L’Ultimo Dominatore dell’Aria: i promo
delle quattro nazioni!
Sono usciti quattro nuovi promo dell’Ultimo Dominatore
dell’Aria, dedicati alle quattro nazioni che vedremo scontrarsi nel
kolossal fantasy di M. Night Shyamalan, in arrivo il 1 luglio negli
USA…
Diego Armando Maradona ha attirato
su di se l’interesse del mondo della musica (oltre quaranta
canzoni), della letteratura e del cinema. Oltre che per le gesta
sportive da calciatore ineguagliabile, Maradona ha fatto scalpore
per le dichiarazioni eclatanti contro i centri di potere del calcio
e non solo, oltre che per le personali vicende personali.
Un soggetto quindi appetibile per
un film, e così, tralasciando i vari servizi sportivi minori, a
partire dal 2005 al 2008 sono state diverse le pellicole dedicate
interamente al Pibe de Oro: “Non sarò mai un uomo comune”,
realizzato dal giornalista italiano Gianni Minà; “Amando a
Maradona” del regista argentino Javier Vazquez; “Maradona la mano
de dios” di Marco Risi, figlio di Dino, e “Maradona di Kusturica”
del regista serbo di “Underground”. Quella di Gianni Minà è una
lunga intervista sulla vita di Maradona anche su aspetti che vanno
oltre il campo ed i gol. Il film di Vazquez ha il taglio di uno
speciale sportivo per la televisione. Il film di Marco Risi non è
un granché, tratteggia essenzialmente la vita di Maradona con
sequenze sceniche e dialoghi simili a quelli di una fiction
televisiva di bassa lega. Discorso a parte invece per il film di
Kusturica, presentato fuori concorso a Cannes nel 2008. Il film
ovviamente da ampia visione delle scene degli splendidi gol e
dell’ascesa calcistica di Maradona, che accompagnano le vicende di
vita e le sue prese di posizione. Si vedono i tatuaggi del Che e di
Fidel sul polpaccio e sul braccio del campione, che afferma: «In
Colombia si produce la droga, ma a gestire il traffico sono gli
Usa. Che campione sarei stato, senza la droga». Ed eccolo al fianco
di Morales e Chavez, in piazza, contro Nafta e Bush, il «criminale
assassino», con la sua t-shirt «Stop the War». Salito in vetta
dalla povertà, precipitato in basso per dipendenza da cocaina con
tanto di overdose e ricoveri ripetuti in ospedale, ha accusato i
dirigenti degli alti vertici delle organizzazioni calcistiche di
essere dei manovratori e di fare solo proclami in campo
umanitario.
E poi, come spiega Maradona “il
presidente Matarrese e Havelange sono mafiosi altrimenti non si
spiegherebbe come gli unici calciatori risultati positivi ai test
antidoping, negli anni ’90, sono stati Maradona e Caniggia”.
Osservando alcune scene del film si potrebbe pensare ad una
rappresentazione un po’ oleografica, ne mancano passaggi in cui
Kusturica parla del suo mito senza però destare interesse nello
spettatore. Maradona indefettibile rivoluzionario? C’è chi storce
il naso, ma una vita così anticonformista in fin dei conti rende
bene nella pellicola del regista serbo. Qualche stelletta in più la
merita sicuramente un altro film con dei riferimenti al futebol,
intenso ed impegnato.
Si tratta di “Cronaca di una fuga –
Buenos Aires 1977” in concorso a Cannes nel 2006. E’ un lavoro del
regista argentino Israel Adrian Caetano, che parla della storia di
Carlo Tamburini, uno tra i trentamila “desaparecidos” argentini,
perlopiù giovani di sinistra che furono imprigionati, torturati,
sedati ed uccisi nei modi più turpi da parte della polizia dei
regimi militari sudamericani, nel caso del film si tratta della
dittatura di Videla. Il film parla di una storia vera, tratta dal
libro di Tamburini “Pase libre: La fuga da la Mansión Serè”, in cui
l’autore racconta le prigionie e le torture subite da parte dei
commando militari in una villa situata nella periferia di Buenos
Aires. Una truce esperienza che però riuscì a risolversi con una
fuga attuata da Tamburini insieme ad altri tre giovani. Tamburini
era un bravo studente di filosofia e promettente portiere di una
squadra di calcio di serie B, il San Lorenzo de Almagro. Squadra di
un barrio, quartiere periferico di Buenos Aires, ancora più
politica dei Boca Juniors, forse per questo mezza squadra finì tra
quei 30.000 desaparecidos. Il 23 novembre del 1977, proprio dopo
una partita, Claudio viene sequestrato dalla polizia della Junta
militare e accusato di «attività sovversive». Claudio non è un
militante dell’estrema sinistra, è solo un simpatizzante, ma gli
sgherri dei generali non vanno per il sottile, chi finisce nelle
loro mani viene torturato e poi, confessi o no, fatto sparire.
