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Kevin Smith tra Clerks III e Hit Somebody

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Cambio di programmi per Kevin Smith, che dopo aver confermato l’intenzione di portare al cinema il terzo capitolo di Clerks, sembra invece aver deciso di trasferire  Hit Somebody sul piccolo schermo, nella forma di una miniserie. Ad annunciarlo è stato lo stesso Smith, via Twitter, spiegando che la decisione di portare Hit Somebody sul piccolo schermo, apre la strada a un nuovo progetto, che sarà comunque il suo ultimo lavoro per il cinema.

La vicenda di Hit Somebody è stata del resto abbastanza travagliata: inizialmente era previsto si svolgesse attraverso due film, poi la mancanza di finanziamenti l’aveva ridotta a un solo lungometraggio; le dimensioni della storia hanno poi portato alla decisione di trasformarla in una miniserie tv. Smith tornerà così a lavorare per il cinema con Clerks III; il regista ha peraltro in cantiere anche un film d’animazione dedicato agli stessi personaggi.

Fonte: Empire

Ty Burrell incontrerà i Muppets

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Già col ruolo di Phil Dunphy in Modern Family Ty Burrell ha dato prova delle sue capacità di comico: l’attore ora avrà nuovamente modo di mostrarle, vista la sua probabile partecipazione al nuovo film dedicato ai Muppets. La notizia potrà farà felici i suoi fan, meno coloro che attendevano di vedere Miss Piggy avere a che fare con Christoph Waltz: la partecipazione dell’attore al progetto a questo punto sembra definitivamente tramontata.

Il film vedrà Kermit e compagnia viaggiare in Europa, finendo per essere braccati dalla legge, tra agenti dell’Interpol – il ruolo di Burrell – e femme fatale russe. La sceneggiatura è stata scritta dal regista James Bobin assieme a Nick Stoller. Le riprese cominceranno nei prssimi mesi; Burrell darà prossimamente la voce al Mr Peabody nella versione DreamWorks del vecchio cartone animato Mr Peabody & Sherman, mentre sarà sugli schermi in The Skeleton Twins, con Bill Hader e Kristen Wiig.

Fonte: Empire

Dan Aykroyd: i Ghostbusters… vadano all’Inferno!

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No, non è un clamoroso dietro front, ma l’idea di Aykroyd per un eventuale quinto capitolo della saga degli Acchiappafantasmi. Dan Aykroyd non ha certo avuto vita facile nel portare avanti il terzo film dedicato agli Acchiappafantasmi: nonostante il progetto sia ancora in attesa del via libera della Sony, con l’intero cast confermato – a eccezione ovviamente di Bill Murray – l’attore sembra in pieno trip creativo, avendo già cominciato a parlare del quarto e del quinto film, che vedrebbe i protagonisti finire all’Inferno.

Aykroyd ha detto che vedere i Ghostubusters nell’Aldilà sarebbe grande, ma che ci vorranno uno o due film prima che questo succeda: il lavoro sarebbe già a buon punto, scritto dallo stesso Aykroyd assieme al suo collaboratore storico Tom Davis e promette di essere il più comico di tutti.  L’attore  ha dichiarato che se la Sony darà il via libera a Ghostbusters 3, probabilmente ci sarebbe spazio per un ulteriore ritorno: tuttavia lo stesso attore ha affermato che è arrivato il momento di avviare effettivamente il progetto, altrimenti c’è il rischio che i protagonisti gettino la spugna e visto che sono gli stessi a detenere i diritti, senza di loro il film non potrà essere fatto.

Fonte: WorstPreviews

Martin Sheen tornerà nel sequel di Amazing Spider-Man

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Dopo i ritorni di Andrew Garfield ed Emma Stone e le new entries Shailene Woodley (Mary Jane Watson) Jamie Foxx  (Electro) e Dane DeHaan (Harry Osborn), il sequel di Amazing Spiderman trova un’ulteriore conferma: quella di Martin Sheen, nel ruolo dello zio Ben. A confermarlo è stato lo stesso Sheen, che ha affermato di essere stato contattato dalla produzione, non avendo però offerto particolari sul come si articolerà la sua parte. L’attore ha anche confermato che le riprese prenderanno il via in febbraio.

Il personaggio dello zio Ben moriva nel primo film, quindi è presumibile che il suo ritorno avverrà attraverso flashback o sequenze oniriche. L’uscita di The Amazing Spider-Man 2 è stata fissata per il 2 maggio 2014.

Fonte: WorstPreviews

Gollum, dal Signore degli Anelli a Lo Hobbit: immagini e molto altro

Gollum è uno dei personaggi tolkieniani più complessi e affascinanti mai incontrati nella letteratura del ‘900. All’interno del corpus di Tolkien è senza dubbio il più ambiguo, cupo e misterioso, nonché quello verso il quale si prova maggiore senso di compassione e insieme di repulsione. Ne Lo Hobbit, Gollum ha un ruolo minore, ruolo che viene tuttavia ampliato a dovere ne Il Signore degli Anelli, in cui diventerà uno dei personaggi chiave.

Il mio tesssoro! Gollum

La sua nascita potrebbe risalire al 1928, nel racconto Glip, in cui Tolkien scrive di un personaggio molto simile a Gollum e dal quale potrebbe essere poi nato così come lo conosciamo.

In un primo momento Tolkien aveva fatto di Gollum una creatura piuttosto amichevole e onesta, che ammette di aver perso al gioco degli indovinelli contro Bilbo e si offre di aiutarlo. Poi però la sua natura cambia e diventa la creatura infida che ben conosciamo. In realtà però ne Lo Hobbit la creatura rimane piuttosto nell’ombra, in quanto lo stesso Tolkien dice di non sapere “chi o che cosa fosse”. Solo nel 1937, quando Tolkien comincia a sistemare i suoi appunti su Il Signore degli Anelli, abbiamo la possibilità di sapere qualcosa in più di lui: nel capitolo L’ombra del passato infatti Gandalf racconta la storia di Gollum a Frodo nel dettaglio, basandosi sulle sue indagini e le sue supposizioni.

SméagolNel 2466 della Terza Era della Terra di Mezzo, Sméagol va a pesca insieme a Déagol suo cugino. Il secondo cade dalla barca nell’Anduin e trova sul fondale un anello. Alla vista del ninnolo Sméagol impazzisce, aggredisce il cugino uccidendolo ed entra in possesso di quello che si rivelerà essere l’Unico Anello, forgiato da Sauron in persona nella fucine del Monte Fato. Sméagol, di mente e cuore debole, si lascia avvelenare dall’oggetto, con la conseguenza terribile di essere bandito dalla sua famiglia e dai suoi amici. Si rifugia così in un esilio volontario sotto le montagne, avendo preso ad odiare la luce del Sole e della Luce (“faccia gialla” e “faccia pallida”).

A quel periodo risale la sua trasformazione in Gollum, poiché viene soprannominato così a causa dell’orribile rumore di gola che emette. Nel suo nuovo rifugio comincia ad adattarsi all’oscurità nutrendosi solo di pesci crudi e orchi. Gollum tenne per sé l’Anello per circa 500 anni, chiamandolo Tesoro, perché l’unica cosa al mondo di cui avesse cura, l’unica di cui gli importasse davvero. Dopo questi 500 anni, Sauron cominciò a riacquistare consistenza e ammassò la sua ombra a Nord, nel Bosco Atro. L’Anello avvertì che il potere che l’aveva generato stava diventando più forte e abbandonò Gollum.

Ma in quel momento accadde qualcosa di prodigioso, qualcosa che nemmeno l’Anello poteva immaginare, infatti Bilbo Baggins, un piccolo hobbit della Contea lo trovò e se ne impadronì. In questo momento abbiamo ne Lo Hobbit l’entrata in scena di Gollum che sfiderà Bilbo al gioco degli indovinelli con lo scopo di imbrogliare e di mangiare lo sventurato (e apparentemente gustoso) ospite. Dopo la rocambolesca fuga di Bilbo, non sappiamo più nulla di Gollum fino a che ricomparirà misteriosamente ne Il Signore degli Anelli al seguito della Compagnia nelle miniere di Moria.

Sean Astin Il Signore degli Anelli
Gollum insieme a Frodo e Sam in una scena de Il Signore degli Anelli

In realtà dopo la perdita dell’Anello, Gollum trovò il coraggio di uscire dal suo rifugio, vagando alla ricerca del suo Tesoro, fino a che non venne catturato e torturato da Sauron stesso. Da lui l’Oscuro Signore apprende della strada che ha preso l’Anello e comincia a trovare interessante la Contea e i Baggins. Intanto Gollum viene lasciato libero nelle Paludi Morte, dove incontrerà Aragorn che lo cattura e lo mette sotto chiave presso re Thranduil nel Bosco Atro. Gli Elfi però impietositi dal suo aspetto misero ed emaciato, abbassano la guardia permettendogli di scappare.

Da quel momento Gollum troverà rifugio nelle miniere di Moria, dove si imbatterà proprio nella Compagnia e nel nuovo “padrone del Tesoro”. Da qui in poi la sua storia è ben nota: segue la Compagnia, tenta di attaccare Sam e Frodo sull’Emyn Muil e dienta la loro guida fino al Nero Cancello e a Minas Morgul. Poi li accompagna tra le fauci di Shelob per poi incontrare di nuovo gli hobbit sulle pendici dell’Orodruin, dove si compirà il suo destino. Alla sua morte, Gollum ha circa 600 anni, una longevità che deve principalmente al suo lungo possesso dell’Anello, che gli ha impedito di invecchiare, pur rovinandogli l’anima e la mente. Un po’ come è successo a Bilbo che nei 60 anni in cui ha avuto con sé l’Anello non è invecchiato di un giorno, cominciando però a sentirsi verso la fine un po’ “sottile”, come “del burro spalmato su troppo pane”.

Prima di trasformarsi in Gollum, Gandalf ci informa che Sméagol era molto simile ad un hobbit e amava molto il Fiume e l’acqua. Sulla base di queste informazioni possiamo dedurre che potesse appartenere al ceppo degli Sturoi, ovvero quegli hobbit che amavano l’acqua e le imbarcazioni. Non tutti gli hobbit infatti amano i corsi d’acqua, come ben testimonia Sam nel momento in cui è costretto ad imbarcarsi per seguire il corso dell’Anduin.

