Su Netflix dal 28 settembre arriva
Blonde, il biopic di
Marilyn Monroe con l’attrice
Ana de Armas. La storia della Monroe ha spesso
sollevato dubbi su come effettivamente venissero trattate e
considerate le star del tempo e la verità è che sono stati tanti i
divi che a causa di Hollywood hanno avuto una vita difficile.
Hollywood non è mai stata
un’oasi felice. Chiunque sia finito nella sua morsa è
stato masticato, modellato e sputato fuori senza pietà alcuna. Ai
tempi dello star system – che ha contribuito a creare l’epoca d’oro
del cinema americano – ciò che contava non era chi facesse la
differenza, ma chi piuttosto riuscisse a rimanere a galla.
Blonde, Marilyn e le altre: le
clausole di Hollywood
Le case di produzione
cinematografica, le “Majors” (MGM, Paramount, 20th Century Fox, RKO
Pictures, Warner Bros), negli anni successivi alla loro fondazione erano mosse dal principio dello star
system. Esso altro non era che la creazione e la promozione di
divi, persone da far crescere ad Hollywood e poter lanciare
affinché portassero il maggior numero di introiti per i loro film.
I divi erano ciò che serviva per catturare l’attenzione del
pubblico e spesso erano giovani comuni, alcuni senza né
arte né parte, che venivano istruiti per diventare qualcun altro.
Il personaggio che veniva rigurgitato – letteralmente – da
Hollywood, era diverso, costruito, e aveva persino un altro
nome.
Il prezzo della fama, però, era la
libertà. Spesso le case di produzione avevano regole ferree,
molte delle quali non erano solo sfiancanti ma anche eccessivamente
limitanti. Venivano istituite delle clausole di moralità fra
Studios e divi, i quali avevano delle linee ben precise da seguire
e alle quali non potevano sottrarsi dopo aver firmato il contratto.
Ciò che contava non era la recitazione, ma
l’immagine. L’epoca d’oro del divismo, iniziata negli anni
’20, verrà sempre ricordata come un momento florido per il cinema
americano, ma che si trascina anche il peso di aver ridotto in
cenere molte star.

Come nasceva una stella
All’epoca Hollywood era famosa per
mettere in pratica il processo di glamorizzazione,
ossia la “fabbricazione di una star”. Gli Studios si ponevano
l’obiettivo di glamorizzare circa 10 future “stelline” all’anno
secondo il principio del piantare un albero. Chiunque fosse
riuscito a germogliare dopo 3 anni, e quindi a diventare qualcuno,
sarebbe rimasto lì. Gli altri, come le radici della pianta,
sarebbero stati estirpati da quel posto e buttati via. Tutto
cambiava: il nome, i capelli, i denti, le pose, il comportamento,
persino come sorridere e sbattere le ciglia. Non tutte però, seppur
superassero la prova, riuscivano a reggere quel tipo di vita e
imposizioni.
Marilyn Monroe non è stata
l’unica ad aver avuto una vita tormentata dopo essere approdata a
Los Angeles. Non è stata neppure l’unica ad aver dovuto
cambiare nome e vivere per due: per Norma Jane (suo vero nome) e
per Marilyn Monroe, la diva dai capelli d’oro che ancora oggi è
considerata un’icona nel panorama hollywoodiano. Altre sono state
le attrici che hanno dovuto subire in silenzio e rinunciare alla
propria felicità. Non sempre, come si suol dire, è tutto oro ciò
che luccica.
Judy Garland, una bambina cresciuta
in fretta
Altre due figure di spicco nel
cinema americano sono state Judy Garland e
Gene
Tierney. Entrambe hanno un comune denominatore uguale
a quello della Monroe: la tragedia. Ed entrambe sono state figlie
di Hollywood.
Judy Garland, il cui vero nome è Frances Ethel Gumm,
non ha mai avuto un buon rapporto con gli Studios sin da subito;
Los Angeles le portò una serie di problemi sin dall’adolescenza e
questi si riversarono spietati poi nell’età adulta.
