In molti definiscono le sue
interpretazioni affascinanti, aggressive e pungenti con un stile a
tratti menefreghista e schivo a tratti essenziale e duro. Molto
spesso, proprio per questo, lo si ritrova nel ruolo di “cattivo”.
E’ conosciuto come Mr Orange, come Zucchino, il rapinatore di
caffetterie o come il pianista Novecento: è Timothy Simon Smith o
più semplicemente Tim Roth.
Figlio di un giornalista e di una
pittrice di paesaggi, nasce a Londra il 14 maggio del 1961. Il suo
cognome tedesco Roth è frutto di un’espediente del padre per
nascondere la reale nazionalità della sua famiglia nel periodo
della seconda guerra mondiale, mentre si ritrovarono a viaggiare in
paesi ostili all’Inghilterra e in segno di solidarietà per le
vittime dell’olocausto.
Il giovane Tim, nonostante la sua
famiglia appartenesse alla middle class inglese e sia in grado di
offrirgli degli studi in una scuola privata, non si mostra
particolarmente dedito all’apprendimento e finirà con il diplomarsi
alla scuola pubblica, la Strand School di Tulse Hill. Prosegue gli
studi volenteroso di seguire le orme artistiche materne e si
specializza in scultura alla Camberwell College of Arts ma non sarà
questa la sua strada: dopo diciotto mesi abbandona l’istituto per
dedicarsi alla recitazione, un esordio che avviene nei bar e nei
piccoli teatri londinesi.
Nel 1982 che arriva la botta di
fortuna: a causa di una gomma della bicicletta forata si ritrova di
fronte alla Oval House dove entra per chiedere in prestito una
pompa e dove stavano avvenendo le audizioni per una serie tv Made
in Britain. Grazie all’interpretazione particolarmente incisiva di
uno skinhead neonazista del 1962 riesce a farsi ben notare dai
produttori inglesi per il suo stile aggressivo e per la foga con
cui affronta il suo personaggio. Nello stesso periodo partecipa
anche un episodio del telefilm Not Necessarly dove paradossalmente
interpreta un ruolo di un omosessuale, interpretazione molto
distante dalla precedente, con un discreto successo. Ma è grazie
all’amico Gary Oldman, conosciuto nella stessa
compagnia teatrale, che prende parte al film
Meantime di Mike Leigh
dove interpreta un giovane uomo con disturbi mentali, ruolo che
Roth considera ancora oggi uno dei sui migliori progetti. I primi
anni ’80 gli portano fortuna: dalla sua relazione con Lori
Bake, nel 1983 nasce il figlio Jack.
Tim Roth: da Mr. Orange a Principe
di Monaco
Il suo esordio, e una nomination ai
BAFTA come migliore scoperta, arrivano però con il noir
Vendetta (1984) nei panni del misterioso
Myron. Se la prima metà degli ’80 lo vedeva in ascesa non si può
dire lo stesso purtroppo per l’altra metà. Nel 1987 infatti la sua
vita privata con la Baker collassa e dal punto di vista lavorativo
non riesce a trovare nulla che soddisfi le sue aspettative: si
accontenta di fermarsi per un po’ a Parigi dopo le riprese di To
Kill A Priest nel 1988, accumulando qualche debito ma riuscendo a
starsene via da una Londra dalla prospettiva sempre più tetra.
Ritorna in patria per vedere la sua situazione anche peggiorata. La
ex vive con il figlio a New Cross, mentre lui si accontenta di
vivere in un malandato appartamento a Sydenham, bevendo un po’
troppo e “prostituendosi”, com’è nelle sue parole, a lavori
cinematografici che assolutamente non sono nelle sue corde.
Tim Roth non si
scoraggia: gli anni successivi saranno completamente dedicati a
rafforzare il suo personaggio e la sua formazione artistica e
puntare sempre più in altro recitando nel crime-drama
The Cook, the Thief, His Wife & Her Lover
(1989), prestando particolarmente attenzione alla costruzione del
personaggio di Vincent Van Gogh in Vincent &
Theo (1990) e tornando nuovamente a recitare con
Oldman in Rosencrantz e Guildenstern sono
morti (1990). Tim Roth ha un
obbiettivo molto chiaro: il sogno americano.
