A poco meno di due mesi dall’arrivo
della seconda stagione di Squid
Gamesu Netflix, la serie ha in serbo un’importante
espansione con un regista candidato all’Oscar al timone. Deadline riporta che un nuovo show in lingua inglese è
in lavorazione sulla piattaforma di streaming da parte di
David Fincher, mente di Se7en. Al momento i dettagli sono
tenuti strettamente nascosti, anche se si prevede che questa serie
sarà il suo prossimo grande progetto nell’ambito del contratto in
corso con il servizio, a meno che non venga annunciato un altro
film. Si prevede che l’autore dedicherà gran parte del 2025 allo
sviluppo della serie, il che significa che il progetto potrebbe
essere avviato piuttosto rapidamente.
La serie di Fincher sarebbe la
prima vera e propria estensione del franchise al di là del
terrificante show originale sudcoreano di Hwang
Dong-hyuk. Netflix ha già all’attivo il controverso
reality show Squid
Game: The Challenge, oltre a un videogioco, ma questa sarebbe
una frontiera completamente nuova che potrebbe potenzialmente
aprire la competizione di sopravvivenza distopica al mondo al di là
della Corea del Sud. Se qualcuno è in grado di creare un’aggiunta
in lingua inglese, Fincher sarebbe una buona scommessa, data la
sua inclinazione per i thriller oscuri, da Zodiac a Gone Girl.
La premessa di Squid Game,
una gara di vita o di morte che consiste in giochi per bambini per
un premio in denaro, non sarebbe un concetto estraneo a Fincher,
visto che il suo thriller del 1997 The Game, interpretato da
Sean Penn, affrontava un gioco contorto che si
evolveva in una più ampia cospirazione che coinvolgeva la vita di
un ricco banchiere d’investimento.
Con Fincher che ora prende le
redini di uno dei più grandi universi di blockbuster di Netflix, la
piattaforma continuerà a raccogliere i benefici di un accordo
globale con il decorato regista. Finora ha già prodotto due film in
streaming, Mank e The Killer dell’anno
scorso, oltre a una serie molto amata e spesso richiesta con
Mindhunter. Ha anche prodotto e
diretto l’acclamata serie animata Love, Death +
Robots di Tim Miller e ha avuto
un ruolo nell’ascesa di Netflix come produttore esecutivo di
House of Cards. Le voci tra gli addetti
ai lavori lo collegavano a Squid Game da tempo e, non
avendo nulla in programma dopo il film diretto da Michael
Fassbender, ha lasciato la porta aperta per affrontare
finalmente la serie vincitrice dell’Emmy.
Squid Game torna finalmente su
Netflix a dicembre
La visione di Netflix è quella di
continuare a costruire sul successo di Squid Game, dopo
che la prima stagione è diventata la serie più vista dello streamer
con un ampio margine, con oltre 2,2 miliardi di ore viste
finora. Per il momento, però, l’attenzione è rivolta all’arrivo
della seconda stagione il 26 dicembre. Con il ritorno di
Lee Jung-jae nel ruolo del Giocatore 456,
Gi-hun, la nuova stagione riprende tre anni dopo la sua prima
vittoria nei giochi. Con la sua nuova ricchezza, Gi-hun è determinato a chiudere l’oscura organizzazione
che si cela dietro questa contorta competizione e che si approfitta
delle classi meno abbienti della Corea del Sud. Tuttavia, il
percorso per porre fine ai giochi è irto di ostacoli e alla fine lo
costringe a tentare nuovamente la fortuna come concorrente per
raggiungere i piani alti. Ci si aspetta l’ingresso
di molti volti nuovi nella mischia, tra cui
Yim Si-Wan, Kang Ha-Neul, Park Sung-hoon e
Yang Dong-geun .
Il prossimo film di Star
Wars, The Mandalorian and Grogu, ha
ufficialmente terminato le riprese, e sembra che il suo piccolo
eroe verde abbia un futuro davanti a sé all’interno della storia.
The
Mandalorian and Grogu è stato annunciato nel gennaio 2024
come la continuazione della storia della serie televisiva The
Mandalorian, che vedrà Din Djarin e Grogu lavorare per conto
dei ranger della Nuova Repubblica, mentre il Mandaloriano
accompagnerà il figlio appena adottato nel suo viaggio di
apprendistato. Per quanto riguarda i dettagli, si conosce solo una
parte limitata del cast di The Mandalorian and Grogu, e questi
segreti sono sopravvissuti alla produzione.
Ciò significa che i segreti e le sorprese che attendono il
pubblico in The Mandalorian e in Grogu sono davvero sotto stretto
controllo. Filoni, tuttavia, ha anche fatto qualche piccolo accenno
al futuro di Grogu, parlando dell’evoluzione del personaggio – sia
nell’universo che dietro le quinte – e insistendo sul fatto che “è
diventato una star”.
Cosa significano i commenti di Dave Filoni per Star Wars
Per coloro che sono pronti a vedere Star Wars di nuovo
sul grande schermo, questa è una notizia entusiasmante, poiché è il
primo film di Star Wars a completare la produzione e a prepararsi
per un’uscita sul grande schermo dopo Star Wars: The Rise of
Skywalker del 2019. Dopo anni di progetti cinematografici di
Star Wars abbandonati, The Mandalorian and Grogu sta finalmente
facendo un altro passo verso il debutto sul grande schermo,
diventando molto più di una semplice idea sulla carta. L’attesa per
un nuovo film di Star Wars è quasi finita e sembra che ci sia molto
in serbo per i suoi personaggi.
Il
prossimo film di Martin Scorsese potrebbe essere stato
svelato grazie a un nuovo aggiornamento sulle riprese da parte di
Dwayne Johnson. Nel febbraio 2025, è stato
riferito che l’ottantaduenne regista stava sviluppando un film
drammatico senza titolo descritto come una sorta di
Goodfellas incontra The Departed ambientato alle
Hawaii, con
Dwayne Johnson, Leonardo DiCaprio ed Emily Blunt nel cast. Il progetto avrebbe
scatenato un’aggressiva guerra di offerte tra diversi studi
cinematografici, con la 20th Century Studios della Disney che
sembrava averla spuntata. Tuttavia, Scorsese ha molti film in
cantiere, quindi non è chiaro quale sarà il suo prossimo
progetto.
Ora, il prossimo film di Scorsese
potrebbe essere stato appena svelato. Durante una recente
apparizione al The Pat McAfee Show, Dwayne Johnson ha condiviso un
aggiornamento sulle riprese del film senza titolo di Scorsese
ambientato alle Hawaii, dicendo che sarà girato entro il
prossimo anno. L’attore ha anche espresso il suo entusiasmo per
il fatto di recitare in una potente storia di gangster mai
raccontata prima, diretta da Scorsese, che è stato profondamente
ispirato dalla sua profondità culturale e dai temi del recupero del
patrimonio culturale. Leggi i suoi commenti completi o guarda il
video qui sotto:
Abbiamo dato il via al progetto.
Abbiamo chiamato Scorsese e abbiamo avuto un incontro con lui, gli
abbiamo presentato l’idea e lui l’ha adorata. È rimasto sbalordito
dal fatto che questa storia non fosse mai stata raccontata… L’idea
di raccontare questa storia con Scorsese; nessuno fa film di
gangster meglio di Martin Scorsese. È il migliore in assoluto. È
sul Monte Rushmore insieme ai grandi registi.Nessuno lo fa
meglio di lui. Ma penso che ciò che lo ha davvero stimolato in
questo progetto sia l’idea di un uomo che si ribella: sì, un
gangster, sì, un padrino, e sì, spietato, ma che si ribella anche
per rivendicare ciò che gli è stato rubato, ovvero la cultura e la
terra.
Cosa significa questo per il
prossimo film di Martin Scorsese
Da quando Killers of the Flower Moon è
uscito nelle sale nell’ottobre 2023, Martin Scorsese ha esplorato una serie
di possibilità per il suo prossimo film, a partire da A Life
of Jesus, basato sul libro di Shūsaku Endō, e da un film
biografico su Frank Sinatra con DiCaprio, entrambi i quali
avrebbero incontrato degli ostacoli. Più recentemente, il film
Devil in the White City sarebbe stato ripreso dalla 20th
Century Studios, seguito da un adattamento di Gilead in fase
di sviluppo presso la Apple, con Scorsese e DiCaprio impegnati
nella regia e nella recitazione di entrambi.
Tuttavia, considerando i commenti
di Dwayne Johnson, sembra che il film poliziesco ambientato alle
Hawaii sarà il prossimo film di Scorsese. Secondo quanto
riferito, il progetto ha scatenato una guerra di offerte a cinque
tra diversi studi, tra cui Amazon, Apple, Warner Bros. e Netflix, con la 20th Century Studios della Disney che
sembra aver avuto la meglio alla fine. Ora, se le riprese
inizieranno entro il prossimo anno, come afferma Johnson, il film
potrebbe uscire alla fine del 2026 o all’inizio del 2027.
Il prossimo film di
Jordan Peele è stato aggiunto nel calendario delle
uscite della Universal Pictures, con l’uscita fissata per il 25
dicembre 2024.Variety ha riferito che il film, che al
momento non ha titolo o dettagli sulla trama, uscirà il giorno di
Natale del 2024, cinque giorni dopo gli attesissimi sequel
Sonic the Hedgehog
3 e Avatar
3.
Allo stesso modo, un film
senza titolo di Monkeypaw Productions era stato
fissato per il 27 settembre 2024. Monkeypaw Productions è la
società di produzione di Jordan Peele, che ha
prodotto film recenti comeCandyman del
2021 e il film d’animazione del
2022 Wendell &
Wild diretto da Henry Selick eThe Nightmare Before Christmas.
Il film più recente di Peele è
stato Nope,
che ha scritto e diretto. È stato interpretato dal premio
Oscar Daniel Kaluuya, che si è riunito con Peele
dopo l’uscita di successo diGet Outdel 2017. Al
suo fianco nel cast anche Keke Palmer
(Hustle)
e il candidato all’Oscar
Steven Yeun (Minari)
mentre interpretano i residenti in una gola solitaria
dell’entroterra californiano che sono testimoni di un’agghiacciante
scoperta. Nope era
una produzione di Monkeypaw Productions e Universal Pictures ed è
stato prodotto da Peele e Ian Cooper.
E’ stato finalmente
annunciato il programma ufficiale del 65esimo Festival di Cannes, che vi ricordiamo avrà inizio il
prossimo 16 di maggio. Presidente di Giuria come già anticipato
qualche mese fa sarà Nanni
Moretti. Per gli l’Italia, come era prevedibile Reality di
Matteo Garrone,
E’ stato diffuso il programma
dell’Area Movie del Lucca Comics & Games,
edizione 2022 a cura di QMI. Tra gli eventi vi
segnaliamo l’attesissima anteprima di Dampyr,
l’anteprima di One Piece
Film: Red e l’attesissimo arrivo di Tim Burton.
