E’ stato presentato ieri in Nuova Zelanda il cast dello Hobbit, l’adattamento del romanzo di J.R.R. Tolkien che Peter Jackson girerà a partire dal 21 marzo e dividerà in due pellicole che usciranno a dicembre 2012 e dicembre 2013. Alla presentazione era assente il regista che è ancora convalescente dopo l’operazione subita per ulcera.
L’Ospite di Stephenie Meyer ha un regista
Un altro romanzo di Stephenie Meyer, l’autrice di Twilight, sta per avere una trasposizione cinematografica. Questa volta tocca a L’ospite! In inglese The Host. La regia è stata affidata Susanna White (Tata Matilde)
Robert Pattinson e Kristen Stewart, amore finito?
La bella e giovane coppia del cinema americano sembra essere giunta al capolinea della propria storia d’amore
X-Men – L’inizio: trailer ufficiale con Michael Fassbender
La 20th Century Fox ha pubblicato l’atteso primo trailer di X-Men – L’inizio (X-Men: First Class), il film di Matthew Vaughn.
Tutto quello che sappiamo su X-Men – L’inizio
Il film X-Men – L’inizio, prequel della trilogia cinematografica dedicata ai personaggi della Marvel, gli X-Men (X-Men, X-Men 2, X-Men – Conflitto finale), narra le vicende di Charles Xavier (Professor X), Erik Lehnsherr (Magneto) e del loro primo tentativo di formare una scuola per i ragazzi mutanti.
Nel cast di X-Men – L’inizio protagonisti Michael Fassbender, James McAvoy, Jennifer Lawrence, Rose Byrne, Nicholas Hoult, January Jones, Oliver Platt, Kevin Bacon, Edi Gathegi, Lucas Till, Alex Gonzalez, Morgan Lily, Jason Flemyng, Caleb Landry Jones, Corey Johnson, Glenn Morshower, Matt Craven, Laurence Belcher, Bill Milner, Zoë Kravitz, Demetri Goritsas, James Remar, Rade Sherbedgia, Ray Wise.
Tratto dall’omonimo fumetto della Marvel, il film racconta della giovinezza di due amici che scoprono di avere poteri speciali, Charles Xavier e Erik Lensherr; del loro lavorare assieme, con altri mutanti, contro la più grande minaccia che il mondo abbia affrontato; del loro allontanarsi causa un dissidio che li vedrà diventare arcirivali con i nomi di Professor X e di Magneto. Il film è ambientato negli anni ’60, all’alba dell’era spaziale, l’epoca di JFK. Un periodo storico all’insegna della Guerra Fredda, in cui l’intero pianeta era minacciato dalle crescenti tensioni fra Stati Uniti e Russia. L’era in cui il mondo scoprì l’esistenza dei mutanti.
Emma Watson in The Perks of Being a Wallflower
La notizia è ufficiale, la bella Emma Watson farà parte del cast di The Perks of Being a Wallflower, al fianco di Logan Lerman, il Pearce Jackson del film della Fox.
Tra luci musica e belle donne Burlesque arriva al cinema
L’esordio cinematografico di Cristina Aguilera non poteva che avvenire in un film musicale. Burlesque, che l’11 Febbraio uscirà in Italia, è un esordio anche per il regista e sceneggiatore Steve Antin ed è l’ennesimo film di un genere che sembra stimolare molto l’industria hollywoodiana degli ultimi anni: Moulin Rouge (Baz Luhrmann) è del 2001, Chicago e Nine ( Rob Marshall ) sono del 2002 e del 2008.
Sanctum 3D – recensione
Tratto da un episodio accaduto realmente al produttore e co-sceneggiatore Andrew Wight, Sanctum 3D racconta la storia di una squadra di speleologi che, mentre esplora le grotte di Esa-ala nell’Oceano Pacifico rimane bloccata in profondità in seguito ad una improvvisa tempesta tropicale. Il gruppo capitanato da Frank McGuire (Richard Roxburgh) sarà costretto a scende ancora più in profondità per trovare una via d’uscita verso il mare.
Sanctum 3D è un classico thriller adrenalinico, avventura allo stato puro
Sanctum
3D è un classico thriller adrenalinico, avventura allo
stato puro, che permette allo spettatore interessato al genere di
seguire la storia attraverso gli occhi di Josh (Rhys Wakefield),
figlio di Frank e capitato nel gruppo quasi per errore.
Protagonista assoluto del film è l’imponente e misterioso complesso
roccioso sottomarino che fa da scenografia praticamente a tutta la
vicenda.
Sanctum 3D è film claustrofobico che regala qualche momento di vera tensione oltre a mettere in gioco emozioni che bene o male appartengono all’essere umano e che in situazioni estreme vengono portate al punto di rottura. Ci sarà infatti qualcuno che perderà il controllo, arrecando danni all’intera missione, e qualcun altro che eroicamente si sacrificherà per salvare il gruppo.
La regia è ben curata e Alister Grierson (Kokoda) ci guida con un occhi curioso e meravigliato, ma sempre vigile e scrupoloso, attraverso le caverne sotterranee del Pacifico. Peccato però che il film non sia un grande esempio di cinema, soprattutto per una sceneggiatura che spesso risulta enfatica e fuori luogo, laddove si è voluto dare uno spessore emotivo ad una vicenda che invece sarebbe stato più onesto raccontare come una semplice e primordiale gara tra l’uomo e la natura. In particolare mi riferisco al rapporto padre figlio, pieno di incomprensione e acredine, che viene rinsaldato dall’esperienza di paura e dolore condivisa in quella circostanza estrema. Buono invece il 3D, che ultimamente ha deluso al cinema, ma che in questo caso offre momenti davvero significativi collegati esclusivamente alla spettacolarità della scena, merito soprattutto della tecnica utilizzata da James Cameron (produttore esecutivo) per Avatar e riutilizzata qui.
Per quello che riguarda il cast, protagonista un Richard Roxburg che già in altre pellicole ha dato prova di essere un capace interprete, e qui dove la sua performance è tutta “fisica” riesce a risultare credibile, molto più del resto degli attori che magari fisicamente sono più prestanti ma sicuramente meno efficace.
Sanctum 3D è un film di genere, che può interessare quella fetta più o meno ampia di pubblico che ama l’avventura, e il mistero, l’eroismo e i buoni sentimenti, ma senza confidare troppo in un insegnamento o in un significato profondo rispetto a quello che vede sullo schermo.
X-Men – L’inizio: nuova foto dal film
Dopo il teaser poster e una valanga di foto, ecco arrivare una nuova, suggestiva fotografia di X-Men – L’inizio (X-Men First Class) che ritrare un giovane Magneto di spalle.
Ecco l’immagine:
Tutto quello che sappiamo su X-Men – L’inizio
Il film X-Men – L’inizio, prequel della trilogia cinematografica dedicata ai personaggi della Marvel, gli X-Men (X-Men, X-Men 2, X-Men – Conflitto finale), narra le vicende di Charles Xavier (Professor X), Erik Lehnsherr (Magneto) e del loro primo tentativo di formare una scuola per i ragazzi mutanti.
