Trai film più attesi
della stagione, spicca senza ombra di dubbio The
Fabelmans, nuovo film
di Steven Spielberg. Attraverso la
lente della finzione cinematografica alcuni importanti autori hanno
saputo raccontare se stessi, non soltanto la propria visione del
mondo ma anche la storia personale che li ha in qualche modo
condotti ad essa. Con il suo ultimo The
Fabelmans, Spielberg ci regala un
film che riduce tale lente a uno strato sottilissimo, mettendo in
scena gli anni della sua giovinezza e gli eventi che lo hanno
condotto all’amore per la Settima Arte.
The Fabelmans, fare i conti
con la propria storia
Lo scopo principale
appare senza dubbio quello di fare i conti con i fatti che hanno
minato l’unità familiare nella sua adolescenza, indirizzandolo
verso il cinema come momento di evasione dal dolore del quotidiano
ma anche come mezzo per esprimere quel dolore stesso, incanalandolo
in una storia capace di parlare al grande pubblico. E
Steven Spielberg, ovvero uno dei più grandi
narratori per immagini dei nostri tempi – se non il più grande – con
The Fabelmans fa ancora una volta proprio questo:
sviluppa
una storia di crescita e accettazione che rimane comunque
finzione, ovvero quella finzione quella che lui stesso avrebbe
voluto vivere.
Madre e Padre
Anche se in superficie il
personaggio portante della trama è Mitzi, la madre del giovane
protagonista Sam, nel profondo The Fabelmans è un
atto d’amore verso la figura paterna di Burt, una figura che nel
cinema si Spielberg è stata costantemente motivo di frustrazione:
pensate ad esempio ai padri assenti, manipolatori, distratti di
film come E.T., Prova a prendermi
o Incontri ravvicinati del terzo tipo, solo per
citare gli esempi maggiormente espliciti. In questo ultimo
lungometraggio autobiografico (a modo suo…) Spielberg invece
celebra la resilienza, l’abnegazione, la devozione incondizionata
di un uomo destinato ad amare una donna a cui sta troppo stretta la
vita che lui può offrirle. Sotto questo punto di vista The
Fabelmans si conferma, alla maniera di molti film del
primo Spielberg, una favola che reinterpreta la realtà. O meglio
l’espressione di un desiderio preciso, quello di aver avuto la
possibilità di capire meglio i propri genitori.
In certi momenti sembra
quasi che il cineasta voglia spiegarci perché negli anni ‘70 e ‘80
faceva film in quel modo, e questo introduce un certo didascalismo
nella narrazione e nell’estetica scelta per The
Fabelmans. Al tempo stesso però troviamo nel film sequenze
che parlano di cinema in maniera talmente precisa e profonda da
colpire dritte al cuore: Spielberg ci mostra ad esempio con
straordinaria semplicità ed efficacia che fare cinema ha
significato per lui tentare di prendere il controllo della propria
vita, oppure che si possono usare le immagini quando le parole
diventano troppo pesanti o dolorose per poter essere
pronunciate.
Spielberg strizza
l’occhio a John Hughes
Questi sono i momenti più
belli di The Fabelmans, opera che possiede anche
momenti di incredibile e insieme dolorosa leggerezza, alla maniera
di quel John Hughes a cui Spielberg strizza più
volte l’occhio in questo lungometraggio. E a chiudere un’operazione
tanto complessa e stratificata proprio perché estremamente
personale, ci sono gli ultimi dieci minuti che sono qualcosa che è
difficile definire, tante sono le emozioni che racchiude: una
sequenza cinefila, spassosa, geniale anche nella scelta di un cameo
straordinariamente assurdo eppure perfetto che ovviamente non vi
spoileriamo.
Per quanto riguarda la
direzione degli attori, Spielberg si conferma perfetto regista di
giovani interpreti consentendo al protagonista Gabriel
LaBelle di regalarci una prova maiuscola, trattenuta e
sofferta nella prima parte e poi progressivamente più libera e
carismatica quando invece il personaggio di Sam inizia a trovare la
forza per lottare al fine di affermare la propria personalità.
Straordinaria – da nomination all’Oscar – la partecipazione del
grande veterano Judd Hirsch in una sola ma
fondamentale sequenza. Funzionano a dovere
Paul Dano e
Seth Rogen, mentre invece si sviluppa a corrente
alternata la prova di
Michelle Williams, la quale a tratti sembra incerta
sul come interpretare una figura femminile la cui frustrazione
emotiva conduce ad atteggiamenti eccessivamente
melodrammatici.
Riscrivere la propria infanzia con
il cinema
The
Fabelmans è un film forse un po’ troppo alterno nei toni e
nell’esposizione della storia per convincere del tutto: nei momenti
in cui funziona è di una potenza emotiva profonda, in altri al
contrario fa pensare a quanto altri giovani protagonisti nel cinema
di Steven Spielberg si sono rivelati maggiormente
emblematici di Sam Fabelman. A conti fatti, il senso di solitudine
e di innocenza perduta derivati dall’aver perso il sostegno del
nucleo familiare hanno trovato piena rappresentazione in altri film
dell’autore – su tutti a nostro avviso si staglia il giovane
Christian Bale de L’impero del
sole – ma a conti fatti probabilmente non è neppure questo
lo scopo di The Fabelmans.
Spielberg sembra volerci
dire che, alla soglia dei 76 anni, con quello che gli è accaduto,
lui ci ha finalmente fatto i conti. Alla sua maniera, ovvero
adoperando il cinema come “fabula”, come possibilità di riscrivere
la propria storia interiore. E sotto questo punto di vista il suo
film è prezioso.
Powered by 