Assieme ad altri ragazzi come lui, Claudio viene rinchiuso nella
Mansion Seré, una villa signorile adibita a centro di detenzione e
tortura dalla dittatura militare argentina, isolata nella periferia
di Buenos Aires. All’interno della Villa, Claudio trascorrerà mesi
assieme ad altri ragazzi, sottoposto ad inaudite torture,
psicologiche e fisiche.
Nel film si riesce a ricreare il
clima di estrema tensione tra le mura fatiscenti della mansion,
dentro lo squallore degli ambienti ed il senso generale di
sporcizia, i materassi sporchi e le pozze di urina, le pareti
scrostate, le brande cigolanti. Lo spettatore è catturato ed
immedesimato da un suspance che viene fuori dalla continua
incertezza sul destino dei giovani sottoposti alle sevizie per un
periodo prolungato, le immagini puntano dritto ai nervi. I giovani
nudi e dai corpi martoriati, striscianti e rannicchiati a terra,
sembra di essere con loro. Sale ancora dippiù il nodo alla gola di
chi guarda quando due aguzzini e due prigionieri in una cucina
guardano la nazionale argentina in tv. Claudio pensa di
approfittare della situazione per ucciderli e fuggire. Il compagno
Gallego non vuole. Secondi drammatici, in apnea. Ma l’albiceleste
segna e tutti si uniscono in un grottesco urlo per il gol. I mesi
passano, ma Claudio non si è assuefatto alle torture, e così
assieme a tre compagni – Guillermo, el Vasco, el Gallego – intuisce
la possibilità dell’evasione e la mette in atto. E così siamo al
momento della fuga a cui si riferisce il titolo, la tensione tocca
il suo apice. Nudi come vermi i quattro corrono nella notte
argentina e riescono a trovare dei panni per coprirsi e affrontare
la prima alba da fuggiaschi. Solido, asciutto, il film si conclude
con una didascalia sui destini dei quattro giovani.
Sono state diffuse online le prime
due foto ufficiali prese sul set di The Rum Diary, film
interpretato da Johnny Depp e basato sul libro omonimo del suo
amico Hunter Thompson, lo stesso di Paura e delirio a Las
Vegas.
In prossimità di metà anno, si
comincia a calcolare, provvisoriamente l’andamento delle nostre
sale e forse a sorpresa i dati Ansa registrano un aumento della
frequentazione delle sale: addirittura +18,9% rispetto al 2009 nel
periodo Gennaio-Maggio.
Per un totale di 53.935.768 spettatori anche il mese di maggio
registra un segno +4%. La media presenze per schermo e’ salita del
17,2% nei confronti del 2009, attestandosi a 17.141 spettatori.
Forse il sensibile aumento è da attribuirsi sicuramnete ai
blockbuster primaverili: Robin Hood, Iron Man 2, Prince of Persia,
ma soprattutto al grandissimo serbatoio di spettatori che è stato
Avatar per tutto il periodo iniziale di questo 2010.
Nonostante l’esordio deludente
dell’A-Team al botteghino USA, si parla già dell’adattamento
cinematografico di un altro celebre telefilm anni ’80, The
Equalizer.
Jon Favreau ha pubblicato dal suo twitter una nuova immagine dal
set di Cowboys and Aliens, il cinecomic fanta-western con Daniel
Craig, Harrison Ford e Sam Rockwell le cui riprese sono
appena iniziate.
Ha battuto (Il segreto dei
suoi occhi) due rivali che sembravano dati per favoriti
all’Oscar come migliore film straniero: l’Academy Award ha
preferito al tedesco Il nastro bianco, apologo sull’ascesa
delle idee naziste nella Germania dopo la prima guerra mondiale, e
al francese Il profeta, dramma in prigione di un giovane
immigrato, questo thriller argentino, all’apparenza più di maniera
ma in realtà con numerosi punti di interesse.
Il segreto dei suoi
occhi, è un thriller, certo, ma si presta a diversi altri
livelli di lettura e il regista Juan José Campanella, già autore di
altre pellicole in patria ma anche di alcuni episodi di telefilm
statunitensi come Law and Order e il Dr House, mescola bene uno
stile nordamericano da serial di ultima generazione ad elementi
sognanti e stranianti tipici della parte latina dell’America, con
ottimi risultati.