Nel cast di X-Men – L’inizio protagonisti Michael Fassbender, James McAvoy, Jennifer Lawrence, Rose Byrne, Nicholas Hoult, January Jones, Oliver Platt, Kevin Bacon, Edi Gathegi, Lucas Till, Alex Gonzalez, Morgan Lily, Jason Flemyng, Caleb Landry Jones, Corey Johnson, Glenn Morshower, Matt Craven, Laurence Belcher, Bill Milner, Zoë Kravitz, Demetri Goritsas, James Remar, Rade Sherbedgia, Ray Wise.
Tratto dall’omonimo fumetto della Marvel, il film racconta della giovinezza di due amici che scoprono di avere poteri speciali, Charles Xavier e Erik Lensherr; del loro lavorare assieme, con altri mutanti, contro la più grande minaccia che il mondo abbia affrontato; del loro allontanarsi causa un dissidio che li vedrà diventare arcirivali con i nomi di Professor X e di Magneto. Il film è ambientato negli anni ’60, all’alba dell’era spaziale, l’epoca di JFK. Un periodo storico all’insegna della Guerra Fredda, in cui l’intero pianeta era minacciato dalle crescenti tensioni fra Stati Uniti e Russia. L’era in cui il mondo scoprì l’esistenza dei mutanti.
Joel ed Ethan Coen: il regista a due teste” del cinema hollywoodiano
Con le sue 12 nomination e un incredibile plauso critico e premiale Il discorso del re sembra destinato a trionfare incontrastato alla prossima cerimonia degli Oscar; ciononostante gli altri concorrenti di quest’anno promettono battaglia e potrebbero riservare sorprese inattese. Non fa eccezione Il Grinta, nuova pellicola di Joel ed Ethan Coen, praticamente ignorata ai Golden Globes e a sorpresa candidata con ben 10 nomination fra cui miglior film e miglior regia.
Ottimo risultato per i due fratelli , che nella difficile sfida di restituire vita al romanzo di Charles Portis già soggetto di dell’immortale Il Grinta con John Wayne (che per questa prova vinse l’ambita statuetta a coronamento della sua lunghissima carriera ), stanno godendo anche di un inaspettato successo di pubblico : al terzo weekend di programmazione statunitense, Il Grinta è arrivato a incassare ben 110 milioni di dollari (dopo esserne costati 38 ), salendo al terzo posto sul podio dei western più redditizi negli States, preceduto solo da Wild wild west con 113 milioni e Balla coi lupi con i suoi 184 milioni, facendo dimenticare i “miseri“ 74 milioni di Non è un paese per vecchi che aveva finora incarnato il loro maggior incasso al box office.
Grande dunque il merito di aver restituito successo e notorietà a un genere che ha fatto la storia del cinema e che sembrava ormai impossibilitato a risorgere , pur non avendolo mai affrontato a viso aperto: ma Joel ed Ethan Coen, “il regista a due teste” come vengono scherzosamente soprannominati per via del loro simbiotico rapporto sul set, l’hanno fatto senza dimenticare la propria identità e quello che ormai è un vero e proprio marchio di fabbrica: una straordinaria cura per l’estetica e il dettaglio più effimero per dipingere un’umanità esasperata e disillusa con pennellate grottesche e dove necessario con pungente humour nero. Di grinta ne avevano certo da vendere i piccoli Joel e Ethan quando comprarono una super 8 con i loro pochi risparmi per girare alcuni cortometraggi ispirati ai loro film più amati , e da una ripresa amatoriale alla facoltà di cinema della New York University il passo è breve e determinante, grazie a Sam Raimi per il quale Joel inizia a lavorare come montatore, e a Frances McDormand, destinata a diventare sua moglie e attrice prediletta. Proprio con lei nel 1984 i due debuttano alla regia con Blood Simple (Sangue facile) che li fa notare agli occhi della critica col Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival.
Joel ed Ethan Coen, filmografia
La loro straordinaria “famiglia” cinematografica continua allora ad arricchirsi di nuovi membri con Arizona Junior (1987) e Miles Crossing (1990) , che prendono a bordo John Goodman, John Turturro, Steve Buscemi, Michael Badalucco e Holly Hunter :l’anno dopo con John Turturro e Goodman i due fratelli ottengono la palma d’oro per il miglior film e la miglior regia per lo sporco Barton Fink – E’ successo a Hollywood. L’Academy si accorge finalmente di loro nel 1996 con Fargo che gli fa vincere l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale e premia la prova della McDormand come miglior non protagonista. Nel 1998 realizzano il film che li farà entrare per sempre nell’immaginario collettivo ,pur diventando un cult solo alcuni anni dopo la sua uscita nelle sale: Il grande Lebowsky, storia irriverente di uno scambio di identità e di un nullafacente giocatore di Bowling, con la sua galleria di insoliti e vuoti personaggi rafforza la stella del “drugo” Jeff Bridges, pronto a entrare permanentemente nella squadra.
Dopo Fratello dove sei?, iniziano le incursioni nei generi più disparati ,dal noir ne L’uomo che non c’era (2001) con Billy Bob Thorthon (che gli garantisce la loro terza Palma D’Oro ) alla commedia sofisticata Prima ti sposo poi ti rovino.
Dopo l’insuccesso di Lady Killers del 2004 ,il 2007 è un anno determinante: il loro Non è un paese per vecchi (No country for old men) , sguardo crudo e pessimista sull’impotenza dell’uomo davanti al male e al destino, consacra il loro talento con ben 4 premi Oscar, segnando il trionfo di un modo di fare cinema unico e inconfondibile. Nel 2008 la star Brad Pitt gareggia in idiozia nel grottesco Burn after reading con il collega George Clooney: emblematica a proposito del suo personaggio la dichiarazione di Pitt: ”Non immaginavo che il mio personaggio sarebbe stato un cretino totale che mastica gomme, tracanna Gatorade a più non posso ed ha il cervello bruciato a forza di ascoltare l’I-Pod. Il mio commento a Joel ed Ethan è stato: “Ma è un cretino totale!… ma in fondo in fondo ha un gran cuore”: per i fratelli Coen si può fare questo ed altro.
Ormai non abbiamo più dubbi sul graffiante stile dei cari Joel ed Ethan Coen. Riuscirà l’Academy a smentire sé stessa e i suoi meccanismi?
Risvegli: recensione del film di Penny Marshall con Robert De Niro
Risvegli è il film di Penny Marshall del 1990 con Robert De Niro, Robin Williams, Julie Kavner, Max Von Sydow, Penelope Ann Miller.
Risvegli (titolo originale Awakenings) è un film del 1990 diretto da Penny Marshall, con Robert De Niro e Robin Williams. Entrambi tra i massimi esponenti della commedia americana moderna. Già un divo il primo, in ascesa il secondo. Un film da consigliare per le forti emozioni che suscita, le quali spingono fino alle lacrime. Lancia un bel messaggio di solidarietà, di amore e di speranza. Anche quando tutto sembra essere vano. L’interpretazione di De Niro rende questo lungometraggio coinvolgente, così come la storia di tutti i singoli pazienti.