VENERDI 28 OTTOBRE
CINEMA ASTRA
h. 14:30
Crunchyroll e Toei Animation presentano: One
Piece la serie – Aspettando RED! Puntata 1029 – Un ricordo
distante. Rufy e Uta, la figlia del Rosso Puntata 1030 – La
promessa di una nuova genesi! Rufy e Uta Episodio Speciale – Il log
appartenuto a una leggenda! Shanks il Rosso! (v.o. sub ita, 70’,
JP)
h. 16:30 Slim Dogs Production presenta: Nostos
di Mauro Zingarelli (20’, Ita) Modera: Gabriella Giliberti Saranno
presenti: Mauro Zingarelli, Marco Cioni e Cydonia
h. 20.00 Eagle Pictures, Sergio Bonelli Editore e Brandon Box
presentano: Dampyr.
Prima mondiale (110’, ITA) Saranno presenti gli attori: Stuart
Martin, David Morrissey, Luke Roberts, e il regista Riccardo
Chemello.
SABATO 29 OTTOBRE
CINEMA ASTRA
h. 11.30
SABATO 29 OTTOBRE
Paramount Pictures presenta:“Dungeons &
Dragons – L’onore dei Ladri”
Incontro con i registi Jonathan Goldstein, John Francis Daley, e il
produttore Jeremy Latcham.
Contenuti in anteprima. Modera Cristina Scabbia.
h. 15.30 Anime Factory e Toei Animation presentano:
One Piece
Film: Red – Anteprima italiana (v.o., 115’, JP)
Introducono l’evento gli ospiti d’eccezione Goro Taniguchi e
Masayuki Sato. *Ingresso con prenotazione e biglietto del
festival.
h.10.30 Sergio Bonelli Editore, Rai Kids, Power Kids e NexusTV
presentano: Dragonero. I Paladini – Anteprima Mondiale. I primi 4
episodi della serie animata. Con Luca Enoch e Stefano Vietti.
h. 18.00 Disney+ presenta: La serie
Lucasfilm: Andor –
Episodio 8
(53, US) A seguire: Incontro con Denise Gough
(“Dedra Meero”) e speciali sorprese per tutti i fan
CINEMA CENTRALE
h.14.30 Nexo Digital e Bim presentano: Cut!
Zombi contro Zombi – Anteprima italiana (115’,
FR)
TEATRO DEL GIGLIO
h.11.00 Prime Video presenta:
Il
Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere – incontro
con il cast. Saranno presenti: Cynthia Addai-Robinson, Ismael Cruz
Córdova e Sophia Nomvete Modera: Emanuele Vietina *Ingresso con
prenotazione e biglietto del festival.
LUNEDì 31 OTTOBRE
CINEMA MODERNO
h.20.00 Netflix presenta:
Mercoledì – European Fan Screening Episodio 1 (v.o. sub ita)
Introduce Tim Burton. Modera Gianmaria Tammaro.
*Ingresso con biglietto gratuito speciale ritirabile dalle ore
08.30 alle ore 17:00 del giorno dell’evento, alla biglietteria di
Piazzale Verdi, SOLO per i possessori di biglietto LC&G
Sabato 20 gennaio 2018 a Rimini,
nella data in cui Federico Fellini avrebbe compiuto 98 anni,
inaugurerà, dopo un importante intervento di ristrutturazione
durato 6 anni e realizzato nell’ambito del progetto del Museo
Fellini, il Cinema Fulgor, ridisegnato dal premio
Oscar Dante Ferretti, che sarà presente alla festa
inaugurale. Un’apertura molto attesa, tanto da essere citato ancora
prima del taglio del nastro ufficiale come luogo di interesse per
l’anno nuovo in un recente articolo del New York Times
dedicato ai luoghi turistici top del 2018 a livello mondiale. Il
Fulgor, destinato a divenire presidio culturale e centro d’impulso
intellettuale per l’intera Regione, proietta così l’Emilia-Romagna
fra le destinazioni migliori per un turismo culturale in grado di
generare valore per l’intero territorio.
La programmazione:
rassegne, classici restaurati e anteprime italiane, come Made
in Italy, l’ultimo film di Luciano Ligabue (22
gennaio)
La programmazione del Cinema Fulgor
sarà curata dalla società Khairos srl, i cui
fondatori operano nel mondo della cinematografia da 50 anni:
un’azienda familiare allargata (fra collaboratori e soci), unita
dal suo amore per il cinema, che già porta avanti con successo la
gestione del Cinema Settebello di Rimini. Tante le partnership
attivate per portare a Rimini il meglio del cinema italiano e non
solo, con rassegne, retrospettive, e naturalmente anteprime
italiane. Si inizia già lunedì22
gennaio alle ore 21.00 quando verrà proiettato in
anteprima nazionale l’ultimo film di
Luciano LigabueMade in
Italy, in uscita nella sale italiane dal 25 gennaio.
Il film, che si ispira all’omonimo album del cantante di Correggio
uscito nel novembre 2016, sarà presentato in sala alla presenza
dello stesso regista e del produttore Domenico
Procacci. Sempre in anteprima italiana martedì 23
e mercoledì 24 gennaio dalle ore 21.00 verrà proiettato
Fabrizio De André. Principe Libero, la
mini serie in due puntate dedicata al grande cantautore genovese
co-prodotta da Rai Fiction e Bibi Film. La biopic a lui dedicata
sarà visibile sul grande schermo in tutta Italia solo in queste due
giornate, mentre approderò su Rai 1 il 13 e 14 febbraio, in
concomitanza con i due anniversari che ne racchiudono il viaggio:
quello della scomparsa, l’11 gennaio 1999, e quello della nascita,
il 18 febbraio 1940. La proiezione sarà preceduta dal concerto
omaggio a Fabrizio De Andrè del cantautore santarcangiolese Andrea
Amati, collaboratore di Francesco Baccini e Cristiano De André.
Ovviamente, accanto all’ossatura
della programmazione, rappresentata da una selezione dei migliori
film di qualità di nuova uscita, una parte importante della
proposta cinematografica del Fulgor sarà dedicata al “Maestro”. Non
solo con le retrospettive dedicate alla sua vasta cinematografia,
ma allargando la prospettiva di partenza e puntando su tre
linee temporali. La prima è quella dei film, dei registi e
delle correnti che hanno influenzato o che erano particolarmente
apprezzate da Fellini (come Roberto Rossellini, John Ford, Charlie
Chaplin, il cinema hollywoodiano, i fratelli Marx, Alfred
Hitchcock, Luis Buñuel e molti altri); la seconda invece include
quei registi a lui contemporanei, in particolar modo Michelangelo
Antonioni, Ingmar Bergman e Akira Kurosawa, con cui il Maestro si
confrontava; infine la terza sarà dedicata a tutti quei registi che
da lui sono stati maggiormente influenzati, da Stanley Kubrick a
Martin Scorsese. Tutto questo sarà possibile grazie alle
collaborazioni con importanti enti di produzione e distribuzione,
come la Cineteca di Bologna e Wanted Cinema, che permetteranno di
avere al Fulgor anche anteprime nazionali.
La ricca programmazione
cinematografica dei prossimi mesi vedrà al Fulgor la
proiezione de La Febbre dell’oro (1925), fra le prime
pellicole mute di Charlie Chaplin; Alla ricerca di Van
Gogh, distribuito in Italia dalla Wanted Cinema; una rassegna
dedicata alla Nouvelle Vague; il documentario La lucida follia
di Marco Ferrari, realizzato a vent’anni dalla scomparsa del
grande regista e presentato all’ultima Mostra del Cinema di
Venezia; una selezione di classici restaurati provenienti dal
Cinema Ritrovato di Bologna, documentari sull’arte che raccontano
le straordinarie vite di artisti come Caravaggio e Bosch,
performance teatrali, come quella di Roberto Mercadini dedicata
proprio a Federico Fellini, e la proiezione in anteprima di LA
SCUOLA: un’indagine sul ‘300 riminese diretto da Davide
Montecchi e prodotto da Meclimone produzioni cinematografiche,
Francesca Manno per Summerside International ed Elena zanni per
Khairos srl. Il documentario è una ricognizione personale alla
scoperta delle principali opere eseguite dagli allievi riminesi di
Giotto nei primi decenni del ‘300.
L’obiettivo è quello di rendere il
Fulgor in un luogo di cultura eterogeneo: il
cinema infatti è fatto di scrittura, disegno, musica, intreccia e
comprende in sé tutte le arti. In quest’ottica il Cinema Fulgor
sarò aperto tutti i giorni dal pomeriggio, e spesso anche la
mattina con proiezioni diurne dedicate alle scuole e alle
famiglie.
Gli eventi
collaterali
Questa linea si rispecchia anche
nelle idee principali che ispirano la progettazione degli eventi
paralleli a quelli della programmazione delle due sale
cinematografiche del Fulgor. Verrà offerto dunque un ricco
ventaglio di eventi che comprendano, oltre a prime visioni,
dialoghi con autori, registi ed attori, la presenza e gli
interventi formativi di persone che lavorano nel settore. A questo
proposito la società di gestione Khairos ricerca uno sviluppo
ulteriore dei progetti già imbastiti da diversi anni con le scuole
e l’Ateneo cittadino. Per farlo è stata richiesta la collaborazione
– fin dalla prima ora piena ed entusiasta – del Dipartimento di
Scienza della Qualità della Vita dell’Alma Mater, in particolare
con Roy Menarini, Docente di Cinema e Industria
culturale dell’Università di Bologna, Campus di Rimini
Tra i più conosciuti, apprezzati e
seguiti critici cinematografici italiani, Menarini da marzo sarà
colui che guiderà i primi corsi di approfondimento
che il Cinema Fulgor offrirà alla città. Saranno corsi per
appassionati e cinefili, volti a far scoprire aspetti più
approfonditi dei linguaggi cinematografici, dalle note di regia a
spunti di riflessione sulla fotografia, sulla composizione testuale
delle sceneggiature, fino ad arrivare all’analisi dei nuovi
linguaggi cinematografici sollecitati dalle serie tv.
Le sale del Fulgor inizieranno in
questa maniera ad intessere una prima ibridazione dello spazio in
cui si collocano: sì sala cinematografica ma anche salotto della
città e polo regionale di scambio e dialogo sulla cultura filmica e
delle immagini.
Sempre con l’università, e in
rapporto con operatori del settore, si vuole realizzare un grande
sogno: riportare a Rimini una delle esperienze di Festival
cinematografici tra i più apprezzati in Italia. La tensione di
tutto lo staff e la struttura sono fin da ora tese a costruire
l’ossatura per riuscire quanto prima a riattivare quella importante
esperienza culturale, capace – già dagli anni Novanta – di portare
uno spirito non solo europeo, ma mondiale. Nella rassegna di
Rimini Cinema, fin dagli anni Ottanta, era dato
grande risalto alle esperienze della cinematografia sia delle
culture medio orientali che di quelle del Sud Est asiatico e
centrale.
