Ecco il trailer
internazionale di The Last Days on Mars,
thriller ambientato nello spazio con protagonisti Liev
Schreiber, Elias Koteas, Romola Garai, Olivia Williams e
Tom Cullen. Il film, diretto
da Ruairi Robinson, sarà disponibile On
Demand dal 31 ottobre prima di raggiungere i cinema a partire dal 6
dicembre.
Ecco il trailer internazionale:
Trama: Vincent è un astronauta in
missione su Marte e allocato sulla base Tantalus. Un giorno un
membro del suo equipaggio individua un elemento che può mutare
radicalmente le nostre teorie sull’origine della vita: su Marte
esistono batteri attivi. Il dubbio, che rápidamente si traduce in
realtà, è che siano molto pericolosi. Le trasformazioni che
provocano negli esseri umani sono da incubo.
Si intitola The Last
Dance, l’ultima danza, il documentario di ESPN e
Netflix
dedicato alla stagione ‘97/’98 dei Chicago Bulls,
un’opera che grazie al ritmo serrato e avvincente si appresta a
diventare un appuntamento imperdibile di queste ultime (si spera)
settimane di quarantena. Dal 20 aprile sono disponibili sulla
piattaforma due episodi a settimana, per 5 settimane di una storia
cominciata proprio nella stagione del 1997.
Dopo cinque titoli in sette
stagioni, i Chicago Bulls inseguono il sesto
titolo, il terzo consecutivo, e l’organizzazione autorizza una
troupe televisiva a seguire la squadra in ogni momento, a partire
dalla preparazione del campionato, permettendo alle telecamere di
arrivare dove non erano mai state prima, dal campo di allenamento
agli spogliatoi. Quel materiale, unito a repertorio, interviste e
una lunga e costante ricerca, oltre a un lavoro titanico di
montaggio ha dato vita alla serie che racconta la grandiosa impresa
sportiva dei Bulls di Michael Jordan.
The Last Dance, i Chicago
Bulls di Michael Jordan nel ’97/’98
Nonostante le luci e i successi,
quello fu un anno particolarmente difficile per i Bulls, che si
trovarono ad affrontare un diffuso malcontento interno, dagli
attriti dell’allenatore Phil Jackson con il
general manager della squadra, ai problemi contrattuali di
Scottie Pippen, che quell’anno non inizia nemmeno
la stagione, complice un infortunio, forse con la speranza di
riformulare un contratto che gli fruttava decisamente troppo poco
per il suo ruolo e la sua importanza in squadra e nell’intera lega.
Ma, da Rodan a Kukoc, tutti i
giocatori avevano dei problemi con la società e con la squadra.
Su tutti, come un’ombra e un
collante potentissimo, si stagliava la figura di Michael
Jordan, il leader, il capo, quello che voleva soltanto
vincere e che voleva farlo a tutti i costi, anche portare tutta la
squadra sulle spalle.
The Last
Dance è quindi l’ultima danza dei tori di Chicago,
quella generazione di fenomeni (sia permesso il prestito
dalla pallavolo azzurra) che ha segnato la storia del basket, e la
cui storia commuoverà senza dubbio gli appassionati del parquet ma
coinvolgerà anche chi di basket non capisce nulla. Perché storie
sportive di questa portata, qualunque sia il loro esito, hanno
sempre la potenza evocativa di storie di vita, sacrificio,
sconfitta e vittoria.
The Last
Dance non è solo il racconto di un’impresa eroica, è
anche un lavoro documentaristico approfondito, certosino, vibrante
di emozione, a tratti persino buffo, tremendamente onesto,
raccontato attraverso le parole dirette dei protagonisti.
Nell’ottica contemporanea, la
storia dei Chicago Bulls, nella stagione ‘97/’98,
potrebbe spiegare bene a tutto il mondo il significato di farcela
insieme, di giocare di squadra (in quanto genere umano), di mettere
da parte l’individualismo e spalleggiarsi per raggiungere un
obbiettivo comune. Ma si sa, i protagonisti di quella storia lì non
sono esseri umani ordinari, sono fenomeni, divinità scese in Terra,
a condividere con i comuni mortali parte della loro luce.
Si chiama
kintsugi la tecnica di restauro giapponese
risalente al 1400 che prevede l’utilizzo della polvere d’oro per
riparare le stoviglie in ceramica usate per la cerimonia del te.
Oltre ad essere una tecnica che dà vita a oggetti unici e
splendidi, vere e proprie opere d’arte, ha anche un profondo
significato legato alla filosofia Zen: da una parte quelle vene di
rottura impreziosite con la polvere d’oro suggeriscono che
l’esistenza è transitoria, e questa consapevolezza rende sereno
l’approccio alla vita; dall’altra suggerisce empatia, la triste
malinconia dell’imperfezione delle cose, apprezzarle, nonostante
questo; infine, esprime la capacità di lasciar correre, di
dimenticare le preoccupazioni liberando la mente dal desiderio di
perfezione… la capacità di essere come un pesce rosso, proprio come
dice il nostro allenatore preferito: Ted
Lasso.
Ted Lasso, si è conclusa la
stagione finale
All’indomani della
conclusione della terza e (pare) ultima stagione della serie di
grande successo di Apple TV+,
possiamo decisamente dire che Ted Lasso ha
utilizzato la tecnica del kintsugi sulle vite,
imperfette e passeggere, di tutte le persone che ha incrociato. E
un po’ anche sulle nostre, che lo abbiamo seguito dal divano di
casa.
La terza stagione, in
particolare, come un lungo abbraccio, ha accompagnato ogni
personaggio alla sua personale risoluzione, con garbo e gentilezza,
la quale rappresenta a tutti gli effetti la polvere d’oro con cui
Ted aggiusta tutte le persone intorno a sé, dando agli altri, alla
fine, la possibilità di aggiustare se stessi. Perché siamo
imperfetti, siamo un continuo “mess in Progress” e la
consapevolezza di questa condizione di esistenza ci permette di
essere persone migliori, di imparare ad allenare una squadra di
calcio arrivando a capire cos’è il fuorigioco, di aprirsi a una
famiglia di tifosi che hanno colto il nostro lato migliore, di
riconoscere nell’altro un amico, oltre che un eterno rivale, di
essere parte di una squadra e di essere in grado di conservare un
pezzetto di quel messaggio che era stato seminato (leggi, appeso
alla parete dello spogliatoio) tanto tempo prima, in mezzo allo
scetticismo e allo scoramento.
La vita chiama
Il team di scrittura di
Ted Lasso (Brendan Hunt, Joe Kelly, Bill
Lawrence,
Jason Sudeikis,
Brett Goldstein, Phoebe Walsh, Jane Becker, Leann Bowen, Jamie
Lee, Bill Wrubel) si conferma una squadra incredibile, con
leggerezza e attenzione riesce sempre a trovare la lente apposita
attraverso cui raccontare un disagio, una rottura, un trauma, con
gli strumenti giusti, accarezzando i suoi personaggi e lo
spettatore, trasformando maschi tossici e vallette sgallettate in
uomini e donne consapevoli e gentili, senza mai forzare,
rispettando i caratteri costruiti sapientemente attraverso l’arco
della serie e dando loro il giusto spazio per crescere e trovare se
stessi.
Questa terza
stagione di Ted
Lasso ci racconta che “la vera partita è con se
stessi”, che la sfida vera da affrontare non è quella contro
la supremazia del Manchester City, o contro l’astioso West Hammer,
ma è con la vita stessa che sfreccia via, fuori dal campo e vuole
che saliamo a bordo per poterci trasportare nel suo flusso. Per
Ted, questo ha significato fare una pausa di tre anni dal suo
mondo, riprendere fiato, costruire una sua nuova famiglia,
tramandare un messaggio, sciorinare battute incredibili e dialoghi
brillanti, trovare un’amica per la vita e uno spogliatoio che può
chiamare casa, venire a patti con le sue crepe, i suoi dolori e la
sua inadeguatezza, e scoprire che tutte queste ferite erano state
riempite da una cascata di polvere dorata nelle sembianze di
Rebecca, di Coach Beard, di Trent, di Roy, di Nate, dei tifosi,
della barista Mae e di tutta la squadra che ha imparato ad amarlo.
E ora, forte di questo restauro, cambiato per sempre, bellissimo
con tutte le sue ferite, torna a casa, perché la vita chiama e suo
figlio è lì ad aspettarlo, a corrergli incontro felice, perché
adesso finalmente tutto è al suo posto e il puzzle è completo.
Scende in campo la
musica
Puzzle ricchissimo avanti
e dietro le quinte, Ted Lasso non è solo un gruppo
di geniali sceneggiatori che affidano brillanti battute a
telantuosi attori. È vetta della comicità in televisione
(Ziggy Stardust non sarà mai più lo stesso), è
ispirazione tecnica messa al servizio della storia, è una
fotografia accogliente e riconoscibile, e soprattutto è una colonna
sonora che impreziosisce e accompagna ogni momento, rendendolo
indimenticabile, accostando l’illuminazione del burbero Roy Kent
all’arcobaleno dei Rolling Stones nel quinto
episodio della seconda stagione; Adriano Celentano
e Jesus Christ Superstar come fossero stati creati
per stare insieme in quella sequenza spettacolare del terzo
episodio della terza stagione, oppureCat Stevens e
i Flaming Lips nei commoventi minuti di commiato
dal AFC Richmond.
