I due ‘wedding crasher’ Vince Vaughn e Owen Wilson ritornano a lavorare insieme.
Da tempo si sapeva che Vaughn aveva nel cassetto uno script, ora la Fox fa
I due ‘wedding crasher’ Vince Vaughn e Owen Wilson ritornano a lavorare insieme.
Da tempo si sapeva che Vaughn aveva nel cassetto uno script, ora la Fox fa
Videodrome è il film di David Cronenberg del 1983 con protagonisti nel cast James Woods, Sonja Smits, Deborah Harry, Leslie Carlson, Jack Creley, Peter Dvorsky e Lynne Gorma
Trama: Max Renn è il proprietario di CIVIC TV, piccola rete televisiva dedita alla trasmissione di programmi dal contenuto violento. Affrancato dai vincoli morali dei grandi network, Renn è alla continua ricerca di format inediti, tali da colpire per singolarità, licenziosità e depravazione un pubblico sempre più assuefatto.
Si imbatte così in Videodrome, una frequenza pirata, votata all’esclusiva diffusione di immagini brutali di maltrattamento, tortura, coercizione ed omicidio. Da subito molto interessato, Renn si impegna a rintracciarne i produttori, intenzionato anche a procurasi del materiale da poter distribuire attraverso CIVIC TV. Determinato, ed attratto sempre più da efferatezza ed irrazionalità, Renn si troverà presto proiettato in una dimensione in cui realtà e finzione si scambiano arbitrariamente e spietatamente i ruoli, svelando disegni cospirativi, filo-governativi, volti a servirsi di Civic TV per la diffusione di Videodrome, canale di promozione di un verbo mediatico di controllo e coartazione.
Analisi: La lungimiranza e l’innegabile estro di David Cronenberg, mirabile visionario ed acutissimo precursore, hanno ammantato Videodrome di una straordinaria attualità. Seppur velato da un delirio ricorrente ed ossessivo, il profilo dell’analisi di David Cronenberg, è infatti facilmente leggibile. Lo sguardo del regista, lucido e consapevole, si sofferma sul potere dell’immagine, in una società che si scopre sempre più vincolata all’arena mediatica. La relazione collettività-media è poi serrata sapientemente da un modello commerciale privo di scrupoli che invece di essere ripudiato compiutamente ed universalmente è accreditato strumento in grado di dar forma alle ossessioni del singolo, rifiutate nel privato, ma riconosciute come rappresentazione del reale nei media.
In questo quadro, David Cronenberg conforma Max Renn ad immagine e somiglianza dello spettatore medio, conferendogli, a rafforzare la sua implicazione, il ruolo di addetto ai lavori. Renn, chiarendo fin da subito le sue inclinazioni in materia di trasmissioni televisive, chiede a gran voce programmi che, privati di trama e contenuto, siano semplice consumo di immagini. L’immagine, proposta al pubblico senza alcun riferimento logico-temporale, attraversa facilmente i labili filtri di uno spettatore che, posseduto dal bisogno di evasione, preferisce ascoltare le rivendicazioni della propria insoddisfazione piuttosto che reclamare un’indipendenza di scelta e di pensiero. Il rapporto, privo di qualsiasi finalità ultima, con il dolore e quindi la passiva accettazione alla visione di programmi espressamente violenti, si estrinseca nel tentativo ultimo di provare che si è ancora in grado di sentire qualcosa,in carne e coscienza.
La carne invece, maltratta, seviziata e torturata, per David Cronenberg non può che mutare, vessata dalle feroci contaminazioni con media ed elettronica, si fa videoparola nel braccio armato di Renn, diventato in conclusione messo accidentale ed inconsapevole del Videodrome. Videodrome è un film allucinato e funesto, in cui Cronenberg paventa, con evidente preoccupazione, la possibilità di un controllo catodico sull’individuo. Pervaso da atmosfere cupe, acuite da una fotografia serrata ed ambientazioni spesso claustrofobiche, Videodrome sembra voler essere di ammonimento, riproducendo sapientemente la tanto temuta da Cronenberg narcotizzazione collettiva.
La notizia ufficiale apparirà soltanto il 19 aprile, ma l’ultimo film di Matteo Garrone, Big House, sembra avviato verso la selezione ufficiale del 65 festival di Cannes. Il regista italiano, divenuto famoso grazie a Gomorra e già premiato con il Gran Prix Speciale della Giuria nel 2008, ha scelto come tema del suo ultimo film il mito dei reality show e il modo in cui questi influiscono sulla vita di determinate persone. La scelta di tale soggetto, un fenomeno tipico del mondo contemporaneo, conferma l’interesse di Garrone per il tessuto sociale e materiale in cui viviamo e la sua necessità di scandagliare situazioni reali e concrete.
