A tutti gli appassionati delle
avventure di Altair, Ezio e del nuovo arrivato Connor la notizia
piacerà senz’altro. Stiamo parlando del famosissimo gioco della
Ubisoft, Assassin’s
Creed e della sua trasposizione
cinematografica.
La scorsa estate l’attore Michael Fassbender si è
associato al progetto come protagonista e produttore. Adesso la
Ubisoft, in partnership con la New Regency e la 20th Century Fox,
ha stabilito delle scadene per portare avanti il progetto. Entro
l’estate 2013 si dovrebbe quindi avere un nome per la regia e una
sceneggiatura. A questo scopo è stato assunto Michael Lesslie, che
avrà sulle spalle tantissime aspettative, non solo da parte della
produzione ma soprattutto da parte dei fan, che non tollererebbero
uno scempio di un tale gioiello di home entertainment.
La storia ruote intorno a Desmond (Fassbender) che scopre di
essere il discendente degli Assassini quando viene rapito da una
società segreta che a sua volta discende dai Cavalieri Templari.
Fonte: WP
Arriva finalmente la
conferma dalla Universal che l’adattamento atteso di 50
sfumature di grigio uscirà nel 2014. L’annuncio arriva dal
presidente in persona Adam Fogelson,
A gennaio 2012 Kiefer
Sutherland rivelò che le riprese di 24: The
Movie sarebbero cominciate ad aprile 2012. Questo non
è avvenuto, prevalentemente perchè
Il film di fantascienza post-apocalittico di Ridley Scott, The Dog
Stars, uscirà nel 2026. Con Jacob Elordi (Euphoria), Josh Brolin (Dune) e Margaret Qualley (The
Substance), il prossimo film del regista di Il
gladiatore è tratto dall’omonimo romanzo di Peter Heller del
2012. Con una sceneggiatura di Mark L. Smith, autore di
Twisters, il film è ambientato all’indomani di una
catastrofica epidemia influenzale che ha quasi spazzato via
l’umanità.
Secondo Variety, The Dog Stars uscirà il 27 marzo 2026,
con le riprese attualmente in corso. Questo aggiornamento arriva
dopo che la Disney ha riprogrammato diversi dei suoi progetti, tra
cui entrambi i film degli Avengers. Il film di Scott è
prodotto dalla 20th Century Studios.
Cosa significa questo per The Dog Stars
Scott ha diversi progetti in cantiere in varie fasi di sviluppo.
The Dog Stars, che dovrebbe essere il prossimo, arriverà in
primavera. In precedenza, era stato riferito che il regista
avrebbe provato a cimentarsi in un film biografico sui Bee Gees
dopo il film con Elordi. Nel frattempo, il regista sta anche
sviluppando un terzo film di Gladiator e un nuovo film di
Alien, anche se al momento non si conoscono i progressi.
The Dog Stars è stato annunciato nel novembre 2024, in
anticipo rispetto all’uscita di Gladiator II, il che rende
il tempo tra l’annuncio e l’uscita piuttosto breve,
considerando che molti progetti richiedono anni per essere
realizzati. Oltre ai tre protagonisti, il cast corale ha
recentemente aggiunto Benedict Wong per un ruolo ancora
sconosciuto.
Sebbene i dettagli siano ancora segreti, il film segue Hig
(Elordi), un pilota civile, e un ex marine (Brolin), che affrontano
degli invasori e la speranza di una vita migliore al di fuori del
loro attuale luogo di residenza.
Se il sequel di Superman con Henry Cavill fosse mai stato realizzato, il
DCEU avrebbe esplorato le paure dell’Uomo
d’Acciaio, secondo il regista di Mission:
Impossible, Christopher McQuarrie.
Uno degli aspetti più noti della
cronologia cinematografica del DCEU sono stati i numerosi film in
fase di sviluppo che non si sono mai concretizzati. Quando si è
trattato della versione di Superman di Cavill,
c’erano stati vari piani su cosa fare con la sua interpretazione
dell’Uomo d’Acciaio. Nell’ultimo episodio di Happy, Sad,
Confused, a McQuarrie è stato chiesto delle idee che aveva per
un film di Superman con Cavill, dopo aver lavorato
con la star britannica in Mission: Impossible – Fallout. Secondo
McQuarrie, il sequel di Superman con Cavill
avrebbe esplorato lati più profondi dell’icona DC, dato che
l’attore de L’Uomo d’Acciaio aveva anche condiviso
alcuni suggerimenti sulla direzione da dare al personaggio:
E poi, come si fa con Superman?
Henry aveva già dato un’idea. Mi sono improvvisamente reso conto di
come questi due personaggi avessero queste incredibili somiglianze,
che hanno anche permesso un conflitto incredibile e una risoluzione
straordinaria che ha ampliato l’universo.
Ma vi racconterò i primi cinque
minuti del mio film di Superman, che era… immaginate Up della
Pixar, una sequenza senza dialoghi che trattava proprio quel
personaggio nei primi cinque minuti. I primi cinque minuti del film
erano un’introduzione, dopo la quale si capiva esattamente cosa
spingeva Superman, e esattamente di cosa aveva più paura, e perché
Superman aveva fatto le scelte che aveva fatto, e sarebbe stato
epico. Sarebbe stato epico, in cinque minuti, la portata del film
sarebbe stata assolutamente straordinaria. L’altra cosa, e spero
che chiunque guardi questo film, che si goda il finale di questo
film [Mission: Impossible – The Final Reckoning], sia la sensazione
che vorrei che vi lasciaste, perché è proprio questo che
rappresenta Superman. È speranza, è fonte di ispirazione, e la
gioia che crea.
È THR a rivelare che il
protagonista del nuovo film di
Paul Thomas Anderson sarà Cooper
Hoffman, nientemeno che il figlio di Philip
Seymour Hoffman, collaboratore e amico del regista,
scomparso prematuramente nel 2014.
Per molto tempo non si è saputo
niente del film se non che era ambientato negli anni ’70 e
raccontava di un giovane protagonista, uno studente delle superiori
che è anche un attore bambino di successo. Ora sappiamo che il
figlio diciassettenne dell’attore vincitore dell’Oscar è stato
scelto per questo ruolo.
Recentemente è stato rivelato che
anche Benny Safdie, uno dei fratelli Safdie, che
ha intervistato Anderson lo scorso anno in un ampio podcast, si era
unito al film. THR aggiunge anche ulteriori dettagli, incluso il
fatto che il film senza titolo è fondamentalmente una storia di
formazione, ma coinvolgerà più trame, il che dà credito al paragone
con Altman.
THR dice che il personaggio di
Cooper Hoffman, che sarà comunque il protagonista,
apparirà in più storie, proprio come accade in Magnolia, ma con un
personaggio più centrale rispetto agli altri. Alana
Haim della band pop di Los Angeles Haim – Anderson ha
girato molti dei loro video musicali – è stata recentemente
avvistata sul set del film.
Philip Seymour Hoffman è apparso in
cinque dei film di Anderson, tra cui Hard Eight,
Boogie Nights, Ubriaco d’amore, The Master e
Magnolia.
Arriva anche in Italia Il
figlio di Babbo Natale, film d’animazione della Sony,
ormai consolidatasi nel campo dell’animazione CGI dopo i successi
di Piovono polpette e l’ultimo
I Puffi. Questa volta la divisione animation del
colosso giapponese si confronta con l’evento più atteso dai bambini
di tutto il mondo: il Natale, e lo fa con un’operazione
riuscitissima su tutta la linea.
La storia di Il figlio di
Babbo Natale ruota intorno ad un punto di partenza
decisamente vincente ovvero la divertente rappresentazione del polo
nord, un harem supertecnologico che ha ormai abbandonato slittino e
biscotti.
Alla domanda “Come può Babbo Natale
fare il giro del mondo in una sola notte?”, la risposta è presto
data: si tratta di un’operazione tecnologicamente avanzata con un
esercito di un milione di elfi (in versione Ethan Hunt) a prestare
servizio, un’enorme slitta supersonica (alla Star
Trek) e un vasto centro di controllo sotto i ghiacci
del Polo, sotto la ferrea guida del primogenito della famiglia,
ovvero il figlio maggiore di Babbo Natale. Tuttavia, nonostante la
tecnologia sia avanzatissima, l’errore è dietro l’angolo, e a porre
rimedio all’irrimediabile ci penserà il secondogenito di Babbo
Natale: Arthur, un giovane un po’ ingenuo ma unico portatore della
vera magia del Natale.