GollumIl possesso dell’Anello muta profondamente Gollum, lo rende miserabile e malvagio, molto furbo e violento, forte nonostante l’apparente fragilità, oltre a mutarne anche i gusti alimentari. Si può benissimo dire che l’Anello conferisce a Gollum una personalità dissociata. “Lui odia e ama l’anello, proprio come odia e ama se stesso” come dirà Gandalf, che più di tutti sembra essere capace di spiegare il comportamento ambivalente di Gollum, nonostante forse solo Frodo riesca a capire fino infondo come si deve sentire in realtà la creatura.

Solo con Frodo infatti la parte buona, Sméagol, tornerà a galla, riuscendo a restituirgli un po’ di serenità. Proverbiale infine è la sua avversione per gli Elfi, e tutto ciò che è fabbricato e prodotto da loro, questa sua repulsione lo contrapporrà ancora di più al suo alter ego per eccellenza, ovvero Sam, che invece adora gli elfi e tutto ci che rappresentano.

Ne Il Signore degli Anelli il personaggio di Grima Vermilinguo è l’unico che può vagamente essere paragonato a quello di Gollum per affinità di carattere e comportamento. Entrambi infatti sono doppiogiochisti e sono schiacciati da un potere malefico superiore, inoltre entrambi tradiranno i loro padroni.

Nella trilogia de Il Signore degli Anelli diretta da Peter Jackson, Gollum è uno degli elementi più rivoluzionari e più riusciti dell’intera saga, oltre a rappresentare una vera e propria pietra miliare per la tecnica della motion capture. Jackson infatti, in collaborazione con la Weta Digital, mise a punto una particolare tecnica che potesse permettere di realizzare una creatura digitale con tutte le movenze e le caratteristiche di un attore in carne ed ossa.

Ad interpretare Gollum chiamò quindi Andy Serkis che prestò movimenti corporei e facciali alla sua controparte digitale. La motion capture è ora una tecnica digitale che ha raggiunto livelli di verosimiglianza altissimi ma, ricordiamo, venne creata proprio per dare una forma credibile alla nostra piccola e infida creatura. Gollum è al 13° posto tra i migliori 100 personaggi cinematografici di sempre secondo Empire, oltre a godere di una miriade di citazioni, in cartoni animati e serie tv, tra le quali ricordiamo quella epica di Big Bang Theory in cui il protagonista Sheldon sogna di essersi trasformato in Gollum dopo essere entrato in possesso per caso dell’anello usato per girare alcune scene del film. La sua frase maggiormente rappresentativa “il mio tesssssoro” è entrata a far parte del linguaggio comune trai giovani (e non) fans della saga.

Anche Terrence Howard nel thriller Prisoners

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Anche Terrence Howard nel thriller Prisoners

Nuovo arrivo per Prisoners, thriller firmato da Dennis Villeneuve: entra nel cast Terrence Howard, che affiancherà il protagonista Hugh Jackman.

La storia ruota attorno a un padre la cui figlia è vittima di un rapimento, assieme ad una sua amica. Quando le ricerche della polizia falliscono, il protagonista decide di muoversi in prima persona, catturando quello che lui pensa essere il responsabile, entrando in conflitto col detective che segue le indagini, interpretato da Jake Gyllenhaal.

Il cast di Prisoners comprende anche Maria Bello, Viola Davis, Melissa Leo e Paul Dano, la sceneggiatura è stata firmata da Aaron Guzikowski e l’inizio delle riprese è previsto per febbraio, puntando all’uscita sugli schermi nell’autunno 2013. Terrence Howard sarà prossimamente sugli schermi con The Butler, Movie 43 e Ten.

Fonte: Empire

Kathryn Bigelow ci racconta la sua Zero Dark Thirty

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Kathryn Bigelow ci racconta la sua Zero Dark Thirty

L’orgoglio americano non poteva non partorire un film sull’uccisione del suo nemico numero uno degli ultimi vent’anni: Osama Bin Laden. Il 19 dicembre 2012 e in Italia il 10 gennaio 2013 arriverà nelle sale italiane Zero Dark Thirty, che racconta proprio le gesta della Navy SEAL che il 2 maggio 2011, alle 00:05 ora locale, ha rintracciato e ucciso il numero uno di Al Qaeda.

La star cinese Wang Xuequi in Iron Man 3!

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La star cinese Wang Xuequi si è unito al cast del prossimo Iron Man 3 nel ruolo del Dottor Lu. La notizia è stata annunciata da Deadline, secondo il quale il film diretto da Shane Black è nella sua fase finale di riprese a Pechino. Xuequi è noto per aver interpretato Warriors of Heaven and Earth e Bodyguards and Assassins. Nel casti ritorna il protagonista  nei panni di Tony Stark. Fanno parte del cast anche  e Iron Man 3 uscirà in Nord America 3D e 2D il 3 maggio 2013. Per tutte le notizie sul film vi segnaliamo il nostro speciale: Iron Man 3.

Tutte le foto del film nella nostra foto gallery:

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Ruby Sparks: recensione del film di Jonathan Dayton e Valerie Faris

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Arriva al cinema distribuito da 20th Century Fox, Ruby Sparks, il film diretto da Jonathan Dayton, Valerie Faris e con protagonisti Paul Dano e Zoe Kazan. E se quello che scriviamo prendesse vita davanti ai nostri occhi? Se, per un fortuito caso, persona di cui scriviamo, un completo prodotto della nostra fantasia, prendesse corpo davanti a noi, vivendo e mangiando e parlando con noi, come se fosse una persona reale? E’ questa la straordinaria e magica realtà con cui deve fare i conti Calvin, uno scrittore con il “blocco”.

In Ruby Sparks Calvin Weir-Fields è un trentenne che a 19 anni ha pubblicato un grande romanzo amatissimo da lettori e editori, ma da allora, nonostante fama e successo non riesce più a scrivere nulla, fino a che non sogna Ruby, una ragazza che lo ispirerà in tal misura da spingerlo a scrivere di lei. Calvin si getta a capofitto in questa nuova avventura, raccontando della sua ragazza da sogno: ne descrive le abitudini, il carattere, i gusti, l’aspetto. Tutto di Ruby gli pace, perché è lui ad inventarla riga dopo riga, e luila rende così perfetta ai suoi occhi che finisce per innamorarsene. Nonostante la completa assenza di amici, a parte il fratello, e di rapporti umani, la vita di Calvin comincia a migliorare, proprio grazie a questa magnifica invenzione di inchiostro. Fino a che Ruby non apparirà per magia nella sua casa: una ragazza in carne e ossa, occhi chiari e grandi, capelli rossi e guance paffute, invaderà la casa e la vita di Calvin, che asseconderà di buon grado questa misteriosa magia.

A sei anni dal delizioso e geniale Little Miss Sunshine, Jonathan Dayton e Valerie Faris ci raccontano Ruby Sparks, un’altra storia che ha nell’intuizione iniziale una buona percentuale del suo successo, e nel racconto svolto con grande delicatezza e criterio l’arma vincente. La storia diventa il principale elemento di veicolazione delle emozioni, in un film che racconta della necessità di avere qualcuno accanto, ma anche della solitudine, dell’ambizione e della capacità di conciliare se stessi con i propri sogni.

Ruby SparksGrandi protagonisti del film sono Paul Dano e Zoe Kazan anche autrice della sceneggiatura e nipote del grande Elia. Proprio la sceneggiatura riesce a coinvolgere in maniera sorprendente perché, una volta che il prodigio avviene e Ruby diventa reale, è naturale chiedersi come la storia potrà procedere senza annoiare, sviluppandosi lungo una retta temporale definita.

Ruby Sparks riesce benissimo a tenere il ritmo della sua storia, con dialoghi brillanti, svolte interessanti, messa in gioco di sentimenti e comportamenti tanto umani ma allo stesso tempo che appaiono assurdi in una persona “finta”. E infatti Ruby si rivelerà essere tutt’altro che una persona finta, al contrario di Calvin, che preferisce il buio, la solitudine, la realtà uguale a se stessa, senza possibilità di evoluzione o cambiamento. Fanno parte del cast in due piccoli ma divertenti ruoli Annette Bening e Antonio Banderas. Ruby Sparks è una commedia dolce e romantica, sotto alcuni aspetti anche inquietante, ma anche intelligente e con un finale che allarga il cuore.

Nuovo Poster del film Hansel & Gretel con Jeremy Renner!

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Nuovo Poster del film Hansel & Gretel con Jeremy Renner!

Arriva un nuovo poster dal Brasile per il film Hansel & Gretel – Cacciatori di streghe con protagonisti Jeremy Renner e Gemma Arterton.

Hansel & Gretel – Cacciatori di streghe è diretto da Tommy Wirkola e il cast include Jeremy Renner, Gemma Arterton, Famke Janssen,  Derek Mears e  Peter Stormare. È la storia di Hansel e Gretel, cacciatori di taglie, che hanno dedicato la loro vita a sterminare le streghe, ed è un adattamento della favola. Il film uscirà nelle sale USA l’11 Gennaio 2013. Tutte le altre info nella nostra Scheda Film: Hansel & Gretel – Cacciatori di streghe

 

Video dal set di Thor: Il mondo delle Tenebre!

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Le riprese di Thor: Il mondo delle Tenebre (Thor: The Dark World) stanno volgendo al termine, e forse arriva uno degli ultimi contributi sul set di Londra. Infatti, la troupe ha girato alcune scene di massa a St. Paul. 

Samuel L. Jackson vuole partecipare ai nuovi Star Wars!

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La nuova trilogia annunciata di Star Wars ha innalzato gli animi di addetti ai lavori e fan, come in questo caso. Infatti, Samuel L. Jackson sembra davvero entusiasta per la notizia di un’altra trilogia,

Trailer originale di Oblivion con Tom Cruise!

Trailer originale di Oblivion con Tom Cruise!

Guarda il Trailer originale del film Oblivion di Joseph Kosinski con protagonisti Tom Cruise, Morgan Freeman, Nikolaj Coster-Waldau, Olga Kurylenko, Zoe Bell, Melissa Leo, Andrea Riseborough. La pellicola è considerata uno degli eventi  cinematografici più attesi del 2013 e dovrebbe debuttare l’11 Aprile 2013 nei nostri cinema. Per saperne di più consulta la nostra Scheda Film:Oblivion.