Approdato sulla piattaforma
streaming statunitense il 21 settembre, il
profumiere è un thriller diretto dal regista tedesco Nils
Willbrandt. Il soggetto è tratto dal bestseller Profumo. La storia di un
assassino, romanzo di Patrick Suskind del 1985. Già una
pellicola prima de Il profumiere aveva portato
questa storia sul grande schermo: si tratta di Profumo- storia di
un assassino, film del 2006 diretto da Tom Tykwer, con
Dustin Hoffman ed
Alan Rickman. Nel cast del recente adattamento Netflix ritroviamo invece i tedeschi Emilia Schule,
Ludwig Simon e l’austriaco Robert Finster.
La ricerca di un profumo
d’amore
“questa storia ha inizio nell’oscurità, parla di bellezza e
parla di ferocia, della ricerca della felicità e del costo per
averla”
Con quest’incipit, la voce narrante
apre il sipario de Il profumiere. Una giovane
detective viene trasferita in una nuova stazione di polizia, dove
sembra aver trovato la felicità e l’amore in un suo collega. Il
loro però è un rapporto debole, essendo lui sempre sospinto verso
la sua vecchia vita con l’ex moglie ed i figli.
Parallelamente, due serial killer
continuano a mietere vittime: si tratta di giovani donne
brutalmente uccise ed a cui vengono estratte le ghiandole
sudoripare. Il profumiere Dorian, con l’ausilio della sua aiutante
Rex, vuole realizzare un profumo che induca all’amore, un profumo
nato dall’odore umano. Queste due storie sono destinate ad
incrociarsi: la detective userà uno dei profumi di Dorian per
mantenere con sé il suo amato, per poi chiedere aiuto al profumiere
per poter sentire nuovamente gli odori. Avendo perso l’olfatto
all’età di sette anni successivamente ad un grave raffreddore, lei
brama di riacquistare la facoltà di sentire i profumi del
mondo.
Dorian, il profumiere
Il profumiere: un film che parla ai
sensi
Il profumiere è in
sé un film molto interessante da vedere, da un’esperienza visiva
differente da molte altre pellicole. Pur avendo una trama molto
semplice, ed in alcuni tratti neanche sviluppata al massimo, il
film garantisce allo spettatore una serie di emozioni che vanno al
di la della mera vicenda. La stessa voce narrativa svolge un
duplice compito: oltre che accompagnare il pubblico nel corso delle
vicende, lo indirizza verso tutte delle riflessioni e sensazioni,
specialmente riguardo, ovviamente, gli odori. La percezione del
mondo attraverso l’olfatto diventa il centro dell’esperienza
sensoriale che è questo film: l’importanza che i profumi hanno sia
per la detective, che impara solo ora a conoscerli, sia per Dorian,
il quale collega il sentimento dell’amore ad un profumo inebriante
e misterioso che vuole scoprire.
Questo sentirsi avvolgersi nel film
però, non avviene solamente attraverso il profumo. Ne il
profumiere si ha un interessante utilizzo di primi piani
che mettono maggiormente in contatto lo spettatore con lo stato
d’animo dei personaggi. A questo si unisce anche uno scarso
utilizzo di sottofondi musicali: nel silenzio, tutto il focus è sui
protagonisti e sulle loro emozioni. Anche nei momenti in cui è
presente un background musicale, vengono utilizzati brani classici
e soffusi.
“L’amor che move il sole e l’altre
stelle”
Pur non essendo il sommo poeta
coinvolto in alcun modo ne Il profumiere, questa
citazione del canto XXXIII del Paradiso sembra esprimere alla
perfezione una delle tematiche chiave del film: cosa si sarebbe
disposti a fare per amore? Quale grande forza può esercitare
l’amore sulle scelte di una persona? I due protagonisti del film
dimostrano in più occasioni di voler sacrificare quasi tutto per
esso. La detective finisce per usare costantemente il profumo di
Dorian per mantenere il suo amato, aggrappandosi all’illusione che
i suoi siano sentimenti autentici. Il profumiere invece, non
essendo mai stato realmente amato da nessuno, rincorre questo
sentimento da tutta la vita, con la convinzione che un profumo
possa portare le altre persone ad amarlo.
Un racconto dai tratti
irrealistici
Un occhio più critico e più
razionale potrebbe facilmente andare a riscontrare ne Il
profumiere delle incongruenze nella stessa vicenda. Prima
di tutto il profumo viene trasformato in una sorta di pozione che
può influenzare le scelte e le azioni degli esseri umani. Ad ogni
modo, è facile comprendere la necessità di questa sorta di elemento
magico, il quale diviene effettivamente il fulcro del film. Più
illogico risulta essere il rapporto che si instaura tra la
detective e Dorian: pur avendo moltissime occasioni per arrestare
questo pericoloso serial killer, lei lo mantiene libero ed
addirittura si rivolge a lui per curare il suo olfatto.
Basato sul romanzo
L’assassino più colto del mondo, di Simon
Winchester, Il professore e il pazzo
ripercorre i primi anni della realizzazione dell’Oxford English
Dictionary, mastodontica opera portata avanti a partire dal 1857.
Il film, diretto da P.B. Sherman, e interpretato
da Mel Gibson e Sean Penn, scava nella follia e nel genio di
due straordinari e ossessivi uomini che hanno cambiato per sempre
il corso della storia della letteratura.
Nel film seguiamo la storia del
professor James Murray (Mel
Gibson), che viene incaricato di compilare l’Oxford
English Dictionary. Per riuscire in tale impresa, Murray si
rivolgerà a tutti i popoli di lingua inglese. A dare un contributo
particolarmente significativo è il dottor W. C. Minor (Sean
Penn), il quale, affetto da schizofrenia, trascorre
parte della sua vita all’interno di un ospedale psichiatrico. Tra
lui e il professor Murray nascerà una profonda amicizia.
Benché si tratti di un’opera in
costume, ambientata nell’aristocratica Inghilterra dell’Ottocento,
sin dalle prime sequenze il film riesce a non cadere nelle trappole
del genere, evitandone la tipica ampollosità. Il regista affronta
la materia con una chiave particolarmente contemporanea, che si
svela attraverso la costruzione dei movimenti di macchina e della
fotografia. Tramite questi ci conduce costantemente attraverso
un’immagine ricorrente e simbolica, quella del passaggio
dall’oscurità alla luce.
Sherman ci conduce così all’interno
di un film che desidera mostrare l’attualità della sua storia, dove
il dizionario della lingua inglese a cui si lavora è visto come
l’antenato di Wikipedia e di ogni sito di informazione oggi
presente. Un vero e proprio passaggio verso la modernità dunque,
dal quale non può prescindere il racconto dell’amicizia tra il
professore e il pazzo che resero tutto ciò possibile.
La sceneggiatura, scritta da
Sherman e Todd Komarnicki si sposta infatti di continuo tra il
percorso storico del dizionario e l’amicizia dei due uomini, senza
però smarrire il suo obiettivo. Solamente verso il finale ci si
abbandona ad un tono melodrammatico che in parte fa regredire il
film. Tuttavia le interpretazioni dei due protagonisti, e in
particolare quella delicata e allo stesso tempo intensa di Mel Gibson, aiutano a tenere alto il livello
del film.
Sherman riesce inoltre a costruire
un buon ritmo per un film di questo genere, e dove anche verso la
sua metà si avverte un maggior rallentamento e appesantimento nella
narrazione, la cura dei dettagli e l’attenzione introspettiva
assunta nei confronti dei personaggi, favorisce la visione senza
grandi difficoltà. Maggior pregio di Il professore e il
pazzo è certamente quello di riuscire a illudere lo
spettatore di star guardando una storia potenzialmente ambientata
nella contemporaneità, dove a ricordarci della collocazione storica
sono quasi esclusivamente ambienti e costumi d’epoca.
Guarda il Trailer
di Il Professor Cenerentolo, il
nuovo film di e con Leonardo Pieraccioni, in
arrivo al cinema dal 7 Dicembre 2015 distribuito da 01. Nel cast
del film anche Laura Chiatti, Davide Marotta, Sergio
Friscia, Nicola Acunzo, Massimo Ceccherini e Flavio
Insinna.
Il Professor
Cenerentolo racconta la storia di Umberto (Leonardo
Pieraccioni) che per evitare il fallimento della sua disastrata
ditta di costruzioni ha tentato insieme ad un dipendente (Massimo
Ceccherini) un maldestro colpo in banca che gli ha fruttato però
solo quattro anni di carcere! Ma se non altro, nella prigione di
una bellissima isola italiana: Ventotene. Adesso Umberto è a fine
pena e lavora di giorno nella biblioteca del paese. Una sera, in
carcere, durante un dibattito aperto al pubblico, conosce Morgana
(Laura Chiatti), una donna affascinante, un po? folle e un po?
bambina. Morgana crede che lui lavori nel carcere e che non sia un
detenuto. Umberto, approfittando dell?equivoco, inizia a
frequentarla durante l?orario di lavoro in biblioteca. Ma ogni
giorno entro la mezzanotte, proprio come Cenerentola, deve
rientrare di corsa nella struttura per evitare che il direttore del
carcere (Flavio Insinna) scopra il tutto e gli revochi il permesso
di lavoro in esterno.
La 01 Distribution
ha diffuso una nuova clip dal film Il professor
Cenerentolo, l’attesa nuova commedia
di Leonardo Pieraccione.
IL PROFESSOR
CENERENTOLO racconta la storia di Umberto (Leonardo
Pieraccioni) che per evitare il fallimento della sua disastrata
ditta di costruzioni ha tentato insieme ad un dipendente (Massimo
Ceccherini) un maldestro colpo in banca che gli ha fruttato però
solo quattro anni di carcere! Ma se non altro, nella prigione di
una bellissima isola italiana: Ventotene. Adesso Umberto è a fine
pena e lavora di giorno nella biblioteca del paese. Una sera, in
carcere, durante un dibattito aperto al pubblico, conosce Morgana
(Laura Chiatti), una donna affascinante, un po? folle e un po?
bambina. Morgana crede che lui lavori nel carcere e che non sia un
detenuto. Umberto, approfittando dell?equivoco, inizia a
frequentarla durante l?orario di lavoro in biblioteca. Ma ogni
giorno entro la mezzanotte, proprio come Cenerentola, deve
rientrare di corsa nella struttura per evitare che il direttore del
carcere (Flavio Insinna) scopra il tutto e gli revochi il permesso
di lavoro in esterno.
Renaissance come
Rinascimento, uno sguardo sul cinema italiano che
dalla visione francese diventa obiettivo dichiarato: la produzione
cinematografica e audiovisiva. Come? Guardando all’Europa per
trovare nuove formule di integrazione nel mercato, un linguaggio
diretto che desti interesse nel pubblico ormai sopito, attaccato su
più fronti da prodotti scadenti e sedotto a corto raggio da
proposte ultra telefonate, prive di spunti e interessi
concreti.