Sorretto da una brillante ed
esilarante scrittura, Il figlio di Babbo Natale
decolla sin dalle prime battute regalando momenti di puro
divertimento e altrettanti attimi di commozione che piaceranno sia
ai più giovani e agli adulti. L’asso nella manica della pellicola è
proprio questo: voler raccontare una storia universalmente adatta
ad un pubblico esteso, senza limiti di età e barriere, con il
piglio giusto di chi si serve delle immagini per regalare e
comunicare il vero senso e la magia del Natale, dimostrandosi
all’altezza del compito. Il tutto assecondato da un ritmo
vertiginoso e da una splendida composizione d’immagini e colori.
Forse unico neo, il poco utilizzo del 3D in tutta la prima parte ma
fortunatamente protagonista assoluto nella seconda parte di
Il figlio di Babbo Natale.
Dal 23 dicembre al cinema. In 3D. Come
può Babbo Natale fare il giro del mondo in una sola notte? La
risposta è un’operazione tecnologicamente avanzata al Polo Nord con
un esercito di un milione di elfi in campo, un’enorme slitta
supersonica e un vasto centro di controllo sotto i ghiacci del
Polo.
In Lorraine Lévy durante la visita
di leva per il servizio militare, che in Israele inizia a 18 anni e
dura 3 anni, Joseph scopre di non essere figlio biologico dei suoi
due genitori, è stato scambiato con un altro bambino, nato da una
donna palestinese che partoriva nello stesso ospedale. L’errore fu
commesso nell’evacuazione dell’ospedale per un bombardamento. Le
due famiglie si troveranno così ad affrontare questioni di
divisioni e saranno costrette a valutare ed avere esperienza della
vita di quello che prima era semplicemente l’altro popolo nella
terra mediorientale.
Lo scambio di persona, l’equivoco,
è il motore di molte storie cinematografiche: da Hitchcock ad
Antonioni, ci si scambia l’identità, volontariamente o meno, per
curiosità o perché qualcuno ci vuole mettere alla prova.
Questo è il caso dei due
protagonisti, Yacine e Joseph, ragazzi cresciuti in posti vicini ma
mai così diversi come sono Israele e Palestina, divisi da un muro
ma da anni di odio e tensione. Tutti e due vivono la contraddizione
di questo territorio mediorientale sulla propria pelle; di punto in
bianco non sono più quello che sapevano di essere, e devono
ricostruire la loro identità. Sperimentano anche le assurdità
ideologiche della religione, per la quale, anche se sei stato
circonciso e hai seguito i dettami della Torah per una vita, se non
sei ebreo di sangue, non lo sei e basta.
Gioca sul filo del giudizio, la
regista Lorraine Lévy, senza sbilanciarsi mai in
una posizione pro o contro la situazione palestinese, ma è molto
brava nell’evidenziarne l’assurdità generica e radicata,
soprattutto nelle vecchie generazioni.
Per rimanere su questo equilibrio,
lei, ebrea non israeliana, ha consultato due intellettuali
importanti delle due culture rappresentate: Yasmina Khadra,
intellettuale arabo e Amos Oz scrittore e pacifista israeliano.
Grazie alla consulenza soprattutto del primo, la regista è riuscita
a rendere il film un’opera in equilibrio tra le due parti, anche
se, inevitabilmente, alcune assurdità emergono ad ogni modo.
Si tratta di una coproduzione
israelo-francese, che ha dalla sua la bellezza di essere
multilingue, la difficoltà di interagire passa anche per la lingua
e così dal francese si passa all’ebraico e all’inglese, fino
all’arabo e alla gestualità, quando proprio non c’è altro modo di
farsi capire.
La questione israelo-palestinese è
complicata, ma ciò che il film lascia è quella che è la sensazione
comune anche di chi visita quei territori: l’impossibilità almeno
apparente di un dialogo, che è ben rappresentato dal contrasto che
si viene a creare tra due dei genitori, ognuno dei quali ha le sue
ragioni per sentirsi dalla parte giusta della lotta. Stato d’animo
che però non porta da nessuna parte.
Un po’ di speranza viene riposta
nelle nuove generazioni, aperte all’altro e anche a capire quello
che succede aldilà dei propri confini, e in questo caso, proprio a
pochi chilometri da casa propria.
Martedì 22 marzo, nel corso di un
incontro con la stampa presso Casa Argentina en Roma,
il Direttore del Torino Film
FestivalSteve Della
Casa insieme a Enzo
Ghigo e a Domenico De
Gaetano –
rispettivamente Presidente e Direttoredel
Museo Nazionale del Cinema di Torino – ha annunciato le
linee guida che caratterizzeranno la 40ma edizione.
“Voglio innanzitutto ringraziare
il mio predecessore, Stefano Francia di Celle e tutta la sua
squadra, per lo straordinario lavoro svolto in questi due anni così
difficili e il Museo Nazionale del Cinema per la fiducia
accordatami – ha dichiarato Steve Della
Casa. Fin da subito la sintonia con il presidente
Enzo Ghigo e il direttore Domenico De Gaetano, è stata totale, così
come con i vertici della Film Commission Torino Piemonte, nella
comune consapevolezza dell’importanza di consolidare ulteriormente
la collaborazione e la sinergia tra gli enti del
sistema cinema torinese, in ambito artistico così come in ambito
industriale. In questo campo stiamo preparando con Gaetano Renda un
convegno internazionale sul rapporto tra cinema e
sala. La 40ma edizione del Torino Film Festival dovrà
essere all’insegna del rinnovamento ma nel solco della tradizione,
ritrovare quella vitalità identitaria che per forza di cose nei due
anni di pandemia si è persa, tornando a coniugare sperimentazione,
cinema popolare e di genere.”
“Gli ultimi due anni del Torino
Film Festival sono stati fortemente condizionati dalla
pandemia – sottolineano Enzo
Ghigo e Domenico De Gaetano,
presidente e direttore del Museo Nazionale del Cinema – e
questa sarà la prima vera edizione del post-Covid. Per il Museo
Nazionale del Cinema, che organizza anche i festival Lovers e
CinemAmbiente oltre al TorinoFilmLab, il TFF è una grande vetrina
con risonanza nazionale e internazionale, e ancor di più lo sarà
quest’anno con l’edizione speciale per il quarantennale. Siamo
certi che i contenuti e le proposte artistiche ideate da Steve
Della Casa coinvolgeranno la città in una bellissima festa, in
linea con i grandi eventi che vedranno Torino protagonista nel
2022”.
E nella direzione indicata da Steve
Della Casa va la scelta di dedicare all’attore Malcolm
McDowell un omaggio a riconoscimento del suo straordinario
apporto al cinema d’autore, al cinema popolare e alle serie tv, e
nello spirito delle grandi retrospettive che hanno caratterizzato
il Torino Film Festival negli anni.
L’attore sarà ospite del TFF e
protagonista di una masterclass condotta da David Grieco, regista
di Evilenko, uno dei sei titoli – insieme
a Arancia Meccanica di Stanley Kubrick
e Caligola di Tinto Brass – che lo stesso McDowell ha
scelto come più esemplificativi della sua carriera.
Il 40° TFF sarà un festival più
snello. Il programma comprenderà 4 sezioni competitive –
Concorso internazionale
lungometraggi, Concorso documentari
internazionali, Concorso documentari
Italiani, Concorso cortometraggi
italiani -, un Fuori
Concorso dedicato alla produzione più interessante
dell’anno in corso e alcuni Programmi
Speciali.
Tra i Programmi Speciali, sempre
nello spirito e nella tradizione del festival, sarà dedicata al
western una mini retrospettiva. Saranno
proposti 6 titoli, scelti in una rosa di 20, diretti o interpretati
da registi e attori cult e presentati in sala da cinefili e
studiosi del genere, tra i quali Francesco Ballo e Marco
Giusti. “Questi film caratterizzeranno
il TFF per quello che deve tornare ad essere, cioè il luogo
geometrico (anche) della cinefilia più estrema”
dichiara Steve Della Casa.
Per festeggiare degnamente i 40 anni
del Torino Film Festival, inoltre, la serata di
apertura – sorprendente e pop al tempo stesso – si
terrà al Teatro Regio e sarà trasmessa in
diretta.
Ad affiancare il Direttore ci sarà
un nuovo Comitato di selezione composto
da Giulio Casadei, Antonello Catacchio, Massimo Causo, Grazia
Paganelli, Giulio Sangiorgio e Caterina
Taricano. Consulenti alla direzione
artistica saranno Luca Beatrice, Claudia Bedogni,
David Grieco, Luigi Mascheroni, Paola Poli, Alena Shumakova e
Luciano Sovena.
C’era una volta in
Sicilia. I 50 anni del Gattopardo è un viaggio
multimediale alla scoperta del film che nel 1963 sancì uno dei
maggiori trionfi internazionali del cinema italiano e lanciò una
delle immagini più forti e influenti della Sicilia nel mondo.
