Dopo l’accoglienza “bifronte” a
Venezia e le polemiche sul divieto ai minori di 14 anni – prima
imposto, poi ritirato – arriva Quando la notte,
l’ultima fatica di
Cristina Comencini che è ora nelle sale italiane.
Nel film Quando la
notte Marina è una giovane madre in vacanza col figlio di
due anni in una casa sperduta tra le montagne. Con lei il piccolo
Marco, la cui gestione diventa per Marina sempre più difficile: un
compito improbo che si sforza di portare avanti da sola, ma per il
quale non si sente adeguata, un impegno a tempo pieno che non le dà
tregua e le toglie ogni energia. Una sera, la situazione si fa
insostenibile e precipita. A questo punto interviene Manfred,
solitaria guida alpina dal carattere duro e spigoloso, proprietario
della casa dove alloggia Marina e suo vicino.
Accortosi che qualcosa non va,
accorre e porta il bambino in ospedale. Da questo momento Marina e
Manfred condividono un segreto. Marina si sente in debito con
Manfred, gli è riconoscente, ma lui è impenetrabile e spesso
ostile. È un uomo solo, con un passato che lo ha profondamente
segnato e che l’irrompere di Marina nella sua vita sta riportando a
galla. Fra i due il rapporto è complicato, conflittuale, ma
sempre più stretto, anche perché presto Marina avrà l’occasione di
ricambiare il favore di Manfred.
Quando la notte, il film
Fin qui, si potrebbe dire, tutto
bene, o quasi. La
Comencini mette sul piatto una serie di questioni
interessanti da approfondire: la maternità e il suo lato oscuro –
fatto di sentimenti ambivalenti che possono sorgere in una madre,
pure amorevole come Marina – l’incontro tra due solitudini, la
specularità delle storie dei due protagonisti, la
misoginia/misantropia di Manfred, che grazie a quest’incontro
sembra faticosamente cominciare a uscire dal proprio guscio. E le
sviluppa inizialmente con pertinenza e acume.
Il tutto, sorretto in questa fase
dalle buone prove dei due protagonisti, che danno forza e sostegno
al film, confermando ciascuno le proprie ottime capacità attoriali.
Intensa ed efficace
Claudia Pandolfi nel ruolo di Marina:
l’attrice rende bene il complesso groviglio di amore materno,
stress, ansia, senso d’inadeguatezza, disperazione, senso di colpa
che caratterizza il suo personaggio – assieme al suo bisogno di
essere capita e accolta. Altrettanto pregnante l’interpretazione di
Filippo Timi, che rende ottimamente (con
sguardi torvi, ma non solo) la misantropia di Manfred, l’incapacità
a relazionarsi con l’altro, ma anche la paura di avvicinarsi
proprio a una donna come Marina: pericolo estremo, perché non può
che far riaffiorare in lui il trauma dell’abbandono – in questa
chiave, l’estrema chiusura e anche l’ironia sprezzante che riserva
a Marina sono indovinate e rappresentano un suo estremo tentativo
di difesa – l’istinto di protezione nei confronti del piccolo
Marco.
Così, non diamo troppo peso a
qualche ingenuità di sceneggiatura: certe inattese semplificazioni
psicologiche: ad esempio, i fogli con le scritte fatte da Marina,
oppure l’analisi un po’ spicciola delle psicologie di
Albert/Thomas Trabacchi e Stefan/Denis
Fasolo, fratelli di Manfred, che peraltro si va ad
aggiungere a una materia già ricca di spunti. E perdoniamo anche
qualche scambio di battute poco pregnante, in virtù di una
preponderanza di momenti significativi.
Nella seconda parte di Quando la
notte, però, la Comencini abbandona i due filoni
su cui aveva costruito la narrazione: la maternità problematica e
l’incontro, pur tra mille difficoltà, dei due mondi di Marina e
Manfred (di cui stronca sul nascere i possibili sviluppi). A
distanza di anni, del primo non c’è più traccia, della seconda
questione si pretende di riannodare le fila, ma la vicenda dei
protagonisti si avvita su se stessa, senza avere un’evoluzione.
Diminuisce la verosimiglianza, aumenta l’indecisione, troppi
interrogativi restano aperti. Marina da una parte pare risolta,
dall’altra è ancora in cerca di qualcosa, Manfred è cristallizzato
nel suo fare burbero, ormai quasi stereotipato. A risentirne è
anche la resa di
Pandolfi e
Timi, ora assai meno convincenti.
È così che tutto si fa farraginoso,
le ingenuità diventano vistose, sia nella concezione delle scene
(scontate nell’idea e poco riuscite nella realizzazione, ad
esempio, quelle della funicolare e della corriera), che nei
dialoghi (si pensi all’ultimo scambio di battute tra i due). La
pellicola dunque sabota nella seconda parte quanto di buono aveva
creato nella prima e si conclude lasciando lo spettatore con
l’impressione che la complessa materia sia sfuggita di mano alla
sua creatrice – autrice anche del romanzo da cui è tratto il
soggetto del film e della sceneggiatura, scritta con
Doriana Leondeff. La pellicola è prodotta da
Cattleya e distribuita da 01 Distribution.