Il regista, classe 1968, già dai suoi esordi manifesta infatti un forte interesse per le dinamiche sociali, accompagnato da uno stile peculiare di fare cinema. Egli, infatti, dopo essersi diplomato al Liceo Artistico nel 1986, si dedica per molti anni soltanto alla pittura, imparando così tutto il potere delle immagini e la loro forza prima di avventurarsi nel mondo del grande schermo.
L’esordio di Garrone come regista, nel 1996, non passa inosservato: con il cortometraggio Silhouette vince il Sacher Festival organizzato da Moretti e, l’anno successivo, è già in grado di girare il suo primo lungometraggio, Terra di Mezzo. Questo film, diviso in tre parti, racconta tre storie di immigrazione (una delle quali è ripresa dal corto Silhouette) ambientate nella città di Roma e ha già in nuce quel particolare stile, il fondere insieme la fiction e il documentario, la storia e la forza dell’immagine reale, che Garrone porterà avanti lungo tutta la sua filmografia.
Negli anni 1997/1998 gira due documentari: il primo a New York, Bienvenido espiritu santo e il secondo a Napoli, Oreste Pipolo, fotografo di matrimoni. Il 1998 è un anno particolarmente produttivo per il regista, poiché prima firma, insieme a Massimo Gaudioso e Fabio Nunziata, il cortometraggio Un caso di forza maggiore e poi, da solo, il suo secondo lungometraggio, Ospiti, presentato alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Questa pellicola, che racconta la storia di due ragazzi albanesi arrivati da poco a Roma, tratta il tema dell’immigrazione da un punto di vista originale e prosegue il filone iniziato con Terra di Mezzo: le riprese sembrano quasi da documentario, viene utilizzata molto la telecamera a spalla e la realtà entra nella storia in maniera prepotente, sia per le ambientazioni reali e per il suono in presa diretta, che per l’impiego di attori non professionisti. Il cinema per Garrone non deve essere solo spettacolo, ma un mezzo al servizio della realtà. Un mezzo forte che, grazie, alle immagini, possa non tanto denunciare determinate dinamiche, ma riportarle, comunicarle e quasi trascenderle attraverso le immagini.
Il suo stile, che deriva dalla combinazione sapiente di elementi di assoluta improvvisazione e da un’attenta ricerca formale, è diverso da quello di chiunque altro e giunge a maturazione nel suo terzo lungometraggio, Estate Romana. Questo film, una fiction che si avvicina molto al genere della commedia, è girato con uno stile documentaristico e vede come perno narrativo la città di Roma in attesa del Giubileo. Una Roma non solo impacchettata e ribaltata da cantieri e palazzi in costruzione, ma soprattutto percorsa da eccentrici protagonisti che testimoniano nuovamente i disagi esistenziali che Garrone aveva accennato nei suoi film precedenti.
Inoltre il suo modo di concepire il cinema e l’originalità tipica dell’autodidatta si concretizzano in produzioni molto particolari: la sua troupe è sempre numericamente ridotta, quasi una famiglia, lui stesso spesso e volentieri è l’operatore di macchina, proprio per quell’esigenza di cogliere gli attimi di realtà che entrano nella finzione, per essere sicuro di riuscire a rendere quell’insinuarsi della vita vera nell’interpretazione attoriale. Fino a questo momento, però, i film di Garrone non riscuotono alcun successo di pubblico. Il suo nome, infatti, circola solo tra i critici e all’interno dei festival.
La svolta nella sua carriera si ha solo nel 2002, quando l’Imbalsamatore, presentato anche a Cannes, vince il David di Donatello per la miglior sceneggiatura. Questo film, prodotto dalla Fandango di Domenico Procacci, attraverso il rapporto a tre che si instaura tra un nano imbalsamatore, il suo assistente e la ragazza di quest’ultimo, disegna un triangolo ambiguo di individui perdenti, egoisti e borderline, in lotta tra loro nella ricerca disperata di un legame affettivo durevole e profondo. Il noir di Garrone, nonostante il budget consistente messo in campo dalla casa di produzione, mantiene fede al suo stile originario: ogni orpello e arricchimento viene messo da parte, l’attenzione per lo scorrere della realtà resta comunque preponderante, così come la ricerca formale. Ciò che interessa al regista è la rivelazione dell’essenziale, l’equilibrio effimero tra la realtà e l’astrazione pittorica.