La mostra, curata da
Caterina D’Amico e ideata e realizzata dalla
Fondazione Centro Sperimentale di
Cinematografia in collaborazione con la Fondazione
Federico II e il contributo del programma Sensi
Contemporanei, si inaugura presso Palazzo Corvaja
a Taormina il 14 giugno 2014 alle ore 18.30 nella
prestigiosa cornice della 60esima edizione del
TaorminaFilmFest guidato da Mario
Sesti,Direttore Editoriale, e da
TizianaRocca,
General Manager.Saranno presenti la protagonista
del film Claudia Cardinale, l’On. Giovanni
Ardizzone, Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana,
l’On.Francesco
Forgione,direttore della Fondazione Federico II,
Alberto Versace, Presidente del Comitato di
Coordinamento APQ Sensi Contemporanei, Alessandro
Rais,Dirigente Generale del Dipartimento del Turismo,
dello Sport e dello Spettacolo, Eligio Giardina
Sindaco di Taorminae Pietro Di Miceli, Dirigente
“Sicilia Film Commission”.
L’esposizione è concepita come un
ideale “cine-racconto” della genesi e del processo creativo
dell’opera di Luchino Visconti. Dopo un prologo dedicato al romanzo
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, da cui è tratto il film, il
percorso si sviluppa tra i luoghi e momenti della vicenda narrata.
Si parte da Villa Salina (Villa Boscogrande) con la presentazione
dei personaggi per passare poi alla battaglia di Palermo, al
viaggio e alla sosta a Donnafugata (Ciminnà) e quindi al lungo
ballo finale e all’epilogo all’alba.
Gli splendidi scatti realizzati dal
fotografo di scena Giovan Battista Poletto e da Nicola Scafidi,
fotoreporter dell’Ora autorizzato dal regista a scattare
foto nel backstage palermitano, si accompagnano a documenti,
lettere, bozzetti, meravigliosi costumi, mentre i monitor alle
pareti trasmettono brani di interviste in gran parte inedite a più
di trenta testimoni, tra i quali il produttore Goffredo Lombardo, i
protagonisti Burt Lancaster e Claudia Cardinale, la sceneggiatrice
Suso Cecchi d’Amico, il direttore della fotografia Giuseppe Rotunno
e il costumista Piero Tosi.
L’evento è stato realizzato con
l’indispensabile collaborazione di Titanus e della Fondazione
Tirelli Trappetti che celebra i 50 anni di lavoro della Sartoria
Tirelli e inoltre della Fondazione Istituto Gramsci – Archivio
Luchino Visconti e della Fondazione Centro Sperimentale di
Cinematografia – Sede Sicilia. La mostra resterà aperta
fino al 17 agosto 2014.
Il festival Internazionale del film di Roma premia con il Marco
Aurelio l’Acting Award da Paolo Sorrentino (tornato dagli States in
questi giorni dopo aver terminato le riprese del nuovo film con
Sean Penn, ‘This Must Be the Place’).
A seguire verrà proiettato il suo
ultimo film The Kids are All Right.
“La sfida, ogni volta, e’ quella di
dare realta’, credibilita’ ai personaggi che interpretiamo: in
questo caso non e’ stato cosi’ difficile entrare nel ruolo, visto
che ho grande esperienza sia per quello che riguarda la vita di
coppia che la genitorialita’. Il film, d’altronde, racconta
tematiche universali e la cosa davvero interessante e’ che presto
ci si dimentica che la coppia in questione e’ formata da due
donne”. Julianne Moore, che stasera al Festival di Roma ricevera’ ,
racconta cosi’ che cosa ha significato per lei interpretare ‘The
Kids Are All Right’ (oggi Fuori Concorso, a febbraio nelle sale con
Lucky Red), diretto da Lisa Cholodenko e incentrato sul nucleo
familiare anticonvenzionale formato da Jules (Moore) e Nic (Annette
Bening), entrambe mamme della diciottenne Joni (Mia Wasikowska) e
del quindicenne Laser (Josh Hutcherson).
“Ormai negli States e’ assolutamente normale che sia cosi’ –
spiega l’attrice – i miei figli vanno a scuola e hanno compagni con
due mamme, altri che hanno due papa’. La cosa veramente importante,
come si capisce anche dal film e dallo studio sui bambini cresciuti
con genitori omosessuali, durato qualcosa come 20 anni e pubblicato
dal ‘New York Times’, non e’ questa: cio’ che conta davvero e’ che
i figli siano amati, seguiti nel loro percorso di vita e aiutati ad
affrontare il momento in cui dovranno andare via”.
Il festival Internazionale del film di Roma premia con il Marco
Aurelio l’Acting Award da Paolo Sorrentino (tornato dagli States in
questi giorni dopo aver terminato le riprese del nuovo film con
Sean Penn, ‘This Must Be the Place’).
Il Festival di Cannes
2020 non si svolgerà nemmeno tra la fine di giugno e
l’inizio di luglio di quest’anno. Ad annunciarlo è
l’organizzazione stessa che, a seguito della comunicazione alla
Nazione del Presidente francese lo scorso 13 aprile, si è resa
conto che data la situazione attuale non è possibile preventivare
così a stretto giro un festival con le modalità classiche.
Questo però sembra non impedire
all’organizzazione di prevedere una forma di Festival che possa
essere comunque organizzata, nonostante le difficoltà. Ecco cosa
dice il comunicato ufficiale:
In seguito alla dichiarazione
del presidente francese, lunedì 13 aprile, abbiamo riconosciuto che
il rinvio del 73 ° Festival Internazionale del Cinema di Cannes,
inizialmente considerato per la fine di giugno all’inizio di
luglio, non è più un’opzione. È chiaramente difficile presumere che il Festival di Cannes
possa svolgersi quest’anno nella sua forma originale. Tuttavia, da ieri sera abbiamo avviato molte discussioni con
professionisti, in Francia e all’estero. Concordano sul fatto che
il Festival di Cannes, un pilastro essenziale per l’industria
cinematografica, debba esplorare tutte le contingenze che
consentono di sostenere l’anno del cinema rendendo Cannes 2020
reale, in un modo o nell’altro. Quando la crisi sanitaria, la cui risoluzione rimane la
priorità di tutti, passerà, dovremo ribadire e dimostrare
l’importanza del cinema e il ruolo che il suo lavoro, gli artisti,
i professionisti, i cinema e il loro pubblico svolgono nella nostra
vita. È così che contribuiscono il Festival di Cannes, il Marché du
Film e le sezioni parallele (Semaine de la Critique, Quinzaine des
Réalisateurs, ACID). Ci impegniamo e desideriamo ringraziare tutti
coloro che sono al nostro fianco, funzionari pubblici (Municipio di
Cannes, Ministero della Cultura, CNC), membri del settore e i
nostri partner. Tutti sanno che molte incertezze continuano a regnare sulla
situazione sanitaria internazionale. Speriamo di essere in grado di
comunicare tempestivamente in merito alle forme che prenderà questa
Cannes 2020.
Torna a Roma, dal 16 al 23 marzo 2012, per
il terzo anno consecutivo, il Francofilm – Festival del Film
Francofono di Roma, che presenta a ingresso gratuito
fino ad esaurimento posti – il meglio della recente
cinematografia proveniente dai Paesi francofoni di tutto il mondo
presentati da registi e interpreti.
William
Shakespeare e Bruce Lee saranno i
protagonisti della prossima edizione dell’Hong Kong
International Film Festival, dal 21 marzo al 4 aprile 2016.
Approfittando del fatto che la
40esima edizione del festival coincide col 400esimo anniversario
della morte del bardo inglese, l’HKIFF ha deciso di presentare nel
suo programma tre diverse interpretazioni dell’opera di Macbeth:
Il trono di sangue (1957)
di Akira Kurosawa,
Macbeth (1971) di Roman
Polanski e il recentissimo
Macbeth di Justin Kurzel
con Michael Fassbender e Marion
Cotillard.
Il dramma scozzese ha da sempre
rappresentato una grande sfida per i cineasti di tutto il mondo che
hanno cercato di reinterpretarlo e un grande impegno fisico e
psicologico per gli attori.
Contemporaneamente, anche lo
Shanghai International Film Festival ha annunciato di voler
omaggiare Shakespeare durante l’evento in giugno ed è possibile che
vi partecipi l’attore britannico Ian McKellen.
L’ HKIFF renderà omaggio anche ad
una leggenda locale, l’attore Bruce Lee. Saranno
presentate le pellicole restaurate e in edizione digitale di
quattro suoi film: Il furore della Cina colpisce
ancora (1971) grazie al quale ottenne fama
internazionale; Dalla Cina con furore
(1972); L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente
(1972) scritto, diretto e prodotto da
lui; L’ultimo combattimento di Chen
(1978), opera postuma dove Bruce Lee venne fatto
comparire usando materiale di archivio.
