Aki Kaurismäki –
Chi ha detto che il grande cinema europeo è solo francese,
italiano, tedesco? Il regista di cui parliamo è un esempio perfetto
per confutare questa teoria. La sua terra è la Finlandia. Ed è per
questo che sulla sua passione per il cinema d’autore (in special
modo quello francese della Nouvelle Vague) ha innestato
una sensibilità tipicamente nordica.
Il suo sguardo si sofferma sulle
condizioni umane più disperate, sugli ultimi, con un velo di
malinconia, ma senza rinunciare a ironia e leggerezza, seguendo in
questo la lezione di Chaplin – unico, ha affermato, in grado di
coniugare perfettamente tragico e comico. Ed è proprio l’ottimo uso
che Kaurismäki riesce a fare della “forza sbilenca dell’ironia” –
per dirla con Paolo Sorrentino – unita a un tocco di surrealismo,
che gli consente di creare personaggi stravaganti e situazioni
quantomeno singolari, che rendono i suoi lavori originali.
Nel 2002 conquistò Festival di
Cannes con quello che, ad oggi, è forse il suo
capolavoro: L’uomo senza passato, che gli valse in
quella sede il Premio Speciale della Giuria. È tornato a
Festival di
Cannes 2011 a presentare la sua ultima fatica,
Miracolo a Le Havre, che approda ora nelle
sale italiane, avendo già riscosso ampi apprezzamenti dalla
critica. E il 25 novembre sarà qui in Italia, al Torino Film
Festival, che lo omaggerà con il suo Gran Premio.
Stiamo parlando di Aki
Kaurismäki, classe ’57, regista e fondatore, assieme al
fratello Mika, della casa di produzione e distribuzione
cinematografica Villealpha Filmproductions. Nasce in campagna, a
Orimattila, ma presto si trasferisce nella capitale finlandese,
dove da ragazzo sbarca il lunario facendo i mestieri più disparati
e coltiva la passione per il cinema. Il primo lavoro che fa
seriamente in questo campo è il critico cinematografico. Ben
presto, nei primi anni ’80, decide di iniziare a fare film, assieme
al fratello Mika. A questo scopo i due fondano la succitata
Villealpha (il cui nome s’ispira al film
Alphaville di Jean-Luc Godard).
Si danno così alla produzione di pellicole a basso budget.
L’esordio è con un film-documentario: La sindrome del lago
Saimaa (1981), girato con Mika, e che evidenzia un’altra
passione di Aki Kaurismäki, quella per la musica.
Essa è infatti al centro di questo, come di futuri suoi lavori. Due
anni dopo, il nostro regista si dà a una rilettura di
Delitto e castigo. Nel 1986, i fratelli Kaurismäki
danno vita a un altro progetto: il Midnight Sun Film
Festival. Si tratta della rassegna cinematografica
più a nord del pianeta. Ha luogo infatti a Sodankyla, in
Lapponia.
Aki Kaurismäki: realismo
nichilista, umorismo e stravaganza
Nell’ ’87 Aki non si lascia
sfuggire l’occasione di rivisitare un altro classico della
letteratura con il suo Amleto si mette in affari.
La tragedia del principe di Danimarca diventa l’occasione di
un’analisi del capitalismo e delle sue storture. Due anni più
tardi, dirige La fiammiferaia, storia di
solitudine, desolazione e nichilismo, con cui ci introduce nel
mondo delle classi sociali più svantaggiate, grazie al personaggio
di Iris. Ad interpretare perfettamente questa giovane operaia di
una fabbrica di fiammiferi, senza legami affettivi, che colleziona
delusioni, e infine si vendica, è Kati Outinen. L’attrice
parteciperà poi a quasi tutti i film del regista. Le tecniche e lo
stile di Aki Kaurismäki sono quelli che lo
renderanno celebre: essenzialità, assenza totale di retorica,
prevalenza dell’elemento visivo.
Ma l’89 è anche l’anno di
Leningrad Cowboys go to America, che riporta
Aki Kaurismäki sul sentiero della musica. La
bislacca band citata nel titolo, dall’aspetto stravagante, sarà la
protagonista sia di questa grottesca pellicola on the road – che
vede anche la partecipazione di Jim Jarmush nel
ruolo di un venditore di auto usate – che del successivo
Lenningrad Cowboys meet Moses (1994). È però a
questo primo film che il gruppo finlandese deve molta della sua
popolarità. Il loro rocambolesco viaggio attraverso l’America si
dipana tra incontri con figure marginali in una società ostile e
respingente. Nel 1993 Aki Kaurismäki sarà per i
Leningrad Cowboys una sorta di “Pennebaker finnico”. Come l’autore
dei celebri film-documentari su Dylan, Depeche Mode,
David
Bowie, il regista filmerà infatti il concerto-evento
del gruppo finlandese a Helsinki, che li vedrà esibirsi assieme al
Coro dell’Armata Rossa davanti a 70.000 persone (Total
Balalaika Show). Un modo questo del nostro regista di
omaggiare una delle sue passioni.
Sul grande schermo invece, arriva
nel ’90 una delle sue commedie tristi ed esilaranti insieme,
dall’intreccio a dir poco singolare: Ho affittato un
killer. Protagonista è Jean-Pierre Léaud,
noto volto delle pellicole di Truffaut, che qui, incapace di
suicidarsi dopo aver perso il lavoro nell’Inghilterra thatcheriana,
assolda un killer che lo uccida (Kenneth Connely), ma cambia idea e
passa il tempo a fuggire dal proprio assassino. Non possono che
seguire una serie di stravaganti avventure. Nel cast anche Joe
Strummer.