Non era facile dire addio
a questi personaggi, eppure il finale di Ted
Lasso lascia la sensazione che tutto sia andato al
posto giusto, che i personaggi siano adesso in grado di affrontare
la vita e le loro prossime sfide con gli strumenti giusti,
consapevoli che va bene anche rompersi, va bene anche sbagliare,
purché non si perda mai di vista la leggerezza, la capacità di
ricominciare, “senza avere macigni sul cuore”, come un pesce
rosso.
Primo lungometraggio
di Nicola Abbatangelo, The Land of Dreamsè una storia
d’amore ambientata nella New York anni ’20 tra musica e sogni,
con protagonisti Caterina
Shulha e George
Blagden (Les Misérables di Tom
Hooper, Vikings, Versailles) insieme a un ricco cast tra cui Paolo
Calabresi, Marina
Rocco, Ryan Reid, Nathan
Amzi, Carla Signoris, Stefano
Fresi ed Edoardo Pesce.
The Land of Dreams, la
trama
New York, 1922. Eva è una giovane
immigrata italiana che lavora come lavapiatti nelle cucine del noto
locale Choo Choo Train e che ha rinunciato al suo sogno più grande:
diventare una cantante. Oggetto del desiderio di un boss mafioso,
s’innamora dell’affascinante pianista Armie, reduce della Grande
Guerra, che vive recluso nella sua casa insieme al fratello e che
nasconde un potere molto speciale: viaggiare all’interno dei sogni…
Eva e Armie scopriranno insieme che realtà e sogno possono
mischiarsi e diventare la ricetta della felicità.
Il soggetto e la sceneggiatura sono
firmate da Nicola Abbatangelo e Davide
Orsini, le musiche composte da Fabrizio
Mancinelli che ha collaborato alla colonna sonora del film
premio Oscar Green Book dirigendone l’orchestra.
Il film è una produzione Lotus
Production, una società Leone Film Group,
con Rai
Cinema,
in associazione con 3
Marys Entertainment,
prodotto da Marco
Belardi,
e uscirà nelle sale il 10 novembre distribuito
da 01
Distribution.
The Land of Dreams
verrà presentato in anteprima come Evento Speciale ad Alice nella
Città – Sezione autonoma e parallela della
Festa del Cinema di Roma.
Luc Besson porta
al cinema The Lady, la storia di Aung San Suu Kyi,
attivista birmana che per circa 15 anni ha scontato un isolamento
forzato nella sua casa a Rangoon con l’unica colpa di aver
sostenuto il suo popolo e la battaglia per la libertà ed i diritti
civili.
The Lady racconta
la vita di questa donna straordinaria, divisa tra dovere politico e
sociale, ereditato dal padre generale martire del golpe, e amore di
moglie e madre, che con contegno ma con grande passione continua a
coltivare nei lunghi anni di prigionia. Besson ci mostra così un
altro ritratto di donna, dopo le eroine storiche e fantastiche che
negli anni ci ha proposto, ma questa volta sceglie di narrare
l’amore unitamente ad un obbiettivo: quello di dare voce ad una
situazione politica e sociale unitamente ad una personalità rara e
preziosa.
The Lady, il film
Ad interpretare l’orchidea
d’acciaio c’è Michelle Yeoh, che per questo ruolo ha dovuto
imparare il birmano, oltre che un inglese ‘così come lo parlerebbe
lei’. Elegante e pacata, interpreta con grande efficacia la donna
che ha fatto della lucida razionalità e della non violenza un suo
marchio distintivo. Al suo fianco, nel ruolo del marito, il
Professor Micheal Aris, c’è lo splendido David Thewlis, già interprete di importanti
film, come L’Assedio di Bertolucci e The
New World di Malick, oltre che della saga di Harry Potter. L’attore inglese da ulteriore
prova di straordinaria bravura, interpretando un uomo innamorato e
fedele, oltre che fermamente convinto nel suo percorso e in quello
della moglie, ma anche un uomo che fa i conti con la mancanza, la
sofferenza e la malattia.
The Lady si dipana
per 127 minuti, forse un po’ troppi, ripercorrendo gran parte del
cammino che ha portato Suu ad intraprendere la sua carriera di
attivista fino alla scarcerazione e alla morte per cancro del
marito. Una delle maggiori difficoltà interpretative per gli
attori, è stata quella di indossare i panni di persone che esistono
e sono esistite, senza però avere la possibilità di confrontarsi
con loro, né avere un riscontro diretto del proprio lavoro.
La potenza della storia, unitamente
all’uso ricattatorio della musica, ne fanno un prodotto molto
commovente, ma che nelle intenzioni del regista deve probabilmente
gettare luce sulle atrocità che ancora vengono perpetrate in
Birmania contro i cittadini.
Il regista Luc Besson risponde alle
domande dei giornalisti alla fine dell’anteprima per la stampa del
suo ultimo film The Lady presso La Casa del cinema di Roma.
Il film uscirà nelle sale italiane
a partire dal 23 Marzo 2012 ed è stato distribuito in Italia dalla
nuova casa di distribuzione Good Films che proprio in occasione del
lancio della pellicola ha indetto la campagna “Send a Message”
volta alla sensibilizzazione nei confronti della causa portata
avanti da Aung San Suu Kyi per la democrazia in Birmania.
The Lady’s
Companion è un avvincente serie tv spagnola su Netflix, una
commedia romantica in cui una feroce protagonista, per la quale il
quarto muro è più un suggerimento, guida la narrazione nella Madrid
degli anni ottanta dell’Ottocento. Elena Bianda è alla ricerca del
suo prossimo lavoro come accompagnatrice, una signora che ha il
compito cruciale di gestire la vita sociale della sua protetta,
comprese le sue prospettive di matrimonio. Pertanto, la famiglia di
Don Pedro Mencia, con tre giovani figlie, rimane un luogo di lavoro
ideale per lei. Tuttavia, è solo dopo essersi assunta la
responsabilità di sorvegliare Cristina, Sara e Carlota che si rende
conto di quanto siano davvero difficili le ragazze.
A peggiorare le cose, Pedro ha un
affascinante figlioccio, Santiago, il cui interesse di lunga data
per la sorella maggiore di Mencia viene scosso dalla sua attrazione
(forse ricambiata) verso Elena. Di conseguenza, invece di un lavoro
a lungo termine comodo, la damigella d’onore si ritrova coinvolta
in un triangolo amoroso e in una rete di bugie che minacciano di
smantellare il suo mondo – e il suo cuore – se vengono alla luce.
SPOILER IN ARRIVO!
Cosa succede in The Lady’s
Companion
Elena Bianda è eccellente nel suo
lavoro di dama di compagnia. Tuttavia, ogni tentativo di successo
nel trovare un marito la lascia in competizione per un altro
lavoro. Quindi, questa volta, cerca la posizione di accompagnatrice
presso Don Pedro Mencia. La famiglia ha recentemente subito la
tragica scomparsa della loro matriarca, lasciando le tre sorelle,
Cristina, Sara e Carlota, senza una madre. Per questo motivo, la
posizione è praticamente una miniera d’oro nel settore
dell’accompagnamento femminile. Per lo stesso motivo, Elena mette
in campo tutte le sue risorse: ricerca le ragazze con mezzi
discutibili, come la corruzione e le false storie strappalacrime
dei genitori morti, per guadagnarsi la fiducia di Pedro. Così,
ottiene la posizione, con grande dispiacere della sua rivale,
Alicia, che giura di trovare un modo per farla licenziare.
Tuttavia, Elena ha questioni più
urgenti di cui occuparsi, ovvero guadagnarsi la fiducia delle
sorelle Mencia. Mentre la bricconcella Carlota, una ragazzina di 11
anni con una curiosità morbosa, è facile da conquistare, le sue
sorelle rappresentano una sfida diversa. Tuttavia, la donna riesce
a convincere una Cristina in lutto ad accettare un cambiamento di
ritmo e a partecipare a una serata in città con il suo potenziale
corteggiatore, Eduardo. Tuttavia, finisce per seguire il suo
consiglio con troppo entusiasmo e si ritrova con il suo
accompagnatore all’interno della sua carrozza. Eppure, dopo che
Elena li scopre, Eduardo insiste nel voler dimostrare la realtà del
loro amore chiedendo ufficialmente la mano di Cristina in
matrimonio.
Tuttavia, un mese dopo, quando
arriva il momento per Eduardo di visitare la tenuta dei Mencia per
una proposta formale, l’uomo si tira indietro. Invece, manda una
lettera in cui informa Cristina che ha cambiato idea ed è partito
per Parigi. Questa notizia è incredibilmente sconvolgente per la
ragazza, soprattutto per il suo cuore spezzato. A quanto pare, la
loro notte insieme aveva messo incinta Cristina. Di conseguenza,
Elena si affretta a trovare un altro pretendente per la ragazza,
per evitare che finisca per diventare una madre single disprezzata.