Ne Il segreto dei suoi
occhi, Benjamin Esposito è un ex
dipendente del Pubblico ministero e decide, una volta andato in
pensione, di scrivere un libro sul caso che in assoluto gli era
rimasto impresso, quello dello stupro e omicidio di Liliana,
maestra e sposina novella adorata da un marito in cui Benjamin
aveva visto l’amore assoluto. Un caso che peraltro era stato
piuttosto brillantemente risolto da lui e dalla sua superiora Irene
con l’incriminazione del responsabile, un conoscente d’infanzia di
Liliana, sottratto poi alla giustizia perché era stato arruolato
dalla polizia segreta. L’occasione della scrittura è anche quella
di rimettere insieme i pezzi di una vita mai veramente vissuta fino
in fondo, di rendere giustizia a chi non c’è più e di esprimere un
amore mai vissuto fino in fondo per Irene, oltre che trovare
consolazione, e forse giustizia.
Molti fan di telefilm americani
potranno vedere analogie con un “Cold case”, in salsa argentina,
con lo stesso scavo alla ricerca della verità e della giustizia
innanzitutto per le vittime, c’è chi rievocherà nel rapporto tra i
due protagonisti quello degli x-filiani Mulder e Scully, ma il film
fa anche riflettere su che rapporto ci può essere tra memoria e
vendetta, su come si può scegliere di elaborare un lutto o
continuare a viverlo in un inferno quotidiano, oltre che
rappresentare dal suo interno l’Argentina soffocata dalla
dittatura, che interferisce anche nel cercare giustizia e
verità.
Un film forse meno incisivo e
scottante di Il nastro bianco e Il profeta, ma
non per questo meno coinvolgente ed interessante, una riflessione
sulla vita, le occasioni perse e ritrovate, e la possibilità ad un
tratto di poter provare ad andare avanti, con colpi di scena non
convenzionali e un finale che lascia i protagonisti perplessi,
sconvolti ma forse finalmente liberi.
La
Papessa – Dopo averci raccontato per decenni storie di
principesse, regine e cortigiane, il cinema sembra ultimamente
essere interessato anche a insolite figure femminili, che
affrontarono percorsi contro corrente, spesso con esiti tragici, ma
indubbiamente interessanti.
Dopo la filosofa
e scienziata Ipazia in Agorà e la
scrittrice ed erudita Christine de Pisan di Christine
Cristina, è il momento de La
Papessa, storia dell’unica donna che riuscì a salire al
soglio pontificio nel IX secolo, dopo aver fatto carriera in ambito
ecclesiastico travestita da uomo. Una figura che per secoli è stata
considerata leggendaria, inventata per denigrare la Chiesa, e di
cui solo recentemente è stata provata l’identità, grazie anche agli
stimoli dati dal romanzo di Donna Woolfolk Cross, a cui il film è
ispirato.
Se in una
precedente pellicola in tema, Pope Joan del 1972, la
Papessa veniva rappresentata come una assatanata sessuale
e corrotta, qui Giovanna, fanciulla germanica cresciuta tra un
padre cristiano bigotto e una madre che porta avanti le credenze
matriarcali pagane, è vista come una luce in mezzo a barbarie e
corruzione, una donna assetata di sapere e di vicinanza con Dio fin
dall’infanzia, che si traveste da uomo per portare avanti il suo
progetto di vita, facendo anche del bene a poveri, malati e al Papa
stesso, salvo poi pagare una volta diventata Papa l’unico cedimento
della sua vita con il solo amore carnale che ha avuto, un suo
antico protettore che ha ritrovato anni dopo, morendo per i postumi
di un parto prematuro.
La Papessa –
recensione del film di Sönke Wortmann
Giovanna ha le
sembianze androgine e poco patinate di Johanna
Wokalek, già terrorista degli anni Settanta ne La banda Baader Meinhof, attorniata dal più
decorativo ex capitano di Gondor David Wenham, e
dell’ottimo Papa Sergio di
John Goodman: la regia di Sonke
Wortmann costruisce un kolossal in cui non mancano
concessioni allo spettacolo e all’avventura, oltre ad un discorso
indubbiamente protofemminista e ad una contrapposizione tra una
visione della religione dogmatica, dura e che esclude molti (le
donne in testa, ma anche i malati e gli emarginati) e un approccio
alla religione più vera e meno corrotto, simboleggiato appunto da
Giovanna, spirito illuminato in tante occasioni. Gli effetti
speciali al computer ci sono ma si notano poco, e la Roma
ricostruita in Marocco ha un suo fascino non stereotipato.
Il romanzesco è un
elemento importante della vicenda, rigorosa e struggente, tragica e
cruda, ma la ricostruzione storica non è fatta male, ricostruendo
un’epoca in maniera non didascalica e noiosa ma nemmeno dando tutto
per scontato come ha fatto Ridley Scott in
Robin Hood.