Tale tendenza stilistica prosegue nel 2004 con l’uscita nelle sale di Primo Amore, in concorso alla 54°Berlinale, la storia drammatica di un orafo che impone alla sua ragazza una dieta rigidissima perché si avvicini il più possibile al suo modello di donna ideale. Una storia di amore folle e perverso che Garrone prova a registrare oggettivamente, sospendendo ogni giudizio. Questo film, così come i precedenti, non vuole essere una denuncia sociale. Il regista, infatti, nonostante metta in scena personaggi apparentemente ossessivi e malati, dà sempre l’impressione di voler restare al di fuori delle loro vicende. Garrone non critica, non dà certezze, né risposte, ma opera una costante ricerca all’interno delle pieghe dell’animo umano.
Ricerca che incontra finalmente il successo di pubblico con Gomorra nel 2008. Il film, che prende titolo e tema dall’omonimo libro di Roberto Saviano, non cerca infatti di dare conto della complesse vicende della camorra napoletana, ma segue, con la consueta sete di reale tipica di Garrone, le vicende di cinque soggetti, cinque personaggi immersi nella delinquenza ordinaria che guida le loro vite. Anche qui le ambientazioni non sono ricostruite e il regista dà conto dell’atmosfera labirintica delle Vele di Scampia girando dentro l’edificio, segue i protagonisti con la telecamera in spalla cercando di avvicinarsi il più possibile a loro senza però poter entrare nelle loro psicologie, nelle loro teste, riporta l’orrore quotidiano senza fronzoli, senza facili spiegazioni.
Il film, vincitore a Cannes e vincitore nelle sale italiane, oltre ad avere il merito di denunciare le insopportabili condizioni di vita che la camorra impone a parte della popolazione partenopea, ha anche il pregio di aver finalmente portato al successo Matteo Garrone dopo dieci anni di carriera. Personaggi del suo calibro, infatti, non solo garantiscono una rivalutazione del cinema italiano all’estero, ma aprono la strada ad una nuova poetica filmica, in grado di unire ricerca stilistica e sostanza narrativa.
La mummia è il film del 1999 di Stephen Sommers e con protagonisti Brendan Fraser, Rachel Weisz, John Hannah, Arnold Vosloo.
La mummia, la trama: Nel 1719 a. C., a Tebe in Egitto, nasce un amore proibito tra il cattivo gran sacerdote Imhotep e Anck Su Namum, amante del Faraone. Anck si uccide e Imhotep si lascia andare a gesti disperatia Humunaptra, Città dei Monti, suscitando così lira degli dei. Gli dei gli infliggono una tremenda maledizione per la sua condotta immorale: il suo corpo sarà mummificato ma Imhotep non morirà, vivrà per sempre un’esistenza torturata a meno che qualcuno non riporti alla luce il suo cadavere in decomposizione. Le urla di dolore del disgraziato si affievoliscono man mano che il suo sarcofago viene calato giù nella fossa; la maledizione si avvera e il suo cuore cattivo e vendicativo comincia a battere nel buio con un suono sinistro e incessante.
Tra tutti i film d’avventura e azione il colossal La mummia del 1999 merita particolare attenzione. Prima pellicola della trilogia (La mummia – Il ritorno del 2001 e La mummia – La tomba dell’Imperatore Dragone del 2008), la saga comprende anche due spin-off Il Re Scorpione e Il Re Scorpione 2 – Il destino di un guerriero.
Con la regia di Stephen Sommers, La mummia è il remake dell’omonima pellicola del 1932, diretta da K.Freund con Boris Karloff. Prodotto dalla Universal, ambientato nell’Egitto del 1290 a.C. incentrato sulla storia di Imhotep, sacerdote amante della consorte di Seti I, che si suicida dopo l’assassinio del faraone; ad Hamunaptra, Imhotep e i suoi seguaci iniziano la cerimonia per resuscitare la bella ma vengono catturati. Per la profanazione sacrilega vengono mummificati vivi, a Imhotep viene imposta la maledizione del “Hom Dai”, seppellito vivo secondo un rituale che lo consegna all’eterna dolorosa agonia.