La soluzione si presenta abbastanza presto attraverso Santiago, il
figlioccio di Pedro e amico intimo delle tre sorelle.
È evidente che Santiago è almeno un
po’ innamorato di Cristina, che non gli ha ancora corrisposto in
modo simile. Tuttavia, quando inizia a notare le sue piccole
manifestazioni di affetto, si rende conto che può avere un vero
futuro con lui. Allo stesso tempo, però, Santiago inizia a
innamorarsi di Elena e delle sue osservazioni contrarian e
spiritose. Inoltre, la scomoda riconnessione con una vecchia
fiamma, Gabriel, complica le cose per la damigella d’onore, che è
determinata a mantenere il suo passato segreto alla famiglia
Mencia. Alla fine, Santiago si ritrova in una situazione difficile
quando la notizia del suo tentativo di corteggiamento con Cristina
arriva a Pedro, che è felicissimo di avere il suo figlioccio come
genero. Mentre le cose continuano a sfuggire di mano, un’altra
caotica rivelazione arriva quando Eduardo torna in città,
apparentemente ancora innamorato di Cristina e disposto a lottare
per la sua mano.
Il finale di The Lady’s Companion
: cosa succede tra Elena e Santiago?
La storia d’amore tra Elena e
Santiago è tesa fin dall’inizio. È evidente che la donna, con il
suo sarcasmo, la sua ironia e il suo atteggiamento pratico, ha un
passato movimentato alle spalle. L’introduzione di Gabriel e la
rivelazione che è stata lei a fargli un torto nella loro relazione,
cementano ulteriormente il suo complicato rapporto con l’amore.
Pertanto, non ha alcuna illusione quando si tratta dell’idea di
innamorarsi del figlioccio del suo datore di lavoro, che è anche il
principale pretendente di Cristina e la sua unica speranza di
evitare un futuro buio come madre single. D’altra parte, Santiago,
lo scrittore dagli occhi luminosi, rimane affascinato da Elena ed è
pieno di illusioni su come possano avere il loro lieto fine.
Tuttavia, mentre la loro storia si
avvicina alla conclusione, i due finiscono per scambiarsi i ruoli.
A quel punto, vengono alla luce la maggior parte dei segreti tra
loro riguardo ai tentativi di Elena di far accettare un
fidanzamento tra Santiago e Cristina. Per lo stesso motivo, lo
scrittore è incredibilmente tradito e affranto nell’apprendere che
la donna che ama era pronta a condannarlo a un futuro di bugie e
inganni. Così, alla fine rinuncia a ogni speranza che gli rimane
per una relazione tra loro. D’altro canto, anche la realtà di Elena
si svela dopo che Cristina ritiene che i suoi segreti siano troppo
indelebili per essere perdonati. Tuttavia, dopo aver letto la nuova
operetta su cui Santiago stava lavorando, la giovane donna si rende
conto che i suoi sentimenti per la sua damigella erano reali e
innegabili. Pertanto, nonostante la sua rabbia verso Elena, la
incoraggia a leggere i suoi scritti e a inseguirlo se i suoi
sentimenti sono ricambiati.
Alla fine, Elena finisce per fare
proprio questo, lanciandosi in una grande caccia a Santiago, che
sta partendo per un viaggio di lavoro di due mesi a Lisbona, in
Portogallo. Nella sua testa, ha il grande discorso romantico
perfetto da fare e confessare il suo amore. Nonostante il suo
scetticismo nei confronti delle storie d’amore sdolcinate, è
disposta a mettere in gioco il suo cuore e sogna di conquistare lo
scrittore. Dopo tutto, Elena è sempre stata una fan dei lieto fine
nelle storie d’amore e ne vuole uno anche per sé. Tuttavia, i suoi
sogni a occhi aperti finiscono per essere vani, poiché la carrozza
di Santiago si rifiuta di fermarsi per lei e si allontana,
lasciandola indietro. Alla fine, le sue indiscrezioni sembrano
essere state troppo per lo scrittore, costringendolo a scappare per
ora. Tuttavia, anche se la loro storia d’amore per ora ha un finale
triste, non tutte le speranze sono perdute e c’è sempre la
possibilità di una seconda possibilità in futuro.
Cristina sceglie Santiago o
Eduardo? Chi sposa?
La serie The Lady’s
Companion presenta una miriade di complicate storie
d’amore: la damigella d’onore Josefina e la sua padrona, Esther,
che sono innamorate, fino ad Adela, che si innamora del donnaiolo
Lazaro. Eppure, la vita sentimentale di Cristina rimane forse la
più contorta. Inizialmente, è perdutamente innamorata di Eduardo,
il suo corteggiatore di lunga data che è stato al suo fianco nella
buona e nella cattiva sorte. È così presa dai suoi sentimenti per
lui che va a letto con lui, il che si traduce in una gravidanza
prematura. Nonostante ciò, Eduardo la lascia sola, spingendola a
trovare un nuovo pretendente il prima possibile per nascondere il
fatto della sua gravidanza fuori dal matrimonio. Questo la porta a
Santiago, un amico fidato che non ha mai valutato sotto una lente
romantica.
Una volta che Cristina inizia a
fare uno sforzo per innamorarsi di Santiago, in parte influenzata
dalla notizia del fidanzamento di Eduardo con una duchessa a
Parigi, inizia a vederlo sotto una nuova luce. Le piacciono la sua
affidabilità e onestà, anche quando le rivela di essere indeciso
sui suoi sentimenti per lei a causa di un’altra donna nella sua
vita. In confronto a Eduardo, lui è un’opzione migliore, sia come
marito che come futuro padre del figlio che ha già concepito. Per
un po’ di tempo, continua a insistere per stare con Santiago perché
è la sua ultima risorsa. Tuttavia, questo cambia quando Eduardo
torna per lottare per il suo amore.
Sebbene Elena sia riluttante a dare
a Eduardo un’altra possibilità con Cristina, i sentimenti dell’uomo
per quest’ultima rimangono sinceri. I suoi genitori lo hanno
costretto a fidanzarsi con la duchessa e lui si è ribellato a loro,
pronto a rinunciare alla sua famiglia per la giovane donna. Quando
Cristina viene a conoscenza della stessa cosa, la sua indifferenza
per il suo ex, accuratamente costruita, svanisce, trasformandola in
un groviglio confuso. Allo stesso tempo, la nuova opportunità di
carriera di Santiago di recarsi in Portogallo ha costretto Pedro ad
accelerare il fidanzamento con sua figlia. Di conseguenza, Sara ed
Elena si rendono conto che la maggiore Mencia deve prendere una
decisione prima di finire per ferire qualcuno inavvertitamente.
Così, ricorrono a una misura
estrema e chiudono Cristina in una stanza con Eduardo.
Inizialmente, la donna cerca di rifiutare qualsiasi sentimento
persistente per l’uomo. Tuttavia, la scintilla tra loro è più viva
che mai. Aveva sempre cercato di dimenticarlo perché temeva che non
fosse degno di fiducia. Eppure, la sua presenza davanti a lei ora
dimostra quanto lui le sia devoto. Inoltre, sarebbe meglio mettere
su famiglia con il vero padre di suo figlio piuttosto che
costringere Santiago a una vita di bugie. Quindi, quando Cristina
inevitabilmente si rimette con Eduardo, troppo commossa dalla
passione che li lega, conclude che deve scegliere lui come suo
amato. Alla fine, confessa tutto a Santiago e anche a suo padre.
Anche se Pedro è inizialmente scioccato oltre ogni dire, col tempo
cambia idea e sostiene la decisione di sua figlia di sposare
Eduardo.
Elena perde il lavoro? Chi è la
nuova accompagnatrice di Sara e Carlota?
Oltre alla sua vita sentimentale,
il lavoro di Elena rimane una delle parti più cruciali della sua
storia. Per tutta la storia, cerca disperatamente di mantenere il
suo lavoro. Mente, complotta e manipola le carte, tutto per il bene
della sua carriera. Eppure, una volta che conosce le sorelle
Mencia, le sue motivazioni si offuscano per la sua sincera cura e
amore per le sorelle. Tiene nascosta a suo padre la segreta ricerca
di Sara di studiare medicina e sostiene il suo diritto di
frequentare l’università una volta che la verità viene fuori. Allo
stesso modo, nasconde diligentemente la gravidanza di Cristina per
evitare che la giovane donna faccia arrabbiare o deluda suo padre.
Infatti, è disposta a spezzarsi il cuore orchestrando un
fidanzamento tra Santiago e lei.
