basta, si veda la commedia
Tenacius D e il Destino del Rock.
Lucky Red ha diffuso il trailer
ufficiale di L’incredibile vita di Norman, il
film di JOSEPH CEDAR con protagonisti
nel cast Richard Gere, Steve Buscemi,
Charlotte Gainsbourg, Lior Ashkenazi e Michael Sheen.
Se chiedi a Norman Opphennaimer
quale sia il suo mestiere la risposta sarà “se le serve qualcosa io
gliela trovo!”. Con una delle migliori interpretazioni di sempre,
Richard Gere è Norman, un navigato affarista di New York alla
disperata ricerca di attenzioni e amicizie che possano cambiargli
la vita. La sua è una corsa continua a soddisfare i bisogni degli
altri nella speranza di trovare un giorno rispetto e riconoscimento
da sempre desiderati. Quando viene eletto Primo Ministro un uomo a
cui anni prima Norman aveva fatto un favore, quel giorno che
tanto aveva desiderato sembra finalmente arrivato. Ma sarà davvero
come lo immaginava?
L’incredibile vita di
Norman è una commedia intelligente e profonda
sull’importanza delle relazioni e sul bisogno di contare
col quale prima o poi tutti nella vita facciamo i
conti.