Il film racconta la storia vera di un dottore, Oliver Sacks (nella finzione Malcolm Sayer, interpretato da Williams) che, nel 1969, scopre l’effetto positivo di un nuovo farmaco, la L-DOPA, sulla scorta delle nuove evidenze che il farmaco stava allora acquisendo nella terapia del morbo di Parkinson. Leonard Lowe (interpretato da De Niro) e il resto dei pazienti vengono risvegliati dopo aver vissuto per decenni in stato catatonico e si ritrovano a vivere una vita del tutto diversa dalla precedente. Sayer ha rimosso tutti i suoi pazienti da uno stato quasi incosciente ma, col passare del tempo, capisce di non poterli fermare dal ritornare di nuovo nello stato “dormiente”. Leonard però invoglia il dottor Sayer ad andare avanti, scontrandosi con l’amministrazione dell’ospedale – in particolare il dottor Kaufman (interpretato da John Heard) – che si rifiuta di permettere loro di far uscire i pazienti. La loro vittoria finale andrà però oltre la guarigione dei malati…
Basato sui ricordi e l’esperienza di Oliver Sacks raccolte in un suo libro omonimo (usato da Harold Pinter come base per la sua opera teatrale “A Kind of Alaska” messa in scena nel 1982), è stato nominato agli Oscar per miglior film, migliore sceneggiatura non originale e miglior attore (De Niro). De Niro avrà anche una nomination al Golden Globes del 1991, sempre come migliore attore. Riconoscimenti meritati arrivatigli per l’interpretazione superba, coinvolgente e commovente, di uno dei pazienti, Leonard Lowe. Riuscendo ad interpretare tutte le fasi della sua malattia. Dalla momentanea guarigione fino al ritorno allo stato iniziale. Molto bravo anche Robin Williams nelle vesti del dottor Malcolm Sayer, timido e introverso dottore, ma anche molto determinato.
Per quanto riguarda la regista, Penny Marshall, ha cominciato la carriera come attrice, esordendo al cinema in Uffa papà, quanto rompi! (1968) di J. Paris e interpretando numerose serie televisive. La notorietà arriva nel 1976 con il telefilm Laverne e Shirley, da lei diretto e interpretato. Ancora televisione e qualche ruolo cinematografico prima dell’esordio alla regia per il grande schermo con Jumpin’ Jack Flash (1986).
Nel 1988 dirige Big e nel 1990 ottiene un buon successo con Risvegli. Regista dotata di indubbie capacità narrative, sembra spesso troppo attenta alla patina sentimentale dei suoi racconti e non riesce quasi mai a sviluppare le potenzialità ironiche. Ragazze vincenti (1992) e Mezzo professore tra i marines (1994) confermano questo sospetto, mentre in Uno sguardo dal cielo (1996) il racconto è dominato da un patetismo moraleggiante. Ultimo film I ragazzi della mia vita del 2001, godibile commedia con spunti drammatici interpretata dalla brava Drew Barrymore. Insomma, Risvegli sembra essere proprio il suo film più riuscito.
Piccoli camei per il jazzista Dexter Gordon che appare come paziente, e dell’allora sconosciuto Vin Diesel, che interpreta un inserviente dell’ospedale.
Il Padrino – Parte II, secondo capitolo con Al Pacino
Il padrino – Parte II è il film cult del 1974 diretto da Francis Ford Coppola e con protagonisti Al Pacino, Robert De Niro, Robert Duvall e Diane Keaton.
Il padrino – Parte II (titolo originario The Godfather: Part II) è un film del 1974 diretto da Francis Ford Coppola, proseguimento de Il padrino (1972). In seguito al successo internazionale ottenuto dal primo film, la Paramount Pictures pensò subito ad un sequel, affidando nuovamente la regia a Francis Ford Coppola, che però chiese di dare l’incarico a Martin Scorsese per via dei problemi avuti dai produttori durante la lavorazione del primo film. La casa di produzione rifiutò e così Coppola fu costretto ad accettare. Con ripetuti flashback ci racconta di come è nato l’impero dei Corleone. Un film sulla mafia e le sue regole, che però non scade mai nella violenza. Ci sono anche intrecci con la storia (fine anni ’50), e mette in evidenza l’involuzione dei valori familiari con il passaggio di consegne delle redini degli affari della famiglia a Mike Corleone, la cui sete di potere finisce per distruggere tutto quanto attorno a sé.
Con Il Padrino – Parte II Francis Ford Coppola ci regala una perla. Non il solito sequel, bensì una seconda parte condita abbondantemente con la storia della famiglia. Il regista italo-americano dirige sapientemente due giovani attori che faranno la storia del cinema americano: Robert De Niro e Al Pacino. Non c’è più il grande Marlon Brando, ma i due non ne fanno sentire la mancanza. Tant’è che Brando e De Niro sono gli unici due attori ad aver vinto l’Oscar interpretando lo stesso personaggio, Vito Corleone, rispettivamente da anziano (nel primo film) e da giovane.
Ma veniamo alla trama.
In Il padrino – Parte II Con la morte per infarto
di Don Vito Corleone e l’uccisione del primogenito Sonny, a
prendere le redini del potere della famiglia Corleone è il terzo
figlio maschio Michael, essendo il secondo, Fredo, meno affidabile
e adatto per tale ruolo. Mike è molto più agguerrito del padre,
tanto da voler prendere ogni decisione di testa sua, non
coinvolgendo mai il fratello o lo storico consigliere di famiglia
Tom. Di fatto, la sua avidità di potere finirà per attorniarlo di
nemici, perfino nella stessa famiglia. Rompe anche con la moglie,
la quale abortisce per non dargli un terzo genito; proprio a voler
porre fine ad una famiglia a suo dire diabolica. In secondo piano,
ma solo per la sceneggiatura, due grandi spalle quali
Robert Duvall (il consigliere Tom) e John
Cazale (Fredo), quest’ultimo spentosi troppo presto. Trova
spazio anche il “nostro” Gastone Moschin, nei
panni del guappo di quartiere “Don Fanucci”. Le vicende di Mike
Corleone si alternano con flashback che ci spiegano come è nata la
famiglia Corleone. Partendo da quando il piccolo Vito Andolini
fuggì dall’America col falso cognome “Corleone” per scampare ad una
rappresaglia mafiosa contro la sua famiglia. Sarà colui che fonderà
l’Impero dei Corleone in America. Passo dopo passo, Vito si farà
rispettare dal quartiere in cui vive; e con straordinaria sagacia e
ambizione, allargherà la propria rete di contatti e il proprio
potere economico e sociale.
Il padrino – Parte II è stato il primo sequel nella storia del cinema a vincere l’Oscar al miglior film, impresa in seguito riuscita anche a Il Signore degli Anelli – Il ritorno del Re (2003). Tuttavia la saga de “Il padrino” è l’unica nella storia ad aver vinto più di un Premio Oscar come miglior film. Nel 1993 è stato scelto per la preservazione al National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Nel 1998 l’American Film Institute l’ha inserito al trentaduesimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi. Le riprese del film si svolsero tra il 1 ottobre 1973 e il 19 giugno 1974, con un totale di 104 giorni di riprese. Le scene ambientate a Cuba vennero in realtà girate a Santo Domingo, nella Repubblica Dominicana. Qui Al Pacino si ammalò di polmonite e ritardò le riprese di un mese. Le scene del passato di Vito Corleone ambientate nella città di Corleone furono girate in realtà a Forza d’Agrò, a Savoca e a Motta Camastra, in provincia di Messina.