Parliamoci chiaro, in Italia il
cinema ha raggiunto il fondo del barile. Salvo qualche caso raro,
tutt’oggi al ‘vaglio di studiosi’, la situazione è grave e nessuno
sembra avere la soluzione per emergere da questo pantano fatto di
sabbie mobili. Per non fare la fine di Artax, o quantomeno provare
a trovare spunti interessanti nel panorama indipendente dopo
l’esperienza con la società
Mad Rocket entertainment, insieme a Svevo
Moltrasio, autore e regista, ha deciso di dare vita a
Renaissance Produzioni, un modo alternativo di fare cinema che
partirà proprio dalla sua opera prima: GLI OSPITI, black comedy corale in produzione a Marzo
2023.
C’è una sottile linea che lega
questo progetto a quelli passati realizzati come executive producer
della
Mad Rocket entertainment che ha co-prodotto SHORTCUT e IN THE
TRAP (entrambi ora sul catalogo prime, dopo numerosi
festival e distribuzione internazionale), ovvero la ferrea volontà
di rinnovare il sistema cinema e dare uno scossone a quella
pigrizia ricettiva che ha allonato persone dalle sale e fatto
spegnere la tv a milioni di italiani. Possibile sia tutto qui la
proposta che riusciamo a dare? Certo non abbiamo l’arte magica
dalla nostra, ma per quanto riguarda Bracci conosce troppo bene
questa industria, fino al midollo ci dice, i suoi salotti, i suoi
accordi e le sue modalità di finanziamento.
Dopo aver sviluppato per Intesa On
Air la seconda stagione di UN SET CHIAMATO ITALIA, che segue la
prima uscita dell’altra rubrica podcast IL SISTEMA CINEMA
disponibili nelle piattaforme Google Podcast, Spotify e Apple
Podcast e racconta il nostro paese in maniera non convenzionale,
ovvero il legame del territorio con il cinema e la televisione, ora
anche questo progetto prende vita quale documentario in sviluppo
dal titolo ITALIA INSIDE. La finalità è quella di sostenere
l’industria del cinema come mezzo necessario di testimonianza e
tradizioni, riuscendo al contempo a valorizzare ambiente, economia
e infrastrutture.
Tante, dunque, le iniziative messe
in piedi per il futuro prossimo e le sfide da affrontare non
mancheranno per Simone, che però è abituato a mettersi in
gioco…perchè come cita un proverbio cinese “Se vuoi un anno di
prosperità fai crescere il grano, se vuoi cento anni di
prosperità fai crescere le persone”. E lui da sempre crede nel
talento e lo coltiva insieme agli altri.
Arrivano nuovi
aggiornamenti per i progetti dei Marvel Studios. Jeremy Latcham è stato
intervistato da Newsarama sulla possibilità di realizzare dei
spin-off di personaggi Marvel
Quando George
Lucas ha iniziato a realizzare Star
Wars, non aveva un grande piano di nove film. Una Nuova Speranza è passato attraverso innumerevoli
iterazioni, così come L’Impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi; quando sono arrivati i prequel,
la storia era già stata raccontata e George
Lucas ha dovuto capire come raccontare ciò che li
aveva preceduti.
Ci sono stati problemi di
continuità, ma per la maggior parte, La minaccia fantasma, L’attacco dei cloni e La vendetta dei Sith si collegano efficacemente alla
trilogia originale. La sfida più grande per il regista è stata
quella di trasformare Anakin Skywalker dal simpatico ragazzo che abbiamo
conosciuto su Tatooine allo spregevole Signore dei
Sith, Darth Vader.
Questa trasformazione è avvenuta
solo nel momento conclusivo di Episodio III; tuttavia, i
fan hanno a lungo incolpato Obi-Wan Kenobi per gli orrori che Darth Vader ha poi inflitto alla
Galassia, perché non si è assicurato che il suo ex
Padawan fosse morto.
Durante il loro duello con la spada
laser su Mustafar,Obi-Wan Kenobi tagliò il braccio e le
gambe di Anakin, lasciandolo bruciare.
L’Imperatore Palpatine arrivò appena in tempo
per salvare il suo nuovo apprendista, utilizzando la tecnologia
dell’Impero per creare un Darth Vader più macchina che uomo.
Parlando con Empire, il produttore
di lunga data del franchise di Star
Wars, Rick McCallum, ha condiviso la
sua opinione sul perché Obi-Wan abbia abbandonato
Anakin senza sferrargli un colpo mortale definitivo.
“Penso anche che non creda che
Anakin si riprenderà – pensa che morirà“, spiega. “È solo
perché Palpatine arriva e usa tutto per salvarlo e creare questo
mostro [che sopravvive]“.
In un altro punto della rivista,
Hayden Christensen ha riflettuto sul ruolo di
Anakin e ha ammesso che non si aspettava di ottenere l’ambito
ruolo. “Avevo 18 anni e ho ricevuto una telefonata dal mio
agente che mi diceva che stavano facendo il casting per Anakin
Skywalker in Star Wars
e ho pensato: ‘Wow, che figata‘. Ma mi sembrava troppo
grande”, ricorda l’attore. “E ricordo di aver chiesto al mio
agente: ‘C’è forse un altro ruolo per il quale stanno facendo il
casting in questo momento e per il quale puoi propormi? Perché
Anakin sembra irraggiungibile”. E non c’era. Così ho buttato il mio
nome nel cappello come tutti gli altri“.
Negli ultimi anni, abbiamo visto
Hayden Christensen tornare al ruolo di
Anakin/Fener sia in Obi-Wan
Kenobi che in Ahsoka.
Il primo ha esplorato il tributo emotivo e mentale che il
combattimento su Mustafar ha avuto su “Ben”, riunendo poi
gli amici-nemici per un confronto che ha affrontato gli evidenti
buchi di trama creati da George Lucas.
Gli amanti della fantascienza
‘distopica’ di Philip K. Dick sono attesi nei prossimi mesi da
un’autentica valanga di produzioni: imminente il remake di Total
Recall; Ridley Scott è al lavoro su un progetto legato a Blade
Runner; la BBC sta realizzando The Man In The High Castle
(conosciuto in Italia come La svastica sul sole); la Disney è alle
prese con la trasposizione di King of th Elves e, soprattutto,
Michel Gondry sta lavorando a Ubik. In aggiunta a questa già
nutrita serie di progetti, ecco giungere la notizia della
collaborazone tra la figlia di Dick, Isa Dick Hackett e il
produttore del Signore degli Anelli, Barrie M. Osborne che si
stanno mettendo all’opera sul romanzo del 1966 intitolato Now Wait
For Last Year.
Protagonista della storia un medico
specializzato in trapianti, Eric Sweetscent, che viene coinvolto
nei rapporti di politica interstellare tra la Terra e gli abitanti
del pianeta Lilistar, in guerra con un’altra cività aliena, i
Reegs. La Terra inizialmente sostiene Lilistar, ma ben presto si
capisce di essersi collocati dalla parte sbagliata. Nel romanzo si
fa la conoscenza della moglie di Sweetscent, che pò viaggiare nel
tempo ma è dipendente da una droga allucinogena e usata da Lilistar
per spiare il marito, e del personaggio di The Mole assorbe le
malattie di coloro cui si trova vicino, potendole gestire, dato che
è immortale. Il tipico romanzo di Dick, la cui trasposizione in
questo caso sembra essere particolarmente promettente, dato che la
figlia Isa solitamente comincia a lavorare ai progetti tratti
dall’opera paterna anche prima che questi vengano poi scelti da un
studio per la realizzazione. Il semisconosciuto Ted Kupper sio sta
occupando della sceneggiatore. Al momento si è alla ricerca di un
regista; le riprese dovrebbero cominciare a fine 2012.
Sono anni che il
progetto di un film tratto dal noto videogioco Metal Gear Solid si
trascina come un naufrago sul bagnasciuga, tra timidi tentativi e
indecisioni. Giunge ora
Arriva in prima tv
assoluta Il Prodigioso Maurice, film d’animazione
Sky Original tratto dal libro fantasy per bambini
Il prodigioso Maurice e i suoi geniali roditori, di Sir
Terry Pratchett, in onda mercoledì 28 dicembre alle 17.50
su Sky Cinema Uno, in streaming su N0W e disponibile on demand,
anche in qualità 4K.
Coprodotto da Sky,
Ulysses Filmproduktion e Cantilever
Media in collaborazione con Global
Screen, gli studi di animazione Studio
Rakete e Red Star Animation, il film è
diretto da Toby Genkel, mentre il co-regista è
Florian Westermann e la sceneggiatura è di
Terry Rossio. Il film ha il pieno sostegno degli
eredi di Terry Pratchett ed è prodotto in associazione con
Narrativia.
Il Prodigioso
Maurice è un’avventura vivace e divertente, una parodia
delle fiabe popolari ispirata alla favola tedesca del pifferaio
magico di Hamelin. Il libro da cui il film è tratto è il
ventottesimo romanzo della serie Discworld di Terry Pratchett, ma
il primo scritto per i bambini. È stato pubblicato nel 2001 da
Doubleday e ha venduto quasi 100 milioni di copie in tutto il
mondo. Per questo libro Sir Pratchett ha vinto il Carnegie Medal in
Literature, il più alto riconoscimento britannico nel campo della
letteratura per bambini.
La trama
Lo scaltro gatto di strada Maurice
viaggia di città in città per liberarle a pagamento dai topi.
L’idea di una truffa gli viene in mente quando conosce Keith, un
ragazzino che sa suonare il flauto, e un gruppo di topi parlanti
con cui si mette d’accordo per spillare più soldi alle città. Tutto
va per il meglio, fino a quando arrivano alla città di Bad Blintz.
Lì incontrano Malicia e il loro piano va presto in malora.
Netflix USA ha diffuso il trailer di Il
prodigio (The
Wonder), l’atteso e annunciato period drama
Netflix che vedrà protagonista l’attrice
Florence Pugh. Il prossimo adattamento cinematografico
dell’omonimo romanzo thriller psicologico dell’autrice Emma
Donoghue. Attualmente è previsto l’arrivo in sale selezionate il 2
novembre, seguito dal suo debutto in streaming il 16 novembre.
Il trailer di
Il prodigio (The
Wonder) presenta la candidata
all’Oscar
Florence Pugh nei panni di un’infermiera che
viene arruolata per andare in un piccolo villaggio per vegliare su
un cosiddetto fenomeno miracoloso che coinvolge una ragazza che non
mangia nulla da quattro mesi.
The Wonder è
diretto da Sebastián Lelio (Gloria Bell) da una
sceneggiatura che ha scritto insieme a Donoghue e Alice Birch
(Normal People). Nel cast
Florence Pugh, Kíla Lord Cassidy, Toby Jones,
Niamh Algar, Elaine Cassidy, Ciarán Hinds, Tom Burke, Dermot
Crowley, Brían F. O’Byrne e David Wilmot. Il film è una
produzione di House Production ed Element con Ed Guiney e Tessa
Ross. Questo segna la seconda volta che uno dei romanzi
di Donoghue riceve un trattamento cinematografico, con il primo
acclamato dramma del 2015 di Lenny
Abrahamson, Room ,
che è valso all’autore una nomination all’Oscar per la migliore
sceneggiatura non originale.