L’elemento più
interessante del film è indubbiamente Giovanna, in anticipo sui
tempi, portatrice di una visione più aperta di cultura, fede, ruolo
delle donne e apertura al prossimo, una delle tante ragazze vestite
da uomo che da anni per non dire secoli popolano l’immaginario, tra
realtà e finzione. Del resto furono tante le donne che in epoche
buie si vestirono da uomo per poter seguire strade che erano loro
precluse o semplicemente per portare a casa più facilmente la
pagnotta, ed è tutto un settore in cui il cinema potrebbe trovare
ispirazione per storie interessanti e anche insolite: chissà quante
siamo dice alla fine un personaggio caro a Giovanna. Lei fu
scoperta, ma altre no.
A-Team: quattro ex
membri delle forze speciali degli USA, quattro veterani della
guerra in Iraq sono i protagonisti di questo film che ovviamente si
rifà alla famosissima serie televisiva.
Capeggiati da Hannibal Smith (Liam Neeson), la squadra A-Team
composta da: Sberla (Bradley Cooper); B.A. (Quinton Jackson); H.M.
Murdock (Sharlto Copley), dovrà ripulire il suo nome. Infatti
Hannibal, Sberla e B.A. sono sospettati di aver commesso un grave
crimine durante la guerra e per questo sono stati incarcerati. I
tre riescono però a scappare dalla prigione e si uniscono a
Murdock, pilota di ricognizione, e tentano di sfuggire al
colonnello Sosa (Jessica Biel), ex amante di Sberla, mentre tentano
di riabilitare il loro nome.
Finalmente arriva al cinema la
vecchia serie televisiva anni ’80, certo ora gli effetti speciali e
le riprese saranno sicuramente migliori, ma per i nostalgici della
serie speriamo che il film non sia deludente. Le battutine sagaci,
i combattimenti e le sparatorie…sono sempre gli stessi, unica
differenza gli attori.
About Elly: Ahmad
è un iraniano che vive da tempo in Germania ma, dopo un matrimonio
fallito con una donna tedesca, decide di tornare per qualche giorno
a Teheran. Qui i suoi amici e compagni universitari decidono di
organizzare un week end sulle rive del mar Caspio. Ad organizzare
tutto ci pensa Sepideh, che all’insaputa di tutti invita alla gita
Elly, maestra di sua figlia,per farle conoscere Ahmad. Infatti
l’uomo vorrebbe risposarsi con una donna iraniana e vivere una vita
tranquilla proprio come i suoi amici…ma succede qualcosa di
imprevisto. La casa che avevano prenotato per la vacanza non è più
disponibile e il gruppo si deve quindi adattare a vivere dentro una
casa chiusa da tempo, dopodiché, mentre i genitori di uno dei
bambini escono per fare spese incaricando Elly di sorvegliarlo, il
bambino rischia di affogare! Tutti iniziano a cercare Elly per
chiedere spiegazioni ma inaspettatamente Elly è scomparsa!
Il film del giovane Asghar Farhadi
ci offre una visione dell’Iran fuori dai soliti stereotipi e ci
mostra la vita e le dinamiche esistenziali che intercorrono tra
giovani trentenni. Farhadi esamina i rapporti di amicizia che da un
lato sembrano simili a quelli di qualunque altra persona, ma che
d’altra parte sono differenti perché pian piano emergono le
restrizioni e le varie regole dettate dalla loro religione.
5 appuntamenti per farla innamorare: Genevieve
è una giovane donna che vive nel cuore di Brooklyn, possiede un
negozio di fiori, ama il romanticismo e il giorno di San Valentino,
ma, dopo mille delusioni amorose e molte sofferenze, non crede più
nei rapporti stabili. Ha una regola: non frequentare un uomo per
più di 5 appuntamenti, così evita di far entrare qualsiasi persona
nel suo cuore. Un giorno però incontra Greg, un uomo attraente,
divertente e affascinante. Si è trasferito in città dopo aver
aperto un ristorante e aver lascito alle spalle la carriera da
avvocato. Greg è single perché non riesce a capire le regole del
corteggiamento di una donna e non capisce come fare ad essere
romantico. Dopo che i due escono insieme, Genevieve spiega a Greg
la sua teoria dei 5 appuntamenti, Greg incuriosito, tenta la nuova
tattica ma….i due non sanno che ben presto scatterà tra loro la
scintilla e che dovranno arrendersi all’amore.
Una nuova commedia romantica per la protagonista del film “Il
mio grosso grasso matrimonio greco”, Nia Vardalos fiancheggiata
ancora una volta da John Corbett . Una commedia che ci fa ridere e
riflettere su i rapporti d’amore.