Si svolgerà dal 9 al 15
luglio – con una pre-apertura bolognese domenica 8 luglio
– la prima edizione del FESTIVAL DEGLI
DEI, festival cinematografico itinerante che
ripercorre la nota Via degli Dei, uno dei più bei cammini
d’Italia che congiunge Bologna e Firenze: ideato alla fine degli
anni ’80 del ‘900 da un gruppo di escursionisti bolognesi,
ripercorre la Flaminia Militare, un’antica viabilità
storica costruita nel 187 a.C.
Attraversando il suggestivo
itinerario che si inerpica lungo l’Appennino Tosco Emiliano, il
FESTIVAL DEGLI DEI toccherà nell’ordine i
Comuni di Sasso Marconi, Monzuno,
Monghidoro, San Benedetto Val di Sambro, Firenzuola, Barberino
di Mugello e Scarperiae San Piero. Ogni
tappa prevede un programma di eventi cinematografici selezionati,
valorizzando al tempo stesso i film scelti e le incantevoli
location che ospiteranno le proiezioni all’aperto nelle piazze, nei
borghi e negli spazi più suggestivi.
Di seguito il programma degli
appuntamenti con i più bei film dell’anno:
Bologna 8 luglio –
cinema Odeon – Agadah di Alberto Rondalli
Sasso Marconi 9
luglio – Piazza dei Martiri – Tonya di Craig
Gillespie – Ospite Giorgio Diritti ed Elena Cucci
Monzuno 10 luglio –
Montorio – Il ragazzo invisibile – Seconda
generazione di Gabriele Salvatores – Ospite Pier Paolo
Paganelli
Monghidoro 11
luglio – Parco del Castellaccio – A casa tutti
bene di Gabriele Muccino – Ospite Ivano Marescotti
San Benedetto Val di Sambro
12 luglio – Piazza Via Roma – Quando corre
Nuvolari di Tonino Zangardi – Ospite Alessandro Haber
Firenzuola 13
luglio – Piazza Don Stefano Casini – Il premio di
Alessandro Gassmann – Ospite Matilda De Angelis
Barberino di Mugello – 14
luglio – Piazza Ughi loc. Cavallina – Easy di
Andrea Magnani – Ospite Nicola Nocella
Scarperia e San Piero – 15
luglio – Palazzo dei Vicari – Borg McEnroe di
Janus Metz Pedersen – Ospite Elena Cucci
Obiettivo del FESTIVAL
DEGLI DEI è di portare il cinema nei luoghi dove
spesso non arriva a causa dell’assenza fisica delle sale
cinematografiche; oltre a ciò il Festival vuole promuovere, proprio
in questi luoghi di rara bellezza e con una tradizione culturale
unica, il fenomeno del cineturismo e la
riscoperta eno-gastronomica di una delle
zone più belle e più incontaminate d’Italia. Valorizzare il
territorio attraverso il cinema sarà il fil rouge del Festival,
attraverso un percorso che si fa metafora di un viaggio, fisico e
soprattutto mentale. Il progetto, realizzato dall’Associazione
Kinéo con Genoma Films, è ideato per le comunità dell’Appennino
Tosco Emiliano e si inserisce nella volontà delle città
metropolitane di Bologna e Firenze, sostenute dall’Unione dei
Comuni dell’Appennino Bolognese e dall’Unione Montana del Mugello,
di valorizzare questo specifico territorio.
Il Festival degli Dei si svolge con
il patrocino del Comune di Bologna e dell’Assessorato alla Cultura
della Regione Emilia-Romagna; è promosso dai comuni di Sasso
Marconi, Monzuno, Monghidoro, San Benedetto Val di Sambro,
Firenzuola, Barberino di Mugello e Scarperia e San Piero; avviene
in partnership con Gruppo Hera, Acqua Panna, Bonifica Renana,
E-Distribuzione società del Gruppo Enel, Autostrade per l’Italia,
Bologna Welcome, Emilbanca, Mokarabia, Deisa Ebano Spa, Granarolo,
Circolo Velico di Cervia.
Il Federale –
Roma, primi mesi del 1944. Nella penisola si infittiscono i
combattimenti tra i nazi-fascisti e gli anglo-americani i quali,
appena sbarcati, tentano di risalire il paese. Primo Arcovazzi
(Ugo Tognazzi) è un graduato della milizia
fascista estremamente ligio al dovere e fanaticamente attaccato
alla causa.
In virtù di queste qualità i suoi
superiori lo incaricano di una missione molto delicata e
importante: arrestare e riportare a Roma il prof. Erminio Bonafè
(Georges Wilson), noto filosofo antifascista e
prescelto per la carica di primo ministro dell’Italia libera.
Saputo da informatori certi che il
professore è nascosto nel suo paesino natale sulle montagne
abruzzesi, il buon Arcovazzi si mette in sella ad un side-car e si
dirige a prelevare il fuggiasco. Trovatolo senza particolari
problemi inizia il viaggio di ritorno verso Roma e sopratutto verso
quella promozione a federale che il bravo graduato anela da
tempo.
Purtroppo per Arcovazzi il viaggio
verso la capitale sarà costellato da vari inconvenienti e ostacoli
accidentali che renderanno la sua missione più complicata del
previsto. Allo stesso modo però daranno a lui modo di entrare in
contatto se non in distaccata simpatia con un altro uomo non più
visto come un semplice traditore ma solo come un essere umano. E
sarà proprio questo essere umano, inizialmente osservato con fredda
ed ironica diffidenza, che salverà la vita di Primo nel grottesco
finale.
Il Federale
Luciano Salce, uno dei maestri
della commedia italiana, confezione questo film nel 1961, in
collaborazione con i famosi sceneggiatori Castellano e Pipolo. Il
federale è un classico esempio di quella tragi-commedia
all’italiana che rappresenta uno dei filoni più amati e di maggior
successo nella storia del cinema nostrano.
Il Federale, un
film dall’indubbia impronta comica ma che al contempo si presta ad
un’analisi e ad un’introspezione seria e a tratti drammatica del
contesto storico in cui le vicende sono inserite. Un film che non
può essere considerato solo una commedia e che allo stesso modo non
può essere catalogato come un film drammatico; Il federale
raccoglie il lato buono di uno e dell’altro genere mescolando
sapientemente le sequenze divertenti e spassose con quelle più
serie e riflessive.
La scena è dominata dai due
splendidi protagonisti, eccellenti nelle rispettive
interpretazioni: Tognazzi incarna perfettamente il ruolo del
fanatico e convinto fascista, il quale non contempla nemmeno l’idea
che qualcuno possa non esserlo essendo cresciuto in una società,
per lui, da sempre fascistizzata. Wilson, al contrario, raffigura
con garbo ed eleganza l’intellettuale democratico che tenta
disperatamente di aprire gli occhi e la mente al suo
carceriere.
Il viaggio di ritorno verso Roma,
diventa una sorta di odissea omerica in cui tutto sembra ostacolare
o quantomeno ritardare il compimento della missione di Primo, un
lungo e tortuoso percorso in cui i due uomini si avvicinano e
conoscono gradualmente, imparando anche ad apprezzare oltre che
rispettare ognuno le qualità dell’altro.
Il film di Salce sa essere
incredibilmente divertente così come profondo e toccante, Tognazzi
si conferma mattatore straordinario e dalla comicità esplosiva ma
al tempo stesso grande attore drammatico. Nel film, in cui compare
anche una giovanissima Stefania Sandrelli, si ride e si riflette
così come vuole la tradizione della grande tragi-commedia
all’italiana.
Nello struggente finale in cui
Arcovazzi entra nella Roma liberata con il suo prigioniero e
indossando una divisa da federale rimediata a poco prezzo, Salce
mostra la violenza cieca e incontenibile di un popolo stremato e
incattivito da anni di dittatura ma al contempo vuole chiudere con
uno straordinario gesto di umanità e pietà con cui il prof. Bonafè
salverà Primo mantenendo fede a quei valori di civiltà a cui aveva
sempre creduto e a cui si era da sempre affidato.
Il Favoloso Mondo di Amélie è il film di
successo del 2001 diretto da e con protagonisti nel cast
Audrey Tautou, Mathieu Kassovitz e Johnny
Depp.