Il padrino – Parte II, tra fedeltà e ambizione
Ne Il Padrino – Parte
II Coppola voleva riproporre Richard Castellano per la
parte di Peter Clemenza da anziano, vista l’importanza del
personaggio. La prima stesura della sceneggiatura prevedeva infatti
che fosse proprio Clemenza a testimoniare contro Michael Corleone
dinanzi la commissione d’inchiesta senatoriale. Tuttavia,
Castellano, noto per la sua testardaggine, rifiutò l’ipotesi di un
ritorno nella saga poiché il regista non intendeva lasciare che
l’agente dell’interprete scrivesse appositamente le battute del
personaggio. Alla fine, per colmare il vuoto lasciato da Clemenza,
venne creato il personaggio di Frankie Pentangeli.
Coppola intendeva pure reintrodurre Marlon
Brando, nel ruolo di Vito Corleone, e James
Caan, nel ruolo di Santino Corleone, nella scena in cui
Michael ricorda il compleanno del padre in cui annuncia la sua
prossima partenza per la guerra. Brando però non
accettò a causa di vecchi rancori verso la
Paramount relativi al compenso per il primo film.
Caan invece accettò però pretese di essere pagato
per questo piccolo cameo con la stessa somma ricevuta per il primo
film. Per la parte del giovane Vito Corleone, il regista scelse
Robert De Niro perché gli era piaciuto il suo
provino per la parte di Santino Corleone durante la scelta del cast
del primo film. Per prepararsi al ruolo prima dell’inizio delle
riprese, De Niro passò sei mesi nella zona di Corleone, in Sicilia,
per imparare il dialetto siciliano. Nella versione originale del
film, De Niro recita in italiano con spiccato
accento siculo.
Ne Il Padrino – Parte II Al Pacino consigliò a Coppola di affidare la parte di Hyman Roth a Lee Strasberg, il suo maestro di recitazione all’Actor’s Studio, considerandolo particolarmente adatto al ruolo. Siccome il personaggio di Roth era vagamente ispirato al mafioso Meyer Lansky, quest’ultimo telefonò a Strasberg dopo l’uscita del film per congratularsi della sua interpretazione. Secondo la stesura originale della sceneggiatura, il film doveva concludersi con una scena ambientata nel 1968 nella villa sul lago Tahoe in cui un diabetico Michael Corleone di mezz’età parla con il figlio Anthony, ormai diciottenne, che gli dice che non seguirà le sue orme. Però Coppola non riuscì a terminare le riprese di questa scena e decise di eliminarla dalla sceneggiatura, usandola anni dopo come base per scrivere la storia de Il padrino – Parte III.
I due primi episodi sono tratti dal romanzo omonimo di Mario Puzo (1969). Infatti anche le origini di Vito Corleone erano in esso raccontate, ma non furono inserite nella narrazione del primo film. Il primo episodio, datato 1972 e sempre diretto da Coppola, è stato considerato la terza miglior pellicola statunitense della storia dall’American Film Institute. Inoltre è al secondo posto della classifica dell’Internet Movie Database. In un primo momento vennero contattati per dirigerlo Elia Kazan, Sergio Leone, Arthur Penn e Costa Gavras ma non si dimostrarono interessati. L’unico regista che si dimostrò disponibile fu Sam Peckinpah che però venne mandato via dai produttori perché insisteva nell’idea di trasformare la storia del film in una specie di western con ambientazioni gangster. Infine Robert Evans, il capo della Paramount, puntò sull’italoamericano Francis Ford Coppola, nonostante le perplessità dei produttori perché era un regista semisconosciuto. Coppola accettò principalmente l’incarico per avere denaro per finanziare il suo futuro film La conversazione.
Il padrino – Parte II, curiosità
Uscito negli USA, il film incassò circa 86 milioni di dollari e fu una sorpresa per la casa di produzione, che non si aspettava un incasso così alto. Uscito in altre nazioni, continuò ad avere un grosso successo, spaccando in due la critica internazionale ed entrando nell’immaginario collettivo del pubblico, arrivando ad incassare un totale di 1.144.234.000 $ in tutto il mondo. Il Padrino racconta la storia della famiglia americana di origini siciliane dei Corleone: il loro impero, i loro principi, i loro affari, la guerra con le altre famiglie. Figura centrale quella di Don Vito Andolini, capofamiglia e apice della piramide familiare. Con la sua morte per infarto giocando col nipote (ironia della sorte per lui che era scampato a varie sparatorie), sarà il terzo genito Mike a prendere le redini della famiglia, essendo morto in un agguato il primogenito Sonny ed essendone incapace il secondogenito Fredo. Mike si dimostra più cinico e spietato del padre.
Dopo varie diatribe, c’è stata anche una terza parte, nel 1990: Il padrino – Parte III. Ultimo atto visibilmente inferiore rispetto ai primi due, proposto palesemente solo per chiudere la saga. Sebbene non manchino anche in esso spunti cinematografici interessanti. Michael Corleone ormai invecchiato, vuole chiudere i conti con l’oscuro passato, facendo beneficenze e avendo firmato l’armistizio con le altre famiglie. Ma il nipote, figlio di Sonny, non ha certo intenzione di svolgere una vita tranquilla e prendendo le redini dello zio quale Capo famiglia, innesca una nuova guerra tra i clan.
Pur se la trama offre un intreccio con i fatti storico-politici italiani degli anni ’70, non raggiunge lo stesso risultato del secondo. I dialoghi sono mediocri, anche lo staff di attori è svuotato (ci sono anche Andy Garcia e Sofia Coppola, figlia del regista e futura regista a sua volta). Pure Al Pacino si avvicina più alle interpretazioni mediocri che lo vedranno protagonista di molti film successivi, anziché a quelle dei film anni ’70 (forse anche per colpa dei registi con i quali ha lavorato). Insomma occorreva chiudere la saga, e il troppo tempo passato dal secondo, ossia 16 anni, ha un po’ ostacolato un risultato finale lusinghiero e degno dei primi due della serie.
It: recensione del film con Tim Curry
IT è il film tv del 1990 diretto da Tommy Lee Wallace e con protagonisti nel cast Tim Curry, Richard Thomas, Harry Anderson, John Ritter, Dennis Christopher, Tim Reid, Richard Masur e Annette O’Toole.
It (titolo originale
Stephen King’s It) è un film di Tommy Lee Wallace
del 1990, tratto dal romanzo omonimo di Stephen King. Il film
sfrutta una figura ambigua qual è quella dei pagliacci, da sempre
simbolo di allegria da un lato e profonda tristezza mascherata
dall’altro.
Di fatti, la creatura mostruosa di questo film è un pagliaccio dalle sembianze diaboliche che ogni trent’anni dà la caccia ai ragazzini di una cittadina americana, Derry, sita nel Maine. Si chiama Pennywise.