La trama del film
1862, 13 anni dopo la Grande
Carestia. L’infermiera inglese Lib Wright (Florence Pugh) è
chiamata nelle Midlands irlandesi per condurre un esame di quindici
giorni su un’appartenente a una comunità di devoti. Anna O’Donnell
(Kíla Lord Cassidy) è una ragazzina di undici anni che afferma di
non aver mangiato per quattro mesi, sopravvivendo miracolosamente
grazie alla “manna dal cielo”. Mentre le condizioni di salute di
Anna peggiorano rapidamente, Lib è determinata a scoprire la
verità, sfidando la fede di una comunità che preferirebbe rimanere
credente.
Proiettato per la prima volta il 2
settembre in occasione del Telluride Film Festival, il
prodigio è la nuova pellicola diretta dall’argentino
Sebastian
Lelio (Disobedience).
La sceneggiatura, tratta dall’omonimo romanzo di Emma Donoghue, è
nata dalla collaborazione di quest’ultima insieme a Lelio e ad
Alice Birch. Nel cast ritroviamo spiccare la stella nascente del
cinema contemporaneo
Florence Pugh (Piccole
donne,
Don’t worry, darling) nel ruolo dell’infermiera inglese
Elisabeth Wright. Il film è già stato candidato per ben 12
categorie per i British Independent Film Awards, tra cui anche per
la miglior regia, miglior performance protagonista e miglior
performance esordiente per Kìla Lord Cassidy nei panni della
piccola Anna.
Un miracolo irlandese
Irlanda 1862: Elisabeth Wright è
un’infermiera chiamata in un piccolo villaggio irlandese per
assistere una bambina, Anna. Giunta a destinazione, scopre dal
comitato di medici e chierici che si occupano della questione che
Anna è perfettamente sana: l’unica anomalia è che non mangia da
quattro mesi. Mentre i preti del villaggio e la famiglia della
piccola tendono a credere che si tratti di una sorta di miracolo
divino, un medico vuole scoprire come razionalmente questo possa
essere possibile. Per questo motivo viene dato a Elisabeth e ad una
suora il compito di sorvegliare Anna giorno e notte per scoprire
come possa sopravvivere senza nutrirsi. La bambina afferma di
nutrirsi di manna dal cielo. Pur avendo vietato il comitato ogni
contatto con la paziente, tra l’infermiera e la piccola si instaura
un rapporto sempre più stretto. Ciononostante, Elisabeth, decisa a
scoprire il segreto di Anna, evita che lei abbia alcun contatto con
altre persone, compresi i suoi familiari: a questo punto, le
condizioni fisiche della bambina iniziano a peggiorare
terribilmente.
L’infermiera Wright visita Anna
Il prodigio: In. Out.
Già dai primi attimi de Il
prodigio è possibile carpire l’originalità del film: la
prima scena si apre su un set cinematografico. Una voce narrante
introduce le vicende e la sua protagonista, mentre l’occhio dello
spettatore è lasciato libero di vagare per il set, fino a
soffermarsi su una scena specifica, da cui prende il via la storia.
Con il volgersi alla fine della pellicola, si ha un ritorno nella
realtà del set cinematografico. Questo è un tentativo da parte del
regista di rompere la quarta parete, instaurando un contatto più
diretto con il pubblico: diventa chiaro anche nel momento in cui
alcuni personaggi durante le vicende guardano fisso nella macchina
da presa, guardano gli spettatori. La rottura della quarta parete
qui però è parziale, neanche paragonabile allo stile di Woody Allen
(Io
& Annie), in cui il pubblico diventa un vero interlocutore.
Un elemento che spicca ne Il
prodigio è la performance di Florence Pugh. L’attrice con
ogni suo ruolo sta andando ad affermare sempre di più la sua
bravura, aggiudicandosi un posto tra le stelle della nuova
generazione del cinema Hollywoodiano. Elisabeth Wright è una donna
forte, indipendente, ha perso la fede in Dio ed ha una visione
razionale del mondo. Con la sua intelligenza prima fa di tutto per
smascherare l’inganno di Anna, e poi cercherà di proteggerla e
guarirla quando ella diviene più debole e deperita. Nel buio della
sua camera, Elisabeth, Lib, nasconde i segreti del suo passato in
un piccolo fagotto: due calzettine di lana da neonato ed una
boccettina con una sorta di sciroppo, magari una qualche forma di
oppiaceo, ed un ago. Si tratta del fantasma della sua vita passata,
suo marito e sua figlia, morta poche settimane dopo la sua nascita.
Un personaggio certamente molto complesso, che però, tramite
l’interpretazione della Pugh, trasmette tutta la sua tenacia al
pubblico.
“We are nothing without
stories”
Una tematica focale ne Il
prodigio è proprio quella delle storie, o meglio del
potere che una credenza può avere su un individuo. Anna e la sua
famiglia hanno una fede ceca in Dio, giustificano il dolore della
vita terrena come necessario per la pace eterna in paradiso dopo la
morte. Il ruolo della religione si va a delineare maggiormente
nella seconda metà del film, ma fin da subito si può notare la
persistente presenza della fede nella vita della famiglia: le
continue preghiere bisbigliate dalla bambina, trenta tre volte, la
quasi totale assenza di preoccupazione da parte dei genitori verso
Anna. Per quanto la fede possa dare all’uomo una speranza
perenne, il fanatismo può portare effetti terribili, può rendere
l’uomo un essere ceco e irrazionale.
Disponibile su Netflix dal 16 novembre, il film
Il prodigio (qui la recensione) è subito
diventato uno dei titoli attualmente più chiacchierati del catalogo
della piattaforma streaming. Diretto dal cileno Sebastian
Lelio, regista anche di Una donna fantastica e
Disobedience, questo è
tratto dal romanzo omonimo di Emma Donoghue,
autrice della sceneggiatura insieme allo stesso Lelio e
Alice Birch e con un’ambientazione fissata al 1862
racconta del rapporto che si instaura tra l’infermiera Lib
Wright (interpretata da Florence Pugh)
e l’undicenne Anna O’Donnell, la quale afferma di
non nutrirsi da mesi. Si parte dunque da un mistero da svelare, ma
il film si apre poi a riflessioni e significati molto più
profondi.
Il prodigio offre dunque un
acceso scontro tra ragione e fede, individuo e comunità,
affermandosi come un film di genere thriller intriso di una forte
atmosfera evocativa, suo primario punto di forza. Non sorprende
dunque che in breve tempo sia diventato un titolo molto discusso,
sul quale si cercano sempre più informazioni. Ciò che in molti si
sono chiesti, guardando il film, è quanto di ciò che viene narrato
sia tratto da una storia vera. La risposta a tale domanda, in linea
con il film, è piuttosto ambigua e aperta ad interpretazioni, ma
aiuta anche a comprendere meglio il valore della pellicola in
sé.
Il prodigio: la vera
storia dietro al film
Come affermato dalla Donoghue,
quanto raccontato nel libro è sostanzialmente una storia frutto
dell’immaginazione della scrittrice. Eppure, vi sono diversi
elementi che questa ha ripreso da alcune cronache provenienti
direttamente da un tempo passato. Tra il XV e il XIX secolo,
infatti, gli storici hanno registrato come in diversi paesi
dell’Europa, come Gran Bretagna, Irlanda e Germania, si sia diffuso
il fenomeno delle fasting girls, ovvero ragazze molto
giovani, talvolta anche preadolescenti, che affermano di poter
rinunciare al cibo per nutrirsi soltanto della presenza di Gesù
Cristo.
Tra i casi approfonditi dalla
scrittrice, vi sono in particolare quello di Sarah
Jacobs, di Mollie Fancher e di
Therese Neumann. La prima, originaria del Galles,
è vissuta negli anni Sessanta dell’Ottocento e divenne nota quando,
dopo una malattia decise di rifiutare il cibo che le veniva dato,
in quanto temeva che se si fosse ripresa del tutto avrebbe dovuto
riprendere il lavoro nella fattoria di famiglia. Stando a quanto
riportato, i genitori decisero di strumentalizzare la cosa,
affermando che la forza della fede permetteva alla figlia di
rimanere in vita. Sfortunatamente, Sarah morì per il non essersi
nutrita e i genitori vennero condannati per omicidio.
Anche le altre due, rispettivamente
americana e tedesca, furono oggetto di casi simili, ma su di loro
vi sono meno testimonianze e non si arrivò a stabilire se le due
ragazze mentissero sulle loro capacità o meno. La scrittrice sembra
dunque aver tratto profonda ispirazione in particolare da Sarah
Jacobs, che nel film è dunque da ritrovare nel personaggio di Anna.
L’infermiera Lib, invece, è un personaggio inventato ma basata
sulle vere infermiere che tennero d’occhio la Jacobs per studiare
il suo caso, controllando se davvero questa non mangiasse nulla
come sosteneva. Un controllo ferreo che può aver attivamente
contribuito alla morte della giovane.
Il prodigio: la spiegazione del finale
Giunti al finale del film, è tempo
di fornire una spiegazione al come la giovanne Anna possa affermare
di vivere senza mangiare, senza neanche mostrare alcun segno di
deperimento. Il colpo di scena che dà la svolta al tutto arriva
quando l’infermiera Lib ha l’intuizione di impedire che la giovane
si veda con i suoi genitori per il momento della preghiera. A
partire da questo isolamente totale ecco che Anna inizia infine a
mostrare i segni di un fisico sempre più provato dalla mancanza di
cibo. Lib scoprirà infine che la giovane aveva continuato ad
alimentarsi finché poteva incontrarsi con i genitori e che questo
avveniva tramite i baci che sua madre le dava.
La donna teneva infatti del cibo
dentro la propria bocca, che passava poi ad Anna con i suoi baci.
Il cibo che la giovane ricevava era dunque visto come la manna dal
cielo che Dio le mandava. Quanto Anna stava facendo, ai suoi occhi,
era dunque un modo per cercare il perdono divino per la morte del
fratello, del quale si sente responsabile in quanto i due avevano
rapporti incestuosi. La ragazza viene infine convinta da Lib a
morire metaforicamente per rinascere come Nan, cambiando dunque
identità e scappando con lei verso una nuova vita. Il fuoco che Lib
appicca dunque alla casa per far credere che Anna sia realmente
morta acquisisce dunque un valore metaforico, di ciò che brucia e
risorge dalle proprice ceneri.
Così si struttura dunque il film di
Lelio, come un potente racconto sulla fede e ciò che si compie in
nome di essa, tanto nel bene quanto nel male. Al di là di cio, come
avrà notato chi ha visto il film, questo inizia all’interno di uno
studio cinematografico, una scelta metacinematografica dal quale si
viene informati che quanto si vedrà è pura finzione e che occorre
dunque sospendere l’incredulità. Attraverso tale espediente, Lelio
sembra volerci ricordare di fare attenzione al confine tra il
piacere di farsi raccontare una storia e il farsi ingannare da una
fede fanatica che distorce la realtà dei fatti.