Anno: 2001
Regia:
Jean-Pierre Jeunet
Cast:
Audrey Tautou, Mathieu Kassovitz, Rufus, Lorella Cravotta,
Serge Merlin, Jamel Debbouze, Clotilde Mollet, Claire Maurier,
Isabelle Nanty, Dominique Pinon, Artus de Penguern, Yolande Moreau,
Urbain Cancelier, Maurice Bénichou, Valerie Zarrouk, Michel Robin,
Flora Guiet, Amaury Babault, André Dussolier.
Trama: Amélie ha
avuto un’infanzia particolare. Traumatizzata dalla morte della
madre e la freddezza del padre cresce solitaria. Una volta adulta è
completamente indipendente e ha trovato un lavoro al Café des 2
Mulins. Vive in un mondo immaginario, tutto suo, ma arriverà Nino
che le farà rendere conto di voler abbandonare la finzione per
vivere nella realtà.
Il Favoloso Mondo di Amélie, romanticismo
francesce
Analisi: Il mondo
di Amélie è un universo a sé stante, ma allo stesso tempo
plausibilmente reale. Per quanto i personaggi risultino strambi, i
luoghi del film, dal Café des 2 Mulins alle stazioni
Parigi, li collocano in una dimensione a noi vicina. Protagonista è
Amélie (Audrey
Tautou), l’eroina delle persone bizzarre che le
difende dalla mediocrità dominante. Sin da piccola ha avuto a che
fare con tali persone, primi fra tutti i suoi genitori, che le
davano particolari attenzioni: l’unico contatto fisico con il padre
dottore era lo stetoscopio durante le visite mediche, mentre la
madre maestra era affetta da preoccupanti tic.
Forse sono stati proprio loro la
causa che le ha permesso di costruire il favoloso mondo di
Amélie. Arriva il tempo di crescere, di abbandonare
l’immaginazione e magari riuscire a conquistare Nino
(Mathieu Kassovitz), senza nascondersi dietro
infantili cacce al tesoro. Con i suoi occhioni Amélie scruta il
mondo con ingenuità, gioca con le passioni umane, veste i panni
della paladina mascherata, ma con il passare del tempo sarà
costretta a uscire allo scoperto e vivere nel mondo reale.
Un film unico e originale
I personaggi che la
circondano non sono mai sempliciotti, anche da loro possono venire
lezioni di vita. C’è l’uomo di vetro (Serge
Merlin), un vecchio solitario che sta chiuso in casa a
dipingere La colazione dei canottieri di Renoir e si
chiede come rendere al meglio l’espressione di una ragazza del
quadro; potrà scoprirlo solo attraverso gli attimi di vita
appositamente registrati da Amélie su videocassette. In realtà i
due personaggi sono pressoché speculari, tanto che l’anziano
aiuterà la ragazza a farle capire il comune sbaglio. La pellicola è
una fiaba per adulti, composta da una sceneggiatura credibile di
Guillaume Laurant che starebbe bene anche in un film d’animazione.
In due ore lo spettatore viene continuamente stupito dalla storia,
senza mai stancarsene.
L’immaginazione
visionaria del regista Jean – Pierre Jenuet, si
colloca bene all’interno del film rendendolo unico e originale,
sebbene ci siano alcune citazioni che lo colleghino ad altre opere
e registi, in particolare a François Truffaut. Il carattere
immaginifico della pellicola non deve far pensare a un film per
bambini, ma può essere visto come la straordinaria capacità di
semplificare la natura umana e ciò che la regola, una sorta di
riassunto della psicanalisi freudiana. Ognuno di noi ha fissazioni
e nevrosi inconsce e, per questo, segrete che ci fanno capire
quanto queste possano collocarsi sul sottile confine tra ragione e
follia.
Il filone cinematografico ripreso
da Jenuet è quello di Forrest Gump o,
almeno, la morale è la stessa: il folle è spesso il più semplice e
ragionevole, anche tra quelli che paradossalmente sono convinti di
essere “sani”.
Al contrario di
Forrest
Gump, Il favoloso mondo di Amélie ha ottenuto le
nomination per miglior film straniero, migliore sceneggiatura
originale, migliore fotografia, migliore scenografia, miglior
sonoro, ma non ne ha vinto nessuno. In compenso rimane un film da
non perdere e di cui difficilmente rimanere delusi.
Il fascino discreto della
borghesia è un film del 1972 diretto da Luis
Buñuel con protagonisti Fernando Rey, Paul
Frankeur, Delphine Seyrig, Milena Vukotic, Michel Piccoli, Bulle
Ogier, Julien Bertheau, Stéphane Audran e Jean-Pierre
Cassel.
Pedagogia o esorcismo? Delirio
onirico o realtà? Cinismo o oggettività? Sembrerà forse bizzarro
analizzare il cinema inquieto di Luis Buñuel, ponendo quesiti di
questo calibro. Il film in questione, già nel titolo ingannevole
Il fascino discreto della borghesia, ci illumina
parodiando delle risposte.
Il soggetto della
trentesima pellicola del regista spagnolo, è appunto la borghesia,
i cui rappresentanti appaiono come un unico manichino tragico,
composto da corpi convenzionali che imprigionano anime perverse:
Don Rafael, (Fernando Rey), l’ambasciatore dell’irreale repubblica
di Miranda, i suoi compari Thévenot (Paul Frankeur) e Sénéchal
(Jean-Pierre Cassel), accompagnati dalla signora Thévenot (Delphine
Seyrig), concubina segreta di Don Rafael, dalla signora Sénéchal
(Stéphane Audran), dalla bella Florence (Bulle Ogier), vassalla dei
signori Thévenot, ed infine dal vescovo (Julien Bertheau), futuro
giardiniere di casa Sénéchal.
I tre bontemponi, invischiati in un
traffico illecito di droga, costantemente in guardia senza mai
spalleggiarsi, vagano perduti in nastri di celluloide, rincorrendo
il desiderio di poter consumare un pasto in comunione. Durante
tutta la pellicola, immagini fallaci danzano intorno alla realtà in
veste di macabri incubi, dove le paure più profonde della classe
borghese fagocitano il suo fascino discreto, rendendola schiava del
proprio subconscio.
Il regista del
Perro andaluso, gioiello del cinema surrealista, catapulta
il suo pubblico in un allucinogeno terzo girone dantesco, quello
dei golosi, la cui punizione consiste nel tenere celate le più
oscure ambizioni e i più bassi desideri, alla ricerca di un
equilibrio fittizio.
L’armonia bramata, raggiungibile
attraverso la condivisione del cibo, è soltanto sfiorata durante
incredibili viaggi onirici che mai si realizzano. I sogni infatti
sollecitano la fantasia dei personaggi con violenza, tirando
lentamente fuori gli istinti animaleschi, sintomi di un inguaribile
frustrazione.
Il fascino discreto della
borghesia, il film
Il burattinaio Buñuel, maneggiando
con maestria i fili della trama senza farli intrecciare, riesce a
delineare le anamnesi dei personaggi, scelti per mettere in scena
una grottesca commedia. In questo contesto, la sceneggiatura sembra
parafrasare l’interpretazione dei sogni di Freud, dove la cupidigia, l’intolleranza e
l’insoddisfazione appaiono nel sonno come fantasmi di un vissuto
irrisolto.
Ciò che più colpisce è forse la
capacità del regista di non creare delle aspettative: l’intreccio
sospeso e convulso, la fruizione voyeuristica, e il ritmo stonato
che caratterizzano il film, rendono impossibile allo spettatore sia
di immedesimarsi nei personaggi, sia di sperare nella loro catarsi.
Per questo forse la pedagogia Buñueliana viene scambiata per puro
cinismo. In realtà ciò che Buñuel vuole lasciar intendere è che la
solitudine dei personaggi, di fatto respinta, è in realtà
profondamente voluta, rappresentando il vero traguardo.
Nella loro individualità infatti
ogni cosa è permessa, ogni azione è priva di vincoli morali, e il
patto hobbesiano della civile convivenza viene sacrificato in nome
dell’autoaffermazione. Eppure l’emancipazione sociale ed economica
dei personaggi sembrerebbe delineare una condizione ideale, che
invece viene smentita dalle loro continue ossessioni. Ciò che
vivono è un buffo paradosso: intenti a mantenere il fascino
discreto, combattono contro i loro istinti primitivi, tenendo
separati i due scomparti esistenziali grazie all’ipocrisia. Il
quadro che scarica il peso sul chiodo della coscienza, è però
troppo fragile per sostenere l’insostenibile…
Il Faraone, il Selvaggio e
la Principessa, nuovo film d’animazione del regista,
sceneggiatore e animatore francese Michel Ocelot
(Dilili
a Parigi), sta per arrivare nelle nostre sale.
Presentato in occasione della 46esima edizione del Festival
internazionale del film d’animazione di Annecy il 14 giugno 2022 e
distribuito in Francia a partire dal 19 ottobre 2022, la pellicola
sarà rilasciata in Italia il prossimo 14 dicembre.