Oltre a ciò, il film è però anche un inno all’amicizia e alla collaborazione, valori incarnati in un gruppo di amici che decide di dargli la caccia, dopo che il fratellino di uno di loro viene ucciso brutalmente proprio dal mostro, che loro chiamano It.
IT
Il film cavalca le inquietudini degli adolescenti, le loro più segrete paure, e forse anche per questo, è riuscito. Seppur tecnicamente mostri qualche imperfezione. Veniamo alla trama. In una piccola cittadina del Maine, Derry, ogni trent’anni si risveglia una diabolica creatura dalle sembianze di un clown.
Si chiama Bob Gray ed è l’incarnazione di un’entità aliena giunta sul pianeta terra a bordo di una meteora in tempi antichissimi, quando Derry era solo una selva. Nella sua ultima apparizione, il clown adesca con un palloncino un ragazzino e lo uccide staccandogli il braccio. Suo fratello Bill, balbuziente, e altri suoi 6 amici, saranno anch’essi vittima della creatura orribile, che li perseguiterà negli anni; dapprima nel 1960 quando essi sono adolescenti e poi nel 1990 quando sono ormai adulti. Il film è stato girato a New Westminster, nella provincia canadese della Columbia Britannica. Un ex cinema realmente esistito a New Westminster, il Paramount, appare in diverse scene della miniserie, compresa una in cui i giovani Perdenti vanno a un matinée del sabato e una scena in cui il Richie adulto guida davanti al teatro e vede un inquietante segnale di It sulla pensilina. Nella realtà, il cinema Paramount di New Westminster ha interrotto le proiezioni nel 1983 e funziona ora come strip club.
Nel corso del casting, Rozz Williams della band gothic-rock Christian Death svolse un provino per la parte di Pennywise, nutrendo tali ambizioni da presentarsi con un costume confezionato in proprio. Tuttavia, la decisione finale di Wallace premiò l’audizione di Tim Curry considerandola di migliore qualità. Lo spezzone del provino di Williams, nel quale veniva recitato un dialogo di Pennywise tratto da una delle scene più sessualmente esplicite del romanzo, è abbondantemente circolato tra i fans dei Christian Death, alimentando la leggenda metropolitana di una “versione alternativa” del film con Rozz nel ruolo di Pennywise e il ripristino di molte scene originali del libro, censurate dalla miniserie “ufficiale”. Particolarmente apprezzata dal pubblico è stata l’interpretazione di Tim Curry, capace di coniugare comicità ed effetti terrorizzanti. L’attore era già noto negli anni ’70 per aver interpretato il ruolo di Frank-N-Furter in The Rocky Horror Picture Show.
Veniamo alle curiosità. Il trucco di Pennywise è stato cambiato più volte durante le riprese, tanto che ci sono locandine in cui esso ha espressioni diverse da quelle del film. La guardia notturna della clinica per malati mentali si chiama Koontz, come Dean Koontz, scrittore americano ritenuto il rivale di King. Jonathan Brandis, interprete del giovane William Denbrough, si è suicidato nel novembre 2003 a soli ventisette anni; un paio di mesi prima, nel settembre 2003, John Ritter, interprete adulto di Benjamin Hanscom, è morto per collasso cardiocircolatorio. Nel suo romanzo del 2008 Maschio adulto solitario, ambientato a Taranto, lo scrittore Cosimo Argentina soprannomina scherzosamente “It” uno dei personaggi del libro, descrivendone la somiglianza con il Pennywise interpretato da Tim Curry nel film; nelle stesse pagine, l’autore allude al caso del pluriomicida statunitense John Wayne Gacy come fonte d’ispirazione per il romanzo di King.
Vari membri del cast hanno affermato che l’interpretazione di Pennywise da parte di Tim Curry era così realistica e inquietante che, durante le riprese, in molti si spaventavano per davvero ogni qualvolta l’attore era presente sul set. Pare che nel 2011 ci sarà un nuovo adattamento cinematografico del romanzo di Stephen King. Nel complesso però il film è stato molto criticato, poiché lontano in molti punti dal libro di King. Una pecca che riguarda quasi tutte le trasposizioni cinematografiche dei suoi romanzi.
Vediamo alcune differenze: il romanzo infatti comincia molto prima rispetto al film, Eddie Kasbrack è sposato, inoltre nel libro si parla anche della madre di Beverlie Marsh che nel film abita unicamente con il padre; la maggior parte delle volte le mutazioni di Pennywise non coincidono con quelle del libro; Richie Tozier nel libro diventa un bravo Dj della radio e un buon imitatore invece nel film diventa un buon comico della tv. Inoltre nel film non vengono specificate le origini di It, è del tutto assente la storia del rito di Chud e non vi è traccia della Tartaruga leggendaria. Il film è stato messo in onda in Italia per la prima volta da Canale 5 nel febbraio 1993 in prima serata. Una scelta criticabile per la tipologia di film.
Stanley Tucci e Bill Nighy in Jack the Giant Killer
Stanley Tucci e Bill Nighy entrano nel cast del kolossal fantasy 3D di Bryan Singer: Jack the Giant Killer.
Le Avventure di Tintin: Il Segreto del Liocorno ha finalmente una data ufficiale
Finalmente arriva una data d’uscita ufficiale de Le Avventure di Tintin: Il Segreto del Liocorno. Il film in motion capture diretto da Steven Spielberg uscirà in Italia con ben due mesi di anticipo rispetto all’uscita americana.
E’ La Sony ad annunciarlo: l’uscita sarà il 28 Ottobre, ben due mesi prima di quella americana che avverrà il 23 Dicembre. Inoltre, è stato confermato il titolo, fedelmente tradotto e ripreso dalla novella originale: Le avventure di Tintin: il segreto del Liocorno.
Prodotto da Peter Jackson e Steven Spielberg, la sceneggiatura è stata scritta da Steven Moffat, Edgar Wright e Joe Cornish. Interamente girato negli studios della Weta Digital, è stata utilizzata un’ulteriore avanzamente della performance capture vista in Avatar. Attualmente è in fase di animazione alla Weta Digital. Nel cast oltre a Jamie Bell, ci sono Daniel Craig, Simon Pegg, Nick Frest, Andy Serkis.
The Blair Witch project: il film horror del 1999
The Blair Witch project è il film cult del 1999 diretto e scritto da Daniel Myrick & Eduardo Sanchez.
- Anno: 1999
- Nazionalità: U.S.A
- Regia – Sceneggiatura – Montaggio: Daniel Myrick & Eduardo Sanchez
- Fotografia: Neal Fredericks
- Durata: 87′
La giovane e determinata Heather ha convinto Mike e Josh a realizzare un documentario sulle vicende legate alla strega di Blair. I ragazzi dopo aver raccolto le interviste dei paesani ( leggende e cruenti fatti di cronaca aleggiano intorno al mistero di questa strega ) si inoltrano nel bosco in cerca delle tracce di questa presenza. Finiranno col perdersi, braccati da un’entità che li terrorizza ogni notte.