L’Atlante delle Nuvole secondo la Nave Spaziale Wachowski: arriva Cloud Atlas

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È da tanto tempo che i fratelli Wachowski (Andy e Lana, che adesso si fanno chiamare la Nave Spaziale Wachowsi) non mettono mano alla macchina da presa per raccontarci una storia. Finalmente, le geniali menti dietro alla trilogia di Matrix, hanno abbandonato il loro ritiro artistico, che durava dai tempi del poco felice Speed Racer del 2008.

Apocalypse Now: un viaggio attraverso gli orrori del Vietnam secondo Francis Ford Coppola

Apocalypse Now è il film culto del 1970 diretto da Francis Ford Coppola e con protagonisti nel cast Martin Sheen, Marlon Brando, Robert Duvall e Dennis Hopper.

Apocalypse NowAnno: 1979

Regia: Francis Ford Coppola

Cast: Martin Sheen, Marlon Brando, Robert Duvall, Dennis Hopper

Trama: Saigon 1969. Il capitano Benjamin L. Willard (Martin Sheen), uno stanco ed alienato ufficiale dei marines, viene convocato in tutta fretta per una missione speciale e segreta.

Alla presenza di alcuni ufficiali della sezione informazioni militari e forse di alcuni membri dei servizi segreti gli viene commissionato il delicato incarico di risalire il fiume Nung sino ad addentrarsi nella lontana e pericolosa giungla cambogiana. Qui, secondo intercettazioni radio, si trova il colonnello Walter E. Kurtz (Marlon Brando) pluridecorato ufficiale dei berretti verdi; il compito tassativo è quello di eliminare il colonnello, senza esitazione alcuna. Il motivo? Sembra che l’ufficiale disertore si sia messo a capo di un piccolo esercito di soldati-sudditi e si sia reso protagonista di una serie di atrocità, prova della sua ragione ormai compromessa.

Imbarcatosi su una piccola chiatta e scortato da un ristretto quanto improbabile equipaggio ignaro della meta e dello scopo della missione, il capitano Willard inizia così un lungo viaggio attraverso il paese in guerra che lo dovrà condurre al cospetto del misterioso colonnello scomparso.

Nel 1979, Francis Ford Coppola riesce finalmente a completare quello che sarà destinato a diventare  uno dei film culto per più generazioni e pietra miliare del cinema di guerra. Una delle testimonianze più crude e allucinanti di un conflitto, quello del Viet-nam, che ha indelebilmente segnato la coscienza di un paese e forse di tutto il mondo occidentale.

Apocalypse Now è un film liberamente ispirato al celebre romanzo di Joseph Konrad, Cuore di tenebra, di cui però Coppola cambia ambientazione spazio-temporale. Coppola vuole rappresentare un viaggio, un lungo viaggio attraverso la guerra e che della guerra deve mostrare tutti gli orrori, l’inutilità e la forza alienante, l’assuefazione alla violenza quotidiana che si è costretti a praticare.

Così il fiume Nung, presenza costante per quasi tutto il film, diventa una sorta di simbolo, una linea concettuale che collega tutte le varie fasi della narrazione, un filo conduttore a cui si ritorna dopo ogni avventura affrontata dal protagonista.

Ed una volta tornati sulla barca, unico rifugio dove potersi sentire al sicuro, il capitano Willard sfoglierà pagina dopo pagina il lungo dossier sull’uomo da scovare ed uccidere. Il percorso di avvicinamento non solo fisico ma sopratutto intellettuale tra il carnefice e la sua vittima è indubbiamente l’aspetto più interessante del film. Willard conosce gradualmente i profili psicologici di quell’eroe di guerra che prima dei trent’anni era arrivato ad un passo dall’essere generale e che sicuramente sarebbe diventato capo di stato maggiore. Allora capire il motivo della sua pazzia, della sua degenerazione mentale improvvisa e inspiegabile diventa per Willard un’ossessione, Kurtz e il fascino e il magnetismo che trasmette la sua vita diventano un’ossessione.

Apocalypse Now

Il lungo e dantesco viaggio attraverso la giungla porterà Willard e la sua truppa ad incontrare personaggi e situazioni quasi farsesche, al limite del grottesco; su tutte la conoscenza dell’eccentrico tenente William “Bill” Kilgore, interpretato da un superlativo Robert Duvall, comandante di un reggimento elicotteristico, la 1st Cavalry Division. Kilgore è un signore della guerra che “ama i suoi ragazzi e che non si farà mai un graffio” e che si getta all’attacco di villaggi vietcong sulle note inquietanti della Cavalcata delle Valchirie di Wagner e che ama l’odore di napalm al mattino perchè “è l’odore della vittoria”.

Quindi l’incontro con le playmate giunte per sollevare il morale dei soldati, l’escursione tra trincee senza comando dove si spara senza sapere a chi e per quale motivo oltre ai vari attacchi dei guerriglieri nascosti sulle sponde del fiume.

Ma il vero protagonista attorno al quale ruota tutto il film, resta e rimane questo misterioso ed enigmatico colonnello Kurtz, figura ombra che pur non comparendo per tre quarti del film ne è in realtà il cuore pulsante. Kurtz appare e si materializza solo negli ultimi quaranta incredibili minuti in cui la scena viene dominata in modo incontrastato dal grande Marlon Brando.

Forte di una presenza scenica unica e forse ineguagliabile, Brando interpreta uno dei suoi personaggi forse più complessi e tormentati e che per questo gli si addice maggiormente. Sempre ritratto nell’ombra, e confuso nelle tenebre del suo sinistro tempio “dall’odore di morte stagnante”, Kurtz è il signore di un esercito di uomini-spettri che sembrano vittima di uno strano incantesimo e che da lui subiscono supinamente le più pazzesche atrocità. Cadaveri disseminati sugli alberi, sulle scalinate insanguinate di un antico palazzo, forse una pagoda buddista, un’atmosfera di morte e follia di fronte alla quale Willard rimane sconvolto.

Al cospetto di  Kurtz, il capitano è vittima di quel fascino e di quella capacità affabulatoria di un uomo che esalta la metodicità e la disciplina dell’esercito vietnamita prevedendone la futura quanto inevitabile vittoria. Kurtz è filosofo di morte e di violenza che disegna sofismi sul terrore, sull’orrore al quale il soldato americano non sarà mai avvezzo. Ma nei monologhi del colonnello leggiamo una denuncia, una critica alle contraddizioni e all’illogicità dei comandi americani i quali costringono i loro ragazzi a diventare spietati assassini per richiamarli poi a rispettare stupidi dettami morali.

Come un altro ufficiale che lo precedette in quell’incarico, anche Willard è sul punto di cedere alla filosofia e alla forza persuasiva del colonnello ma la sua razionalità e il rifiuto di quella degenerazione lo salverà dalla follia e lo porterà al compimento della sua missione.

Apocalypse Now è un film che come pochi altri induce a riflettere sull’atrocità della guerra e sui limiti a cui può portare la follia umana. Un film tormentato e psicologico, allucinato e allucinante nelle sue atmosfere e nelle sue musiche che hanno in The end dei Doors l’apertura e la chiusura più degna e indovinata che Coppola potesse scegliere.

Riprese durate un anno e mezzo nella giungla delle Filippine tra tornadi e tifoni che distrussero più volte il set; Sheen che si ferì ad una mano ed ebbe un infarto che rese necessaria una controfigura in talune sequenze. Brando che fece impazzire Coppola tanto da rifiutarsi di girare le riprese con il grande attore affidandole al suo vice; un montaggio durato più di due anni.

Un’odissea che portò il regista a perdere una ventina di chili e che mise a rischio il suo matrimonio per una crisi depressiva che lo colse per la paura di non portare a compimento il suo sogno. Ma  i grandi capolavori hanno spesso gestazioni lunghe e difficili, complesse e tormentate, forse necessarie a rendere il risultato tanto eccellente. Noi non smetteremo mai di ringraziare Coppola di non aver ceduto, di non aver desistito dall’idea e dall’utopia di terminare questo film. Un film che consigliamo di vedere nella sua versione Redux in quanto la consideriamo migliore e più esaustiva, comprendente sequenze chiave e fondamentali per capire al meglio una narrazione non facile.

Gli Anni Ruggenti: il fascismo visto attraverso lo ironico di Luigi Zampa

Gli Anni Ruggenti è un film del 1962 diretto da Luigi Zampa e con protagonista nel cast Nino Manfredi, Gino Cervi, Michèle Mercier, Gastone Moschin.

La trama de Gli Anni Ruggenti

1937, XV anno fascista. Salvatore Acquamano (Gino Cervi) è il podestà di un piccolo paese a pochi chilometri da Alberobello; un cugino impiegato nel ministero lo avverte dell’arrivo imminente di un gerarca in incognito incaricato di effettuare un’ispezione sul territorio.

Convocato tutto il consiglio comunale, composto tra gli altri anche dal burbero segretario politico Carmine Passante (Gastone Moschin), il panico si diffonde immediato viste le innumerevoli magagne che rischiano di essere smascherate.

Il tanto temuto ispettore è individuato nella figura di un giovane forestiero appena giunto da Roma, un certo Omero Battifiori (Nino Manfredi) che si spaccia per un assicuratore in cerca di nuovi clienti. Peccato che il giovane e spigliato presunto gerarca sia in realtà quello che dice di essere ma il gioco degli equivoci è ormai iniziato e sarà quasi impossibile fermarlo.

Gli Anni Ruggenti, il film

E’ il 1962 quando Luigi Zampa dirige questo brillantissimo esempio di tragicommedia all’italiana; un affresco quanto mai ironico e divertente su un periodo storico molto particolare e di cui ancora, in quegli anni, si percepivano gli echi e i freschi ricordi.

Una sceneggiatura scritta a sei mani ed in cui Zampa si avvale della preziosissima collaborazione di Ruggero Maccari e sopratutto di Ettore Scola. E crediamo che proprio Scola abbia contribuito particolarmente, in sede di scrittura del film, a bilanciarne la forte carica ironico-satirica con una certa eleganza e gravità di base, tipica del suo fare cinema.

Gli anni ruggenti infatti non è solo una semplice commedia in cui si ride, e molto, grazie al susseguirsi di situazioni farsesche e divertenti rese ancor più esilaranti da attori eccezionali e dalla grande carica comica; ma è anche e innanzitutto un film che al contempo vuole riproporre e affrontare temi e problematiche legate al “ventennio” da poco concluso.