Lei è troppo per
me: Kirk è un ragazzo un pò impacciato, lavora come
agente di sicurezza di un aeroporto e vive una vita monotona e
ordinaria; Molly è una ragazza bella, intraprendente, una donna di
successo….due opposti che sono destinati ad unirsi. Infatti dopo
che Kirk salva Molly dalle attenzioni moleste del suo capo, la
ragazza rimane affascinata dalla gentilezza di lui e decide di
dargli un appuntamento. I due ben presto si innamorano mentre tutto
intorno le persone rimangono sbalordite dalla strana coppia….come
fa una ragazza bellissima ad innamorarsi di un ragazzo così
ordinario? Persino Kirk si ripete in continuazione: “lei è troppo
per me!”…tra mille difficoltà, però, la coppia riuscirà ad andare
oltre sciocchi pregiudizi.
Jim Field Smith con una commedia
romantica ci fa riflettere su uno dei pregiudizi della società: la
bellezza. Una bella donna non può innamorarsi di un uomo senza che
questi sia necessariamente bello? Un uomo non può aumentare la
stima per se stesso confrontandosi con un mondo diverso dal suo e
con la bellezza di una donna? E una donna può, anche se
oggettivamente bella, essere intelligente e ammettere di avere
anche lei dei difetti? Beh secondo Smith si e ce lo dimostra con il
suo primo film.
L’imbroglio nel
lenzuolo: siamo nel 1905 in Sicilia, un ragazzo, Federico,
studia controvoglia medicina, la sua vera passione è la scrittura
di storie d’amore per il cinematografo, la grande invenzione che
riflette la vita su un lenzuolo. Stanco di studiare, Federico si
improvvisa direttore di scena nel teatro di Don Gennarino Pecoraro,
un impresario napoletano che da sempre desidera scrivere una storia
da proiettare. Così Don Gennarino commissiona al ragazzo una storia
che scopra nuove bellezze siciliane e che ne mostri le grazie.
Federico sceglie come protagonista della pellicola Marianna, una
bella fattucchiera povera ed analfabeta che abita in una grotta su
di una collina insieme alla sorellina. Il film avrà molto successo
ma creerà anche molti problemi alla povera Marianna che in paese
verrà additata e disonorata.
Prodotto e interpretato da Maria Grazia Cucinotta, il film è tratto
dall’omonimo romanzo di Francesco Costa. Si racconta l’arrivo del
cinematografo in Italia e di come questo sconvolse la vita di tutti
i cittadini, sopratutto nei paesini dove stravolse i vecchi e
“buoni” costumi con i suoi spettacoli pruriginosi.
Una notte blu cobalto: Dino Malaspina è uno
studente universitario fuori corso che non sa come mandare avanti
la sua vita. Lasciato da Valeria, il suo grande amore, vive nel
rimpianto e nel dolore. Ogni tentativo di riconquistare la ragazza
fallisce miseramente e la vita universitaria non è migliore di
quella sentimentale. Come fare per rialzarsi? Durante una
passeggiata notturna Dino vede l’insegna di una pizzeria da asporto
che non aveva mai notato. La pizzeria si chiama “Blu cobalto” e il
proprietario cerca un ragazzo per le consegne. Dino accetta così il
lavoro e durante la lunga notte consegnerà pizze a una serie di
strani personaggi e riuscirà a riflettere sulla sua vita…
Questo primo film di Daniele
Gangemi ci racconta la vita e le difficoltà di uno studente fuori
corso come tanti ormai ai nostri giorni. Una commedia che ci mostra
come un ragazzo tra mille difficoltà deve imparare a camminare da
solo, a prendere le proprie decisioni e le conseguenze che da esse
derivano per entrare finalmente nel mondo dei grandi. Qui puoi
trovare
la recensione
Ecco il primissimo teaser trailer
delle Cronache di Narnia: il Viaggio del Veliero, che verrà
proiettato davanti alle copie americane di Toy Story 3: La Grande
Fuga a partire da domani.
Il filmato, decisamente lungo, ci
mostra le prime scene del terzo episodio della saga fantasy, e
sembra essere un ritorno al grande fantasy del primo episodio della
serie. Questa volta i protagonisti sono i più piccoli dei
fratellini Pevensie, Lucy ed Edmund, e il loro terribile cugino
Eustachio. Insieme finiranno in una avventura che li porterà ai
confini degli oceani del mondo di Narnia, a bordo del magico
Veliero.
Il film, diretto da Michael Apted,
è prodotto dalla 20th Century Fox (tramite la divisione Fox
Walden), che è subentrata alla Disney dopo che questa si è tirata
indietro dal ruolo di co-finanziatrice e distributore.
Joel Schumacher, che ha già diretto
Nicolas Cage in 8 millimetri, collaborerà di nuovo con il
protagonista di Ghost Rider questa volta in coppia con
l’australiana Nicole Kidman.