L’incontro con
Quentin Tarantino sarà provvidenziale per la
sua carriera e per portarlo via dall’Inghilterra: il regista
visionario e talentuoso ancora agli esordi, vede in Roth il volto
perfetto per il personaggio del poliziotto infiltrato Mr Orange in
Le Iene, il gangster movie del 1992,
dove la storia si snoda sul filone della sfortunata rapina mano
armata di diamanti. La leggenda vuole che il provino si sia
consumato in un bar di Los Angeles alimentato dall’alcool, e Roth
non ha tardato ad accettare la parte.
L’America gli darà infatti non solo
lavoro e successo, ma anche una moglie, la biondissima
Nikki Butler, sposata in Belize nel 1993, e due
figli: Timothy Hunter (1995) e Michael
Cormac (1996), nomi presi dagli scrittori preferiti della
coppia, ovvero Hunter Thompson e Cormac McCarthy. I due si sono
conosciuti durante il Sundance Film Festival del 1992.
Dopo quest’interpretazione di Mr
Orange e il matrimonio, si rivela essere, nel 1994, il perfetto
rapinatore di ristoranti soprannominato Zucchino da Amanda
Plummer in
Pulp Fiction, film capolavoro
assoluto di Tarantino degli anni 90. Roth, collabora per la terza
volta con l’ormai affermato regista in Four
Rooms (1995). L’attore inglese pare inarrestabile:
per levarsi velocemente di dosso lo stereotipo di attore
tarantiniano (vedi Uma Thurman, Samuel L Jackson),
recita nello stesso anno in Little Odessa
e Cuore di Tenebra ma soprattutto,
non ancora del tutto soddisfatto, con Rob Roy (1995) si cuce
definitivamente addosso il ruolo del cattivo per antonomasia
interpretando il il cinico e fatuo Archibald Cunningham, una
performance che gli vale la candidatura all’Oscar.
“La conquista della terra, per
lo più, vuol dire portarla via a chi ha una pelle diversa e un naso
leggermente più schiacciato del nostro. Non è molto carino se ci si
riflette a fondo.”
Cuore di Tenebra (1994)
L’anno seguente, desideroso di
mettersi continuamente alla prova e recitare in ruoli il più
diversificati possibili, si ritrova a far parte della brillante
commedia diretta dal genio di
Woody Allen, Tutti dicono I Love
You, e affiancato da Julia Roberts e Goldie
Hawn. Roth è già uno degli attori più versatili e
camaleontici del periodo, in grado di adottare accenti diversi,
tanto da venire addirittura spesso scambiato per nativo americano.
Tra il 1995 ed 2008 partecipa infatti a qualcosa come 29 film: è
protagonista di Libertà vigilata (1997),
L’impostore (1997), con Chris
Penn e Renée Zellweger e
Gridlock’d – Istinti criminali, al fianco
dell’attore/rapper Tupac Shakur.
Nel 1999 interpreta Novecento, un
ruolo magistrale e toccante nel film La leggenda del
pianista sull’oceano dell’italianissmo
Giuseppe Tornatore: nonostante abbia ammesso di non
essere assolutamente in grado di suonare il piano è davvero
Tim Roth “che fa finta di suonare”, gli è stato
insegnato l’esatto movimento da fare e le posizioni corrette delle
dita. L’interpretazione di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento
resterà sempre una delle preferite dei suoi fan. Altro grande
personaggio che influirà sulla sua via, sarà il malinconico
Wim Wenders che prima lo dirige in una piccola
parte ne The Million Dollar Hotel (2000)
con Mel Gibson, poi gli offrirà una parte più
cospicua ne Non bussare alla mia porta
(2005). Ama Tim Roth per lo stesso motivo per cui
è apprezzato dall’Europa e dall’America: perché è graffiante,
sempre significativo e nitido nella recitazione. Lo stesso Roth
desideroso di concedersi un po’ a Hollywood, lo fa con la commedia
Magic Numbers (2000) con John
Travolta poi torna in Europa con
Vatel (2000) con
Gérard Depardieu e un incerto
D’Artagnan (2001) con Catherine
Deneuve.