The Blair Witch project è un horror, diventato un cult per la sue singolarità narrative (se non altro quando uscì) : si finge il ritrovamento dei filmati e delle registrazioni audio fatte dai tre protagonisti (di cui sono stati ritrovati i cadaveri). E’ una scritta all’inizio del film a dirci che quello che si sta vedendo è una ricostruzione realizzata usando filmati “reali” (è su questa fittizia realtà documentaristica che fa leva l’intero film).
The Blair Witch Project può essere indicato come il capostipite di un particolare genere di horror: riprese in stile amatoriale, apparente assenza di una cura nella messa in scena o nella post produzione ma soprattutto… un lancio pubblicitario attraverso le vie più insolite ed efficaci che la strategia della comunicazione di massa è in grado di elaborare. Questo genere di film sembra iniziare fuori dalla sala cinematografica perché quando lo spettatore entra, lo fa spinto da una campagna pubblicitaria iniziata magari sei mesi prima attraverso strategie di complessi “depistaggi mirati” (come nel caso Cloverfield e, in un certo senso, di Paranormal Activity).
The Blair Witch Project ha il merito ( o la colpa ) di aver inventato questa strategia: volantini e siti internet, prima dell’uscita del film, spacciavano per vera la scomparsa di tre ragazzi, il ritrovamento delle cassette e la loro proiezione nei cinema. Altro merito ( o colpa ) di The Blair Witch Project è quello di aver fatto sconfinare l’abusata forma da reportage anche nell’horror. Il film, in ogni caso, è solo apparentemente “ingenuo”.
Le inquadrature fortemente fuori asse e i soggetti decentrati (che dovrebbero giustificarsi con l’inesperienza dei tre filmakers) coincidono con una volontà “espressionistica” degli autori. La recitazione dei protagonisti risulta abbastanza credibile. Parte della tensione si fonda sul loro lasciarsi dominare dalla paura e dalla rabbia (con modalità non lineari e coerenti, ma funzionali alla narrazione ellittica del film). La scelta di raccontare tutto con la cinepresa 16mm e la handycam è funzionale ad un montaggio non casuale (lo si nota soprattutto nella scena finale): passare dalle immagini a colori della handycam a quelle in bianco e nero della 16mm porta a marcare l’identificazione dell’occhio dello spettatore con quello dei vari personaggi che riprendono.
In alcuni casi riesce anche a creare effetti drammatici interessati (considerato l’intento, apparentemente assurdo, di suscitare paura praticamente dal niente). All’interno del film si allude spesso, all’aspetto metacinematografico: gli occhi dei protagonisti che vivono le vicende sono raddoppiati dai loro obbiettivi attraverso i quali vedono (e noi stessi vediamo) le vicende. Parlare di “visione” risulta un paradosso per questo horror dove i principali momenti di tensione sono affidati a inquadrature sgranate (o totalmente in nero) e al fuori campo.
Del resto i 140 milioni di dollari di incasso negli USA e gli 8 milioni di Euro in Italia, a fronte dei 35.000 dollari spesi per 87 minuti di film (con tanto di finale approssimativo e affrettato che delude buona parte del pubblico) non passano solo attraverso la dialettica di “campo” e “fuori campo” ma anche attraverso un altro genere di “campo”: la strategia pubblicitaria. Insomma: un horror low budget con pregi e difetti e, ad accompagnarlo, un’ “alone da fenomeno mediatico anni ’90”.
Il padre e lo Straniero: recensione del film di Ricky Tognazzi
In Il padre e lo Straniero Diego è un impiegato romano che non riesce ad accettare la grave invalidità del figlio Giacomino. Walid è un ricchissimo uomo d’affari siriano che ha un figlio con le stesse problematiche di Diego ma che a differenza sua, ama senza discussione. I due si conoscono nella clinica in cui portano i loro figli e nasce subito una forte intesa. Da questo momento Diego inizierà un percorso di cambiamento.
La frequentazione con Walid, il suo punto di vista diverso e nuovo sul mondo, sui rapporti ma anche sui problemi dei rispettivi figli lo aiuterà ad accettare ciò che non pensava possibile ed anche a rivitalizzare il rapporto con sua moglie. Walid però non è completamente sincero con il suo nuovo amico, visto che i servizi segreti vengono in cerca di Diego per avere notizie sul ricco uomo siriano al momento scomparso senza lasciare traccia. Il protagonista si troverà ad affrontare una nuova situazione a lui completamente estranea.
Il padre e lo Straniero, il film
Il padre e lo Straniero di Ricky Tognazzi, in uscita nelle sale italiane il prossimo 18 Febbraio, è tratto dall’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo, che troviamo anche nel ruolo di sceneggiatore insieme allo stesso regista e a Simona Izzo. Il libro è antecedente al successo Romanzo criminale, ma, soprattutto, quando il film assume tonalità più “noir” è evidente la mano dello scrittore. Il film infatti naviga in equilibrio tra due generi; il dramma familiare e il thiller, con però con un elemento in comune, ossia la difficoltà di accettare ciò che è diverso. Nella prima parte di Il padre e lo Straniero infatti il protagonista è impegnato a mettere in discussione se stesso e i suoi limiti per vedere della bellezza anche in ciò che non è perfetto, perlomeno secondo i canoni che la società ci impone. Nella seconda parte, Diego dovrà invece affrontare se stesso per capire se la persona con cui ha stretto amicizia è in realtà qualcuno di molto pericoloso.
La difficoltà di far convivere i due generi senza passaggi forzati è molto evidente e avvertibile in alcune parti del film che però è supportato da un cast importante sia nei ruoli principali, Diego è interpretato da Alessandro Gassman mentre Walid da Amr Waked, visto anche in Syriana con George Clooney, ma anche nei ruoli secondari; Ksenia Rappaport interpreta la moglie di Diego e Leo Gullotta veste i panni del rigido poliziotto in cerca di Walid. Una nota del tutto particolare per il giovane attore che interpreta Giacomino; Leonardo Della Bianca.
Senna: recensione del documentario
Appassionante come appassionante era il suo modo di guidare una macchina di Formula 1, è così che si può definire l’attesissimo film-documentario sulla vita di Ayrton Senna. “Pochi mi conoscono davvero…”dichiarava un giovanissimo Senna. Prima del mito, un uomo semplice e complesso. Ecco chi era Ayrton. Il film – biografia mostra le paure e insicurezze, che non hanno fermato la straordinaria carriera del pilota che ha acquisito lo status di leggenda sportiva. Poi arriva il 1 maggio 1994 e ha fine il sogno, e come spesso accade, aumenta la fama e l’interesse per un epilogo tragico avvolto dal mistero fra dubbi irrisolti…
Scritto da Manish Pandey, diretto dal regista inglese, Asif Kapadia, grazie al contributo di scene di vita quotidiana fornite dalla famiglia, Senna ci permette di leggere ancora meglio il linguaggio del corpo del campione che nel suo gesticolare sapeva comunicare chiaramente il suo pensiero, non nascondeva gli stati d’animo e la sua forte, a tratti aggressiva personalità. Ma il senso del lavoro del film è soprattutto quello di un’inchiesta. Dice Senna ricordando la sua prima gara ufficiale nel 1978: “era corsa allo stato puro, non c’era politica”. E’ sempre stato questo il vero nemico di Senna, non Alain Prost, ‘il professore’ prima compagno di scuderia poi eterno rivale perfettamente integrato nel sistema-corse, non sono mai stati gli avversari, il problema era ‘la politica dello sport’. Tre volte campione del mondo, poteva esserlo almeno in un’altra occasione, invece, la sua storia è segnata da una squalifica che gli toglie il titolo e da un processo che sentenzia la sospensione per sei mesi della patente. Da qui, sempre più in polemica con quel mondo, il ragazzo dalla faccia pulita che è riuscito a farsi amare da un pubblico vasto per il suo impeto dentro e fuori dalla pista, reagisce, e l’anno dopo torna a correre per aggiudicarsi il terzo titolo.