Questa storia leggendaria si lega, tremila anni dopo, nel 1923, alla vita del legionario Rick O’Connell, scopritore di tesori, che s’imbatte nell’antichissima città dei morti. Stringe amicizia con la simpatica egittologa Evelyn Carnahan e col fratello Jonathan che trova un misterioso “scrigno” che conduce alla mitica città. Inizia la spedizione, la donna scopre il Libro di Amun-Ra che, unito allo scrigno si trasforma nella “chiave” per leggere il rito di rinascita ma accidentalmente risveglia anche la mummia trovando per caso il sarcofago di Imhotep. Si scatenano le piaghe d’Egitto e i poteri della mummia riprendono ad imperversare; contemporaneamente una squadra di profanatori scopre i segreti dell’antica sepoltura di Anck-su-Namun.
La mummia si evolve in un crescendo d’azione e avventura finché si scatena la maledizione della Mummia, ritornata completamente in vita “rubando” le energie vitali dai corpi di cui s’appropria. Così i profanatori vengono uccisi, mentre l’intento di Imhotep è di servirsi della bella Evelyn per riprendere il rituale lasciato in sospeso e riportando in vita Anck-su-Namun. Rick lo interrompe e dopo una serie di situazioni rocambolesche si ritrova in volo pilotando un biplano a sfidare la mummia che si trasforma in un gigantesco muro di sabbia. Nella sfida finale Rick combatte direttamente con Imhotep, che diventa mortale ma viene trafitto con una spada e annega nell’inferno delle anime dannate ritornando mummia.
Hamunaptra inizia a scomparire nella sabbia, Rick conquista il cuore di Evelyn nell’happy end finale. La mummia unisce azione, humour, avventura e fantastico con fantastici effetti speciali che lasciano senza fiato. Il regista ha compiuto un lavoro davvero entusiasmante insieme ai light & sound designers della “Industrial Light & Magic” fondata dal geniale George Lucas.
Di rilievo le suggestive scenografie arricchite da inquadrature e panoramiche dalla grandissima potenza visiva. La Mummia rappresenta l’esempio più riuscito degli ultimi anni nel genere “adventure” grazie anche all’interpretazione di Brendan Fraser, Arnold Vosloo, straordinario interprete della mummia. Voci parlano di un remake che la Universal vorrebbe realizzare con la sceneggiatura di Jon Spaihts collaboratore di Ridley Scott.
I guardiani del giorno è il film fantasy del 2006 diretto da Timur Bekmambetov e conKonstantin Khabenskiy, Vladimir Menshov, Viktor Verzhbitskiy, Aleksey Maklakov, Alexandr Samoylenko, Anna Slyusareva, Mariya Poroshina, Dmitriy Martynov, Galina Tyunina, Nurzhuman Ikhtymbayev, Aleksey Chadov.protagonisti
I guardiani del giorno, la trama: Nella Mosca contemporanea, la millenaria tregua tra gli Altri della Luce (veggenti e mutanti) e gli Altri delle Tenebre (vampiri e stregoni), apparentemente comuni mortali, ma in realtà individui dotati di straordinari poteri, vacilla; l’accordo di reciproca sorveglianza pare essere prossimo alla fine per lasciar spazio al devastante scontro finale.
Il guardiano della notte Anton Gorodetsky (Kostantin Khabenskiy), affiancato dalla potente Altra Svetlana (Maria Poroshina), porta avanti il suo compito di sorveglianza sulle Tenebre serbando nel cuore una ferita: suo figlio Yegor (Dmitriy Martynov), un Altro dalle grandi e decisive potenzialità, è diventato un adepto delle Tenebre e il signore dell’oscurità Zavulon (Viktor Verzhbitskiy) gli fa da mentore. Per mettere fuori dai giochi Anton una volta per tutte, le Tenebre cercano di incastrarlo facendolo apparire, anche agli occhi dei membri della Luce, come un assassino. Quando tutto sembra esser sul punto di precipitare, con le forza dell’oscurità pronte a far ripiombare il mondo nell’eterno conflitto tra Luce e Tenebre, Anton trova la chiave della salvezza nel Gesso del Destino, magico oggetto proveniente dal leggendario mondo di Tamerlano.