Divertire e far riflettere, sorridere sì ma di un sorriso spesso amaro che alla lunga si smorza in una sorta di ghigno, in una smorfia, come da tradizione della grande tragicommedia nostrana.

Mostrare la tipica società fascista di provincia, di una provincia lontana da Roma, da piazza Venezia e dalle grandi adunate; una provincia così lontana dal centro di potere da sentirsi al sicuro da occhi e orecchie indiscrete e poter così dar libero sfogo alla sua irresistibile smania di corruzione. Il quadro che Zampa ci propone è impietoso: funzionari di partito, dirigenti sanitari, scolastici e loschi mestieranti in camicia nera che utilizzano quella particolare congiuntura storico-politica per arricchirsi, ampliare il proprio volume di affari, assecondare i propri interessi e il tutto a scapito della povera gente.

Non c’è ideale, non c’è convinzione sincera in qualcuno o qualcosa ma solo sete di danaro, sete di ricchezza. Straordinari nel fornirci i classici esempi di questa provincia corrotta e basata sul malaffare sono Gino Cervi, podestà che utilizza la sua posizione per sfruttare più e peggio di prima gli stessi braccianti che lavorano le sue terre e Gastone Moschin, segretario politico dalla mascella protesa e il petto sempre gonfio ma in realtà pavido come un agnellino.

Nino Manfredi invece interpreta con la solita maestria il protagonista della storia, il vero perno su cui ruota tutta la narrazione. Giovane impiegato onesto e innocentemente fedele al partito, avrà suo malgrado modo di conoscere tutto il marcio che può nascondersi sotto il velo di legalità, fermezza morale e borghese di uomini fieri e orgogliosi fascisti. Avrà modo di constatare come le loro ruberie si riversino sulla povera gente che, in un piccolo borgo pugliese, può ancora vivere accampata nelle caverne nascoste tra le montagne. La composta ed educata amicizia che nasce con il dott. De Vincenzi, intellettuale anti-fascista, interpretato da un sempre meraviglioso Salvo Randone, aiuta il giovane protagonista ad aprire gli occhi su quello che si cela dietro ad un apparente benessere.

Il dott. De Vincenzi sarà per Omero una sorta di Virgilio che lo guiderà in questo viaggio dantesco verso la verità.

Attori impeccabili, straordinari nel rivestire ognuno il ruolo loro assegnato, una sceneggiatura elegante quanto divertente ed amara, una ricostruzione storica e sociale fedele ed impietosa. Gli anni ruggenti è un film che consigliamo fortemente in quanto diverte, fa conoscere e riflettere anche se alla fine, forse, è la nostalgia il sentimento che rimane…nostalgia di un cinema che fu.

Serenity: recensione del film di Joss Whedon

Serenity: recensione del film di Joss Whedon

Serenity è il film del 2005 diretto da Joss Whedon prima di dirigere The Avengers e con protagonisti Nathan Fillion, Morena Baccarin e Alan Tudyk.

 

Trama: In un futuro remoto, il capitano Malcom “Mal” Reynolds – un disilluso veterano che ha combattuto, dalla parte dei perdenti, una guerra civile tra pianeti – sbarca fortunosamente il lunario compiendo piccoli crimini e trasportando passeggeri e merci (senza fare troppe domande) sulla sua astronave classe Firefly “Serenity”. È a capo di un equipaggio esiguo ed eclettico – che è per lui la cosa più vicina ad una famiglia – litigioso, insubordinato, ma fedele fino alla morte.

Serenity filmQuando Mal aveva accettato di trasportare a bordo Simon Tam, un giovane dottore, con la sua instabile e telepatica sorella River, aveva imbarcato molto più di quello che si aspettava. I due sono fuggiti dall’Alleanza – la coalizione che domina il sistema planetario dopo la guerra – che non si fermerà davanti a nulla pur di riavere la ragazza. L’equipaggio, abituato a navigare non visto ai margini del sistema, si trova improvvisamente intrappolato tra questa forza militare inarrestabile e i Reavers: barbari selvaggi e antropofagi che vagano ai limiti dello spazio.

Ricercato, l’equipaggio comincia presto a scoprire che il pericolo più grande alla loro incolumità potrebbe essere proprio a bordo della “Serenity”. River, la giovane ricercata, malgrado le cure del fratello dà segni di essere imprevedibile e pericolosa.

Serenity, tra Star Wars e Blade Runner 

Serenity è un film di fantascienza del 2005, diretto da Joss Whedon, che ha una lunga esperienza da sceneggiatore e fumettista, al suo primo film da regista. Il lungometraggio è basato sulla serie televisiva fantawestern Firefly, di cui è la conclusione.

Il suo punto di forza è il suo essere user friendly: sceneggiatura semplice e nessun virtuosismo registico fine a sé stesso. La trama presenta tutti gli elementi di una storia comune a tante: un gruppo ben assortito di buoni, un cattivo che li insegue, una missione da compiere e un mistero finale svelato.

L’unico difetto tangibile di Serenity è la quasi totale mancanza di scene madri e di battaglie ad alto tasso di spettacolarità, difetto legato allo scarso budget. Paradossalmente però, proprio la mancanza di questo tipo di scene, sulle quali poggia oramai il 100% della produzione spettacolare americana, ha permesso una maggiore cura dei personaggi, della storia e degli elementi di contorno.

Nel cast, tra gli attori protagonisti, troviamo Nathan Fillion nei panni di Malcom “Mal” Reynolds, Morena Baccarin in quelli di Inara Serra e Alan Tudyk che interpreta Hoban “Wash” Washburne.

Nonostante la sua semplicità e la fruibilità della trama, questa pellicola fu accolta superficialmente al botteghino: circa 39 milioni di dollari in totale, all’incirca pari ai costi di produzione, guadagnando solo con la vendita del DVD, specie online grazie ad Amazon.

Nel marzo 2007 un sondaggio online del sito della rivista britannica SFX ha inaspettatamente collocato Serenity come migliore film di fantascienza della storia, davanti a titoli decisamente più blasonati quali Guerre stellari, Blade Runner o 2001: Odissea nello spazio.

Sunshine: recensione del film di Danny Boyle

Sunshine: recensione del film di Danny Boyle

Sunshine è un film del 2007 diretto da Danny Boyle e con protagonisti Cillian Murphy, Chris Evans, Rose Byrne, Michelle Yeoh, Cliff Curtis e Mark Strong.

La trama del film Sunshine

Nel 2057 il Sole si sta spegnendo e la Terra rischia l’estinzione. Per tentare di salvarla, è stato mandato in missione un esperto equipaggio composto da due astronauti e un gruppo di scienziati, a bordo dell’enorme astronave Icarus II, con l’incarico di gettare e detonare nella stella una gigantesca bomba nucleare al fine di riattivare le reazioni nucleari all’interno del Sole ed evitarne lo spegnimento.

A compiere la stessa missione sette anni prima, era stata mandata l’astronave Icarus I, quasi identica, di cui però si erano perse le tracce prima che raggiungesse il Sole.

Fanno parte dell’equipaggio il capitano (Kaneda), un fisico (Robert Capa), una biologa (Corazon, detta Cory), il primo ufficiale addetto alle comunicazioni (Harvey), un esperto matematico (Trey), la co-pilota (Cassie), un ingegnere (Mace) ed uno psicologo (Searle). Durante il viaggio verso il sole, il gruppo ha una serie di vicissitudini, dettate soprattutto dal nervosismo che la difficile e delicata missione scatena in loro.

Sunshine, la fantascienza secondo Danny Boyle

Sunshine è un film di fantascienza del 2007 diretto da Danny Boyle, regista, tra gli altri, di Trainspotting. La matrice del film è puramente apocalittica, essendo la storia basata su un evento tanto caro a Hollywood: la fine del Mondo causata da eventi spaziali catastrofici. Se Armageddon, uscito nove anni prima, delegò a un grosso meteorite il compito di mettere fine alle nostre vite, Sunshine si affida al graduale spegnimento del sole. Rispetto però a tanti film sul genere, lo fa da una prospettiva anticonvenzionale: puntando soprattutto sulla psiche dei protagonisti. In coloro che sono chiamati a salvarci si innesca infatti una tensione scatenata dall’istinto per la sopravvivenza.

sunshine filmD’altronde si sa, in situazioni di pericolo emergono tanti difetti tipici dell’uomo, e le diatribe tra i personaggi quasi fanno dimenticare che il pericolo principale sia lo spegnimento del sole. Del resto lo sceneggiatore Alex Garland – ispiratosi alla teoria della morte termica dell’universo – ha così spiegato la sua idea: “Ciò che mi interessava era l’idea che si potesse arrivare ad un punto in cui la sopravvivenza dell’intero pianeta ricadesse sulle spalle di un solo uomo, e come questo potesse dargli alla testa”. L’egoismo dei protagonisti finisce per diventare più pericoloso del sole stesso.

La scelta del cast da parte del regista Danny Boyle si basò su scelte decisamente etniche. Decise di scegliere un cast artistico misto e complesso, in modo da incoraggiare un processo più democratico, similmente a come era avvenuto per il film Alien di Ridley Scott. L’equipaggio venne composto con attori di nazionalità americana e asiatica, supponendo che nel futuro i programmi spaziali della NASA e il Programma spaziale cinese fossero comunque quelli più avanzati, ignorando però quelli cinesi e brasiliani pure molto avanzati, onde evitare un cast esageratamente disparato. Il produttore, Andrew Mcdonald, richiese inoltre che venisse selezionato un cast che potesse ostentare un accento americano di alto livello.

La produzione del film

La produzione del film fu funestata da iniziali problemi di finanziamento. Nel marzo 2005, dopo aver ultimato Millions (2004) il regista Danny Boyle venne preso in considerazione per dirigere 3000 Degrees, un progetto della Warner Bros. Allo stesso tempo però Boyle ricevette una sceneggiatura scritta da Alex Garland, che aveva già affiancato il regista nel 2000, con The Beach e nel 2002 con 28 giorni dopo. Assieme al produttore Andrew Mcdonald presentarono la sceneggiatura alla 20th Century Fox, che però si dimostrò riluttante a finanziare un film simile al recente remake di Solaris visti bassi incassi ottenuti dalla pellicola.