Tuttavia, Elena mantiene diversi
segreti nel processo, cosa che irrita Cristina. Considera l’anziana
donna una vera amica e si sente offesa quando scopre il suo alto
lignaggio, essendo figlia di una nobildonna non morta. Il fatto che
Elena si sia accaparrata il lavoro scoprendo in anticipo tutti i
segreti delle sorelle diventa la goccia che fa traboccare il vaso
per Cristina. Si rende conto che non può più fidarsi di Elena, il
che la costringe a licenziarla dalla posizione di accompagnatrice
della famiglia Mencia. Così, il giorno del suo matrimonio diventa
l’ultimo giorno di lavoro per la donna più anziana. Al suo posto,
la sua astuta rivale Alicia piomba e prende il lavoro.
Le ripercussioni di questa
decisione saranno senza dubbio pesanti per le sorelle di Cristina,
così come lo saranno per Elena, che si ritrova senza casa e senza
lavoro. La ricerca di un’istruzione superiore da parte di Sara non
è qualcosa che ogni dama di compagnia comprenderà o sosterrà
prontamente. Inoltre, la sua storia d’amore con Camilo è destinata
a creare problemi, data la natura interrazziale della loro
dinamica. Se Alicia sarà all’altezza del compito di gestire la
stessa cosa, o i modi minacciosi e burloni di Carlota, si vedrà
solo in futuro. Per quanto riguarda Elena, la sua disoccupazione
dalla casa dei Mencia non fa che accentuare il punto più basso in
cui si è trovata alla fine di questa stagione.
Perché Eduardo è scappato a
Parigi? Perché non ha chiesto a Cristina di sposarlo?
Eduardo è un personaggio intrigante
nella storia, non da ultimo per i suoi sentimenti confusi nei
confronti di Cristina. Scrive alla giovane una lettera ogni singolo
giorno dopo la morte di sua madre come dimostrazione del suo amore
e sostegno. È felicissimo di poterla corteggiare formalmente e
rimane fermo nella sua dichiarazione d’amore e nelle sue intenzioni
di matrimonio. Eppure, quando arriva il momento, non si presenta e
manda una lettera poco convinta che non spiega né le sue azioni né
il perché. Mesi dopo, quando Cristina inizia a frequentare
Santiago, manda un’altra lettera e torna a Madrid, sostenendo di
essere ancora innamorato della donna.
Così, la realtà della situazione di
Eduardo prende vita. A quanto pare, la sua famiglia è andata in
rovina. Di conseguenza, contano di spillare una buona dote alla
sposa di Eduardo per riavviare la loro attività. Inizialmente,
ingannano il loro erede facendogli firmare un contratto per fondere
l’attività con la famiglia della Duchessa di Parigi. A sua
insaputa, il contratto prevede una condizione di matrimonio tra lui
e la Duchessa. Di conseguenza, Eduardo non è in grado di
presentarsi alla tenuta di Mencia il giorno della proposta e invia
la lettera che suo padre lo ha costretto a scrivere. Anche se
all’inizio fa finta di accettare per compiacere i suoi genitori,
alla fine si rifiuta di sposare la donna e di lasciarsi alle spalle
il vero amore della sua vita.
Perché Santiago corteggiava
Cristina? Era innamorato di lei o di Elena?
I sentimenti confusi di Santiago
per Elena e Cristina rimangono i più sconcertanti tra le complicate
attrazioni e gli affetti tra pretendenti, donne e accompagnatori.
Dopo tutto, se Elena fa vacillare i sentimenti di Santiago, perché
accetta di corteggiare Cristina? Nel caso delle donne, stanno
spingendo per un corteggiamento e un matrimonio rapidi tra la
coppia per nascondere la gravidanza preesistente di Cristina,
assicurando alla madre e al bambino un futuro sicuro. Tuttavia,
Santiago è completamente all’oscuro della gravidanza fino alla
fine, quando la giovane donna sceglie Eduardo al posto suo.
Pertanto, sorge la domanda: perché continua con il
corteggiamento?
Santiago è stato innamorato di
Cristina per gran parte della sua vita. Tuttavia, l’altra non gli
ha quasi mai prestato attenzione romantica. Una volta che Eduardo
entra in scena, occupa tutta la sua capacità di corteggiare,
lasciando allo scrittore il compito di accettare il suo destino.
Così, inizia a dimenticare Cristina quando lei inizia a corteggiare
formalmente l’altro uomo. Il fatto che Elena sia in giro, sfidando
la sua visione del mondo e costringendolo a considerare nuove
prospettive, aiuta ulteriormente il processo, poiché inizia a
innamorarsi dell’altra donna. Tuttavia, una volta che Eduardo
lascia la città, tutto cambia.
Cristina parte per sedurlo ed Elena
è irremovibile nel voler ignorare i propri sentimenti per garantire
la felicità del suo protetto. Nonostante i pochi momenti e baci che
Santiago condivide con quest’ultima, lei rimane ferma nella sua
decisione di non intavolare una storia con lui. Siccome il suo
padrino la impiega, sa che una relazione tra loro le porterebbe
solo guai. Allo stesso modo, lui ha paura di consegnare il suo
cuore a lei apertamente perché pensa che lo abbandonerà come ha
fatto con Gabriel. D’altra parte, Santiago è anche confuso sul
rifiutare le avances di Cristina, soprattutto quando Pedro viene a
sapere prematuramente del loro apparente corteggiamento.
Gli Mencias sono la cosa più vicina
che lo scrittore ha a una famiglia. Non vuole attirarsi le loro ire
dando a Pedro la brutta notizia del suo crescente disinteresse per
sua figlia a favore della sua accompagnatrice. Tuttavia, nonostante
la confusione che gli annebbia il cervello, la realtà dei
sentimenti di Santiago emerge quando si presenta alla porta di
Cristina ubriaco di assenzio. Rivela che i suoi sentimenti per lei
non sono più di tipo romantico, un sentimento ricambiato dalla
donna. In seguito, viene a sapere della sua gravidanza, che
rappresenta un orribile tradimento. Tuttavia, non è ferito dalle
azioni di Cristina, ma piuttosto da quelle di Elena. Questa
espressione di dolore rivela una volta per tutte che Santiago è
stato innamorato della damigella d’onore per tutto questo tempo.
Tuttavia, poiché lascia Madrid senza ascoltarla, non sarà in grado
di sapere della sua ricambiare i suoi sentimenti per un po’ di
tempo.
Luc Besson, dopo
essere passato di recente al cinema con Miss Adele e l’enigma del
faraone, si è già messo al lavoro su un nuovo progetto
cinematografico, della cui esistenza si è saputo soltanto nei
giorni scorsi nonostante le riprese siano già iniziate da
settimane. Il film si intitola The Lady e racconta la storia di
Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione birmana divenuta in tutto
il mondo un’icona della non-violenza.
A interpretare Aung San Suu Kyi sarà la star cinese Michelle
Yeoh, attrice di film importanti come La tigre e il dragone e
Memorie di una geisha, qui affiancata da David Thewlis (il
Professor Lupin della Saga di Harry Potter).
Probabilmente il film del regista
francese non racconterà tutta la storia, ma si concentrerà sugli
anni dal 1988 al 1999, da quando Suu Kyi ha lasciato Oxford per
tornare in Birmania dalla madre malata a quando ha dovuto scegliere
fra il suo paese e suo marito malato di cancro (Thewlis), a cui è
stato vietato l’accesso nel paese.
Le riprese sono già iniziate in
Thailandia, e si sposteranno presto a Oxford. Il regista Luc Besson
ha definito Suu Kyi “un’eroina più forte di Govanna
d’Arco“, che utilizza la cortesia al posto delle armi, e
nonostante non abbia mai trasgredito la legge è stata condannata a
anni di reclusione. Nonostante gli evidenti riferimenti politici,
il cuore del film rimarrà la storia d’amore fra Suu Kyi e il marito
Michael Aris.
Cinemax ha rilasciato
un nuovo trailer per The Knick, la serie
tv diretta da Steven Soderbergh, con protagonista
Clive Owen.
The Knick
si svolge nel 1900 a New York, al Knickerbocker Hospital, dove vi
lavora un chirurgo (Owen), in un’epoca in cui non
ci sono antibiotici, le procedure mediche erano estremamente
pericolose e il tasso di mortalità molto elevato.
Diretta dal Premio Oscar
Steven Soderbergh, la serie tv è stata scritta da
Jack Amiel e Michael Begler e
trai i produttori esecutivi figurano
Soderbergh, Clive
Owen, Michael Sugar e
Gregory Jacobs.
The Knick
è composta da 10 episodi, che andranno in onda a partire da venerdì
8 agosto via Cinemax. Nell’attesa, ecco il primo trailer
esteso.
Arrivano i poster promozionali della nuova attesa serie con
protagonista Clive Owen, The
Knick, che andrà in onda con una prima stagione
composta da 1o episodi sul canale via cavo USA Cinemax.
Tra gli
sceneggiatori e produttori esecutivi ci saranno Jack
Amiel e Michael
Begler. The Knick si svolge a New York nel 1900
con protagonisti una serie di chirurghi talmente innovativi da
ribaltare le sorti della scienza e di come la stessa chirurgia
viene vista.