Come lei stessa raccontò, non aveva
mai voluto fare l’attrice. Decisero per lei i genitori quando aveva
10 anni e cantava con il padre e le sorelle a teatro. Lì fu vista
da un esponente della MGM che le fece fare un provino: è lì che
Judy divenne di loro proprietà. Il periodo alla MGM non fu mai
facile: essa era diventata il “padre” della Garland e veniva
costantemente minacciata dalla madre “che lo avrebbe raccontato a
Louis Mayer”, se qualcosa non andava nel verso giusto.
Non solo
Blonde: Judy, una vita infelice
Judy, nella sua permanenza
lì, era costretta a una dieta ferrea e se infrangeva la
regola mangiando qualcosa che non fosse brodo, Louis Mayer la
riempiva di offese. Uno dei suoi primi e iconici film, Il Mago
di Oz, fu quasi un trauma per lei. Come lei stessa ricorda, la
trattavano come se fosse un pollo al mercato definendola “grassa e
brutta”. Fu lì che Judy, resasi conto di non poter fare a meno del
cibo, iniziò a prendere le pillole per dimagrire. Pillola dopo
pillola, ne diventò dipendente. Prendeva di tutto: pillole
per dormire, per stare tranquilla, per svegliarsi e… per essere
felice. Il suo sistema nervoso era a pezzi.
La vita di Judy fu costellata di
problemi matrimoniali e divorzi. Per Hollywood non andava bene che
avesse dovuto divorziare, non andavano bene i suoi atteggiamenti,
non andava bene che lei mangiasse. Il suo compito era soddisfare la
MGM che la voleva impeccabile, non permettendole neppure di pensare
ai suoi figli, e allo stesso tempo doveva impegnarsi per far
rimanere in piedi i suoi matrimoni. Nella sua breve vita, la
Garland ha avuto molti esaurimenti nervosi che l’hanno portata non
solo ad assumere più farmaci del previsto, ma anche ad essere
spesso alcolizzata.

Gene Tierney, fra amore e
follia
La Tierney, a differenza della
Garland, voleva invece diventare attrice a tutti i costi e il suo
sogno più grande era debuttare a Broadway. Il suo primo
vero contratto lo firmò con la 20th Century Fox all’età di 17
anni, diventando una vera e propria diva a 19. Nel 1941
Gene sposò Oleg Cassini, un nobil uomo dalle origini italiane. Se
fino a quel momento Hollywood con lei era stata clemente, dopo la
nascita della loro bambina Daria affetta da alcuni disturbi
mentali, diventò spietata.
Gene, infatti, sconvolta dai
problemi di salute della figlia si era ritirata nel Connecticut con
il bisogno di riprendersi da quel forte scossone. Ma la
20th Century Fox ignorò il problema, imponendole di tornare a Los
Angeles e di condurre la vita di prima come se nulla fosse
successo. Ancora una volta gli Studios volevano il personaggio e
gettavano nella spazzatura la persona.
Da qui, la Tierney cominciò a
condurre una vita malinconica e trascurata, tanto che ad un certo
punto decise di andare da uno psicanalista. Le pressioni della casa
di produzione e il non riuscire a conciliarle con la sua vita
privata che, piano piano, stava andando alla deriva, la
abbandonarono in una “dolce follia” dalla quale non si riprese mai
più.
Da sempre con Hollywood esiste solo
un concetto: o la si ama o la si odia. Ma una cosa è certa: spesso
quel che si vede dall’esterno non rispecchia mai cosa realmente
accade all’interno. E nonostante Hollywood sia stata quasi spietata
con le proprie stelle, i divi che ha partorito sono
diventati dei grandi immortali.
Blonde, diretto da Andrew
Dominik, è disponibile su Netflix dal 28 settembre, dopo
essere stato presentato in anteprima alla Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia
2022.
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