Il film venne quindi finanziato indirettamente, affidandosi alla Fox Searchlight Pictures. Il budget iniziale stimato però si aggirava sui 40 milioni di dollari, troppi anche per la Fox Seachlight, e quindi Mcdonald cercò altri finanziatori nel Regno Unito, ottenendo aiuti dall’Ingenious Film Partners.

Curiosità sul film Sunshine

Lo sceneggiatore Alex Garland per scrivere Sunshine si ispirò direttamente alla teoria della morte termica dell’universo, in particolare da un articolo che «proiettava il futuro dell’umanità in una prospettiva completamente scientifica ed atea». L’articolo era stato pubblicato da un periodico scientifico statunitense, e Garland si chiese cosa sarebbe successo se il sole fosse morto. Garland sottopose quindi la sceneggiatura al regista Danny Boyle che la accolse di buon grado, rimuginando da tempo l’idea di girare un film fantascientifico ambientato nello spazio. Boyle e Garland lavorarono sulla sceneggiatura per un anno, ideando oltre 35 progetti durante i loro esperimenti.

La storia venne inoltre scritta in parte per riflettere la brillante e «necessaria arroganza» della scienza della vita reale, nel momento in cui agli scienziati del mondo viene presentata la crisi che minaccia la Terra.

L’ambientazione temporale della trama, 50 anni nel futuro, venne scelta per non sembrare troppo distante dalla realtà odierna, ma al tempo stesso per permettere un viaggio verso il sole con tecnologia avanzata e futuristica. Vari consulenti scientifici, teorici del futuro e produttori di strumentazioni tecnologiche vennero consultati per meglio delineare una strumentazione realistica.

Boyle considerò inoltre la storia di Sunshine come un approccio controintuitivo al problema contemporaneo del surriscaldamento globale, con la morte del sole che diventa una minaccia. Originariamente, Sunshine venne pensato con un’introduzione di una voce fuori campo che racconta dei genitori che insegnano ai figli di non guardare il sole, e di come i bambini sarebbero invece stati spinti a farlo proprio dal divieto.

Boyle descrive il sole come una personalità quasi divina all’interno del film, creando una dimensione psicologica per gli astronauti a causa delle sue enormi dimensioni e della sua potenza.

Per ricreare l’ambientazione, Boyle e Garland, si affidarono anche a impiegati della NASA e a vari astrofisici. Un fisico in particolare, Brian Cox dell’università di Manchester, venne consultato per istruire gli attori, dopo che il regista aveva notato il lavoro svolto da Cox con il cast del programma televisivo Horizon. Il fisico tenne regolari lezioni ai membri del cast sulla fisica del sole.

Cox consigliò inoltre a Boyle e Garland di ridurre le dimensioni della bomba nucleare trasportata dall’astronave Icarus II, per parificarla alle dimensioni dell’isola di Manhattan, anziché delle dimensioni della Luna come inizialmente pensato.

Nel retroscena del film, la causa della morte del Sole è una Q-ball, ma secondo Cox il Sole nella realtà non sarebbe denso abbastanza per fermare una Q-Ball. Boyle ha quindi deciso di usare arbitrariamente una licenza poetica per descrivere tale scena, impossibile nella realtà.

Paranoid Park e la rassegnazione grunge dell’anima

Paranoid Park e la rassegnazione grunge dell’anima

Il regista Gus Van Sant gira il film Paranoid Park nel 2007. Un ragazzino di nome Alex, che frequenta la scuola superiore e ha la patente di guida, ama correre in skateboard, per le strade di Portland. Il suo più caro amico, Jared, un giorno gli propone di visitare con lui un posto molto speciale: il Paranoid Park. Là, esiste la più importante ed impegnativa pista artificiale per gli skaters della città. Una sera Alex si reca al Paranoid Park da solo.

E’ uno dei ragazzi più giovani, per cui subito gli altri skaters s’accorgono della sua presenza. Pare che Alex non abbia l’intenzione di gareggiare, forse perché intelligentemente sa che il suo livello di preparazione è basso. Un ragazzo più “maturo” gli va incontro, con un gruppo di amici. Alex gli presta il suo skateboard. In seguito, lui si farà convincere che con loro sarebbe bello montare su un treno in corsa. La ferrovia passa nei pressi del Paranoid Park. Alla fine, Alex effettivamente salirà su un treno in corsa, accompagnato dal solo ragazzo cui aveva prestato lo skateboard. Una guardia però si accorge della loro presenza, ed arriva a batterli con la mazza. Alex istintivamente alza il suo skateboard. Con questo, lui colpisce la testa del sorvegliante, il quale, intontito, è costretto ad indietreggiare. Per una pura fatalità, nello stesso momento, un altro treno corre sul binario attiguo. Il corpo del sorvegliante si spezza a metà, mentre Alex capisce d’aver commesso un omicidio, guardando il volto morente.

Paranoid Park è costruito essenzialmente tramite l’inquadratura fissa sui volti dei ragazzi. Bisogna che ne possiamo leggere il pensiero. Nel caso di Alex, subentreranno i sensi di colpa, per aver commesso un omicidio, benché accidentalmente. Van Sant inquadra il volto, lasciando che questo si giri, in maniera lenta. E’ l’avvisaglia che la persona cercherà di evitare il contatto con gli altri. Spesso, il volto all’inizio si vede in primo piano, ponendosi innanzi a noi. Ma subito esso si girerà, da un lato. La visione di profilo si percepirà facendo finta di se stessa. Se Alex è il personaggio avente i sensi di colpa, a smascherarli ci proverebbe davvero solo la sua amica Macy. Anche lei gioca a guardare frontalmente, salvo poi girare il volto da un lato.

Nella scena dell’interrogatorio a scuola, Alex potrebbe svelare al poliziotto se non la verità quantomeno i suoi problemi. Il ragazzino maneggia la fotografia del guardiano ucciso. Egli dapprima ha gli occhi chini sul tavolo, e poi li alza, fronteggiando il poliziotto inquisitore. Valutiamo che Alex alla fine non si tradisce. La sua espressione resta fredda ed impassibile, impedendo così al poliziotto d’insospettirsi. Sin dall’inizio del film, noi capiamo che Alex è un bravo ragazzo. Pare che neppure la separazione dei genitori, o la spensieratezza del fratellino, ne mini la tranquillità di carattere. Alex ha la maturità di schivare i più sbruffoni skaters del Paranoid Park, e persino ci dichiarerà (con la sua voce narrante) che toglierebbe la verginità alla fidanzata Jennifer solo riconoscendo d’amarla. Forse, l’impassibilità di Alex innanzi al poliziotto inquisitore nasce dalla convinzione che lui, in fondo, stia già morendo dentro.

Van Sant non prende una posizione netta, in chiave moralistica, inquadrando i sensi di colpa del ragazzino. Pare che Alex, sapendo d’essere un buono da sempre (di natura), pensi che la sua condanna a ricordare l’omicidio (per tutta la vita) già basti, pure senza l’incarcerazione. Simbolicamente, si giustifica così l’insistenza di Van Sant a cercare il volto, che abbandoni il rivelarsi frontale, in favore d’un nascondimento laterale. Sembra che Alex tiri un sospiro di non-sollievo. Il volto che abbandona il rivelarsi frontale in favore del nascondimento centrale varrà sia facendo finta di se stesso, sia nella prima accettazione della pena, per cui comunque l’anima avrà una ferita insanabile. Probabilmente, a noi viene naturale di provare compassione per Alex, influenzati dalla sua bontà caratteriale. Il volto certo colpevole del ragazzino avrebbe una freddezza non tanto calcolata (tacendo, per evitare la prigione), bensì malinconicamente abbandonata a se stessa, nella convinzione che una tragica fatalità vi si fosse abbattuta. All’inizio, Alex pensa all’idea di consegnarsi spontaneamente alla polizia, invocando persino la legittima difesa (per le mazzate ricevute dal guardiano).

In seguito, più concretamente, egli telefona al padre per cercare di raccontargli tutto. Il caso, però, torna a dirigere la vitalità del ragazzino. Né il padre né lo zio di Alex risponderanno alla sua chiamata. Percepiamo bene la strana fatalità del momento. La telefonata a casa dello zio si compie alle cinque del mattino, in piena notte, quando è verosimile pensare che lui risponderà per forza, svegliato dal letto in cui dorme. Van Sant lascia che il destino salvi Alex dalla condanna sociale (col carcere), ma non da quella interiore (per i rimorsi).

Qualcosa di simile accade nel film Match Point, di Woody Allen (2005). Sono frequenti le inquadrature in cui Alex ha il volto di profilo, ma chino su se stesso. Così, percepiamo bene l’interiorità della colpa. Alex si porterà gli occhi virtualmente nel cuore. Quando Alex cammina nei corridoi della sua scuola, esteticamente emerge il dettaglio della mano sinistra. Essa può distendersi verso il cuore, oppure impugnarsi (valendo solo per se stessa). In Alex percepiamo una dialettica etica, fra il buon animo (che passivamente indurrebbe ad ammettere la colpa) ed il pragmatismo della freddezza (che resisterebbe alle accuse del poliziotto o dell’amica Macy, tacendo il più possibile la verità a loro).

Il cuore assieme al pugno, dunque. Alex è pure il nome assegnato da Kubrick al capobanda dei drughi, nel celebre film Arancia meccanica (1971). Il ragazzino disegnato da Van Sant vive a Portland, in Oregon, e risente (tanto per gli abiti quanto per i capelli lunghi) della cultura grunge, dalla vicina Seattle. La contestazione alla società di Alex-Paranoid Park non è prevaricatrice come quella di Alex-Arancia meccanica, esibendoci essenzialmente un nichilismo rassegnato. Noi stimiamo Kurt Cobain il padre sia della musica grunge sia della cosiddetta generazione X (in cui le persone avrebbero perso gli ideali alti, verso la comunità, privilegiando quelli bassi, verso gli affetti privati). In Paranoid Park, Alex assolutamente non vorrebbe fare del male a nessuno, né dirige una banda di scalmanati. Solo, l’immaturità d’un raptus, congiunta ad una buona dose di fatalità avversa, lo trasforma malinconicamente in un assassino. Nello stesso Paranoid Park, i grandi skaters forse si limitano a spacciare le droghe leggere, contestando la società con la rassegnazione della gara fra di loro (di nuovo: negli affetti privati, rinunciando a complicarli pubblicamente, tramite la politica).