Se I guardiani della notte era un po’ confuso, il sequel I guardiani del giorno, tratto dal secondo libro della trilogia di Luk’janenko, è proprio mal raccontato. Ed è un vero peccato; difficile cavarsela con una semplice alzata di spalle: è forte infatti l’odore di occasione persa. Perché scegliendo e maneggiando la materia letteraria di Luk’anjenko, il regista Bekmambetov dimostra di voler far del fantasy che non sia soltanto un anti stress da fine giornata pieno di biondi che amano bionde e ammazzano orchi, ma che, in ossequio a tanti felici prodotti della tradizione letteraria e audiovisiva russo-sovietica e più in generale dell’Europa orientale, si sostanzi di argomenti e riflessioni – sulla verità, sulla libertà, sul tempo, su quanto a volte sia difficile capire il Bene e condannare il Male – di ampia e problematica portata sui quali ragionare (raccontando) all’interno di configurazioni, appunto, fantastiche, di cornici permeate dal sovrannaturale e tuttavia – altro dato, questo, da mettere in evidenza – mai dimentiche della quotidianità, delle strade, delle stanze e delle parole di tutti i giorni, delle afflizioni e delle pieghe del mondo “così com’è”.
Ciononostante, come detto, si tratta di un’occasione persa, poiché gli intuibili buoni propositi si scontrano con una narrazione a tratti davvero irritante, impossibile da seguire, in grado di “far sentire” il libro non nella traduzione, agile o meno, della sua prosa, ma nella sua non cauterizzabile mancanza. Il Gesso del Destino che sbriglia, nel finale, l’accumulo di tensione e la suprema crisi tra le parti combattenti va più generalmente a diluire l’ansia da comprensione dello spettatore, donandogli almeno una certezza così sintetizzabile: l’agognato Gesso salva la baracca.
L’estetica de I guardiani del giorno prosegue quella de I guardiani della notte. Si può, come molti hanno fatto, parlare di estetica da videogame, da videoclip e da spot pubblicitario, a patto di non porre d’ufficio queste categorie molto pop sul versante del disvalore. Tuttavia, se nella prima trasposizione da Luk’jankenko i guizzi della macchina, le accelerazioni, i ralenti, le segmentazioni del quadro e le diavolerie sonore strutturano piacevolmente il film, ne I guardiani del giorno questo fare creativo sta un po’ a guardarsi allo specchio e sfocia nella maniera. Si perdono finezze riccamente espressive, pezzi d’alto artigianato, come quelle che costellano la visita del giovane Anton alla strega Darya (Rimma Markova), una delle prime sequenze de I guardiani della notte, in favore di fragori un po’ monocordi: si pensi alle prolungate evoluzioni automobilistiche con cui Alisa (Zhanna Friske) si reca in auto (letteralmente) nelle stanze di Zavulon.
I guardiani del giorno – sempre che non si creda nell’esistenza di qualche monolitico manuale del bravo cineasta – può ben avvalersi del linguaggio della pubblicità, dei video musicali, della videoarte, del videogame. Non può forse giovarsi, o non ancora, di un lusso che i citati linguaggi, in alcune loro manifestazioni, possono concedersi: la mancanza di un intreccio. Non che nell’opera di Bekmambetov manchi: ma a volte pare crollare e insopportabilmente dileguarsi. Certo, non ci si può illudere d’esser al cospetto di una videopoesia di oltre due ore in cui sono in gioco determinati valori e sentimenti, sparsi a chiazze e senza impegno; una trama, si capisce, vuole esserci. Eppure, lo si è detto, è terribilmente difficile starle dietro. Soltanto un libro – il nido originario delle avventure di Anton e soci – può contenere certi labirinti narrativi?
Chi può saperlo. Nel frattempo, restiamo al fianco di Bekmambetov, almeno per il suo strizzar l’occhio tutto sommato tiepido al brodo dell’ovvietà e della compiacenza, per la sua percepibile convinzione che il fantasy non debba per forza essere un giocattolone elementare, per il suo devoto bagnarsi nelle acque – tra le più salubri del novecento – del Bulgakov de Il Maestro e Margherita.
Jennifer Connelly entra a far parte – la cosa non è ufficiale, ma le trattative sono davvero a un passo dalla fumata bianca – del cast di Noah, nuovo progetto di Darren Aronofsky; i due tornano a lavorare assieme dopo l’esperienza di Requiem for a Dream (2000). Per la Connelly è pronta la parte di Naameh, la moglie di Noé; negli onerosissimi panni del protagonista vedremo Russel Crowe. I due sono già stati marito e moglie (John e Alicia Nash) in A Beautiful Mind di Ron Howard. L’arca di Aronofsky arriverà nei cinema il 28 marzo 2014.