Senna si concentra anche su un aspetto significativo. Senna e il suo Brasile. Una speranza, un modello, un modo per sognare, per far conoscere una nazione diversa da quella che realmente era in quegli anni di crisi. Non solo, non mancano, tanti riferimenti ad aspetti privati e intimi dello sportivo, dall’amore agli affetti. Ma la storia è una storia di passione sportiva che diventa ragione di vita: Prost, Dennis, Lauda, Williams, Schumacher sono nomi che in qualche modo si legano o hanno intrecciato rapporti col pilota, sono testimoni nel film del racconto di alcune esperienze e danno voce a sensazioni che fanno rivivere il brivido del clima di gara.
Ultima vittima della Formula 1, dopo di lui non si son registrati più decessi. Un destino che sembra così ingiusto è stemperato proprio dall’atteggiamento di Senna. La sua fede, il credere in Dio così fortemente lo faceva apparire immortale, e a detta di altri, quasi incurante della morte. Ecco l’altro tema ben sviluppato nel documentario: la religione. Atmosfera strana in quel 1 maggio, segnata forse dagli avvenimenti dei giorni delle qualifiche caratterizzati dal grave incidente di Rubens Barrichello e dalla morte in pista di Roland Ratzenberger. La sorella, Viviane, riporta un discorso del fratello, nel pre-gara di Imola, Ayrton sapeva che “quel giorno Dio gli avrebbe fatto il dono più grande.” Fimo all’ultimo sospiro, era questa l’altra vera passione del trentaquattrenne pilota.
L’Ottima e intelligente regia, appropriate le musiche di Pinto. No alle tradizionali tecniche documentaristiche, ma si al racconto nel rispetto della verità. Ecco gli ingredienti che hanno fatto apprezzare il prodotto, lo dimostrano i premi già vinti: Asif Kapadia ha ritirato il ‘Cinema Audience Award’. Dopo essere uscito in Giappone, Brasile e America, l’11 Febbraio siamo pronti per accoglierlo nelle nostre sale, con una distribuzione, in realtà, esigua. La F1 è cambiata, il rischio, proprio in seguito alla vicenda di Ayrton grazie allo sviluppo tecnologico dell’elettronica e della meccanica nell’ingegneria dell’automobilismo, è diminuito notevolmente. Si ripensa, dunque a quei tempi come ad un periodo epico, dove la capacità di portare al limite la propria monoposto determinava vittoria o sconfitta.
“Vincere è come una droga, quando cominci non puoi più farne a meno”, queste le parole del giovane Senna al seguito del primo successo del gran Premio del Portogallo. Sia per chi vuole ricordare e rivivere a circa vent’anni di distanza quei momenti, sia per chi vuole capire quella storia, quel mondo, quella logica sportiva e politica di sport, il documentario rappresenta un occasione. Lontano dalle logiche dei film sull’automobilismo, è un omaggio che cerca l’emozione nel ricordo del pilota che non ha mai accettato giochi di potere se non quelli dettati dalle regole dell’asfalto.
Rosamund Pike in Wrath of the Titans
Sarà Rosamund Pike, da poco vista ne La versione di Barney, ad interpretare il ruolo di Andromeda in Wrath of the Titans, il sequel di Scontro tra Titani che verrà diretto da Jonathan Liebesman.
Del cast del film fanno già parte Sam Worthington, Liam Neeson, Ralph Fiennes, Gemma Arterton, Toby Kebbel ed Edgar Ramirez.
Fonte: comingsoon.it
Famke Janssen è la strega di Hansel & Gretel
Dopo la notizia che a Jeremy Renner si era aggiunta Gemma Arterton, ecco che in Hansel & Gretel – Cacciatori di streghe arriva anche la strega cattiva. Si tratta di Famke Janssen la potentissima Jean Grey/Fenice di X-Men 3.
La storia segue i protagonisti della fiaba dei Grimm, cresciuti e alle prese coi loro traumi infantili, che si propongono come cacciatori di streghe. Sembra che il ruolo della Janssen sia quello della strega massima, capo di tutte le streghe malvagie esistenti. Le riprese del film, diretto da Tommy Wirkola, inizieranno il mese prossimo.
Fonte: comingsoon.it
Michael Hoffman dirige Girls’ Night Out
Il regista Michael Hoffman (The Last Station) ha in cantiere il film Girls’ Night Out, che ha come soggetto le avventure romantiche di due teenager d’eccezione: nientemeno che la Principessa Margaret e la sorella Elizabeth, le stesse che abbiamo da poco visto al cinema da bambine a seguire le vicissitudini del loro padre, Re Giorgio VI ne Il discorso del Re.
J. Edgar Hoover: prime foto di Leonardo Di Caprio!
Arrivano le prime immagini di Leonardo Di Caprio nei panni di J. Edgar Hoover, il biopic diretto da Clint Eastwood.
Nuovo adattamento di Dracula per la WB
Dopo tutte le rivisitazioni, trasposizioni, riadattamente e varie serie tv e saga cinematografiche (di dubbio gusto) ispirate al Principe della Notte, pare che le energie del romanzo di Bram Stoker, Dracula, non siano ancora esaurite.
Liam Neeson non tornerà in Tha Dark Knight Rises
Ra’s al Ghul non tornerà in The Dark Knight Rises, questo è quanto dichiara Liam Neeson su un breve articoo iportato da IGN Movies.
Da tempo infatti si parlava di un possibile ritorno del personaggio nel film, dato che sempre da vicendevoli rumors pare che la figlia del personaggio del fumetto, Talia, possa prendere parte alla storia della quale sappiamo ancora molto poco. La risposta di Neeson alle domande sulla sua eventuale partecipazione a The Dark Knight Rises è stata molto chiara: lui, a tutti gli effetti, non sarà nel prossimo film, e non è stato nemmeno contattato dalla produzione.
Tra l’altro anche se una richiesta di coinvolgimento arrivasse, Neeson sarà impegnato nelle riprese (concomitanti con quelle del terzo Batman di Nolan) de L’Ira dei Titani, sequel diScontro fra Titani, nel quale interpreta Zeus.
Tra le new entry ufficiali ne ricordiamo invece due particolarmente interessanti: Anne Hathaway e Tom Hardy.
Fonte: IGN Movies tramite badtaste.it
Liam Neeson non tornerà in Tha Dark Knight Rises
Ra’s al Ghul non tornerà in The Dark Knight Rises, questo è quanto dichiara Liam Neeson su un breve articoo iportato da IGN Movies.