Il ragazzino Alex all’inizio sembra interessarsi ai problemi del mondo (citando la fame e la seconda guerra in Iraq). I suoi amici invece non avrebbero una sensibilità politica, bensì unicamente bassa (negli affetti privati). Commesso l’omicidio, ad Alex mancherà il tempo utile per pensare ai problemi del mondo. E’ il momento in cui lui s’assimila agli skaters del Paranoid Park, attanagliato dalla rassegnazione per i sensi di colpa.

Il nichilismo di Alex ci pare freddo, come il duro cemento della pista. Gli skaters del Paranoid Park vivono unicamente girando a vuoto, fra un primo ed un secondo salto in curva. Lo stesso accade per la macchina da presa. Anche la mente di Alex segue gli skaters, girando a vuoto, da un salto a sinistra ad uno verso destra, o viceversa. Simbolicamente, è l’arrovellarsi (come nel più classico mal di testa) per i sensi di colpa. Gus Van Sant sceglie d’inquadrare gli skaters con una fotografia sgranata, ricorrendo pure a videoregistrazioni amatoriali (da scene realmente accadute). Immaginiamo che la mente di Alex ormai sia stata sporcata (dall’omicidio), e poi insabbiata (tacendo l’ammissione della colpa). Il film non ci racconta come si conclude l’inchiesta del poliziotto. In fondo, riconducendo lo skateboard rinvenuto nel fiume (col DNA del guardiano ucciso) al suo legittimo proprietario, tutte le bugie di Alex cadrebbero, e lui sarebbe immediatamente accusato. Se ascoltassimo le parole del destino, sembra che il ragazzino possa davvero farla franca.

Nel film, una delle canzoni è questa: “If you have a problem, I don’t care what it is, if you need a hand, I can assure you this… It’s a fact that people get lonely, ain’t nothing new” (Billy Swan, 1974).

Galadriel: alla scoperta dei personaggi de Lo Hobbit

Galadriel: alla scoperta dei personaggi de Lo Hobbit

In un periodo in cui l’attenzione alla condizione della donna è sempre più al centro delle tempeste mediatiche che ogni giorno ci assalgono, anche Peter Jackson ha pensato bene di inserire una “quota rosa” nel suo adattamento de Lo Hobbit. Il romanzo infatti è totalmente al maschile, senza neanche un personaggio minore, nemmeno sullo sfondo come invece accadeva ne Il Signore degli Anelli in cui spiccavano almeno tre personaggi femminili di rilievo e di spessore (Arwen, Galadriel e Eowyn).

Dall’alto della sua conoscenza tolkieniana, Jackson ha inserito nella trama del film il personaggio di Galadriel, particolarmente amata dal pubblico per la bellezza del ruolo, ma sicuramente in gran parte per la grandiosità dell’attrice che l’ha già interpretata nella trilogia precedente: Cate Blanchett.

GaladrielMa chi è Galadriel? Da dove viene e perché è così amata, ammirata e anche temuta? Ebbene la bellezza e la potenza di Galadriel arrivano da lontano, poiché elle è uno degli elfi più antichi che abbiamo mai toccato le sponde della Terra di Mezzo. Lei discende direttamente da Finarfin suo nonno, e dal nobile Finwe. Aveva sempre richiamato l’ammirazione di Feanor per la lucentezza dei suoi capelli dorati, ricambiando però le attenzioni dello zio con estremo sdegno a causa del comportamento spavaldo di quest’ultimo. Feanor infatti credeva che nei suoi capelli fossero rimasti intrappolati i raggi luminosi d Laurelin e Telperion, e si dice inoltre che dalla luce dei suoi capelli l’ingegnoso elfo trasse ispirazione per forgiare i Silmaril.

Conobbe Celeborn ad Alqualondë, dove dimorava con sua madre Earwen, al quale rimase legato per il resto della sua lunghissima vita. Ella aveva infatti molti nomi, ma scelse quello di Galadriel perché le era stato dato da colui che amava. Scelse, insieme a Celeborn, l’esilio da Aman dopo essersi ribellata ai Valar durante l’Ottenebramento di Valinor ad opera di Morgoth e Ungoliant, rifugiandosi nella Terra di Mezzo senza mai partecipare alla guerra contro Angband, fortezza di Melkor.

Galadriel è conosciuta anche come l’elfo uomo, a causa della sua statura e delle sua forza incredibile, sia fisica che spirituale, avveniva così spesso che i suoi disaccordi con Celeborn fossero molto più accesi perché nessuna delle due parti cedeva all’altra. Accadde così che dopo qualche tempo trascorso nell’Eregion, regno fondato a nord di quella che divenne poi La Contea, i due coniugi si separassero a causa dell’inimicizia di Celeborn con i Nani, con i quali invece Galadriel andava d’accordo. Strascico di questa simpatia tra Galadriel e i Nani può essere considerato il particolare rapporto che si crea tra Gimli e Galadriel durante la permanenza della Compagnia a Lorien.

La Dama donerà al Nano tre dei suoi capelli d’oro e tramite la sua intercessione Gimli fu l’unico nano a poter vedere Valinor, che raggiunse insieme a Legolas dopo molti anni dalla fine della Guerra dell’Anello. La Dama si rifugiò quindi a Lorien, che divenne la sua casa, mentre Celebron rimase a ovest delle Montagne Nebbiose.

In questo stesso periodo accadde che Sauron riuscisse ad ingannare i fabbri dell’Eregion, primo tra tutti Celebrimbor, fabbricatore di Anelli, fino a che lui stesso si accorse delle menzogne di Sauron e si ribellò. Affidò a Galadriel Nenya, uno dei tre Anelli degli Elfi. Dopo 1800 anni di separazione, Galadriel andò alla ricerca di Celeborn, e lo trovò a Imladris, o Gran Burrone, insieme a Elrond Mezzelfo. Lì dimorarono per molti anni fino a quando si trasferirono a sud, presso Belfalas. Qui Galadriel incontrò per la prima volta Gandalf, che le consegnò l’Elessar, la preziosa gemma elfica che sarebbe poi passata ad Aragorn anni dopo.

Dopo la morte del primogenito Amroth, nel 1981 della Terza Era, Galadriel e Celebron si spostarono definitivamente a Lorien. Nella Terza Era Galadriel entra a far parte del Bianco Consiglio al capo del quale avrebbe preferito Gandalf, e non Saruman come invece fu. Il ruolo di Galadriel è fondamentale durante il viaggio a Sud della Compagnia dell’Anello, in quanto Lothlorien è una tappa importantissima del viaggio dell’Anello verso Mordor. Fondamentale per capire il suo personaggio e la sua psicologia è il momento in cui Frodo chiede alla Dama di prendere l’Unico, rifiutandone il peso e la responsabilità.

Galadriel fortemente tentata da quell’offerta riesce tuttavia a resistere alla tentazione rappresentata dall’Anello e “lasciò ricadere il braccio, e la luce scomparve, e improvvisamente rise, e si rimpicciolì: tornò ad essere un’esile donna elfica, vestita di semplice bianco, dalla voce morbida e triste. <<Ho superato la prova >>, disse. <<Perderò i miei poteri, e me ne andrò all’Ovest, e rimarrò Galadriel>>.” (Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello).

Galadriel fa molti doni preziosi ai viandanti, e tra questi regala la gemma elfica ad Aragorn, che lei sa destinato a sposare sua nipote Arwen, un seme di Mallorn a Sam e la fiala con la luce di Earendil a Frodo. Inoltre, ospita Gandalf dopo il suo combattimento mortale con il Balrog di Morgoth. Durante la Guerra dell’Anello Galadriel e Celeborn vengono attaccati diverse volte a Lorien, fino a che non si ricongiungono a nord con re Thranduil del Bosco Atro e purificano quei luoghi dall’influenza negativa del passaggio di Sauron. Con la distruzione dell’Unico Anello, Galadriel, con tutti gli alti elfi della Terra di Mezzo, decide di ritornare nel Reame Beato di Valinor, dopo aver assistito al matrimonio di Arwen e al funerale di Re Theoden. Parte con Bilbo, Frodo e Gandalf dai Porti Grigi il 29 settembre 3021, ricongiungendosi alla figlia Celebrian e alla casa del padre Finarfin.

Sua figlia aveva infatti sposato Elrond Mezzelfo e dal suo matrimonio erano nati Elladan, Elroir e la bella Arwen Undomiel, sposa di Aragorn figlio di Aratorn ed erede al trono di Gondor. Tuttavia Celebrian venne ferita quando Arwen era ancora una bambina e decise di partire per l’Ovest, lasciando la sua famiglia nella Terra di Mezzo. Celeborn raggiunse poi Galadriel all’Ovest qualche anno dopo.

Come già anticipato, il ruolo di Galadriel nella trilogia de Il Signore degli Anelli è stato affidato a Cate Blanchett, dopo che Kyle Minogue (prima scelta) fu scartata perché troppo bassa. Peter Jackson ha reinserito il personaggio di Galadriel nella sua sceneggiatura de Lo Hobbit, ma non sappiamo ancora bene in che misura la Bianca Dama di Lorien farà parte della storia, a parte la scena che la vuole coinvolta, insieme a Hugo Weaving, Ian McKellen e Christopher Lee per il Bianco Consiglio.

Satantango come Patantango (Tango di Pantano)

Satantango come Patantango (Tango di Pantano)

Il film Satantango, del regista ungherese Bela Tarr, fu girato nel 1994. Vi si narra il collasso d’una fattoria collettiva, ai tempi del comunismo. I pochi abitanti si lasciano andare alla vita, persa ogni speranza per un futuro migliore. A loro, resta soltanto la bottiglia d’alcol. La noia nichilistica di tutti è però improvvisamente scossa, quando si sparge la notizia che il pseudo-santone Irimias, ufficialmente dato per disperso, tornerà in paese (assieme al suo guardaspalle Petrina). Gli abitanti cominceranno a temere che dovranno andarsene. Lo spettatore può sapere che il comando di polizia zonale ha affidato ad Irimias una missione segreta. Egli chiederà ai vecchi compaesani tutti i loro risparmi, promettendo che li baratteranno con un vero lavoro (senza più l’abitudine alla puzza del bestiame, o dei campi arati). Ma sarà solo un inganno, virtualmente per lasciare che il comando di polizia distrugga la fattoria.