Quella che doveva essere una
manifestazione pacifica alla convention del partito democratico
statunitense del 1968 si è trasformata in una serie di scontri
violenti con la polizia e la Guardia nazionale. Gli organizzatori
delle proteste, tra cui Abbie Hoffman, Jerry Rubin, Tom Hayden e
Bobby Seale, sono stati accusati di cospirazione e incitamento alla
sommossa in uno dei processi più noti della storia americana.
Prodotto da: Marc Platt, Stuart Besser, Matt
Jackson e Tyler Thompson
Gli amanti di Forrest Gump di Robert Zemeckis potrebbero aver riconosciuto
ne
Il processo ai Chicago 7, l’ultimo film di Aaron Sorkin disponibile su Netflix, un volto noto, ossia quello di Abbie
Hoffman. Il personaggio in questione appare in entrambi i film, al
centro di proteste in entrambi i casi, dal momento che il film di
Zemeckis del 1994 offre a grandi linee un sguardo abbastanza esteso
sul gran parte della storia americana.
Interpretato nel film Netflix di
Sorkin da Sacha Baron Cohen, Hoffman è stato uno degli
imputati nel processo alla fine degli anni ’60 contro un gruppo di
leader protestanti verso la guerra del Vietnam, che furono
perseguiti dopo che una manifestazione avvenuta al di fuori della
Convenzione Nazionale Democratica del 1968 si trasformò in un
sommossa. Ne
Il processo ai Chicago 7, Baron Cohen riesce a
catturare quel difficile equilibrio tra sincerità ed umorismo
tipico della personalità di Hoffman. Dato il suo lavoro in film del
calibro di Borat, non sorprende che Baron Cohen riesca a
fare sue le buffonate comiche che Hoffman ha portato al processo, e
al tempo stesso di brillare durante i momenti più seri del film,
come quando Hoffman viene chiamato a testimoniare durante il
processo.
In Forrest Gump, Abbie Hoffman è interpretato da
Richard D’Alessandro e incontra il personaggio del titolo
interpretato da Tom Hanks durante una manifestazione per la
pace tenutasi davanti al Lincoln Memorial a Washington DC. Mentre
Hoffman incita la folla, invita Gump sul palco a fare un discorso,
ma proprio mentre cerca di parlare, il suo microfono viene staccato
da un sabotatore. Sulla base della cronologia del film e della vita
reale, si può stimare che questo incontro tra Forrest Gump e Abbie
Hoffman sia avvenuto alla fine del 1968, dopo le proteste alla
Convenzione Nazionale Democratica, ma prima che Hoffman venisse
incriminato e sottoposto al conseguente processo.
Nel film
Quella che doveva essere una manifestazione pacifica alla
convention del partito democratico statunitense del 1968 si è
trasformata in una serie di scontri violenti con la polizia e la
Guardia nazionale. Gli organizzatori delle proteste, tra cui Abbie
Hoffman, Jerry Rubin, Tom Hayden e Bobby Seale, sono stati accusati
di cospirazione e incitamento alla sommossa in uno dei processi più
noti della storia americana.
C’è uno strano senso di timore che
investe il critico che si approccia ad analizzare l’opera di
Aaron Sorkin. Tra le mani, lo sentiamo, lo
sappiamo, abbiamo una reliquia preziosa, un’opera dotata di
unicità, saldata dalla forza iconica delle parole e di un’alacrità
che vive sulla scia di un talento più unico che raro. Ogni parola
viene soppesata, calibrata, esaminata dal mirino di un telescopio
verso cui ci pieghiamo, consci che nessun aggettivo potrà mai
veramente consegnare la bellezza di quanto impresso prima su carta,
poi su schermo, da Sorkin.
Da The West Wing,
passando per The Newsroom, arrivando a The
Social Network, questo sceneggiatore ha dimostrato negli
anni la sua abilità da prestigiatore delle parole; il vero salto
nel buio era estendere questo talento nel campo della regia. Un
tentativo riuscito a metà con Molly’s Game, dove
lo sguardo ancora acerbo del Sorkin regista non era ai livelli di
quello del Sorkin sceneggiatore, e che proprio per questo ha
ammantato di curiosità l’uscita del suo nuovo film, Il processo ai Chicago 7.
Ama Sorkin approcciarsi con i
lasciti del passato, soprattutto quelli in cui l’umanità affronta
le cadute nel baratro, tra incriminazioni, processi, e
rivendicazioni personali. E così il gioco clandestino di
Molly’s Game lascia spazio con Il processo ai Chicago 7a
rivolte soppresse con la forza, imbrogli e omertà da parte di
istituzioni accecate di pregiudizio e ideali politici. Il risultato
che ne consegue è quello di uno dei migliori film di questo 2020.
Certo, la concorrenza è ridotta quasi a zero, complice i continui
rinvii di titoli più o meno attesi dal grande pubblico, ma la
sontuosità della sceneggiatura, l’adrenalina di un montaggio che
vola tra passato, presente e futuro, e un cast incredibilmente in
parte, regalano una gemma da custodire nella mente con delicatezza
e rispetto.
Chicago,1968. La guerra del Vietnam
impazza continuando a mietere vittime innocenti quando, in
occasione della convention del Partito Democratico, un gruppo di
attivisti guida una manifestazione contro Nixon e la sua
scelleratezza bellica. Lo scontro tra manifestanti, polizia e
Guardia Nazionale, era prevedibile, ma ciò che non era stato
previsto è un processo/farsa dal sapore chiaramente politico che
segna una pagina nerissima (e molto nota) della recente storia
americana. In un colpo solo il governo del neo-eletto presidente
Nixon tenta di eliminare l’opposizione sradicando la controcultura
di sinistra attraverso l’incriminazione dei suoi leader, accusati
ingiustamente di cospirazione e incitamento alla sommossa.
Tutto il mondo è teatro, o un
processo politico
Arduo il compito di scrivere una
critica su un’opera come Il processo ai Chicago 7, perché se è facile
parlare di film colmi di errori e cadute di stile, il discorso
cambia quando hai davanti un’opera in cui ogni elemento è al suo
posto e nessuna tessera in questo puzzle cinematografico
perfettamente oliato è andata perduta. Ad aprire il sipario su un
teatro della vita camuffato da processo non civile o penale, ma
politico, è un prologo che vive della stessa furia di bottiglie
infiammate lanciate contro le vetrate degli uffici di reclutamento
americani. Quelli che corrono davanti gli occhi dello spettatore
sono dieci minuti di puro godimento.
Un antipasto dal sapore esplosivo di
una vera e propria bomba giocata sull’alternanza perfetta tra
materiali di repertorio e girato filmico. È una giostra di immagini
che non hanno paura di investire e colpire a un ritmo serratissimo
gli occhi del proprio pubblico, iniettandoli di meraviglia, quella
che introduce il film di Sorkin; un piccolo assaggio delle due ore
successive, che non fanno altro che esaltare quanto il pubblico si
appresterà ad assistere da lì a poco. Quando decidi di affrontare
un film interamente fatto di dialoghi, devi dimostrarti davvero
bravo con le parole, e Sorkin è un burattinaio del verbo. Il
processo attorno a cui ruota l’intero intreccio poteva tramutarsi
in corpo vestito di tedio e noia insofferente. Un battibecco
continuo tra incoerenza e colpe celate, disseminate, scoperte.
Sorkin prende ogni lembo di quel corpo per rivestirlo di ironia e
con esso colpire a fondo lo spettatore, perché una volta dissipato
il ricordo della risata, a risiedere in bocca è un sapore di
bruciante amarezza per un’ingiustizia mai veramente scomparsa, ma
perpetuamente in procinto di ritornare più cruenta di prima.
L’aula del tribunale si
sveste così del suo significato primario per rivelarsi nella sua
anima più cruda, violenta. È un far west dove non ci sono
pallottole a volare libere, ma parole, attacchi edulcorati dalla
forza del black-humor, sparate con la forza del caustico umorismo.
Le arringhe degli avvocati e il racconto dei testimoni chiamati
alla sbarra, sono partite di tennis giocate tra il passato e il
presente, dove la pallina è un barlume mnemonico lanciato con forza
da una domanda, un suggerimento, pronto a catapultare lo spettatore
tra i ricordi di un passato volto a colmare passaggi indispensabili
alla comprensione totalizzante della storia.
I sette samurai del 1968
È un meccanismo perfettamente
congegnato, Il processo ai Chicago 7. Uno sguardo sui pregiudizi di
diritti sottratti, e sentenze manipolate sulla scia di ideali
politici e favori personali. Ricalcando la struttura vertebrale su
cui si sorregge The Social Network, Aaron Sorkin
investe di umanità la propria opera, tramutandola in un saggio
scritto con la forza dell’empatia e della mancanza di retorica. E
se il cuore della pellicola batte tra le mura di un tribunale, a
fare da arterie lungo cui lasciare scorrere il sangue delle
rivendicazioni di diritti tanto personali, quanto universali, sono
i corpi degli attori che compongono un cast corale a dir poco
sbalorditivo. Senza interpreti perfettamente in parte, anche la
sceneggiatura più fresca e impeccabile cadrebbe nell’ombra,
ingoiata dal buio della superficialità. E invece ogni attore riesce
a riportare qui in vita i propri personaggi, tra atteggiamenti
deplorevoli, come quelli del giudice Julius Hoffman
(un Frank Langella talmente in parte da
risultare straordinariamente odioso) a stralci di onestà
intellettuale e sensibilità sorprendenti (si pensi al Richard
Schultz di Joseph Gordon Lewitt). A dominare sullo
schermo questo gruppo assortito e coeso sono soprattutto i
due yippies Abbie Hoffman e Jerry Rubin
(rispettivamente Sacha Baron
Cohen e Jeremy Strong).
Un duo capace di dar vita a
siparietti tanto comici quanto carichi di spunti di riflessioni.
Strong e Baron Cohen sono micce pronte a far scattare il fuoco
della rivolta a ritmo di risate, calamite attrattive che chiamano a
sé lo sguardo degli spettatori, per poi canalizzarli verso il cuore
dei loro comprimari, tra cui spiccano un Eddie
Redmayne finalmente libero da smorfiette e mimiche
facciali fin troppo marcate, un sempre e ingiustamente
sottovalutato John Carroll Lynch e, soprattutto, del solito,
carismatico Mark Rylance nei panni dell’avvocato William Kunstler.
I corpi che si muovono, gli sguardi che infiammano gli spazi
dell’aula di tribunale, la nebbia che avvolge i manifestanti
durante le rivolte, o le vetrate di locali eleganti frantumate dal
peso di ribelli lanciati dalla polizia, sono tante schegge di una
giostra impazzita che lascia a bocca aperta lo spettatore, offrendo
la stessa importanza mediatica rivestita più di cinquant’anni prima
dagli eventi reali dei Chicago 7.