Un film sulla coppia reale Kate e William
Il film “Kate e William” sarà trasmesso una settimana prima delle attesissime nozze reali di fine aprile tra Kate Middleton e il Principe Williams
Another Year: recensione del film con Jim Broadbent
Mike Leigh, già regista di Segreti e bugie e Il segreto di Vera Drake torna al cinema con Another Year. Per questo lavoro ha scelto attori che lo hanno accompagnato già in passato (Imelda Staunton, Jim Broadbent, Ruth Sheen, Lesley Manville) e loro, anche stavolta, non hanno deluso le aspettative.Si tratta di un film in pieno stile Leigh, che mette al centro la normalità: personaggi e temi quotidiani.
Sceglie di parlare dello scorrere del tempo, di nascita e di morte, e della loro accettazione. Racconta di vite normali, che scorrono serene, ma anche di esistenze di cui si è perso il bandolo, segnate dall’infelicità e dal disagio. Fa un film in cui non ci sono vere e proprie trame e intrecci da seguire e alla fine non si tirano le fila delle “storie”, perché l’importante non è ”come va a finire”, ma ciò che si dice e si fa durante Another Year e ciò su cui si può riflettere. È una commedia, un film ironico, che strappa sorrisi e qualche risata, ma è anche un film realista, che guarda i problemi in faccia e non li nasconde sotto al tappeto come la proverbiale spazzatura. Leigh si concentra su una coppia di sessantenni inglesi. Tom e Gerry sono sereni e appagati: lui geologo ingegnere, lei psicologa (Jim Broadbent e Ruth Sheen).
Another Year, il film
Vivono a Londra, hanno una bella casa e un orto cui si dedicano con passione. Sono sposati da molti anni, ma tra loro c’è ancora una buona intesa, nonostante qualche piccolo screzio, degno dei loro nomi. I loro modi gentili e accoglienti, come la casa che abitano, fanno sì che questa sia la meta preferita di amici e parenti. Attorno, si muovono vari personaggi, alle prese con piccoli e grandi problemi. Il figlio trentenne, Joe (Oliver Maltman), indeciso se mettere o no su famiglia, troverà nella simpatica Katie una buona compagna. Poi c’è Mary (Lesley Manville), segretaria nella clinica dove lavora Gerri e sua amica da vent’anni, alla costante ricerca di qualcosa o qualcuno cui aggrapparsi come a un’ancora di salvezza (un uomo, una macchina nuova, Gerri); c’è l’altra amica della protagonista, medico nella stessa clinica, che darà alla luce un bambino; c’è Ken (Peter Wight), amico di vecchia data che, come Mary, scaccia solitudine e depressione con alcool, fumo e cibo, e c’è Ronny (David Bradley), il fratello di Tom, colpito da un grave lutto.
La sceneggiatura di Another Year, firmata dallo stesso regista, tiene abilmente insieme il tutto. Funzionano perfettamente anche i momenti in cui non sono presenti Gerri e Tom (riuscitissimo, ad esempio, quello in cui sono protagonisti Ronny e Mary). I dialoghi, poi, sono efficacemente al servizio della volontà di Leigh di andare in profondità e al cuore delle questioni e il ricco ventaglio di gestualità ed espressività messo in campo dal validissimo cast fa il resto, regalando scene che sono veri gioiellini. L’abilità di Leigh sta nel restituirci, anche con pochi fotogrammi e poche battute (si pensi alla sequenza iniziale, protagonista un’impareggiabile Imelda Staunton), l’universo esistenziale dei personaggi e farci riflettere su concetti forse scomodi, ma che, secondo il regista, è necessario fare propri e mettere al centro della nostra esistenza: accettazione della realtà – non per rimanere schiacciati sotto il suo peso, bensì come punto di partenza per cambiare ciò che non ci soddisfa – assunzione di responsabilità e abbandono di aspettative irrealistiche – come quella, coltivata da Mary, di trovare qualcuno o qualcosa che possa salvarla, che possa magicamente cambiare le sorti della sua vita – in favore di una più sensata ricerca di aiuto, che implica necessariamente un impegno anche da parte di chi lo riceve. Temi questi, che vediamo espressi chiaramente con personaggi come Mary, schiacciata dal suo senso di inadeguatezza, insoddisfatta della propria vita (una Lesley Manville perfettamente in parte), così come la paziente di Gerri (appunto Imelda Staunton), o Ken, che getta via la sua esistenza, preda della solitudine.
Tutti costoro vengono sostenuti e incoraggiati da Tom e Gerri a cercare di cambiare stile di vita, se necessario ricorrendo all’aiuto di uno psicologo (non a caso Gerri lo è, e sa far bene il suo mestiere), ma la loro volontà pare troppo debole per perseguire l’obiettivo. C’è però anche felicità in Another Year, certamente non del tipo: euforia costante, feste e risate a crepapelle, ma una felicità nell’apprezzare i piaceri quotidiani, la compagnia delle persone amate, la nascita di un figlio. Insomma, la felicità nella normalità. Bisogna riconoscere, dunque, che una riflessione come quella proposta dal regista di Manchester può interessare in varia misura ciascuno di noi, essendo peraltro condotta con estrema delicatezza e maestria. Questa, però, è una di quelle pellicole cui il pubblico italiano non è abituato. L’introspezione non è proprio il forte dello spettatore medio di casa nostra, che mal sopporta persino la scelta del regista di far partire la colonna sonora solo quando i titoli di testa scorrono già da qualche secondo. E siamo solo all’inizio del film. E che dire dell’accettazione del tempo che passa, dell’invecchiamento e della morte, nella nostra società? Basta aver presenti i volti del nostro cinema, della tv e quelli sulle prime pagine di alcune note riviste (con qualche rarissima eccezione). Qui da noi l’invecchiamento è ormai un tabù, mentre nel film di Leigh la maggior parte dei personaggi sono sessantenni… e i loro volti lo dimostrano! E anche i giovani non sembrano certo tutti appena scesi da una passerella di Armani.
E poi c’è un’altra società – quella inglese evidentemente – culturalmente pronta a riconoscere, accogliere e lavorare sul disagio esistenziale, cosa che qui siamo ben lungi dal fare: se si vuole cambiar vita qui ci si rivolge al chirurgo estetico e non allo psicologo e l’individuo non viene spesso neppure indirizzato nella maniera corretta dalle istituzioni preposte. Insomma, forse molti in Italia non sono pronti per questo film coraggioso e onesto. Per chi invece è stanco di botox e festini e aspettava di veder rappresentata al cinema anche un po’ della sua normalità, è decisamente una boccata d’ossigeno.
Meryl Streep come Margaret Tutcher
La prima foto ufficiale di Meryl Streep nei panni di Margaret Tatcher è on line. Pubblicata da Empire la foto mostra l’attrice truccata e pettinata come la Lady di Ferro, nomignolo dal quale prende il titolo il film, che si chiamerà appunto The Iron Lady.
Mike Newell per Grandi Speranze
Mike Newell, che con il suo ultimo lavoro Prince of Persia non ha convinto moltissimo, ha accettato di dirigere una nuova versione di Grandi speranze (Great Expectations) di Charles Dickens.