Kaurismäki torna poi a confrontarsi
con letteratura e musica, dirigendo nel ’92 la sua Vita da
Bohème, ispirata sì dal romanzo di Henry Murger messo in
musica da Puccini, ma la spoglia di ogni romanticismo, la condisce
con l’umorismo e sceglie la chiave della scarna freddezza nordica
per racconto e recitazione. Musiche di Mozart e valzer. Nel cast
ritroviamo Léaud nel ruolo di Blancheron, mentre André Wilms
interpreta Marcel e Matti Pellonpaa è Rodolfo.
Nel ’94 con
Tatjana, e poi con i successivi film, Kaurismaki
torna ad esplorare l’universo proletario e le sue miserie,
che ci illuminano sulle dinamiche della società occidentale. Torna
nel mondo desolato e apparentemente senza speranza che più ama
raccontare, con una storia ambientata negli anni ’60 e quattro
protagonisti: Tatjana/Kati Outinen, una ragazza estone, Klavdia,
una russa, e i due giovani finlandesi che danno loro un passaggio
(Valto/Mato Valtonen e Reino/Matti Pellonpaa), mentre procedono in
un viaggio senza meta. L’incomunicabilità regna sovrana e i
dialoghi sono quasi assenti. Il regista sceglie il bianco e nero,
al solito predilige l’essenzialità e una punta d’ironia nel
descrivere queste solitudini che s’incontrano e non sanno come
rapportarsi le une alle altre.
Speranza nonostante l’apparente
nichilismo, la desolazione e i toni freddi è ciò che
contraddistingue il successivo Nuvole in viaggio,
primo lavoro di una trilogia dedicata dal regista al suo paese. Qui
si affronta il tema della disoccupazione. I protagonisti
(Lauri/Kari Väänänen e Ilona/Kati Outinen) sono due tranquilli
lavoratori finnici, lui alle ferrovie, lei in un ristorante, che
perdono il lavoro. Alla fine, nonostante tutto, troveranno in sé
stessi il coraggio per affrontare questa difficile situazione e
ricostruirsi una vita, pur tra mille difficoltà.
Dopo essersi cimentato anche col
cinema muto con Juha (1999), portando all’estremo
la sua ricerca dell’essenzialità, nel 2002 Aki
Kaurismäki ci regala lo straordinario L’uomo senza
passato, secondo capitolo della trilogia, che affronta il
tema dei senzatetto, ma anche e soprattutto quello della dignità
umana, troppo spesso tenuta in scarsissimo conto dall’attuale
società occidentale. La dignità è ciò che cerca di mantenere il
protagonista del film, M./Markku Peltola, che ha perso la memoria
in seguito a un’aggressione. Sulla sua strada incontrerà chi vorrà
approfittare della sua condizione, ma anche chi non esiterà ad
aiutarlo dandogli la possibilità di ricostruirsi una vita, e
saranno una famiglia di emarginati e una donna dell’Esercito della
Salvezza (Irma/Kati Outinen). La prova degli attori è in perfetta
armonia con la direzione di Aki, scarna ed essenziale, e dà
spessore a ogni sequenza puntando sull’intensità dello sguardo, del
gesto, resi ancor più significativi dai ritmi lenti e meditativi.
Seppure il talento, l’originalità e la stravaganza del regista
finlandese avevano già attirato l’attenzione della critica, che si
era espressa più volte in suo favore, con quest’opera egli
raggiunge la massima fama. La presenta infatti al Festival di
Cannes, dove ottiene il Premio Speciale della Giuria,
mentre Kati Outinen per la sua vivida interpretazione di Irma,
porta a casa la Palma d’Oro come Miglior Attrice.
Nel 2006 esce Le luci della
sera, ultimo capitolo della trilogia dedicata alla
Finlandia che, dopo disoccupazione e senzatetto, affronta il tema
della solitudine, caro a Aki Kaurismäki. Il
protagonista, Koistinen/Janne Hyytiainen, è infatti un tipico
personaggio dei film di Aki: un uomo solo, che non sa come
comportarsi quando questa solitudine sembra rompersi, per l’arrivo
nella sua esistenza di un’avvenente bionda, di cui s’innamora. In
realtà, si tratta di un’esca, e Koistinen verrà coinvolto in una
rapina. Dunque ancora esseri solitari che si scontrano con una
società ostile, pronta solo ad usarli. Uno sguardo disincantato
sulla realtà e per nulla consolatorio, con lo stile diretto e
scarno che è la firma del regista.
Nel 2011 esce invece
Miracolo a Le Havre, dove Aki
Kaurismäki ritrova molti dei “suoi” attori. Andrè Wilms
interpreta un anziano lustrascarpe, Marcel Marx, la cui vita cambia
improvvisamente quando la moglie Arletty/Kati Outinen si ammala e
quando incontra un bambino africano clandestino, che decide di
aiutare. Anche in questo caso il regista finlandese non rinuncia a
mostrarci una storia di solidarietà fra individui ai margini della
società, suggerendo che sono proprio queste luci a poter
rischiarare tempi oscuri come quelli che viviamo. La pellicola ha
ottenuto buone critiche a Cannes, dov’è stata presentata, ed è
nelle sale italiane dal 25 novembre.