Prodotto, almeno in parte, con il
contributo del Museo del Louvre e proiettato alla 17esima Festa del Cinema
di Roma nella sezione Alice nella Città, il film giunge dunque
nei cinema nostrani con circa dodici mesi di ritardo. E riporta su
grande schermo le avventure animate di un cineasta che, nel corso
degli ultimi 25 anni, ha saputo dare vita a un inconfondibile stile
grafico e narrativo da mille e una notte.
Il Faraone, il Selvaggio e la
Principessa: la trama
A seguito del racconto quasi
“decameroniano” di Principi e Principesse e della
(per ora) trilogia dedicata alle vicende di Kirikù, conclusasi
ormai dieci anni fa, Ocelot torna a frammentare il
proprio minutaggio; e affida a una stravagante narratrice, a
colloquio con il proprio pubblico, tre fiabe dal consueto sapore
esotico. Un viaggio attraverso i secoli guidato dalle forze di
amore, destino e desiderio.
Nella terra di Kush, regno del Sudan
di 3000 anni fa, il giovane Re Tanwekamani è innamorato della
principessa Nasalsa, ma la madre di lei, la regina, ritiene che il
solo faraone sia degno di chiederne la mano. Tanwekamani decide
allora di risalire il Nilo e conquistare l’Egitto. Un’impresa che
esige forza e saggezza; qualità necessarie per tornare in patria
trionfante.
Un castello nell’Alvernia medievale
è invece la cornice del secondo racconto, là dove il figlio di un
Signore, costantemente sgridato dal padre, decide un giorno di
rubare le chiavi del carceriere per liberare un prigioniero.
Condannato a morte per tradimento, ma risparmiato dai suoi
esecutori e abbandonato nel bosco, il ragazzo cresce lontano dal
castello. Fino a quando le scorribande del “Bel Selvaggio”,
divenuto eroe popolare leggendario, si intrecciano nuovamente con
gli affari di corte.
A fare da sfondo alla terza e ultima
storia è infine l’Oriente del XVIII secolo, terra d’incontro tra la
Principessa delle rose, dama bellissima e ambita, e il cosiddetto
Principe delle frittelle, costretto a fuggire dal proprio paese a
causa di un gruppo di assassini e divenuto venditore in una città
vicina sotto mentite spoglie. La bontà delle leccornie preparate
dal giovane fornisce ai due ragazzi l’occasione di condividere
alcuni momenti insieme, sebbene il sultano e le circostanze lottino
strenuamente per separarli.
Un grande libro di racconti
Visionare un lungometraggio di
Michel Ocelot equivale insomma, il più delle
volte, a immergersi in un grande libro di racconti; a perdersi nei
meandri favolistici di fiabe semplici, sovente slegate, unite però
da un fil rouge tematico nonché stilistico. Ragion per cui
Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa assume
oggi, almeno in apparenza, le sembianze di una prosecuzione quasi
prestabilita dell’opera dell’autore; capitolo nuovo, e innocuamente
inserito, di una narrazione ormai settata e priva di sorprese.
Dopotutto queste tre nuove storie
del regista – ancora storie di principi e principesse – si
integrano perfettamente all’interno del percorso artistico
dell’animatore francese. Sono favole “moraleggianti” e
conciliatorie, pensate per un pubblico generalmente infantile;
fiabe della buonanotte che raccontano d’amore, di coraggio e
generosità; fiabe che pescano da stilemi riconoscibili e
ritornanti, provenienti da un sottobosco popolare che nei decenni
ha necessariamente ispirato differenti autori e case di produzione.
Fiabe che dunque, inevitabilmente, risentono di echi facilmente
individuabili, per lo più riconducibili a tradizioni culturali a
lungo tramandate e mescolatesi l’una con l’altra.
Resistenza stilizzata
Eppure, sospesa nei “silenzi” tra
una storia e la successiva, chirurgicamente dosata negli attimi di
respiro della narrazione, la cornice de Il Faraone, il
Selvaggio e la Principessa è forse il suo elemento più
significativo. Richiamo classicheggiante di una struttura tipica e
al contempo lettura estremamente lucida del presente audiovisivo
dominato dalla dimensione piattaforma; lì dove le più disparate
richieste degli spettatori sagomati nei primi istanti di pellicola
paiono poter configurare la narratrice come un ideale e
servizievole algoritmo, chiamato a soddisfare qualsiasi richiesta
del proprio pubblico.
E chissà che, a fronte di questo
variegato melting pot di input, la scelta di
Ocelot di distribuire i diversi spunti con ordine
senza assommarli in un unico confuso agglomerato dai mille
ingredienti, non sia allora da interpretare come un atto di
resistenza alla dittatura del tutto, subito e tutto insieme.
L’ennesimo silenzioso atto di forza di un regista che nell’epoca
della tecno-rivoluzione oppone ancora l’ombra stilizzata delle
proprie silhouette. Alla ricerca della meraviglia.
Michel Ocelot torna
a dedicarsi all’animazione quattro anni dopo il suo ultimo film,
Dililì a Parigi (2018), con Il
Faraone, il Selvaggio e la Principessa, presentato
nell’ambito di
Alice nella Città in occasione della Festa del Cinema
di Roma. Con questa sua ultima prova, il regista fa
ritorno allo stile narrativo che ha sempre prediletto: il segmento
breve, a cui ha dato forma tramite serie televisive e cortometraggi
solo in secondo luogo inglobati in lungometraggi diventati ormai
celebri, tra cui Principi e
Principesse (2000) e IRacconti della Notte (2011).
Il Faraone, il Selvaggio e la
Principessa: la trama
Ai tempi dell’Antico Egitto, un
giovane re diventa il primo faraone nero a meritare la mano della
sua amata. Nel Medioevo francese, un misterioso ragazzo selvaggio
ruba ai ricchi per dare ai poveri. Nella Turchia del XVIII secolo,
un principe che cucina meravigliose frittelle e la principessa
delle rose fuggono dal palazzo per vivere il loro amore.
Con questa nuova opera di Ocelot, ci
distacchiamo dalla sperimentazione di Kirikù e la
strega (1998), vero e proprio spartiacque nell’animazione
francese o Azur e Asmar (2006), per fare ritorno a
un progetto audiovisivo che vede nella suddivisione per racconti il
mezzo perfetto per unire la tradizione orale del racconto ai mezzi
di fruizione tipici della contemporaneità.
Non ci sono gli ormai iconici
proiezionisti, ma una narratrice-cantastorie che ravviva
l’atmosfera di un cantiere di lavoro catturando gli operai con
racconti esoterici, lontani nel tempo e nello spazio, parentesi
ludiche in cui rifugiarsi dalle fatiche di ogni giorno. Per
Ocelot, le storie sono soprattutto questo: il
ponte tra passato e presente, l’attimo di sperimentazione
inafferrabile in cui possiamo diventare chi vogliamo, vestirci con
gli abiti che più ci affascinano e confidare sempre nella giustizia
di un lieto fine.
Poca attualità ma un’immensa
bellezza visiva
Siamo di fronte a un’opera meno
ambiziosa di Didilì a Parigi, sicuramente più
convenzionale nel modo in cui si aggancia alla tradizione
stilistica del regista, ma non per questo meno interessante.
Laddove è possibile tracciare delle chiavi di lettura comuni tra i
tre segmenti narrativi, fulcri tematici archetipici delle fiabe e
della filmografia di Ocelot – la parabola di
riscatto, la perseveranza che conduce agli obiettivi, il bigottismo
genitoriale contrapposto all’intraprendenza giovanile – ogni storia
presentataci si differenzia per registro linguistico e linee di
disegno, adattandosi perfettamente all’atmosfera in cui è
inserita.
L’animazione 2D portata avanti con
orgoglio da Ocelot si rivela il mezzo perfetto per
sondare le potenzialità grafiche di ogni racconto; dalla
bidimensionalità quasi geroglifica de “Il faraone” si passa alle
tonalità cupe e alle architetture gotiche de “Il selvaggio”,
episodio ambientato nel medioevo, per culminare con le linee
arabeggianti de “La principessa”, un tripudio di colori e
scenografie dinamiche.
Il richiamo all’attualità, la
capacità di adattamento a un’universo animato che sta dando tanto
negli ultimi anni – è doveroso citare il Cartoon
Saloon di Tomm Moore, Paul
Young e Nora Twomey – ne Il Faraone,
il Selvaggio e la Principessa è forse più debole rispetto
ad altre opere di Ocelot. Sembra difficile trovare
una collocazione adatta a questa micro raccolta di racconti, quando
il mezzo animato è ormai diventato uno dei canali privilegiati per
la riscoperta della pluralità culturale di tantissime aree
geografiche, distanziandolo dall’attinenza fiabesca che gli è
sempre stata affibbiata e piegandolo a un’urgenza creativa che ha
indubbiamente a che fare con l’oggi.