Dopo tanto cinema e qualche annuncio
di ritiro arriva in anteprima il nuovo lavoro di Steven
Soderbergh, The Knick,
serie televisiva period dramacreata da
Jack Amiel e Michael Begle e
trasmessa dal network via cavo Cinemax e in arrivo in Italia
grazie Sky Atlantic dall’11 novembre
2014. Protagonista l’attore Clive Owen che
sarà al Festival di Roma per presentare lo show.
Soderbergh approda
alla serialità televisiva dopo aver lungamente manifestato il suo
interesse verso la libertà creativa che lo show televisivo può
garantire.
Ambientato
nella New York del 1900, la serie televisiva parla del brillante
dottor John Thackery che è costretto ad assumere la guida del
reparto di chirurgia del Knickerbocker Hospital, noto semplicemente
come “The Knick”, dopo l’improvviso suicidio del suo mentore, J.M.
Christiansen. Thackery, medico di fama che opera con innovative
tecniche di chirurgia, è tuttavia afflitto da dipendenza da
cocaina. L’ospedale, gestito dalla figlia del principale
finanziatore, Cornelia Robertson, tenta di porre rimedio
all’indebitamento attirando pazienti benestanti, cercando di non
sacrificare la qualità delle cure. Cornelia è artefice, nonostante
le opposizioni di Thackery, dell’ingresso nell’equipe di chirurgia
di Algernon Edwards, medico di colore formatosi in Europa.
Partendo dalle premesse, qualcuno
potrebbe pensare che si tratti del classico medical drama, ambientao però all’inizio
del ‘900. Niente di più sbagliato.
Lo show si dipana su due binari
paralleli, seguendo una struttura che raramente in uno show tv
sono abilmente bilanciati come in questo caso. Il fulcro della
storia è John Thackery (Clive Owen), illustre
chirurgo stacanovista, impegnato a innovare il mondo della medicina
e alle prese con la sperimentazione di nuove tecniche, nuovi arnesi
da sala operatoria e soprattutto nuova conoscenza dell’anatomia
umana. In secondo piano c’è invece la natura umana, intesa come i
rapporti che si sviluppano, si sgretolano e si ricompongono come
accade proprio alle tecniche sperimentare dal protagonista. Il
punto più alto del lavoro di Soderbergh è senza dubbio la messa in
scena, che è di pregevole fattura, e sia gli ambienti che le
atmosfere accompagnano lo spettatore con immediatezza nella New
York di inizio XX secolo, facilitando anche l’approccio con la
natura più medical del drama targato Cinemax. A tutto
questo fanno da eco invece i movimenti di macchina e la regia di
Soderbergh sempre virtuosa, ma anche servizievole e incalzante
secondo le necessità.
Ciliegina sulla torta è invece la
parte più macabra dello show, considerato che si parla pur sempre
di amputazioni, malformazioni congenite e deformità varie, che
senz’altro ingolosiranno gli appassionati più fervidi al genere
Horror. Infine, va menzionata la performance del protagonista,
Clive Owen, impeccabilmente a suo agio nella parte
di chirurgo costretto a prendere le redini di un ospedale in
continua lotta tra indebitamento e strozzinaggio.
Cinemax
conferma una seconda stagione per il sanguinolento serial con
protagonista Clive Owen.The Knick
2 entrerà in produzione all’inizio del prossimo anno
e conferma al timone Steven Soderbergh, regista
che ha contribuito a fare grande la prima stagione.
La stagione andrà in onda nel
periodo a cavallo tra autunno e estate, mentre la HBO potrebbe
replicare il ‘favore’ e mandare in onda le puntate probabilmente
nella sera del venerdì, come accaduto quest’anno.
Si intitola The Golden
Lotus, The Knick 1×09, il nono episodio della
prima stagione di The Knick, la
serie TV di Steven Soderbergh con Clive Owen.
In The Knick 1×09, Un
crimine eseguito a notte tarde porta una brutta luce sul Knick,
forzando Robertson(Grainger Hines) ad
arrivare con una corruzione. Lucy fa di
tutto per ottenere la droga. Un appello del sempre più disperato
Thackery per ottenere un anticipo da un venditore di medicine
brevettate resta
inascoltato. Gallinger inizia a perdersi
quando il comportamento di Eleanor diventa più
strano; Cornelia ed Edwards (Andre
Holland) hanno soluzioni diverse per un problema che
condividono.
Si intitolerà Start Calling Me
Dad, The Knick 1×06,
il sesto episodio della serie televisiva
targata Cinemax che vede protagonista
l’attore Clive Owen nei panni di un pioniere chirurgo.
In The Knick
1×06, Thackery (Clive Owen)
e Bertie (Michael Angarano) testano una
nuova procedura
operatoria; Cornelia (Juliet Rylance) ha
qualche ripensamento in merito alle sue imminenti nozze. Thackery
considera un’offerta di un venditore,
mentre Everett (Eric Johnson) tenta di
capire come aiutare Eleanor (Mayak
Kazan) a superare il suo
dolore.Barrow (Jeremy Bobb), invece, ha a che
fare con del vecchio
merchandising. Edwards(Leon Addison Brown),
infine, mette la sua carriera a rischio a causa di un incontro
fortuito.
Si intitolerà Get The
Rope, The Knick 1×07, il
settimo episodio della nuova serie trasmessa dal
network Cinemax diretta da Steven Soderbergh
e interpretata da Clive Owen.
In The Knick
1×07, L’accoltellamento di un poliziotto a opera di un uomo
di colore alza la tensione razziale in strada, e in The
Knick, Thackery (Clive Owen)
ed Edwards (Andre Holland) sono
costretti a prendere un
provvedimento. Everett (Eric Johnson)
torna al lavoro in una sala operatoria completamente rinnovata,
mentre Barrow (Jeremy Bobb) ha paura per
la salute di Junia (Rachel
Korine), Cornelia (Juliet
Rylance) è impressionata dall’ingenuità di Edward,
mentre Lucy (Eve Hewson, la figlia di
Bono) viene scortata fino a casa.
Non sono bastate le tecniche di
sceneggiatura applicata del Sundance’s Screenwriting and
Directing Lab a consentire agli autori di The
Kitchen di trovare una voce personale e distintiva per il
loro progetto. L’idea di forte critica sociale alla base del
soggetto selezionato nel 2016 per il workshop promosso dal Sundance
Institute è rimasta sullo sfondo di un film le cui premesse, pur
importanti sulla carta, sono rimaste tali.
Dopo aver chiuso la 67esima
edizione del BFI London Film Festival, il debutto alla regia di
Daniel Kaluuya, attore premio Oscar per
Judas and the Black Messiah, co-diretto con
Kibwe Tavares, è approdato il 19 gennaio su
Netflix,
promosso come un thriller sci-fi ambientato in una Londra
futuribile e distopica. Etichette che sembrano più una copertura di
marketing che il contrassegno effettivo di un film che si ferma
sulla soglia, senza cucinare, pardon, approfondire un tema sugli
altri per assegnare una spinta decisiva alla trama.
Nessun ‘thrilling‘ per lo spettatore di The
Kitchen
Nessun ‘thrilling‘ corre
lungo la schiena dello spettatore e il contesto tecnologico che
dovrebbe caratterizzare la dimensione science-fiction rimane ben
inferiore alla media dell’interazione con i vari device che la
maggior parte di noi esperisce quotidianamente. Lo spettatore viene
invitato ad immergersi in una metropoli del futuro che, tuttavia,
rimane sempre dietro le quinte.
Ad essere mostrato è invece il
residuo di un mondo troppo poco lontano dalla realtà di oggi per
essere definito distopico, basti pensare che parte del film è
ambientata nelle realissime banlieu parigine, con gli esterni
prestati dall’architettura dell’edificio Damiers de
Dauphiné. The Kitchen è il nome del quartiere
che riunisce un’umanità povera e sovraffollata di una città che non
vediamo mai e di cui si può solo immaginare un’asettica
organizzazione basata sul denaro al di fuori del recinto abitato da
miseria e vitale disordine del quartiere stesso.
Gli abitanti dei palazzi fatiscenti
che più che dalla Londra del futuro sono localizzabili nelle
periferie del nostro presente senza ritocchi VFX resistono agli
sgomberi effettuati con crescente violenza da parte della polizia,
rimanendo tuttavia relegati a una dimensione scenografica rispetto
alla vicenda intimistica del protagonista, Izi, interpretato dal
rapper di origine giamaicana Kano, ovvero Kane Brett
Robinson, qui al suo primo ruolo da protagonista assoluto.
La trama rallenta quando nella vita di Izi, occupante tutt’altro
che entusiasta di The Kitchen e poco incline alla
solidarietà che gli altri abitanti cercano invece di portare
avanti, arriva un adolescente orfano, Benji, interpretato dal
convincente Jedaiah Bannerman, attore esordiente
scoperto attraverso le piattaforme social.
È a questo punto che il film quasi
si arresta completamente. Il giovane Benji è l’emblema di questa
sospensione, incapace di trovare un filo conduttore che possa
diventare per lui destino e posto nel mondo, diviso tra il
desiderio di stabilire una relazione padre-figlio e il richiamo
della banda di giovani di cui non condivide le modalità di rivolta
sociale ma che pure gli offrono un senso di appartenenza meno esile
del suo presunto padre.