Fonte: Worstpreviews
A poche ore dalla diffusione della foto di Johnny Depp nei panni di Tonto, ecco che arriva un altro scatto dal set newmexicano di The Lone Ranger, nuovo film
Proprio quando ogni speranza di vederlo nel terzo Ghostbusters sembrava persa, Bill Murray ha riacceso una luce nei fan. Come? Nell’ambito di un intervista a tema sportivo, l’irresistibile protagonista de Il giorno della marmotta e Lost in Translation, quando gli è stato chiesto della sua presenza nel terzo film sugli Acchiappafantasmi, ha risposto: “It’s a possibility”. Non esattamente una porta spalancata ma, almeno, un laconico spiraglio. E’ giusto sperare? Oppure la risposta non vale granché, e rischia solo di creare false aspettative negli appassionati? Chissà. Nel frattempo, il progetto, diretto come i primi due capitoli da Ivan Reitman, prosegue con gli altri tre confermatissimi accalappiatori di fantasmi – Dan Akroyd, Harold Ramis e Ernie Hudson – affiancati da Sigourney Weaver, Anna Faris, Eliza Dushku e Annie Potts. Murray sarà prossimamente nei cinema con Moonrise Kingdom assieme a stelle del calibro di Bruce Willis, Tilda Swinton, Edward Norton, Harvey Keitel e Frances McDormand. Diretto da Wes Anderson (I Tenenbaum), Moonrise Kingdom aprirà il Festival di Cannes il 16 maggio.
Fonte: Movieweb
Il nuovo numero di Entertainment Weekly offre alcune movimentate foto di attesissimi film. Le presentiamo di seguito; vediamo, dall’alto verso il basso, Arnold Schwarzenegger
Per il suo film d’esordio come regista Laura Morante ha creato intorno a sé la troupe dei suoi sogni: parafrasando un consiglio di Alain Resnais che ha applicato per scegliere i suoi personaggi, ossia: “Fai il cast pensando agli attori che veramente vorresti nel tuo film, per quanto irraggiungibili possano sembrare” lei lo ha fatto anche per la troupe che, in sette lunghi anni, ha messo in piedi il film Ciliegine.
E’ stato pubblicato il primo Teaser Trailer di Looper, action fantascientifico con Joseph Gordon-Levitt, Bruce Willis, Emily Blunt e Paul Dano.
Dwayne Johnson, già nel cast di “Viaggio nell’isola misteriosa” di Brad Peyton ed in quello di “Fast and Furios 6” di Justin Lin, si appresta a lavorare ad un altro progetto.
Il regista Joss Whedon ed il cast dei supereroi Marvel intervistati nel dietro le quinte di Marvel’s The Avengers, dal 25 Aprile 2012 al cinema.
Scopri il nuovo dietro le quinte sottotitolato in italiano di Battleship, il nuovo film di Peter Berg con Liam Neeson, Alexander Skarsgård, Brooklyn Decker, Taylor Kitsch e Robyn Rihanna Fenty. Battleship: dal 13 aprile 2012 al cinema.
Guarda il trailer italiano di Ted, il primo film di scritto, diretto e interpretato da Seth MacFarlane, il creatore de I Griffin. Da agosto al cinema Con Mark Wahlberg, Mila Kunis, Giovanni Ribisi, Joel McHale e Seth MacFarlane
Per vedere il trailer clicca qui Ted – Trailer italiano ufficiale
Il trailer italiano di ParaNorman, al cinema nel 2012. In una piccola città assediata dagli zombie, gli abitanti devono chiedere aiuto ad un ragazzino incompreso di nome Norman. Norman ha il dono di riuscire a vedere e parlare con i morti. Oltre agli zombie Norman dovrà vedersela con fantasmi e streghe e anche per salvare la città da una maledizione centenaria.
Durante la presentazione stampa di The Avengers, Chris Hemsworth ha rivelato alcuni interessanti dettagli su Thor 2, il prossimo film sul supereroe della Marvel che vista l’indisponibilità di Kenneth Branagh verrà alla fine girato da Alan Taylor: “Ho letto una sceneggiatura del film, so che inizieremo a girare ad agosto. Ho incontrato Alan Taylor un paio di mesi fa, e assieme a Natalie Portman abbiamo parlato con alcune persone della Marvel. E’ stato molto eccitante.