Nonostante ciò, la qualità tecnica
del cinema di Ocelot rimane indubbia: Il
Faraone, il Selvaggio e la Principessa è uno spettacolo
per gli occhi e sfrutta ogni potenzialità circostanziale per
delineare al meglio uno scenario visivo e narrativo in cui la fiaba
vuole ancora, prepotentemente, esistere. In cui è ancora un veicolo
di comunicazione, non importa se tra lo ieri e l’oggi, se tra noi e
gli altri o se tra tradizioni culturali differenti, che trovano
nelle analogie caratteriali dei loro protagonisti il modo migliore
per garantirne l’ascolto.
Si allarga il cast del film tratto
dai racconti di Oscar Wilde, Il
fantasma di Canterville. Il film diretto da
Kim Burdon può contare ora su un cast davvero alla
portata delle migliori aspettative: si sono uniti a Hugh
Laurie (che tutti noi conosciamo per aver interpretato il
Dottor House) e a Stephen Fry
(Lo Hobbit: La desolazione di Smaug),
Imelda Staunton, Freddie
Highmore, Miranda Hart e Toby
Jones.
Il fantasma di
Canterville proporrà la storia di Sir Simon
de Canterville che ha infestato la sua amata dimora per
oltre trecento anni, spaventando chiunque abbia mai avuto
l’intraprendenza di abitarla. Il lungometraggio animato sarà girato
come un live-action ed è ora in fase di pre-produzione. Stiamo
parlando di un prodotto adatto a tutta la famiglia e, da quanto
trapela, sembra proprio che ci sarà da divertirsi!
Nel frattempo, qui di seguito, vi
proponiamo una prima locandina del film. Non ci resta che attendere
ulteriori notizie!
È in fase di sviluppo un film basato
sul popolare romanzo e musical Il Fantasma
dell’Opera, destinato a diventare un moderno thriller
psicologico. Il romanzo di Gaston Leroux, Le Fantome de L’Opera, ha
ispirato il famoso spettacolo di Broadway. È diventata un’opera
ampiamente conosciuta e amata, resa popolare dai suoi numeri
musicali spettacolari, personaggi memorabili e romanticismo
tragico. Si è trasformato in un film live action nel 2004 con
Emmy Rossum e Gerard Butler che
ha ottenuto due nomination all’Oscar.
Ora Deadline riporta che è in fase
di sviluppo un altro film basato sul libro. Questo nuovo film si
chiamerà Phantom e sarà una versione modernizzata
della storia ambientata nella scena musicale contemporanea di
Londra. Si dice che il film sarà un thriller psicologico allo
stesso modo di Black Swan e
Misery ed esplorerà la relazione romantica e
distruttiva originariamente rappresentata nel romanzo di Leroux.
Con questa versione della storia, l’obiettivo non è quello di
romanticizzare la relazione, ma di abbracciarne la suspense e
l’orrore.
Dopo le tante chiacchiere sulla nuova
versione di Star
Wars, uscita nel nuovo cofanetto completo, ecco arrivare le
interessanti opinioni di un fan sfegatato della serie: Christopher Nolan.
Hayao Miyazaki
– A ventisei anni dalla sua uscita al cinema in
Giappone e ad oltre dieci anni da una timida uscita per l’home
video, arriva nelle nostre sale finalmente Il castello del
cielo di Hayao Miyazaki, noto ai fan come
Laputa, uno dei primi e più amati lungometraggi del
maestro dell’animazione giapponese, che l’anno scorso ha
festeggiato i settant’anni di una carriera coronata da successi e
riconoscimenti non solo a livello giapponese.
Hayao
Miyazaki è riuscito a convincere i peggiori detrattori
dell’animazione giapponese sulla validità della sua produzione
artistica, che va oltre a quelli che sono indubbiamente alcuni dei
limiti evidenti degli anime, quali la serializzazione e la
sudditanza, spesso, all’industria del marketing per vendere gadget
e simili, caratteristica comunque non certo aliena alla produzione
animata a stelle e strisce.
Una carriera di oltre quarant’anni,
la sua, che ha toccato l’animazione giapponese dagli anni Sessanta
ad oggi, creando film e personaggi unici e portando il suo tocco a
personaggi e storie di altri. Ma occorre andare per ordine, per
ricostruire le tappe di un percorso ancora non certo concluso,
anche se negli ultimi anni Hayao Miyazaki sembra più interessato a
supervisionare.
Il fabbricatore di sogni
dal paese del Sol Levante: Hayao Miyazaki
Nato nel 1941 a Tokyo, pochi mesi
prima dell’entrata del Giappone in guerra, che influenzerà lui e
altri colleghi suoi coetanei, sia pure in maniera diversa,
Hayao Miyazaki cresce in una famiglia dove il
padre ha una fabbrica di componenti per aerei, che gli farà nascere
una passione poi presente nella maggioranza delle sue opere per il
volo, gli aerei, il cielo. Un altro fatto che influenza la sua
infanzia è una grave malattia che colpisce la madre, tema che si
ritroverà in film come Tonari no totoro e il recente
Arietty.
Negli anni Cinquanta,
sull’onda dell’opera che sta facendo Osamu Tezuka di creazione di
fumetti made in Japan, simili a tratti ma molto diversi dai loro
omologhi a stelle e strisce, Hayao Miyazaki, da sempre bravo
disegnatore, si appassiona al mondo delle nuvole parlanti, e dopo
essersi laureato in Scienze politiche entra a lavorare alla Toei,
allora la più importante casa di produzioni animate.
Il suo primo lavoro importante è
come animatore chiave e scenografo per Horusu no daiboken,
uscito in italiano con i due titoli La grande avventura del
piccolo principe Valiant e Il segreto della spada del
sole, che segna anche l’inizio del suo sodalizio con il
collega e amico Isao Takahata. Nel1971 Hayao Miyazaki collabora
alla prima serie di Lupin III, dal manga di Monkey Punch,
e dal 1973 con Isao Takahata inizia invece un sodalizio con la
Zuiyo Pictures, poi Nippon Animation, adattando in animazione
alcuni classici per bambini occidentali, quali Heidi del
1974, Marco da Dagli Appennini alle Ande di De
Amicis e Anna dai capelli rossi, che lo faranno conoscere
non solo in Giappone.
Nel 1978 decide di adattare il
romanzo di fantascienza per ragazzi The incredible tide di
Alexander Key, che diventa la serie Conan, il ragazzo del
futuro, considerato a tutt’oggi uno dei migliori anime
giapponesi seriali di sempre, per il quale Hayao Miyazaki è
regista, disegnatore, scenografo e supervisore degli storyboard. Il
suo primo lungometraggio come regista è dell’anno successivo ed è
Lupin III il castello di Cagliostro, per molti fan il
migliore film dedicato al celebre ladro in salsa nipponica, che
stravolge le atmosfere del manga in chiave favolistica e steam
punk.
Dopo alcuni lavori in serie
televisive, come Il fiuto di Sherlock Holmes, coprodotto
con la Rai nel 1982, Hayao Miyazaki pubblica sulla rivista Animage
il manga fantasy post apocalittico Nausicaa nella valle del
vento, che poi decide di trasporre in animazione nel 1984. Il
successo di questa storia di un’eroina che, in un mondo medievale
post nucleare, dove le scorie hanno creato nuove creature e dove
l’avidità di conquista vorrebbe risvegliare le antiche armi, è
grandissimo e spinge Miyazaki con Isao Takahata a fondare un loro
studio, lo studio Ghibli, che produrrà tutte le loro opere
successive.
Il castello del
cielo del 1986 è proprio il primo lungometraggio dello studio,
e finalmente si potrà vedere anche da noi su grande schermo questa
avventura che mescola Jonathan Swift e Jules Verne, tra pirati
dell’aria e mondi fluttuanti nel cielo, arcani e con tecnologie
incredibili e pericolose.
Nel 1988 Hayao Miyazaki realizza
invece il più intimista e fiabesco Il mio vicino Totoro,
dove due bimbe in una campagna reale ma incantata incontrano uno
spirito misterioso a forma di grosso gatto che le consola dei loro
problemi familiari. Totoro diventa il logo dello studio Ghibli, che
nel 1989 bissa il successo con la commedia fantastica Kiki’s
delivery service, storia di una streghetta che va in una
cittadina terrestre a fare il suo apprendistato e che si inventa
un’attività grazie alla sua scopa che le farà conoscere nuovi
amici.