Eppure il film ha avuto una
gestazione lunga otto anni: a raccontarlo è lo stesso
Daniel Kaluuya, autore del soggetto e co-autore della
sceneggiatura originale assieme a Joe Murtagh, che
ha dichiarato di aver maturato l’idea nella storica bottega del suo
barbiere di fiducia, portato anche sullo schermo nel ruolo di se
stesso.
Ma che cos’è davvero The Kitchen?
La scintilla nasce da una
conversazione su un gruppo di ragazzini che dopo aver rubato
gioielli per milioni di sterline si trovano a rivenderli per poche
centinaia di pounds. La visione dei poveri che restano poveri e la
perdita definitiva della capacità di assegnare e assegnarsi un
valore sono i temi che danno l’avvio al film per poi perdersi in
una dimensione privata che diluisce la stessa potenzialità
emozionale della storia: dimenticate il cappottino rosso di
Schlinder’s List, se volete visitare
‘The Kitchen‘ dovrete farlo da soli.
Ma che cos’è davvero The
Kitchen? Un laboratorio sociale dove si sceglie di
salvarsi insieme perché diventare l’uno destinazione dell’altro è
l’unica possibilità di sopravvivenza o l’ultimo rifugio di persone
disperate che come Izi attendono solo l’occasione giusta per
migrare verso una ‘Buena Vida’, come si chiamano i patinati
appartamenti messi a disposizione dal sistema per chi ne ha facoltà
economica?
Le vicende generali degli occupanti
del quartiere e quelle particolari dei protagonisti si alternano in
un costante gioco sfondo-figura che non arriva mai a compenetrarle
davvero l’una all’interno dell’altra se non per isolati touch
points che non bastano a segnare l’evoluzione narrativa dei
personaggi.
Si arricchisce il già nutrito cast
di The Kitchen, adattamento cinematografico del
noto fumetto di casa Vertigo prodotto dalla New
Line Cinema.
L’ultimo arrivato potrebbe essere
Domhnall Gleeson, attualmente in trattative
per ricoprire il ruolo del veterano del Vietnam Gabriel O’Malley al
fianco dei confermati Melissa McCarthy,
Elisabeth Moss, Tiffany Haddish,
e Margo Martindale.
Anche se
tratto da un fumetto DC/Vertigo, il film non farà parte del
DCEU. L’ambientazione rimane Hell’s Kitchen, nella
New York degli anni ’70, con il racconto di un gruppo di donne e
mogli di noti mafiosi irlandesi. Quando i loro mariti vengono
arrestati, le protagoniste prenderanno il comando delle azioni
criminali rivelandosi molto più spietate e violente di quanto lo
siano mai stati i loro coniugi.
La regia e la
sceneggiatura di The Kitchen sono state affidate a
Andrea Berloff (nominato all’oscar con
Straight Outta Compton), mentre le riprese inizieranno il
prossimo Maggio. L’uscita nelle sale invece è fissata al 20
settembre 2019.
The King’s Man – Le Origini, il
lungometraggio targato 20th Century Studios che rivela le origini
della prima agenzia di intelligence indipendente, arriverà il 29
dicembre nelle sale italiane, distribuito da The Walt Disney
Company Italia.
Quando i peggiori tiranni e menti
criminali della storia si riuniscono per organizzare una guerra per
spazzare via milioni di vite, un uomo dovrà correre contro il tempo
per fermarli.
Il film è prodotto da
Matthew Vaughn, David Reid e Adam
Bohling, mentre Mark Millar, Dave Gibbons, Stephen
Marks, Claudia Vaughn e Ralph Fiennes
sono i produttori esecutivi. The King’s Man – Le
Origini è basato sul fumetto “The Secret Service” di
Mark Millar e Dave Gibbons, il soggetto è di Matthew Vaughn e la
sceneggiatura è firmata dallo stesso Vaughn & Karl Gajdusek.
Dopo due avvincenti film,
la saga che vede protagonista l’agenzia segreta britannica per
gentiluomini si arricchisce di un nuovo capitolo che ci porta
indietro nel tempo, dove tutto è cominciato:
The King’s Man – Le Origini.
Matthew
Vaughn torna alla regia mentre il cast, per ovvie ragioni,
è rivoluzionato, ma comunque attinge dal meglio che il panorama
inglese ha da offrire:
Ralph Fiennes,
Gemma Arterton, Tom Hollander,
Djimon Hounsou,
Charles Dance e Harris Dickinson sono
solo alcuni dei nomi coinvolti in questa rivisitazione della Storia
europea prima e durante la Prima Guerra Mondiale che si prende sul
serio pur palesandosi senza timore come un pur prodotto di
intrattenimento.
La trama ufficiale di
The King’s Man – Le Originirecita: Quando
i peggiori tiranni e menti criminali della storia si riuniscono per
organizzare una guerra per spazzare via milioni di vite, un uomo
dovrà correre contro il tempo per fermarli. Il film rivela
la nascita della prima agenzia di intelligence indipendente. E in
realtà niente di più preciso poteva essere detto per raccontare,
senza spoiler, ciò che accade in due ore e 11 minuti di azione
mozzafiato.
Dopo
The Secret Service e Il Cerchio d’Oro, Matthew
Vaughn si risiede sulla sedia di regia, cambia registro,
si allontana dai toni scanzonati del fumetti di Mark
Millar da cui era partita la prima ispirazione del
franchise, si toglie di dosso insomma il punto di vista irriverente
del protagonista Eggsy/Taron Egerton, e indossa di
volta in volta quello di
Ralph Fiennes e Harris Dickinson, padre e figlio,
ultimi della gloriosa famiglia degli Oxford, nobili britannici
vicini alle più alte cariche dello Stato. Questo fa sì che i toni
di
The King’s Man – Le Originisiano molto
più solenni e seri, rispetto a quello che ci si poteva aspettare,
dati i film precedenti, e allo stesso tempo la storia gioca con la
Storia con la S maiuscola, quella che portò il Vecchio Continente a
diventare un campo di battaglia, con tre Imperi a scontrarsi e il
resto del mondo a pagarne le conseguenze.
Farsi beffe della
Storia
The King’s Man – Le Origini ri-racconta la Storia,
lo fa con totale sprezzo di ciò che è stato, sfruttando personaggi
realmente accaduti come pedine che, posizionate in un posto o
nell’altro, servono a portare avanti la sua trama, senza paura di
risultare blasfemo o fastidioso: Mata Hari, Rasputin, Lenin, Re
Giorgio V, Guglielmo II, Nicola II diventano materiale ditale nelle
mani dello stesso Vaughn e di Karl Gajdusek che
conducono la loro narrazione sfrontati e divertiti. Dopotutto la
fedeltà storica non spetta al cinema, eThe King’s Man –
Le Origini è puro cinema d’azione e di intrattenimento, ad uno
stadio così schietto e avanzato che non si può fare a meno di
volergli bene.
Un cast perfettamente a suo
agio
Troppo spesso ci si
dimentica che il cinema è anche intrattenimento e di fronte a film
così totalmente liberi di abbracciare questa loro natura spesso lo
spettatore si scopre diffidente, perché la Storia è andata
diversamente, perché questo o quel marchingegno non era ancora
stato inventato, perché balisticamente è impossibile che questo
soldato non sia morto, eppure
Ralph Fiennes,
Gemma Arterton,
Rhys Ifans, Matthew Goode,
Tom Hollander, Harris Dickinson,
Daniel Brühl,
Djimon Hounsou e
Charles Dance fanno un così ottimo lavoro che è facile
mettere a tacere ogni perplessità.
In particolare è
necessario citare lo straordinario lavoro di Tom
Hollander che, pur lavorando con personaggi volutamente
superficiali e macchiettisti, si cimenta con una tripla
interpretazione dei sovrani europei (è lui a dare corpo a Re
Giorgio V, Guglielmo II e Nicola II) conferendo ad ognuno una
proprio caratterizzazione fisica e una propria personalità, nonché
un proprio modo di parlare. La scelta del regista è stata quella di
sottolineare che i tre sovrani erano cugini, quindi somiglianti, e
così ha scelto lo stesso attore per tutti e tre. Hollander ha
sfruttato questa opportunità per mostrare le sue doti troppo spesso
al servizio di personaggi secondari. Anche
Rhys Ifans si fa valere con un look da Rasputin
spaventoso che accentua tutte le dicerie e le leggende che si
costruirono all’epoca e si tramandano tutti’oggi su questo santone
che ebbe il potere, si dice, di mettere in ginocchio l’Impero dello
zar.
Il cuore di questo
divertimento forsennato sono ovviamente le sequenze di lotta corpo
a corpo:
Ralph Fiennes forse non ci crede abbastanza, o almeno
non quanto ci credere Colin Firth nei panni di Harry, nei due film
originali, ma è comunque divertente vederlo alle prese con la spada
che combatte senza paura, che, in pieno stile Ottocentesco, ha al
suo fianco un servitore di altra etnia, fedele, letale e ironico
(Djimon
Hounsou). Pittoresca anche la sequenza in cui i nostri
eroi fronteggiano Rasputin, il cui stile di combattimento è
contaminato da passi di danza popolare, caratteristica che lascia
un po’ perplessi gli avversari, insieme all’estrema difficoltà
nell’uccidere il monaco russo.