Kenneth Branagh ha fatto un lavoro straordinario, e alla fine per colpa delle tempistiche non è riuscito a girare anche il secondo film. Ma sono un enorme fan della serie di Game of Thrones (il trono di spade), dove Taylor ha lavorato recentemente, e penso che sia proprio quello che rende eccitante questo secondo film: rendere Asgard più concreta e organica, realistica. Penso che il pericolo con l’elemento fantascientifico di Thor… è che si rischia che sia poco chiaro. Penso alle enormi cascate e alle montagne e all’influenza Vichinga, dove è nata la mitologia norrena. Inserire questi elementi naturalistici in Asgard la renderanno più speciale, ed è quello che vuole fare Alan. Penso che sarà questo l’elemento inedito nel secondo film.”
In un’altra intervista Kevin Feige ha invece rivelato alcuni dettagli della trama: La maturità di Thor sarà al centro di tutto il secondo film, ed è la cosa che sta entusiasmando di più Hemsworth: è il cuore della storia, il rapporto che ha con Jane e il proseguire di quella dinamica. Sono stati insieme solo tre giorni: si amano? Si piacciono? Si conoscono veramente? Ammettiamo che la storia d’amore del primo film è stata più un colpo di fulmine, durata praticamente tre giorni nel mezzo del deserto. Il cuore del film è anche la relazione tra Thor e Odino, che cambia drasticamente, e qui riprenderà.
Sembra quindi certo il ritono nel cast di Anthony Hopkins, insieme ovviamente a Natalie Portman, Tom Hiddleston e Idris Elba.
L’uscità di Thor 2 è prevista per il 15 novembre 2013, ma Loki e Thor torneranno al cinema il prossimo 25 aprile con l’attesissimo The Avengers di Joss Whedon.
fonte: badtaste.it
è stato diffuso un nuovo poster per Cosmopolis, ultima fatica del regista David Cronenberg con protagonista Robert Pattinson.
Il film è ambientato nell’arco di ventiquattr’ore e vede Pattinson interpretare un miliardario, pronto a incrociare misteriosi personaggi e uomini e donne del suo passato.
Nel cast anche Kevin Durand, Jay Baruchel, Samantha Morton, Juliette Binoche, Paul Giamatti e Mathieu Amalric.
Cosmopolis uscirà in Italia il 25 maggio.
E’ stata pubblicata da Badss Digest una nuova immagine di Johnny Depp sul set di The Lone Ranger, il nuovo film di Gore Verbinsky. Lo scatto ritrae Depp durante una pausa in compagnia di una fan. The Lone Ranger è tratto da una serie dallo stesso titolo molto in voga negli anni 50′.
In The Lone Ranger, Johnny Depp interpreta il guerriero indiano Tonto, fedele amico del protagonista il cui ruolo è stato affidato ad Armie Hammer. Depp e Hammer saranno affiancati da un cast di stelle internazionali tra cui Tom Wilkinson, nominato due volte dall’Academy Award per “Michael Clayton” e per “In the Bedroom”, vincitore di un Emmy e di un Golden Globe; William Fichtner, il vincitore di un Emmy, Barry Pepper; James Badge Dale; Ruth Wilson, star televisiva in “Jane Eyre” e “Luther”; Helena Bonham Carter, due nomination all’Oscar e sei nomination ai Golden Globe (“Il discorso del re” “Alice in Wonderland”). L’uscita del film è prevista per il 31 maggio 2013.
The Lone Ranger è un emozionante film d’avventura intriso di azione e humor, in cui il famoso eroe mascherato torna a rivivere attraverso nuovi occhi. Il guerriero indiano Tonto (Johnny Depp) racconta la storia di John Reid (Armie Hammer), uomo di legge che divenne leggenda, trascinando il pubblico in un’avventura fatta di imprese epiche e rocambolesche, vissute dai due eroi impegnati nella lotta all’avidità e alla corruzione.
The Lone Ranger è scritto da Ted Elliott e Terry Rossio (“Pirati dei Caraibi”), Eric Aronson e Justin Haythe. Mike Stenson, Chad Oman, Ted Elliott, Terry Rossio, Eric Ellenbogen ed Eric McLeod sono i produttori esecutivi della pellicola.
Sharlto Copley(district 9, A Team) potrebbe interpretare il villain nel nuovo remake di Oldboy firmato da Spike Lee.
Il ruolo era stato offerto a Colin Firth e Clive Owen, ma entrambi hanno alla fine rifiutato. Col cast ancora in fase di definizione, l’unica presenza certa è quella di Josh Brolin nei panni del protagonista, mentre Elizabeth Olsen potrebbe essere chiamata come protagonista femminile.
Nell’attesa che The Avengers di Joss Whedon arrivi finalmente nelle sale italiane il prossimo 25 aprile, ecco a voi un gustoso dietro le quinte di ben venti minuti(!) diffuso da Collider.com, ricco di interviste e interessanti curiosità.