Nel 1992 è la volta di Porco
rosso, film in cui l’autore dà libero sfogo alla sua passione
per l’aviazione, leit motiv di tutti i suoi film, storia di un
pilota da caccia con il volto di maiale che vive le sue avventure
nell’Europa tra Grande guerra e avvento dei totalitarismi.
Negli anni successivi Hayao
Miyazaki si occupa di sceneggiare, produrre e supervisionare altre
opere dello studio Ghibli, finché nel 1997 non fa uscire
Princess Mononoke, che batte ogni record d’incassi in
Giappone e lo fa finalmente conoscere ufficialmente al pubblico
internazionale, complice anche un doppiaggio statunitense con star
del calibro di Claire Danes, Minnie Driver e Gillian Anderson.
Princess Mononoke, fiaba ecologica dello scontro tra la foresta
magica e impenetrabile e un Giappone medievale ma metafora di
quello contemporaneo, con la sua voglia di costruire distruggendo
la natura, propone un’eroina selvaggia e guerriera, cresciuta dai
lupi e desiderosa di difendere il suo mondo anche se entra in
contatto con quello dei suoi simili.
Nel 2001 nuovo successo
con La città incantata, fiaba morale contro lo spreco di
cibo, tra antiche leggende e il mondo di oggi, che vale al maestro
l’Orso d’Oro al Festival di Berlino e l’Oscar 2003 per il migliore
lungometraggio animato, che però Hayao Miyazaki non va a ritirare
per protesta contro la guerra in Iraq.
Nel 2004 è la volta della
trasposizione animata del romanzo fantasy di Diana Wynne Jones, una
delle ispiratrici di Jk Rawling per il suo Harry Potter, Il
castello errante di Howl, storia di una ragazzina intrappolata
nel corpo di una donna anziana che cerca di liberare un giovane
mago da una maledizione, un film che viene presentato a Venezia,
dove l’anno dopo, nel 2005, Miyazaki viene omaggiato con il Leone
d’Oro alla carriera.
Il suo ultimo film come regista è
la fiaba del 2008 Ponyo sulla scogliera, rilettura moderna
ed ecologista della Sirenetta ma non solo, film che viene
realizzato tutto con tecniche di disegno tradizionali a contrastare
l’uso della grafica computerizzata, ormai unica tecnica dei cartoni
animati della Disney, e largamente usata dagli anime.
Negli ultimi anni lo studio Ghibli
supervisiona Terramare, del film di Hayao Miyazaki, Goro,
tratto dal ciclo fantasy di Ursula K. Le Guin, mentre Hayao
Miyazaki sceneggia Arietty, favola anti spreco dal romanzo
di Mary Norton.
Nei suoi film Hayao Miyazaki parla
di rapporti tra le generazioni, di amore e rispetto per l’ambiente
e tutte le specie animali, di pacifismo e non violenza, di fantasia
partendo dalle cose più semplici, di fiaba e fantastico che nascono
nella vita di tutti i giorni, di sogni verso l’infinito del cielo e
di quotidianità, tra poesia e sogno, tra i colori del verde e dei
fiori e i richiami alla tradizione, tra leggende e classici steam
punk, con macchine sempre inserite in mezzo alla natura. Uno stile
lontano da molta altra animazione giapponese e da un mondo animato
occidentale sempre più dominato dall’informatica e da logiche di
vendita, che ha reso le opere del maestro amate come capolavori del
cinema tout court, oltre che legati all’animazione giapponese.
In attesa di nuove opere o
riproposizione di film di Miyazaki comunque è da vedere Il
castello nel cielo, tra avventura e sogno, riflessione sui
limiti della scienza e anelito verso l’infinito dei cieli e della
fantasia.
Il Duetto di Margherita Buy e Silvio Orlando, ormai uno degli
appuntamenti più attesi nella sezione Extra della quinta kermesse
capitolina, che ha visto negli anni passati, sul palco
dell’Auditorium, confronti tra Muccino e Tornatore, Servillo e
Verdone, Bertolucci e Bellocchio.
Ogni film western vanta sempre un
certo fascino, specialmente se al suo interno si ritrovano
tematiche che vanno dalla vendetta al desiderio di giustizia.
Elementi, questi, che si ritrovano entrambi nel lungometraggio del
2016 Il duello, diretto da Kieran
Darcy-Smith. Qui al suo secondo lungometraggio dopo
Wish You Were Here, il regista dà vita ad una
sceneggiatura di Matt Cook che da tempo aspettava
di essere portata sul grande schermo. Prende da qui vita uno dei
film di questo genere meno noti eppure particolarmente affascinanti
tra quelli usciti negli ultimi anni.
La sceneggiatura di Cook circolava
infatti già dal 2009, anno in cui venne inserita nella Black
List dei migliori script ancora non realizzate. Noto anche per
aver scritto film come Boston: Caccia all’uomo e
The Informer – Tre secondi
persopravvivere, Cook trovò in Darcy-Smith
l’uomo giusto per far prendere vita alla sua storia. Molto del
merito va anche ad un cast di grandi attori che danno qui vita a
personaggi complessi e ricchi di sfumature, perfettamente calati in
un contesto western particolarmente curato. Nonostante tali
elementi, Il duello mancò di diventare un titolo
particolarmente noto, passando invece in sordina.
In breve, però, gli amanti del
genere lo hanno riscoperto come un titolo a suo modo affascinante
per la trattazione delle sue tematiche, per l’interpretazione dei
due protagonisti e per l’intero contesto di contorno. Prima di
intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile
approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama e al
cast di attori. Infine, si elencheranno anche le
principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
Il duello: la trama del film
La vicenda qui narrata si svolge nel
Texas del 1887. Abraham Brant, conosciuto da tutti
come “il predicatore”, è un despota dai fantomatici poteri divini
che governa gli abitanti di Monte Hermon con soprusi e
intimidazioni. Quando la voce su una serie di cadaveri ritrovati
sulle rive del Rio grande giunge sino alla capitale del Texas, il
governatore Ross decide di inviare il suo
miglior ranger, David Kingston, per indagare sulla
vicenda e risolvere il problema. A Brant, ovviamente, non va
affatto a genio che qualcuno da fuori venga a ficcare il naso nei
suoi affari e nei suoi illeciti.
Una volta a destinazione insieme a
sua moglie Marisol, David, celatosi sotto falsa
identità, riconosce in Abraham l’uomo che vent’anni prima uccise
suo padre durante un duello. Accecato dalla sete di vendetta, il
ranger decide di abbandonare la via della legge per dare inizio a
una guerra senza esclusione di colpi per liberare la cittadina dal
giogo del suo oppressore e vendicare la morte del genitore. Ma
quando il predicatore mette in pericolo sua moglie, la missione si
complica irrimediabilmente. Per David la vendetta acquisterà a quel
punto tutto un altro valore.
Il duello: il cast del film
Ad interpretare il ruolo del
tirannico Abraham Brant vi è l’attore candidato all’Oscar
Woody Harrelson.
Celebre per film come Tre manifesti a Ebbing,
Missouri e per la saga di Hunger Games, egli si è
preparato per questo ruolo ispirandosi parzialmente ad un villain
già interpretato in precedenza. Si tratta di Harlan DeGroat, a cui
aveva dato vita nel 2013 per il film Il fuoco della
vendetta. Accanto a lui, nei panni del ranger David Kingston
vi è invece l’attore Liam Hemsworth. Egli è
noto in particolare per aver interpretato il personaggio di Gale
Hawthorne in tutti e quattro i film della saga di Hunger Games, dove recitava
proprio al fianco di Harrelson.
Accanto a loro, nei panni della
moglie di David, Marisol Kingston, vi è invece l’attrice
Alice Braga. Originaria
del Brasile, questa si era già fatta notare in film come City
of God, Io sono leggenda e nei
panni della villain Cecilia Reyes nel film The New
Mutants. Nel film si ritrovano poi Emory
Cohen nel ruolo di Isaac Brant e Felicity
Price in quelli di Naomi. William Sadler,
noto per i film 58 minuti per morire – Die
Harder e Le ali della libertà, interpreta invece
il governatore Lawrence Sullivan Ross. Questi è una personalità
realmente esistita, che ha ricoperto la carica di governatore del
Texas dal 1887 al 1891. Sono infine presenti gli attori
Benedict Samuel nel ruolo di George e
Jason Carter in quelli di William.
Il duello: il trailer e
dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Il
duello è infatti disponibile nei cataloghi di
Chili, Google Play e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un
dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è
inoltre presente nel palinsesto televisivo di lunedì 13
giugno alle ore 21:10 sul canale
Rai Movie.