Satantango ha il bianconero fotografico, permettendoci di percepire la vitalità smorta dei compaesani. La sua durata al cinema è di ben 435 minuti. Una lunghezza che segue la dilatazione dello spleen esistenziale. Sembra che la gente voglia solo ubriacarsi. Ciò alla fine comporta un profondo e lungo addormentarsi. La volontà d’abbandonarsi alla frenesia della vita inevitabilmente si contraddirà. Bela Tarr usa piani-sequenza che durano 10 o persino 15 minuti. Allora, l’azione dei personaggi finisce per addormentarsi. Noi vedremo quasi esclusivamente il loro ambiente circostante. Il film vale esteticamente per la fangosità nelle relazioni sociali (costruite sulle menzogne od i sospetti), e la piovosità del destino (il quale incombe se non ferendo quantomeno appesantendo la vita, con le sue complicazioni). La desolazione delle terra ungherese è solo in piccola parte dovuta al crollo dell’utopia collettivistica.

In Satantango, lo Stato mantiene il suo potere coercitivo, grazie alla stazione di polizia zonale. I discorsi del comandante (ricevuti Irimias e Petrina) paiono chiari: “Qui tutto dipende dal mio umore… Le gente non ama la libertà, ne ha paura…” . Lo Stato, con la polizia, imporrà ancora il suo ordine sociale. Esso agirebbe paradossalmente liberando tutto il popolo, mentre ne controlla l’individualismo. E’ l’utopia del collettivismo. Esteticamente, interessa che il comandante faccia derivare il potere dal mero umore. Il film Satantango è costantemente bagnato in via percettiva. Gli umori delle persone paiono sempre umidi. Ognuno è sospettoso nei confronti degli altri: per i tradimenti sentimentali (tramite la procace signora Schmidt), o per le furberie sugli affari (specialmente, dal signor Schmidt). Lo pesudo-santone Irimias porta a compimento il destino, quando esso letteralmente precipiterà sui personaggi.

Bela Tarr sceglie di non mostrarci la distruzione della fattoria. Solo, accade che gli abitanti taglino un armadietto, usando il badile. La lama precipita sul legno, come la pioggia autunnale. Nel film, muore solo l’innocente Estike. Lei è ancora una bambina, ciononostante ha già raggiunto la maturità sociale, capendo la desolazione della vita ubriacata, dentro la fattoria. Estike arriva a seviziare il suo amato gattino. E’ la percezione fangosa della vitalità. Il gattino sembra trito e ritrito nella mani di Estike, come nel campo da arare. La morte però accade in modo più rarefatto. Estike avvelena prima il gatto, e poi se stessa. La morte sopraggiunge dolcemente, senza alcuna precipitazione. Torna comunque la percezione dell’umore, in quanto il veleno va bevuto. Estike muore dolcemente, perché il destino va percepito nell’astrattezza di se stesso. L’universalità pare qualcosa che si distenda sopra i singoli enti. Il veleno si diffonderà su tutto il corpo. L’universalità del destino, nelle intenzioni del regista, andrà “bevuta” da Estike, siccome per lei “gli angeli vedono e capiscono… non c’è nulla da temere. La bambina avrebbe il dono della fede. Qualcosa che le permetta più astrattamente un bagno, sotto la pioggia battente, senza subirne il taglio (per le punte delle gocce). Nella scena iniziale, l’inquadratura rimane fissa. Un gruppo di vacche compare da lontano, uscendo dalla propria stalla. Lentamente, la macchina da presa inizia a seguirne il pascolo. La carrellata in orizzontale ambiguamente può mantenere la fissità dell’inquadratura, quando il nostro sguardo si fa parare, dai muri di più stalle.

Bela Tarr cerca un’immagine frapposta. Come le vacche scorrazzeranno per l’aia, così la nostra visione si dipanerà oltre le varie pareti. Forse Satantango va percepito nella frapposizione del destino sulla vita dell’uomo, col primo che rallenterà la seconda. La pioggia in qualche modo taglia ed appesantisce. Essa ci ostacola, e per Tarr anche a suo piacimento. Nella scena in cui gli abitanti lasciano il loro paese, il tergicristallo del loro camion gira in maniera solo disordinata (senza alcun ritmo). Il regista inquadra la luce quasi esplosivamente tramite un suo varco in profondità. Agli inizi del film, ad esempio, la comparsa dell’uomo avviene dalle nostre spalle. Sarà la prima testimonianza del continuo fronteretro chiaroscurale in cui si rallenta ogni azione individuale. Spesso i personaggi si nascondono e (paradossalmente) non si nascondono. Basta inquadrarli dalla loro schiena. Bela Tarr non nega la vitalità dei personaggi. Ma questa pare appesantita (dalla noia nichilistica). Nell’oscurità di tutti i personaggi, resta il varco d’una luce continuamente in attesa d’attrarli a sé.

C’è una scena in cui la cinepresa abbandona il nostro punto di vista per avvicinarsi alla finestra, quasi entrandovi. Ma alla fine le tendine non s’apriranno più. E’ il contraltare percettivo, in chiave ambientale, della figura umana che si muri esibendo solo la propria schiena. Nel film Satantango, l’illuminazione resta costantemente sulla soglia di sé. Gli uomini possono darsi le spalle fra di loro, appoggiandosi ai muri delle stalle, come se giocassero a nascondino (mentre spiano). Però, solo la regia proverebbe a contare il momento buono per passare all’azione. La narrazione evita sempre ogni forma di suspense. I personaggi si nasconderanno e basta. Le loro discussioni paiono inconcludenti. La stessa missione del falso profeta Irimias, agli occhi dei suoi antagonisti, sarà più il frutto d’una suggestione (innanzi al sacrificio di Estike), che non d’una coercizione. Invece, i movimenti della macchina da presa potrebbero contarsi. All’inizio del film, c’è una carrellata in orizzontale. Noi vediamo in successione le figure del vaso, del muro, della vacca e del rubinetto. La regia avanza una sorta di countdown nichilistico. Un po’ alla volta, la scenografia si spoglia della presenza antropocentrica (data dai vasi e dai muri) per diventare più naturalistica. Allora, la regia troverà l’universalità della piatta inquadratura fissa. In realtà, alla fine resta il rubinetto, che permette alla vacca di bere. La naturalità dell’acqua simbolicamente sarà già in via d’annullamento. Paradossalmente, pare che il rubinetto strozzi la vitalità della vacca, incombendo su questa. L’acqua sarà appesantita non solo dal più naturale diluvio, ma pure nell’antropocentrismo della sua canalizzazione. Frequentemente, il film mostra che i personaggi si lavano entro una piccola bacinella. Non ci pare una scelta praticissima. Sembra difficile lavarsi bene in così poco spazio. La bacinella sarebbe il contraltare artificiale della più naturale pozzanghera. Mancando una vera e propria immersione nell’acqua (dalla vasca), il corpo nudo si comporterebbe come il fango, che subito appesantisce il bagnato.

Nel film Satantango, la regia ci aiuta a percepire i movimenti virtualmente piovosi della vitalità umana. Bela Tarr cercherà un’inquadratura che scandisca il compiersi del destino avverso ai compaesani. C’è una scena in cui noi vediamo prima il braccio d’un uomo, e poi un bicchiere sul tavolo. La cinepresa si sposta lentamente, in orizzontale. Il braccio si distende, e la mano prenderà il bicchiere. E’ il momento in cui l’uomo vuole bere. In seguito, il braccio si distende in direzione opposta, rimettendo il bicchiere sul tavolo. La scena si ripeterà ancora. L’inquadratura si percepirà in via pendolare. Ma è un countdown che, per l’appunto, non porta a nulla, lasciando che il personaggio del bevitore semplicemente s’addormenti. Il braccio, incurvato per prendere il bicchiere, avrà la stessa configurazione del rubinetto per le vacche. Ciò conferma la percezione estetica che la vitalità si faccia strozzare. Il film Satantango è interamente costruito sull’inerzia narrativa. La stessa missione di Irimias accade solo astrattamente. Il rubinetto strozza la vitalità della vacca, ed il braccio che prende il bicchiere (col vino al posto dell’acqua) quella dell’ubriacone.

Il film Satantango va percepito nella continua frapposizione degli elementi scenografici. La visione del rubinetto taglierà quella della vacca, la visione del braccio taglierà quella del bicchiere, magari nell’alternanza di se stesse (quando la macchina da presa si sposti da sinistra a destra, o viceversa). Non c’è alcuna flessibilità percettiva. Ove l’inquadratura si faccia binaria, il primo elemento parrà semplicemente spalmato sul secondo, nella solita pesantezza della loro fangosità. Anche per questo, uno dei personaggi si lamenta del suo spleen esistenziale dichiarando: “La flessibilità è ciò che ho perso”. Nella scena più famosa del film, Bela Tarr usa un piano-sequenza di 15 minuti. L’illusione che l’alcol rivitalizzi fermenta sul ballo dei compaesani, al bar. In realtà, malinconicamente noi percepiamo che loro si lascino andare al solo addormentarsi. Là, manca completamente ogni flessibilità coreografica. I compaesani si limitano ad allargare le braccia, così da spalmare la fermentazione dell’alcol.

Vorrei Vederti Ballare: recensione del film di Nicola Deorsola

Vorrei Vederti Ballare: recensione del film di Nicola Deorsola

Nicola Deorsola, già aiuto regista di Rubini e Veronesi, esordisce dopo una lunga attesa dovuta alle difficoltà nel reperimento di fondi, e lo fa scegliendo il genere romantico, che mette in scena in maniera classica: nel punto di vista e nello stile registico. Sembra sposare l’ottica adolescenziale dei suoi protagonisti: la psicologia e l’analisi si rivelano quasi del tutto inutili, mentre Ilaria “guarisce” semplicemente grazie all’amore. Il grande amore dei ragazzi, che è più forte della menzogna “a fin di bene”, e anche quello che emergerà dai cuori dei genitori. Vorrei Vederti Ballare si muove tra tono leggero e tono serio, ma l’elemento prevalente è il romanticismo.