Troviamo quindi Mark Ruffalo che prova la sua espressione nei panni di Hulk, Chris Hemworth che si fa aggiustare i capelli durante una pausa e gli allentamenti Jeremy Renner per entrare nella parte di Occhio di Falco, ma anche importanti anticipazioni sui prossimi Cinecomics in arrivo: Iron Man 3, le cui riprese inizieranno fra 5 settimane in Carolina del Nord e Thor 2, le cui riprese inizieranno fra 3 mesi a Londra.
fonte: bestmovie.it
To Rome with Love è il film del 2012 scritto e diretto da Woody Allen e con nel cast Roberto Benigni, Jesse Eisenberg, Ellen Page, Penelope Cruz e Woody Allen.
A distanza di pochi mesi dall’uscita italiana di Midnight in Paris e a pochissimo tempo dall’Oscar per la miglior sceneggiatura originale, Woody Allen torna al cinema con il suo ultimo film “italiano”: To Rome with Love. E certo non si può dire che il vecchio Woody non l’abbia fatto con amore, perché la città eterna è ripresa con grazia leggerezza e poesia, ma soprattutto con la grande malinconia che appartiene sia al regista newyorkese, sia agli splendidi tramonti che calano sui fori imperiali e sul Colosseo.
Come nel suo ultimo fortunato film parigino, Allen decide di mostrarci una galleria di ritratti umani, questa volta non famosi né connessi tra loro, anzi To Rome with Love è il classico film ad episodi in cui le storie non si intrecciano, se non per ragioni di montaggio. C’è la coppietta innamorata (lei americana lui romano) i cui genitori devono conoscersi e scontrarsi con le reciproche differenze; ci sono gli studenti di architettura messi in crisi dalla affascinante amica di lei; ci sono gli sposini di provincia messi alla prova dalla grande città, lui assediato da una escort, lei sedotta da un divo della tv; infine c’è l’uomo comune, che si ritrova ad essere famoso solo perché è famoso, e vede la sua vita trasformarsi in un turbinio di fotografi, macchine lussuose e belle donne.
Nonostante le migliori intenzioni però, il film risulta piatto e a tratti sconfortante con un unico vero e proprio personaggi interessante, quello interpretato dallo stesso regista che torna dopo sei anni davanti alla macchina da presa. Stereotipi a non finire riducono il film ad una carrellata di soggetti apatici, trai quali però spiccano Allen, come già detto, Penelope Cruz, nel ruolo di una procace “accompagnatrice” e Alessandro Tiberi, timido, un po’ impacciato nel ruolo del provincialotto adescato dalla sensuale donnina.

Deludono un po’ Jesse Eisenberg e Ellen Page, non per una loro mancanza, dal momento che la loro giovane spensieratezza insieme al loro talento li rende sempre molto apprezzabili, ma forse ai loro personaggi non è stata riservata, in fase di sceneggiatura, molta attenzione. Nel cast anche Alec Baldwin nei panni di un architetto di mezza età che ritorna sui luoghi romani dove ha vissuto da giovane: il personaggio, all’inizio apparentemente solido, sembra trasformarsi in una specie di fantasma che appare nei momenti chiave e da consigli al suo giovane alter ego (Eisenberg).
Molto interessante è l’episodio del film in cui il protagonista, Leopoldo, interpretato da un sempre esuberante Roberto Benigni, diventa famoso senza motivo: forse in maniera inconscia, Allen ha rappresentato benissimo il “divismo” così come ormai lo intendiamo in Italia, dove rendiamo VIP persone che non hanno merito, senza arte nè parte, e che spesso non hanno nulla di più interessante da dire se non come preferiscono il pane a colazione.
Woody Allen però sembra inarrestabile, non vuole fermarsi e continua a sfornare film uno dietro l’altro, forse a scapito della qualità finale. Per uno dei migliori registi dell’era moderna forse è un giusto compromesso per avere ogni tre anni film da Oscar.
Accanto al cast internazionale, presente anche una folta schiera di attori nostrani: Alessandra Mastronardi, Fabio Armitillo, Antonio Albanese, Ornella Muti, Flavio Parenti, Riccardo Scamarcio e Alessandro Tiberi.
L’attore inglese guiderà la giuria del Certain Regard al 65° Festival di Cannes. L’attore e regista inglese sarà presidente della Giuria per la sezione “Un certain regard”,