Uno sfrontato divertissement
Sfacciato e irriverente,
The King’s Man – Le
Originisi allontana dai
toni che avevano fatto amare Kingsman: The Secret Service e sequel
per indossare un abito tutto suo, fatto di puro intrattenimento,
senza riguardo per la Storia, i personaggi storici e nemmeno per il
franchise, ma con l’unico obbiettivo, secondo chi scrive centrato
in pieno, di divertire lo spettatore.
Disney+ ha annunciato che il
film 20th Century Studios The King’s Man – Le Origini debutterà su
Star, all’interno di Disney+, nei mercati internazionali
selezionati e su Star+ in America Latina come indicato di
seguito:
9
febbraio: Gran Bretagna & Irlanda, Giappone,
Corea 23 febbraio: Germania, Svizzera, Austria,
Italia, Spagna, Norvegia, Svezia, Danimarca, Finlandia,
Portogallo, Belgio, Paesi Bassi, Australia, Nuova Zelanda, Taiwan,
Singapore, Hong Kong, Lussemburgo 2 marzo: America Latina
Negli Stati Uniti, The King’s Man – Le Origini debutterà su Hulu
il 18 febbraio. The King’s Man – Le Origini è il prequel
dei primi due film del franchise di Kingsman diretti da
Matthew Vaughn: Kingsman – Secret Service e Kingsman –
Il Cerchio d’Oro.
The King’s Man – Le Origini segue un uomo che
deve correre contro il tempo per fermare i peggiori tiranni e menti
criminali della storia che si riuniscono per organizzare una guerra
per spazzare via milioni di vite. The King’s Man – Le
Originirivela la nascita della
prima agenzia di intelligence indipendente.
Il film è prodotto da Matthew
Vaughn, David Reid e Adam Bohling, mentre Mark Millar, Dave
Gibbons, Stephen Marks, Claudia Vaughn e Ralph Fiennes sono i
produttori esecutivi. The King’s Man – Le Originiè
basato sul fumetto “The Secret Service” di Mark Millar e Dave
Gibbons, il soggetto è di Matthew Vaughn e la sceneggiatura è
firmata dallo stesso Vaughn & Karl Gajdusek.
L’ultimo documentario in tre parti
di Netflix,
The Kings of Tupelo: una saga criminale, è
l’affascinante storia di un uomo di nome Kevin Curtis, che
è stato arrestato dalle forze dell’ordine dopo aver presumibilmente
inviato una lettera contenente ricina al Presidente degli Stati
Uniti d’America. Una volta che le forze dell’ordine hanno iniziato
a indagare sulla vicenda, si sono rese conto che c’era molto di più
di quanto sembrasse. Scopriamo quindi cosa è successo nel
documentario di Netflix, chi ha inviato quelle lettere e se
alla fine è stato catturato o meno.
Come è diventato Kevin un
teorico della cospirazione?
In The Kings of Tupelo: una
saga criminale Kevin Curtis, residente a Tupelo, nel
Mississippi, faceva ogni sorta di lavori saltuari per mantenersi,
ma ciò che lo rese una figura popolare in città fu la sua
imitazione di Elvis Presley. Era il luogo di nascita di uno dei più
grandi artisti del suo tempo e ogni persona aveva la sua storia di
Elvis, che veniva tramandata di generazione in generazione. Anche
la madre di Kevin aveva incontrato Elvis una volta e, ancora oggi,
raccontava di quell’episodio e di come l’uomo le avesse detto
qualche parola con molto orgoglio e gioia infantile.
Kevin, da bambino, era vittima di
bullismo da parte di colleghi e anziani e la vita non era molto
facile per lui. Lentamente, però, trovò il suo scopo nella vita. Ha
iniziato a vestirsi come Elvis, a cantare agli eventi sociali e,
secondo le persone che lo hanno visto fare, era piuttosto bravo.
Anche il fratello di Kevin, Jack, era un imitatore di Elvis a tempo
parziale, ma nemmeno lui era bravo come Kevin. Kevin ha sempre
pensato che suo fratello fosse diventato un imitatore di Elvis solo
perché aveva visto il tipo di fama ottenuta dal fratello minore e,
in fondo, voleva raggiungere uno status simile.
Kevin iniziò a lavorare al North
Mississippi Medical Center come inserviente, e le cose andavano
bene finché, un giorno, gli fu chiesto dal suo superiore di pulire
l’obitorio. Kevin aprì il frigorifero e vi trovò teste mozzate
insieme ad altre parti del corpo. Kevin si entusiasmò e lo raccontò
ai suoi colleghi. In quel momento, Kevin non sospettava che
l’ospedale fosse colpevole, ma alla fine iniziò a formulare varie
teorie infondate sul coinvolgimento dell’ospedale nel traffico di
esseri umani. Le autorità dell’ospedale hanno scagionato tutti i
sospetti e hanno rilasciato una dichiarazione pubblica, affermando
di avere un accordo con l’Agenzia per il recupero degli organi del
Mississippi per donare gli organi alle persone bisognose.
Ma Kevin non si è fermato. Ha
creato diversi account sui social media e ha iniziato a scavare
nella questione. Ha fatto di tutto per dimostrare le sue
affermazioni, ma fino alla fine non è riuscito a trovare alcuna
prova a sostegno delle sue affermazioni. Ogni persona che si
opponeva a lui o che faceva qualcosa che lo infastidiva diventava
parte di quel fantomatico traffico di organi. Nello stesso periodo
in cui Kevin faceva tutte queste affermazioni, c’è stata una
notizia in cui un’organizzazione di trafficanti di organi è stata
arrestata dalle forze dell’ordine, ma non operava a Tupelo.
Tuttavia, Kevin riteneva che quell’incidente fosse la prova che
stava dicendo la verità, ma non aveva senso. Jack, il fratello di
Kevin, ha anche detto nel documentario che la mente di Kevin gli
giocava brutti scherzi e che l’uomo si creava problemi inutili.
Come è stato coinvolto Dutschke
nel caso della ricina?
Nel secondo episodio del
documentario The Kings of Tupelo: una saga
criminale, il nome di James Everett Dutschke è apparso per
la prima volta. La crociata individuale di Kevin Curtis per trovare
i responsabili del traffico di organi era diventata una seccatura
per tutta Tupelo. Sua moglie, Laura Curtis, aveva smesso di
parlargli e se n’era andata di casa con i figli. Anche il fratello
di Kevin, Jack, che gestiva un’agenzia di assicurazioni, iniziò a
sentirsi un po’ frustrato da ciò che stava facendo il fratello.
Kevin redasse un’intera risoluzione per il disegno di legge della
Camera e voleva che i politici locali la appoggiassero in modo che
diventasse una legge.
Ma ovviamente qualsiasi uomo
prudente sapeva che sarebbe stata la cosa più assurda che si
potesse fare. Ma Kevin non lo trovava insensato e, anzi, era molto
arrabbiato con Roger Wicker, il senatore, e Steve Holland, un
membro della Camera dei Rappresentanti, per non averlo appoggiato.
Anche Jim Johnson, lo sceriffo dell’epoca, fu messo al corrente
della questione e anche lui ritenne che Kevin si stesse solo
scavando la fossa. Steve Holland e sua madre, il giudice Sadie
Holland, possedevano tre delle più grandi imprese di pompe funebri
del Mississippi e Kevin era convinto che anche lui fosse coinvolto
nel traffico di organi, motivo per cui stava spingendo la legge in
Parlamento. Ma non era così, o almeno possiamo dire che non c’erano
prove che dimostrassero l’affermazione in qualsiasi momento.
Un giorno Sadie Holland ricevette
una lettera in cui era stata trovata una sostanza velenosa chiamata
ricina. Le autorità di polizia furono informate della questione e
sospettarono di Kevin a causa della sua rivalità di lunga data con
gli Holland. Anche Roger Wicker ricevette una lettera simile, ma la
questione divenne di dominio nazionale quando i servizi segreti
trovarono della ricina in una lettera inviata al Presidente Obama.
Kevin è stato preso in custodia in quanto principale sospettato, ma
il modo in cui ha reagito durante l’interrogatorio ha fatto credere
agli agenti investigativi che non potesse aver inviato quelle
lettere. Gli agenti hanno iniziato a chiedere ai conoscenti e ai
familiari di Kevin se avesse dei nemici, ed è stato allora che è
saltato fuori il nome di James Everett Dutschke. Dutschke era un
campione di karate e in passato aveva rappresentato gli Stati Uniti
d’America alle Olimpiadi.