“Me lo chiedo ancora se ho
fatto bene ad abbandonare la sua città galleggiante e non lo dico
solo per il lavoro. Il fatto è che un amico come quello, un amico
vero, non lo incontri più se solo hai deciso di scendere a terra,
se solo vuoi sentire qualcosa di solido sotto i piedi e se poi
intorno a te non senti più la musica degli dei. Ma, come diceva
lui, non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia
e qualcuno a cui raccontarla.” La Leggenda del pianista
sull’oceano (1998)
Proprio a causa del suo carattere
inaccontentabile e una voglia irrefrenabile di mettersi sempre in
gioco, Tim Roth decide di verificare lui stesso
cosa significa stare dietro la macchina da presa: Zona
di guerra è il titolo del suo film al debutto alla
regia e, magistralmente, la pellicola è un successo in tutta
l’Europa, tanto da meritarsi l’European Film Award per la migliore
scoperta dell’anno. La storia che l’ha rapito e spinto a
intraprendere l’impresa alla regia è tratta dal romanzo di
Alexander Stuart raccogliendo nel cast Ray Winston,
Tilda Swinton e
Colin Farrell, una storia che ruota attorno al
tema degli abusi familiari, un tema molto vicino a Tim
Roth che rivelerà solo in questi anni di essere stato a
sua volta una vittima proprio di tali abusi in tenera età, anche se
non dirà mai di chi pur precisando che non si tratta di un membro
stretto della sua famiglia.
Torna in breve davanti la macchina
da presa per
Tim Burton che lo vuole come antagonista
“scimmiesco” del suo remake Planets of Apes – Il
pianeta delle scimmie (2001), venendo molto
apprezzato anche dal pubblico più giovane che lo nomina miglior
cattivo all’MTV Award: il ruolo di villain è decisamente quello che
gli calza meglio. Iil remake di Burton lo impegnò particolarmente
ed è questa la causa per la quale rifiuta il ruolo di uno dei
personaggi più ambigui del cinema, quello di Severus Piton in
Harry Potter e la Pietra Filosofale
(2001), parte che viene assegnata ad Alan Rickman:
dice Roth “Avrei dovuto fare tutti e due i film, volare dal set
americano di Tim a quello inglese di La pietra filosofale. I miei
figli non me lo hanno ancora perdonato.”
Vanta una filmografia smisurata ma
sono tuttavia sono degne di nota le sue interpretazioni di
Emil Blonsky ne The Incredible Hulk
(2008) della Marvel, Dominic in
Un’altra giovinezza (2007) di
Francis Ford Coppola, dove ha dovuto parlare e
recitare in diverse lingue ovvero cinese, latino, armeno, tedesco e
sanscrito. Particolarmente rilevante anche la parte del padre di
famiglia vittima delle torture di due sadici sconosciuti nel remake
di Funny Games (2008) con Naomi
Watts, un ruolo che, afferma, è stato il più disturbante
tra tutti quelli che abbia mai fatto “Sono state cinque
settimane di lacrime. È stato brutale: si è trattata di una delle
volte peggiori sul set per me. Non avrei mai voluto
guardarlo!”
Tim Roth serie
tv
Dal 2009 al 2011 si
dedica, seguendo le orme di altri suoi
colleghi come il caso di Hugh Laurie alias Dr
House, al piccolo schermo facendosi amare come il misterioso dottor
Cal Lightman per la serie tv trasmessa da Fox,
Lie to Me, in cui Tim
Roth è un esperto di cinesica (comunicazione non verbale)
ed infallibile nel comprendere quando le persone mentono,
semplicemente guardandole negli occhi. Pare che la fortunata serie
tv sia servita per le sue finanze, desideroso di ritentare in
futuro la carriera da regista. Dopo il thriller finanziario di
Nicholas Jarecki, La Frode (2012),
tornerà ad ammaliarci nel recentissimo Grace di
Monaco, film che il 14 maggio apre il festival di Cannes in cui interpreta il
principe Ranieri III di Monaco: ruolo inaspettato quello del
“principe” come dichiarato da lui stesso ma al nostro Tim
Roth piace moltissimo mettersi in gioco e ce l’ha
dimostrato alla perfezione in tutti questi anni, non cucendosi una
sola etichetta addosso ma riuscendo sempre a emergere e a
distinguersi in ruoli sempre diversificati, un acclamato e
affascinante talento che ha saputo costruirsi una carriera andando
oltre il suo aspetto.
Uno sguardo unico ed una
personalità intrigante, estremamente simpatica e divertente che
traspare dalle sue interviste, tanto quanto la sua modestia e la
sua voglia di starsene fuori dalle luci della ribalta. Tim
Roth è stato il cattivo, il pianista, il ladro, il
dottore, il principe e molto altro, un personaggio assolutamente
camaleontico e in grado di accettare ogni tipo di sfida e
purtroppo, molto spesso, un fenomeno assai sottovalutato e che
meriterebbe molto di più.