Dopo una tournèe che ha rifondato
il suo look, facendola apparire decisamente più adulta che nei
panni di Hannah Montana, Miley Cyrus è decisamente lanciata nel
mondo del cinema, e dopo il film drammatico The Last Song,…
Arriva al cinema distribuito da
20th Century Fox, The
A-Team l’action film diretto da Joe
Carnahan, con
Bradley Cooper e
Liam Neeson.
In The
A-Team – nostalgici degli anni ’80 correte al cinema!
Perché se nell’ultimo periodo si storce il naso quando una serie
cult viene trasposta sul grande schermo (vedi effetto Star
Trek), non sempre il risultato è piacevole come
nel caso del redivivo The A-Team, corpo
speciale ‘mercenario’ che nel film diretto da Joe
Carnahan torna alla ribalta dopo 23 anni di silenzio per
riabilitare il torto subito all’origine della serie.
E quindi rieccoli Hannibal, Sberla,
Barracus e Murdock, rinati con fattezze nuove ma decisamente
convincenti a sfidare leggi fisico-balistiche realizzando i piani
militari meglio riusciti di sempre. Carnahan, regista di
Smokin’Aces, ribadisce il suo stile convulso con una scena d’azione
dopo l’altra, aumentando sempre più la dose di esplosioni fino al
finale letteralmente pirotecnico che trascina lo spettatore quasi
attonito in una confusione, forse estranea ai toni dell’originale
serie tv, ma che appaga i sensi fino a saturarli.
The A-Team – recensione del film con
Bradley Cooper
Ovviamente qualcosa cambia, a
partire dal target di riferimento, che si discosta molto
dall’ambiente ‘domestico’ al quale era rivolta la serie dell’83, ma
ovviamente anche lo scenario bellico cambia (dal Vietnam all’Iraq)
e la tecnologia di cui usufruiscono i nostri eroi.
Più azione e più violenza, ma il
tutto è sdrammatizzato dallo spirito di gruppo e dalle dinamiche
caratteriali che sono rimaste intatte, merito di quattro attori che
abbracciano il loro ruolo quasi nella totalità fatte piccole
eccezioni: un Hannibal meno spiritoso quello di Liam Neeson, ma che aggiunge sbruffoneria
all’originale; Bradley Cooper è perfetto nella parte di
Sberla, seppure ne abbandona i modi sofisticati per adottare un
approccio più ‘fisico’ con lo spettatore; più minimal B.A. Barracus
(Quinton ‘Rampage’ Jackson), senza la sua classica
mole di collane, ma con interessanti sfumature psicologiche che si
addicono al suo personaggio sempre in conflitto (scherzoso) con
Sharlto Copley, eccezionale Murdock, più folle che
mai e sicuramente il personaggio meglio scritto ed interpretato.
Copley si cala completamente nel ruolo, diventando Murdock, non
interpretandolo e basta, e così per lui è facile rubare la scena al
resto del Team.
Nota positiva anche per Jessica Biel, che nonostante l’ingombrante
bellezza, riesce a costruire un personaggio interessante ed
inedito, una via di riscatto per i nostri simpatici eroi. Bello
anche il ruolo dell’incerto agente della CIA Lynch
(Patrick
Wilson), che aggiunge comicità, a dimostrazione che
seppure con più proiettili esplosi, il film non snatura poi così
tanto lo spirito della serie.
Un reebot che percorre un cammino
proprio ma che di continuo si guarda alle spalle, omaggiando
l’originale, come nella clamorosa scena dell’evasione di Murdock
che strappa ese non un applauso, almeno un sorriso nostalgico allo
spettatore fedele. E per quello che riguarda la verosimiglianza
delle scene d’azione, la realtà è che tutto l’A-Team per
costituzione è un miracolo balistico, anche se il reastyling
calca la mano e li rende più sbruffoni.
Una pecca del film è forse un
montaggio un po’ squilibrato, poco ordinato nelle scene d’azione e
un po’ troppo rapido in altri punti in cui lo spettatore forse
esigeva qualche spiegazione in più, ma in definitiva il nuovo
The A-Team intrattiene a tratti
troppo rumorosamente ma allegramente per due ore lo spettatore e
gli consegna un finale aperto che lascia più di una possibilità per
un sequel che speriamo non si faccia attendere per altri 23
anni.
E’ morto all’età di 74 anni
l’attore di cinema e teatro Bekim Fehmiu, noto al pubblico italiano
per avere interpretato Ulisse nella splendida versione
dell’Odissea televisiva diretta da Franco Rossi nel
1968.