Riflettere il passato sullo
specchio del presente
Flashback dai colori freddi, che
lasciano spazio a un presente dalle tonalità calde che di rosso
hanno solo il fuoco della passione che scorre inesorabile nelle
vene di questi personaggi; un montaggio serratissimo, che passa con
facilità (ma senza disorientare per questo il proprio pubblico) tra
passato e presente, coinvolgendo ogni spettatore in questi salti
temporali vertiginosi; una sceneggiatura che colpisce con la stessa
forza dei manganelli sui corpi dei manifestanti, Il processo ai Chicago 7 è uno specchio
del passato sul nostro presente. Non c’è nessun Narciso a rimanere
colpito dal proprio riflesso, ma spettatori di tutto il mondo
pronti a elevare ognuno di questi sette samurai del 1968 come
modello di vita, attraverso cui rivendicare i propri diritti,
sorvolando pregiudizi atti a infangare e accecare anche chi
dovrebbe difenderci, tramutandosi da difensore a boia, da vittima a
carnefice.
Perché gli anni passano, ma il
sangue che copre le manifestazioni civili, e i bavagli che tentano
di soffocare le voci di coloro che si sostituiscono a chi voce non
ne ha, si ritrova un po’ di 1968 in questo 2020. Ed è dunque
nell’America di ieri che si può raccontare al meglio l’America di
oggi. E non c’era penna migliore di quella di Aaron Sorkin per
creare, pezzo dopo pezzo, questo specchio meraviglioso, bramoso di
passione, uguaglianza, democrazia.
“The World is watching” si
sente urlare nel corso dell’opera. E il mondo continua a guardare
questo processo rivedendo se stesso, qui raccontato da Sorkin nel
suo spirito più profondo e con semplicità, dimostrando quanto la
doppia faccia dell’America continui a sopravvivere, alimentata dal
fuoco delle ribellioni, dell’odio, di un potere che supera il
raziocinio, di una vittoria che sa di sconfitta, e viceversa.
Il
Processo ai Chicago 7, l’acclamato film di Aaron
Sorkin, candidato a 5 Golden Globes tra cui miglior film e
regia e uscito lo scorso ottobre su Netflix, sarà disponibile da venerdì 19 febbraio
ore 9.00 (e per 48 ore) gratuitamente sul canale Youtube di
Netflix US.
Questo
perché proprio in questi giorni cade lo storico anniversario della
sentenza del processo di Chicago 7, conclusosi nel febbraio 1970.
Da oggi, Venerdì 19 Febbraio (ore 9.00) a Domenica 21 Febbraio (ore
9.00) il film sarà disponibile in lingua originale e sarà possibile
attivare i sottotitoli in otto lingue, tra le quali
l’italiano.
Avete appena guardato la nuova epica
serie di fantascienza Netflix
Il problema dei 3 corpi di David Benioff, DB Weiss e Alexander Woo?
State cercando di capire i dettagli di ciò che avete appena visto?
Non temete, grazie ad Empire abbiamo tutte le risposte alle vostre
domande fornite dagli showrunner in persona che ci aiutano a
comprendere e risolvere alcuni enigmi in sospeso che la prima
stagione lascia. Se non avete ancora visto la serie, questo è
l’ultimo avvertimento: guardate altrove!
ATTENZIONE SPOILER: Contiene spoiler
importanti della prima stagione di
Il problema dei 3 corpi.
Le differenza tra la prima stagione
e il libro de Il problema dei 3 corpi
Non ci sono spoiler su ciò che
accadrà, ma alcuni elementi di questa stagione provengono
direttamente dal secondo e dal terzo libro. “Una delle cose che
abbiamo deciso abbastanza presto“, ha detto Benioff a Empire,
“è che avremmo preso tutti e tre i libri, li avremmo messi
insieme in modo che fosse un’unica storia e l’avremmo distribuita
nel modo in cui decidiamo di lavorare“.
“Quindi, anche se la prima
stagione inizia nello stesso punto in cui inizia e finisce il primo
libro, ci sono personaggi che non appariranno fino al terzo libro,
come Wade e i Wallfacer“. I due showrunner di
Il problema dei 3 corpi hanno quindi preso diversi
personaggi importanti della serie e li hanno mescolati e
riorganizzati per creare gli Oxford Five, gli amici che formano la
spina dorsale emotiva della storia e che sono, più o meno, i
protagonisti.
E anche i personaggi sono
completamente diversi?
I “Wallfacers” appaiono per
la prima volta nel secondo libro e, per quanto possa valere, Saul
(Jovan Adepo) sembra essere parallelo al
personaggio chiamato Luo Ji nel libro. Un personaggio chiamato Wade
(qui Liam Cunningham) fa il suo debutto nel terzo
libro, dove è un ex capo della CIA e non un dublinese con un
misterioso incarico internazionale. Raj (Saamer
Usmani), il fidanzato di Jin, ha una certa somiglianza con
Zhang Beihai del secondo libro La materia del cosmo,
mentre Will (di Alex Sharp) assomiglia a un fisico
chiamato Yun Tianming del terzo libro Nella quarta
dimensione, che soffre di una grave malattia e si offre
volontario per una missione postuma.
Jin (Jess Hong)
ricorderà ai lettori Cheng Xin, sempre del terzo libro. Il lavoro
di Augie (Eiza
Gonzalez) ricorda invece alcune parti del personaggio
di Wang Miao, anche se altre parti del suo arco narrativo vanno a
Jin. Finora, in
Il problema dei 3 corpi personaggi più vicini a quelli
della pagina sono Ye Wenjie di Rosalind Chao, Mike
Evans di Jonathan Pryce e Da Shi di
Benedict Wong.
Perché Jack è dovuto morire?
Per Benioff e Weiss, John
Bradley è riuscito ad arrivare fino in fondo a Game
Of Thrones (Il trono di spade), quindi se lo hanno
ucciso questa volta, così sia. “Uccidere i tuoi amici sullo
schermo è una delle grandi gioie“, ride Benioff. Ma Bradley ha
avuto più tempo sul set di quanto si possa pensare. “Mi sembra
che quasi l’ultima cosa che abbiamo girato sia stato lui“, ha
detto Woo. “Abbiamo continuato a riportarlo per le riprese; è
stato con noi tutto il tempo“.
Tutta la scienza dietro a Il
problema dei 3 corpi
Il titolo della serie,
Il problema dei 3 corpi, si riferisce sia a un
problema teorico di fisica terrestre sia al problema reale che
devono affrontare gli alieni della serie. Il loro pianeta viene
trascinato in modo imprevedibile tra tre diversi soli, alternando
così momenti climatici opposti ed estremi. La loro soluzione è
allora quella di dirigersi direttamente verso la Terra, che però, a
causa dell’assenza di velocità di curvatura, impiegheranno 400 anni
per raggiungere. Nel frattempo, hanno dispiegato i protoni in
dimensioni superiori, li hanno programmati come immensi computer e
li hanno inviati sulla Terra per mandare all’aria qualsiasi
esperimento scientifico che possa permettere all’umanità di
superarli nel frattempo.
The
Sophons?
Questi protoni dispiegati, chiamati
Sophon, sono l’elemento più strano e più bello
della prima stagione dello show e permettono di realizzare gran
parte degli eventi fantascientifici. Essi disturbano gli
esperimenti di fisica umana, creano allucinazioni vivide e orribili
conti alla rovescia che solo la loro vittima può vedere, permettono
una comunicazione più veloce della luce con il pianeta natale
alieno e si dispiegano con effetti enormi e spettacolari nel cielo
della Terra. Ma vale la pena ricordare che ne esistono solo
due.
“È una cosa di cui abbiamo
parlato all’infinito“, ha rivelato Benioff. “Quali sono
esattamente le capacità e i limiti dei sophon? Anche se sono in
grado di viaggiare alla velocità della luce, sono solo in
due“. Woo ha aggiunto che hanno mappato tutti i movimenti dei
sophon durante la stagione. Quindi il ragazzo che si cava gli occhi
all’inizio della serie ha tenuto occupato un sophon per tutto il
tempo in cui è stato tormentato; solo una volta morto, il sophon è
passato ad attaccare Augie.
La spiegazione delle visioni
Il terrificante attacco a Wade
nell’episodio finale di
Il problema dei 3 corpi potrebbe far chiedere perché
non distrarre tutti gli umani più minacciosi con delle visioni per
tutto il tempo. Benioff ha spiegato che
“creare un’allucinazione significa che quel sophon è occupato
per il tempo reale in cui sta facendo quella cosa. Questo è uno dei
motivi per cui hanno smesso di fare i dispetti ad Augie; è uno dei
motivi per cui non attaccano Wade in continuazione“. I due
sophon inviati sulla Terra, agganciati quantisticamente ai loro
compagni a casa, erano il prodotto di un’incredibile ingegneria
San-Ti, ma sembravano anche il prodotto di un grande dispendio di
energia, quindi se ce ne sono solo due forse si può aggirare il
problema.
Cosa c’è di strano in questi
alieni?
Nel libro gli alieni sono conosciuti
come Trisolariani, dal nome del loro sistema a tre soli. Qui sono
chiamati San-Ti, che significa “a tre corpi“. Vale la pena
ricordare che al momento non abbiamo idea del loro aspetto. Le
proiezioni che abbiamo visto nel gioco dei 3 corpi sono tutte
filtrate per avere un senso per gli esseri umani, attraverso le
persone del gruppo segreto di Mike Evans –
chiamato Organizzazione Terra-Trisolaris nel libro – e l’avatar
umano Sophon nel gioco (interpretato da Sea
Shimooka) chiarisce che non ci assomigliano affatto.
Gli umani che collaborano con gli
alieni sono una seria minaccia in questa serie e un elemento di
disturbo che è stato notevolmente sviluppato rispetto al libro. Se
l’Evans di Pryce e la Ye Wenjie di
Rosalind Chao sono i leader del movimento, la
Tatiana di Marlo Kelly è la più formidabile delle
operatrici. “Marlo, fin dal primo momento in cui appare sullo
schermo, porta un nuovo livello di energia minacciosa al
processo“, ha rivelato Weiss a questo proposito.
“Personifica ciò che questi personaggi devono affrontare. Ma è
molto importante per la storia che Tatianna non si consideri una
cattiva. C’è un forte filo di idealismo che lega le persone che
sostengono gli alieni, e non si tratta di un idealismo
completamente irrazionale“.
Perché la nave va in pezzi nel
Giorno del Giudizio?
Questo ci porta a quella che forse è
la scena più bella di
Il problema dei 3 corpi: l’attacco delle forze
pro-umanità di Wade alla nave di Evans, il Giorno del Giudizio.
Vengono usate le nanofibre di Augie, fili quasi invisibili che
possono tagliare qualsiasi cosa (presumibilmente sono ancorati ad
altri ormeggi di nanofibre che non possono tagliare), per
attraversare il Canale di Panama a intervalli di circa un metro.