La storia d’amore è il fulcro del film. Il resto – l’approccio da commedia e i temi anche forti (il conflitto coi genitori, l’anoressia, l’elaborazione  del lutto) – ruota attorno. Lo dimostra anche lo stile registico: primissimi piani, inquadrature classiche del genere romantico, paesaggi suggestivi di Calabria, dove il film è ambientato, oltre a un montaggio evocativo (a sottolineare romantiche similitudini) e alla colonna sonora in francese curata da Giuseppe Fulcheri – mente  del film di cui è anche soggettista, sceneggiatore e produttore.

In Vorrei Vederti Ballare, Martino (Giulio Forges Davanzati) e Ilaria (Chiara Chiti) sono due ragazzi in conflitto coi genitori: il primo col padre (Alessandro Haber) – uno psicologo rigido e autoritario che vuole organizzargli la vita – mentre la madre è morta da alcuni anni. È iscritto a psicologia, ma studia e frequenta poco; invece, segue le sue passioni: le tartarughe, il cinema e Ilaria, che osserva esercitarsi a danza dalla finestra di casa. Ilaria, dal canto suo, ha una madre (Giuliana De Sio) ex ballerina, con cui si scontra continuamente e che la opprime, scaricandole addosso le sue frustrazioni. Mentre suo padre è del tutto assente. Entrambi i ragazzi chiedono, in fondo, affetto e una reale attenzione. S’incontrano quando Ilaria inizia a soffrire di disturbi alimentari e va in terapia proprio dal padre di Martino. Quest’ultimo, allora, coglie l’occasione: fingendosi un giovane collega del padre, riesce ad avere in cura Ilaria. I due si aiuteranno a vicenda, iniziando un percorso di apertura verso l’altro, di crescita che sfocerà in una storia d’amore e ridisegnerà i loro rapporti coi genitori.

Il regista fa il suo compito, senza rischiare o stupire. Si sbizzarrisce un po’ solo col personaggio di Gastone, interpretato in maniera molto divertente da Gianmarco Tognazzi, che finalmente vediamo in veste comica e con un’espressività meno rigida di quella che ultimamente gli conosciamo. Per il resto, tutto è abbastanza prevedibile, a forte rischio di banalità, forse rassicurante ma non emozionante e non dissimile da altre prove del genere. Il tutto rende il film nel complesso più adatto al salotto di casa che non alla sala cinematografica.

Il cast di Vorrei Vederti Ballare punta sui giovani – Chiara Chiti, già diretta da Matteo Rovere, e Giulio Forges Davanzati, noto soprattutto per aver partecipato ad alcune fiction, offrono buone prove – ma si avvale anche di collaborazioni illustri: i già citati Giuliana De Sio, Alessandro Haber e Gianmarco Tognazzi e anche Paola Barale che in look da diva anni ’50 è una cassiera col sogno del cinema. Prodotto da Falco Produzioni in collaborazione con Rai Cinema, è nelle sale dal 6 dicembre.

Quattro video dal backstage de Les Misérables

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Quattro video dal backstage de Les Misérables

Il sito italiano Badtaste.it ha pubblicato quattro interessantissime featurette direttamente dal backstage dell’atteso Les Misérables in cui possiamo entrare dentro

Una nuova immagine di Henry Cavill come Superman

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Una nuova immagine di Henry Cavill come Superman

Ecco una nuova foto di Henry Cavill nella tuta di Superman, pubblicata in copertina dalla rivista francese Studio Ciné Live. L’attore, diretto da Zach Snyder, sarà impegnato nel suo primo ruolo davvero importante da protagonista nel prossimo L’Uomo d’Acciaio, ennesimo e speriamo vincente adattamento della storia del supereroe kryptoniano.

Con Cavill, partecipano al film Amy Adams nei panni della giornalista Lois Lane e Laurence Fishburne è il suo caporedattore Perry White. Inoltre del cast fanno aprte anche Diane Lane e Kevin Costner, che interpretano i coniugi Kent, e Ayelet Zurer e Russell Crowe che interpretano invece i genitori naturali di Clark/Superman, Lara Lor-Van e Jor-El. Il bravissimo Michael Shannon sarà il villain, Generale Zod, e Antje Traue sarà Faora.

L’Uomo d’Acciaio uscirà in 3D, 2D e IMAX il prossimo 14 giugno.

Ecco il poster di Pain & Gain con Mark Wahlberg e Dwayne Johnson

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Ecco il primo poster ufficiale del prossimo film a “basso” budget di Michael Bay. Si intitola Pain&Gain e vede protagonista una indedita coppia tutta muscoli,

Un nuovo progetto per Nicolas Winding Refn

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Un nuovo progetto per Nicolas Winding Refn

Comingsoon.net riporta che l’acclamato regista di Drive, Nicolas Winding Refn, è in tratative per dirigere, per la Columbia Pictures, l’adattamento di The Equalizercon Denzel Washington. Si tratta di una serie anni ’80 in cui il protagonista è un soldato detective che si fa assumere da chi non riesce a risolvere i propri problemi.

Intanto Refn è impegnato ad ultimare il suo ultimo film che ha visto doppiare la sua collaborazione con Ryan Gosling: Only God Forgives, per il quale non si ha ancora una data d’uscita.

The Equalizer dovrebbe uscire ad aprile 2014.

Il primo poster ufficiale di Oblivion con Tom Cruise

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Il primo poster ufficiale di Oblivion con Tom Cruise

Il sito americano IGN ha pubblicato il primo poster ufficiale di Oblivion, l’atteso sci-fi tratto dall’omonima graphic novel che vede protagonista assoluto l’inossidabile Tom Cruise.

Accanto a Tom ci saranno altri volti più o meno noti del grande schermo: Morgan Freeman, l’ex Bond girl Olga Kurylenko, Andrea Riseborough, Nikolaj Coster-Waldau (noto ai più per il suo ruolo di Jaimie Lannister nella serie HBO Game of Thrones) e il premio Oscar Melissa Leo. A dirigire il film ci sarà Joseph Kosinski anche autore del fumetto.

Ecco la trama del film:

Jack è un ex soldato, l’ultimo sopravvissuto sulla Terra, devastata dalla guerra contro una razza aliena. Dopo aver ritrovato un’astronave distrutta, la storia dell’unica superstite al suo interno lo trascina in un’ avventura che cambierà per sempre il loro destino. Jack mette in discussione tutto ciò che credeva di sapere sul suo mondo, sulla sua missione e su se stesso. In un inseguimento per terra, aria e spazio. Jack è costretto a un confronto con i suoi superiori per conoscere la verità.

Oblivion uscirà esclusivamente in IMAX il 12 aprile e nel formato classico a partire dal 19 aprile. Ovviamente si tratta di date USA, mentre quelle italiane non sono ancora note.

Disney prepara il sequel di Alice nel paese delle meraviglie di Tim Burton!

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La Walt Disney Pictures sembra intenzionata a ritornare nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. Infatti, secondo Variety lo studios ha assunto Linda Woolverton per scrivere

Nel 2015 arriva il reboot dei Fantastici Quattro!

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Nel 2015 arriva il reboot dei Fantastici Quattro!

La 20th Century Fox ha annunciato che il reboot dei Fantastici Quattro uscirà il 6 Marzo 2015 per la regia di Josh Trank (Chronicle), su una sceneggiatura scritta da Michael Green e Jeremy Slater. 

Alla scoperta dei personaggi de Lo Hobbit: Thorin Scudodiquercia

Alla scoperta dei personaggi de Lo Hobbit: Thorin Scudodiquercia

Raccontiamo ora di Thorin Scudodiquercia, Re Sotto la Montagna e principale fautore degli eventi raccontati ne Lo Hobbit. Thorin è il capo della compagnia dei 12 nani che parte, con Bilbo e Gandalf, per riconquistare il tesoro sotto la Montagna Solitaria e sconfiggere definitivamente Smaug.

Thorin Scudodiquercia

Al drago infatti si deve il suo esilio dal regno che comprendeva in origine le terre comprese tra Dale e la Montagna Solitaria, cuore del regno. All’inizio del viaggio dimostra una certa diffidenza verso Bilbo e verso l’utilità che il piccolo hobbit può avere nell’aiutarlo a riconquistare il suo tesoro. Lungi infatti dal credere di riuscire effettivamente a sconfiggere il drago, Thorin tende soprattutto a voler riconquistare l’oro e l’Archipietra, la mistica gemma di rara bellezza ed infinito pregio andata perduta quando la reggia della montagna è stata occupata da Smaug.

Richard Armitage Lo HobbitThorin II, detto Scudodiquercia, nasce nell’anno 2746 della Terza Era, è figlio di Thrain e nipote di Thror, ha un carattere molto più austero rispetto a quello dei suoi compagni di viaggio e le sue vicende, precedenti a quelle raccontate ne Lo Hobbit, vengono raccontate da Tolkien stesso nell’appendice A de Il Signore degli Anelli.

Quasi per caso, Thorin incontra Gandalf il Grigio a Brea, mentre lo stregone stava viaggiando per raggiungere la Contea. Dopo un primo incontro fra i due, Gandalf iniziò a mettere assieme molti tasselli di un mosaico di cui non sapeva il disegno. Anni prima infatti a Dol Guldur aveva trovato nelle segrete un nano che gli aveva consegnato una mappa appartenuta alla gente di Durin con una chiave, così capisce quindi che quel povero nano morente era Thráin II. Nel secondo incontro con Thorin, Gandalf espone il suo piano per l’impresa, sarà una azione furtiva che richiederà poche ma fidate persone. Nell’impresa dovrà poi esserci un hobbit, essendo questi coraggiosi all’accortezza, e soprattutto avendo un odore sconosciuto al drago che difende il tesoro come suo.

Richard Armitage filmNel film di Peter Jackson, Lo Hobbit: Un Viaggio Inaspettato, Thorin Scudodiquercia è interpretato da Richard Armitage, fascinoso attore inglese noto per i suoi ruoli televisivi e per essere apparso di recente in Captain America: Il Primo Vendicatore. Le reticenze con cui è stato accolto il suo aspetto da nano, dovute soprattutto alla giovinezza dell’attore rispetto all’idea e alle descrizioni tolkieniane relative al personaggio, sembrano essere state fugate dai primissimi trailer del film, in cui Armitage dimostra di essere un Thorin all’altezza del suo rango.

Thorin

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