Bright
Star è una elegante pellicola firmata Jane
Campion, l’acclamata regista di Lezioni di piano,
la quale ha anche scritto la sceneggiatura del film. Presentato al
Festival
di Cannes 2009, Bright Star
racconta la contrastata storia d’amore fra il poeta romantico
John Keats e la sua
vicina di casa Fanny Brawne. Il titolo del film riproduce quello
dell’omonima poesia che Keats ha scritto ispirandosi alla sua
innamorata e musa, che dà impulso alla sua creatività.
In Bright
Star la vicenda si svolge a Londra a partire dal
1818, anno in cui iniziò la breve e intensa relazione tra il poeta
inglese e la sua musa esperta di moda. La travagliata storia dei
due protagonisti durò soltanto tre anni, giacché Keats morì di
tubercolosi a Roma a soli venticinque anni, ma dette vita a una
appassionata corrispondenza tra i due che alimentò le rispettive
vite colmandole di un sentimento vigoroso e duraturo che oltrepassa
il tempo.
Bright Star, il film
Bright Star si
dipana in due ore che risultano appassionanti anche per chi non
conosce la vicenda o il celebre poeta; inoltre si fa apprezzare
anche da chi non ama la poesia, ma non può che rimanerne soggiogato
guardando Bright Star, film che omaggia i
sentimenti e la sacralità degli affetti. Chi ne resterà deluso
probabilmente è prigioniero di freddezza emotiva, poiché è
impossibile non rimanere catturati dall’esposizione dei versi o dal
dolce sentimento che avvolge i protagonisti, gli ottimi Ben Whishaw e Abbie Cornish.
L’eleganza formale della pellicola
si avvale delle struggenti musiche e dei costumi, ma è dominata da
scenografie incantevoli che danno vita a bucolici e suggestivi
scenari: prati fioriti, campi di grano, natura rigogliosa che
sboccia in gran parte delle inquadrature, fino a suggerire in un
paio di scene l’incanto della pittura impressionista. Pare una
primavera eterna e luminosa (che riflette il rapporto dei
protagonisti), talvolta intervallata da piccoli stralci di un
inverno che scorre in pochi secondi, finché giunge il drammatico
finale: il prematuro inverno dell’esistenza nella primavera di un
poeta che sapeva cantare la bellezza. Questa suggestione è
visivamente palesata nelle ultime scene, quando la fotografia si fa
fredda e gelida mentre l’inverno soffoca il paesaggio un tempo in
fiore. Non rimangono dunque che i ricordi e le parole. Le parole
accompagnano i titoli di coda, poetici in senso letterale, che
inducono lo spettatore a rimanere seduto fino al termine del loro
scorrere, con la mente avvinta agli incantevoli versi
decantati.
Qualche tempo fa si era parlato del
il film Gravity diretto da Cuaron e interpretato da Robert Downey
Jr (dopo che la Jolie aveva declinato l’offerta).
Robert Downey Jr., fondatore
assieme alla moglie Susan della società di produzione Team
Downey, produrrà il film Yucatan, uno heist movie sviluppato
all’epoca per Steve McQueen.
USA Today pubblica la prima foto di produzione de i Puffi 3D (un
mix di live action e di CGI), che mostratre esserini blu nel bel
mezzo di Time Square.
Tata matilda e il grande
botto – Chi potrà salvare dalla sicura rovina la vecchia e
fatiscente fattoria dei Green? Forse una misteriosa e ben poco
attraente governante apparsa dal nulla in una notte tempestosa?
Tata Matilda armata del suo magico bastone e con l’immancabile
compagnia di un nero ed inquietante corvo irrispettoso susciterà
prima inquietanti interrogativi ma ben presto si rivelerà molto
utile alla causa.
Ambientato in Inghilterra, durante
la seconda guerra mondiale Tata matilda e il grande
botto: in un piccolo e sperduto villaggio della campagna
inglese la giovane Mrs.Green (Maggie
Gyllenhaal) ha il suo bel da fare nel crescere i tre
scalmanati figlioli senza l’aiuto del marito partito per il fronte.
La piccola fattoria di famiglia versa in pessime condizioni, un
piccolo e vecchio trattore a rischio pignoramento è l’unica
speranza per concludere il raccolto altrimenti Mrs.Green dovrà
cedere alle quotidiane pressioni del viscido e mellifluo cognato,
Zio Phil (Rhys
Ifans), che cerca disperatamente di convincerla a
vendere la proprietà per poter così saldare i suoi debiti di
gioco.