Esse tagliano perfettamente la nave di Evans e gli permettono di
recuperare la maggior parte dei suoi dati, anche se all’inizio sono
criptati.
“Eravamo molto eccitati per il
Giorno del Giudizio”, ha ammesso Benioff. “Ma ogni volta
che c’è azione ed effetti speciali, si ha a che fare con centinaia
di ore di riunioni“. “Si trattava di una combinazione di
effetti pratici e speciali.Gli oggetti che vengono
tagliati vengono tagliati praticamente, è tutto in-camera”,
dice Woo. “Ma ovviamente le persone che vengono tagliate non lo
sono”.
Che cos’è il Project
Staircase?
Nel libro il progetto delle scale si
svolge esattamente come nella serie televisiva: parte bene e poi va
fuori strada. Ma c’è un motivo per cui quelle scene sono presenti
nella serie, e uno di questi riguarda il Wade di Liam
Cunningham.
“Wade è completamente operativo:
come dice nella storia, avanza sempre“, racconta Weiss a
Empire. “Quello che era divertente a livello di storia era
portare quella persona fino alla fine e poi farla perdere in vari
modi. Quando il progetto delle scale, che era il suo progetto, per
il quale ha raccolto trilioni di dollari di risorse, va a monte, è
una grossa frattura nella sua armatura. Quando una presenza aliena
si presenta sul suo aereo, questo scuote il suo senso di chi è nel
mondo. Vedere qualcuno vincere in ogni scena diventa ripetitivo e
noioso. È uno stronzo e molto schietto, ma spesso ha anche ragione
in modo irritante“.
Cosa aspettarsi dalla seconda
stagione di Il problema dei 3 corpi?
Una seconda serie di
Il problema dei 3 corpi non è ancora stata
ufficialmente autorizzata, ma gli showrunner stanno pianificando
almeno un’altra stagione. “Quando leggi un libro, ci sono certe
scene che ti fanno pensare: “Oh, non vedo l’ora di arrivare a
questo“”, dice Benioff. “Quindi eravamo molto eccitati per
il Giorno del Giudizio [la scena con la nave nel Canale di Panama].
E, sapete, nella seconda stagione, se saremo abbastanza fortunati
da avere una seconda stagione, sono sicuro che potremo immaginare
altre scene che ci entusiasmano davvero“.
In vista della premiere
mondiale che si terrà domani, venerdì 8 marzo al SXSW Festival di
Austin, Netflix ha
rilasciato il trailer finale de
Il problema dei 3 corpi, la nuova serie di David
Benioff, D.B. Weiss (Game of Thrones) e Alexander Woo (True Blood),
tratta dall’omonima trilogia di fantascienza dell’acclamato autore
cinese Liu Cixin.
La serie
Il problema dei 3 corpi, di cui da oggi sono
disponibili anche il poster e le nuove foto, debutterà solo su
Netflix
a partire dal 21 marzo 2024.
La trama di Il
problema dei 3 corpi
La fatidica decisione di
una giovane donna nella Cina degli anni ’60 riecheggia nello spazio
e nel tempo fino ad arrivare ai giorni nostri. Quando le leggi
della natura si sgretolano inspiegabilmente davanti ai loro occhi,
alcuni geniali scienziati, parte di un gruppo molto affiatato,
uniscono le forze con una detective imperterrita per affrontare la
più grande minaccia nella storia dell’umanità.
La serie
Il problema dei 3 corpiè
interpretata da (in ordine alfabetico): Jovan Adepo, John
Bradley, Rosalind Chao, Liam Cunningham,
Eiza González, Jess Hong, Marlo Kelly, Alex Sharp, Sea
Shimooka, Zine Tseng, Saamer Usmani, Benedict Wong e Jonathan
Pryce.
David Benioff, D.B. Weiss
(Game of Thrones) e Alexander Woo (The Terror: Infamy, True Blood)
sono co-creators, executive producer e autori della serie.
Bernadette Caulfield (Game of Thrones, The X-Files) è Executive
Producer. Rian Johnson (Knives Out, Star
Wars: Episode VIII – The Last Jedi), Ram Bergman e Nena
Rodrigue sono Executive Producers per T-Street. Lin Qi, il defunto
ex presidente di Yoozoo Group, e Zhao Jilong, amministratore
delegato del detentore dei diritti, The Three-Body Universe, sono
produttori esecutivi, insieme a Xiaosong Gao e Lauren Ma.
La Plan B Entertainment
di
Brad Pitt, Jeremy Kleiner e Dede Gardner sono
Executive Producers. Rosamund Pike e Robie Uniacke sono Executive
Producers per Primitive Streak. Derek Tsang e Andrew Stanton
si occuperanno della regia e della produzione esecutiva. Tra gli
altri registi figurano Jeremy Podeswa e Minkie Spiro.
Netflix
ha diffuso il trailer ufficiale di Il
problema dei 3 corpi (3 Body Problem), l’attesa serie
tv Originale Netflix
in arrivo il 21 Marzo 2024 sulla piattaforma streaming. La serie è
prodotta da David Benioff e D.B. Weiss (Il
trono di spade) ricoprono il ruolo di showrunner e
produttori esecutivi. Alexander Woo (The
Terror: Infamy,True Blood) ha co-ideato la
serie con Benioff e Weiss, oltre a occuparsi della
produzione esecutiva e della sceneggiatura.
https://www.youtube.com/watch?v=uxhUHyYX2Xg
Bernadette
Caulfield (Il
trono di spade, X-Files – Il film) è produttrice
esecutiva. Rian Johnson (Cena con delitto –
Knives Out,Star
Wars: Episodio VIII – Gli ultimi Jedi), Ram
Bergman e Nena Rodrigue sono produttori
esecutivi per T-Street. Tra i produttori esecutivi figurano anche
Lin Qi e Zhao Jilong, rispettivamente il compianto
ex amministratore delegato e il CEO della società titolare dei
diritti (The Three-Body Universe), oltre a Plan B Entertainment, la
società di Brad Pitt, Dede Gardner e Jeremy Kleiner
(Okja, Moonlight). Rosamund Pike e Robie
Uniackesono produttori esecutiviper
Primitive Streak.
La fatidica decisione di una donna
nella Cina degli anni ’60 riecheggia attraverso lo spazio e il
tempo fino a raggiungere un gruppo di geniali scienziati nel
presente. Quando le leggi della natura si sgretolano davanti ai
loro occhi, cinque ex colleghi si riuniscono per affrontare la più
grande minaccia nella storia dell’umanità.
Jovan Adepo
(pronomi maschili), John Bradley (pronomi
maschili), Liam Cunningham (pronomi maschili),
Eiza Gonzalez (pronomi femminili), Jess
Hong (pronomi femminili), Marlo Kelly
(pronomi femminili), Alex Sharp (pronomi
maschili), Sea Shimooka (pronomi femminili),
Zine Tseng (pronomi femminili), Saamer
Usmani (pronomi maschili), Benedict Wong (pronomi
maschili), Jonathan Pryce (pronomi maschili) (I
due papi, The
Crown); Rosalind Chao (pronomi femminili)
(Better Things, Panama Papers, Mulan); Ben
Schnetzer (pronomi maschili) (Y – L’ultimo uomo sulla
Terra); Eve Ridley (pronomi femminili) (Peppa Pig,
Casualty) REGIA: il candidato agli Oscar Derek
Tsang (Better Days) si occuperà della regia insieme ad
altri non ancora annunciati
Durante l’evento Tudum in
Brasile è stato rilasciato un nuovo trailer di
Il
problema dei 3 corpi, che mostra in anteprima
la serie Netflix
dei co-creatori di Game of
Thrones David Benioff e DB
Weiss. Uscirà a gennaio 2024. 3 Body Problem è
diretto dal regista candidato all’Oscar Derek Tsang e da altri
registi non annunciati. David Benioff e DB
Weiss hanno co-creato la serie con Alexander
Woo e sono anche showrunner e produttori esecutivi.
Di cosa Il problema dei 3
corpi?
“Il
problema dei 3 corpi è una nuova serie drammatica
ispirata alla famosa ed epica trilogia di libri, che racconta la
storia di ciò che accade quando l’umanità scopre di non essere sola
nell’universo”, si legge nel logline della serie. Nel cast
Jovan Adepo, John Bradley, Liam Cunningham,
Eiza Gonzalez, Jess Hong, Marlo Kelly, Alex Sharp, Sea
Shimooka, Zine Tseng, Samer Usmani, Benedict Wong, Jonathan Pryce,
Rosalind Chao, Ben Schnetzer ed Eve Ridley.
3 Body Problem è una
nuova serie drammatica ispirata all’epica trilogia di libri di
grande successo, che racconta la storia di ciò che succede quando
l’umanità scopre che non siamo soli nell’universo.
Per rimanere
aggiornato su tutte le ultime novità, i film in uscita e le
curiosità sul mondo del cinema, ISCRIVITI alla nostra
newsletter.
CAST: Jovan Adepo (pronomi
maschili), John Bradley (pronomi maschili), Liam Cunningham
(pronomi maschili), Eiza González (pronomi femminili), Jess Hong
(pronomi femminili), Marlo Kelly (pronomi femminili), Alex Sharp
(pronomi maschili), Sea Shimooka (pronomi femminili), Zine Tseng
(pronomi femminili), Saamer Usmani (pronomi maschili), Benedict
Wong (pronomi maschili), Jonathan Pryce (pronomi
maschili) (I due papi, The
Crown); Rosalind Chao (pronomi
femminili) (Better Things, Panama Papers,
Mulan); Ben Schnetzer (pronomi maschili) (Y –
L’ultimo uomo sulla Terra); Eve Ridley (pronomi
femminili) (Peppa Pig, Casualty)
REGIA: il candidato agli
Oscar Derek Tsang (Better Days) si occuperà della regia
insieme ad altri non ancora annunciati
PRODUZIONE: David Benioff e
D.B. Weiss (Il trono di
spade) ricoprono il ruolo di showrunner e produttori
esecutivi. Alexander Woo (The Terror:
Infamy,True Blood) ha coideato la serie con
Benioff e Weiss, oltre a occuparsi della produzione esecutiva e
della sceneggiatura. Bernadette Caulfield (Il trono di spade,
X-Files – Il film) è la produttrice esecutiva. Rian Johnson
(Cena con delitto – Knives Out,Star
Wars: Episodio VIII – Gli ultimi Jedi), Ram
BergmaneNena Rodrigue sono prodotturi
secutivi per T-Street. Lin Qi, il compianto ex amministratore
delegato di Yoozoo Group, e Zhao Jilong, CEO della società titolare
dei diritti (The Three-Body Universe), sono produttori esecutivi.
Plan B Entertainment, la società di Brad Pitt, Dede Gardner e
Jeremy Kleiner (Okja, Moonlight) sono
produttori esecutivi. Rosamund Pike e Robie
Uniackesono produttori esecutiviper
Primitive Streak.