Discostandosi totalmente dal
documentario poetico di Werner Herzog e dalla visionarietà
di Wim Wenders, il regista Christian Petzold, uno
degli autori più influenti del nuovo cinema tedesco contemporaneo,
in La scelta di Barbara tesse una storia intensa
ed introspettiva, dove il realismo e le emozioni divengono i punti
focali di una vicenda in cui gli eventi storici vengono
sapientemente e volutamente tenuti sullo sfondo, permettendo alla
psicologia e ai rapporti dei personaggi di emergere e di
svilupparsi.
In La scelta di
Barbara nella Germania Est del 1980 Barbara è un medico
pediatra che, a causa di una richiesta di espatrio, viene mandata
per punizione in un piccolo ospedale di campagna, sotto controllo
della Stasi, la polizia segreta. Mentre il fidanzato Jörg organizza
la sua fuga verso l’Ovest, Barbara intraprende rapporti freddi e
distaccati con i colleghi dell’ospedale, fino a quando l’incontro
con André, giovane medico collaborazionista delle forze segrete,
metterà in crisi le sue certezze e la sua vita. Mentre il giorno
della fuga si avvicina, Barbara è divisa tra i sentimenti per André
e le cure per una giovane ragazza incinta, fuggita da un campo di
rieducazione.
La scelta di Barbara, il film
Praticamente sconosciuto al grande
pubblico, ma molto apprezzato in patria e nei festival maggiori,
Petzold, supportato dalla sceneggiatura di Harun
Farocki, dirige con garbo una storia in cui la lentezza e la
dilatazione temporale degli eventi inducono a riflettere e ad
interrogarsi su tematiche molto complesse che vanno dalla
persecuzione politica fino ai rapporti interpersonali e alle
conseguenze delle proprie scelte. Ed è proprio questa tecnica
narrativa estremamente diluita e pacata che purtroppo a volte
può risultare difficile da assimilare per un pubblico abituato ai
frenetici ritmi del cinema americano. Pesantemente influenzato da
Acque del sud di Howard Hawsk e dal ciclo di
Germania in autunno, La scelta di
Barbara è un quadro reale e fedele di una Germania spaccata
in due, sia topograficamente che socialmente, dove sono proprio i
singoli personaggi a diventare archetipi di un intero popolo.
Straordinaria performance di Nina Hoss che riesce
a rendere mirabilmente il carattere freddo e controllato di
Barbara, per poi lasciar scoprire il suo lato umano celato.
Oltremodo superbo è Ronald Zehfeld, che nei panni di André
si torva a dover impersonare un ruolo di voltafaccia mosso in
realtà da profondi sentimenti d’amore. La fotografia di Hans
Fromm, estremamente vivida e luminosa, si discosta totalmente
dalla fredda estetica anni ’80 del cinema politico di Klüge,
Von Trotta e Fassbinder, concedendo all’opera il tono
di una fiaba per adulti. Il commento musicale di Stefan Will
è minimale, lasciando spazio ai lunghi silenzi eloquenti e alle
sonorità poetiche dell’ambiente. Le scenografie estremamente
realistiche ed essenziali di Kade Gruber e i costumi di
Anette Guther testimoniano un massiccio e maniacale lavoro
di ricostruzione storica, che non fa altro che aggiungere lode ad
un film intelligente e riflessivo, dove appunto è la scelta di
Barbara l’unica a poter cambiare veramente le cose.