Tata matilda e il grande botto, il
film
Quando a tutto questo si aggiunge
l’arrivo dei due ricchi ed impertinenti nipotini di città che i
genitori spediscono in campagna da una Londra minacciata dagli
attacchi aerei nemici, i guai si moltiplicano in quanto la
convivenza tra i cugini si rivelerà da subito alquanto problematica
e conflittuale. Così nel mezzo di tanta baraonda e quando il tutto
sembra degenerare ecco comparire quasi dal nulla in una notte di
tempesta, Tata Matilda (Emma
Thompson), una misteriosa quanto inquietante
governante ausiliaria dell’esercito che si offre di aiutare la
povera e disperata Mrs.Green. Con l’immancabile collaborazione di
un nero corvo dalla difficile digestione ed uno strano bastone dai
magici ed incredibili poteri, la nuova e singolare ospite saprà dar
loro aiuto nel respingere le quotidiane insidie di Zio Phil sempre
intenzionato a portare al fallimento la fattoria. Ma su ogni cosa
Tata Matilda saprà impartire a suo modo importanti
ed indimenticabili lezioni di vita ai giovani protagonisti che tra
maialini acrobati e motociclette volanti impareranno a comportarsi
con coraggio, lealtà e rispetto reciproco.
Difficile se non impossibile
evitare confronti e parallelismi con la capostipite delle
governanti cinematografiche, Mary Poppins, di cui
Tata Matilda è una sorta di rivisitazione noir; un
tetro bastone al posto dell’ombrellino ma gli stessi inquietanti e
misteriosi poteri magici come strumento a volte, se non sempre,
poco ortodosso per convincere i giovani protagonisti a comportarsi
a modo.
Pur mancando dell’originalità, del
ritmo e della genialità del vecchio capolavoro della
Disney, Tata Matilda e il grande botto –
diretta dalla regista Susanna White, si farà
apprezzare comunque da un pubblico giovane se non giovanissimo in
quanto permette di trascorrere poco meno di due ore in discreta
allegria. La storia pur dal finale alquanto prevedibile ha comunque
una sua struttura, i personaggi sono ben costruiti e la compresenza
di interpreti dall’indubbio valore, da un irriconoscibile Emma Thompson, al bravo Rhys Ifans oltre alle partecipazioni di
Ralph Fiennes e Maggie Smith,
sicuramente alzano il livello qualitativo di una sceneggiatura
piuttosto semplice.
Il regista Christopher
Nolan ha parlato brevemente di Superman e
Batman 3 durante l’Hero Complex Film
Festival, dove ha rivelato anche qualche aneddoto sul Cavaliere
Oscuro…
Per prima cosa Nolan ha parlato del
suo coinvolgimento nel reboot di Superman: Geoff Boucher (il
giornalista di LA Times) ha spiegato che probabilmente “è troppo
presto per parlarne” ma ha chiesto comunque a Nolan come mai lui, i
cui personaggi sono di solito tormentati, vuole essere coinvolto
nel reboot di Superman, un personaggio che non è tormentato. Ha
dichiarato che lui sarà solo il produttore e ha raccontato
nuovamente la storia di David S. Goyer che gli ha fornito un idea
interessante. Non ha voluto dire quale sia l’idea.
Nolan ha poi parlato di Batman 3,
spiegando che non intende seguire nessuna delle teorie dei fan e
assolutamente di non leggerle:
Hanno chiesto a Nolan se è
divertito dei fan cast su internet. Nolan ha risposto che non va su
internet e non ha nemmeno l’e-mail o il telefono cellulare. Ha
imparato molto presto sul set di Batman Begins che non è una grande
idea leggere cosa dicono i fan. Dopo aver spiegato che la scena
preferita de Il Cavaliere Oscuro è quella dell’interrogatorio tra
Joker e Batman, Nolan ha provato a spiegare il perchè del successo
del film:
Nolan si è detto totalmente
sorpreso dal successo ottenuto da Il Cavaliere Oscuro e ha spiegato
che il successo è dovuto ad un paio di ragioni tra le quali Heath
Ledger. Un altro motivo è che quando uscì Batman Begins le persone
erano nervose per via dei film precedenti e perchè l’idea del
reboot era ancora estranea, a quel tempo. Quando uscì il Cavaliere
Oscuro, le persone erano pronte a fidarsi di più.
Nolan ha concluso spiegando di non
apprezzare la tecnologia 3D (trovate maggiori informazioni su cosa
ne pensa del 3D sul nostro blog 3D-Life.it), ma nell’ultimo
reportage su Hero Complex Geoff Boucher ha concluso spiegando che
non è un mistero che la Warner Bros. abbia intenzione di fare
pressioni per distribuire Superman e Batman 3 in 3D nel 2012, e che
Nolan speri che ci siano dei miglioramenti tecnologici nel campo
del 3D ora di allora:
Sono piacevolmente colpito da come
si presenta Inception, è molto chiaro e molto nitido, quindi se la
tecnologia migliorerà, queste differenze [con il cinema 3D] non si
faranno più sentire, e questo è quello che spero.