Secondo The Kings of
Tupelo: una saga criminale, in seguito è stato
reclutato da persone misteriose e per i due anni successivi la sua
esistenza è stata cancellata dalla faccia della terra. Si può
ipotizzare che fosse coinvolto in qualche attività losca e
illegale, anche se non si sa quale fosse il suo ruolo e se avesse
commesso qualche reato grave durante quel periodo. L’uomo è
arrivato a Tupelo perché voleva trasferirsi in un posto
completamente nuovo, dove nessuno lo conosceva. Aprì lì il suo dojo
di karate e alla fine iniziò a lavorare per Jack in un’agenzia di
assicurazioni. Le cose si inasprirono tra Kevin e Dutschke quando
il primo venne a sapere della sua vicinanza alla moglie Laura.
Kevin era sicuro che entrambi avessero una relazione e a quel punto
perse letteralmente la testa.
James ha tentato di uccidere il
Presidente Obama?
Laura accettò il fatto di essere
infatuata di Dutschke, ma negò di avere una relazione con lui.
Kevin, come sempre, si è spinto all’estremo e ha fatto cose davvero
bizzarre per irritare Dutschke. Ha creato profili falsi in cui
fingeva di essere Dutschke. Ha preso tutte le foto di Dutschke e vi
ha inserito il proprio volto con un photoshopping. L’inferno si è
scatenato quando ha modificato la tessera del Mensa (la società ad
alto quoziente intellettivo di cui Dutschke era orgoglioso membro)
di Dutschke e vi ha inserito il proprio nome. Dutschke teneva molto
alla sua immagine nella società. Aveva anche concorso contro Steve
Holland alle elezioni del 2007 nel Distretto 15, nella Contea di
Lee. Steve Holland aveva vinto le elezioni e la sconfitta aveva
messo fine alla carriera politica di Dutschke. Oltre al caso della
ricina, Dutschke è stato scoperto ad aver commesso atti di
palpeggiamento con minorenni e le autorità hanno immediatamente
emesso un mandato di perquisizione. Grazie ai dati trovati sul
computer di Dutschke e agli oggetti recuperati dal suo cestino, è
emerso chiaramente che era stato Dutschke a produrre la ricina e a
metterla nelle lettere inviate a Wicker, Holland e Obama. Per molto
tempo Dutschke ha sostenuto di essere stato incastrato, ma poi, nel
2014, dopo una lunga battaglia legale, si è dichiarato colpevole ed
è stato condannato a 25 anni di carcere.
Alla fine del documentario
The Kings of Tupelo: una saga criminale c’è stato
un colpo di scena: dopo aver deciso di non abbandonarsi ad altre
teorie cospirazioniste, Kevin, ancora una volta, ha intrapreso un
percorso simile e si è lasciato affascinare dalla possibilità che
Dutschke fosse un agente della CIA. Ora, Kevin ha teorizzato che
probabilmente anche Dutschke era una vittima del sistema e non
c’era lui dietro le lettere di ricina inviate al Presidente.
Nessuna delle teorie avanzate da Kevin aveva un fondamento. Non è
stato in grado di dimostrare nemmeno una delle sue affermazioni.
Dutschke ha affermato di essere in possesso di alcuni file
finanziari che avrebbero potuto danneggiare la reputazione
dell’amministrazione Obama. Ha detto che anche dopo che gli è stato
detto che doveva cederli, non l’ha fatto.
Personalmente non so se ci sia
qualcosa di vero dietro, perché nulla è stato provato in tribunale,
ma non nego che c’erano alcune questioni in sospeso che facevano
pensare a qualcosa di sospetto. Per esempio, durante il processo
c’è stato un momento in cui Dutschke voleva ritirare la sua
dichiarazione di colpevolezza, ma poi, all’improvviso, ha cambiato
idea. Un altro fatto che mi sorprende è che un uomo che si vantava
di far parte del gruppo ad alto quoziente intellettivo abbia potuto
fare una cosa così folle. Voglio dire, inviare ricina al Presidente
significava mettersi nei guai. Se si fosse trattato solo di Sadie
Holland e di altri politici, probabilmente le agenzie non si
sarebbero interessate tanto alla cosa. Ma coinvolgere il Presidente
era un desiderio di morte. Non so se Dutschke avesse davvero
inviato quelle lettere o meno, ma non sembrava un uomo delirante o
avventato che potesse commettere un simile errore. È possibile che
sia stato incastrato e che alcuni politici di alto livello siano
stati coinvolti nella vicenda, ma il tribunale non lavora su
speculazioni e supposizioni. Resta il fatto che Dutschke si è
dichiarato colpevole e, al momento, sta ancora scontando la pena in
carcere.
Il regista Peter Berg si è negli
anni distinto per opere di grande intrattenimento, dove si mescola
grande azione a vicende il più delle volte realmente accadute.
Titoli come Lone Survivor, Deepwater – Inferno
sull’oceano e Boston – Caccia
all’uomo propongono esattamente queste due combinazioni,
offrendo dunque ritratti appassionanti e coinvolgenti dei fatti
realmente accaduti su cui tali opere si basano. Prima di questi,
nel 2007 Berg ha realizzato The Kingdom, il suo
quarto lungometraggio nonché il suo primo
thriller d’azione, incentrato su alcuni attentati terroristici
verificatisi in Arabia Saudita.
Scritto da Matthew Michael
Carnahan, sceneggiatore anche di Leoni per agnelli,
World War Z e City of Crime, il film non
è però del tutto basato su tali eventi, quanto piuttosto una libera
rielaborazione di quanto avvenuto e di quanto ne è seguito. Il
tutto ruota ad ogni modo intorno a situazioni particolarmente
delicate e ad altro rischio, che Berg ha saputo rendere
ulteriormente coinvolgenti grazie alle due doti da regista di
genere. Con il contributo di un cast di celebri attori
statunitensi, The Kingdom si è dunque affermato
come un valido prodotto dal buon successo.
Per quanto non siano mancate
critiche riguardo la rappresentazione che nel film viene fatta
degli arabi, raffigurati prevalentemente in modo negativo rispetto
ai personaggi americani, il film propone anche riflessioni che si
spingono al di là di una facile distinzione tra bene e male. In
questo articolo, approfondiamo dunque alcune curiosità relative a
The Kingdom. Proseguendo qui nella lettura sarà
possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama, al cast di attori e alla
storia vera a cui si ispira. Infine, si
elencheranno anche le piattaforme streaming
contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama di The
Kingdom e il cast di attori
Meglio partire sapendo qualcosa di
più sulla trama. The Kingdom ha per protagonista l’agente
FBIRonald Fleury e il suo team, composto
dall’ispettrice JanetMayes,
l’analista Adam Leavitt e l’artificiere
Grant Sykes. Il gruppo si deve recare a Riyadh,
nell’Arabia Saudita per individuare i responsabili dell’esplosione
di una bomba che ha fatto strage di civili, causando anche un
pericoloso incidente diplomatico. Circondati da un clima di
scetticismo e ostilità nei loro confronti, il gruppo trova un
alleato nel colonnello Faris Al-Ghazi, che
cercherà di aiutarli nella risoluzione del complesso caso.
Ad interpretare l’agente Ronald
Fleury vi è l’attore premio Oscar Jamie Foxx,
dichiaratosi affascinato sia dalla complessità del personaggio che
dalle implicazioni politiche presenti nella storia. Nel ruolo di
Janet Mayes vi è invece l’attrice Jennifer
Garner, la quale per via delle calde temperature si
trovò ad avere un mancamento sul set, cosa che fece naturalmente
fermare temporaneamente i lavori. Chris Cooper e
Jason Bateman
interpretano invece rispettivamente Grant Sykes e Adam Leavitt.
L’attore Ashraf Barhom è il colonnello Farsi
Al-Ghazi, mentre Richard Jenkins interpreta il
direttore dell’FBI James Grace, un ruolo inizialmente offerto a
Robert De
Niro.
La vera storia dietro al film
Come anticipato, il film è solo
liberamente ispirato ad alcuni eventi realmente accaduti e a
partire dai quali è stata costruita la base della storia poi
proposta nella pellicola. Questi sono i bombardamenti verificati
nel 1996 al complesso noto come Khobar Towers, i
due bombardamenti avvenuti nel 2003 nel complesso residenziale di
Riyadh, in Arabia Saudita e, infine, il massacro
avvenuto nel 2004 a Khobar, svoltosi tra due
industrie petrolifere e il vicino complesso residenziale. Il primo
di questi vide un camion bomba fatto esplodere adiacente
all’edificio n. 131, una struttura di otto piani che ospitava
membri dell’aeronautica degli Stati Uniti.
In tutto, 19 membri del personale
dell’aeronautica americana sono stati uccisi e 498 persone di varie
nazionalità sono rimaste feriti. Gli Stati Uniti indicarono come
responsabili i membri dell’organizzazione Hezbollah
Al-Hejaz, ritenendo poi l’Iran colpevole di aver altresì
organizzato l’attacco. Per quanto riguarda gli eventi del 2003,
invece, le bombe fatte esplodere e che hanno causato 39 morti e
circa 160 feriti, sono state attribuite agli estremisti islamici, i
quali portavano avanti una campagna contro l’occidente e contro la
guerra del Golfo portata avanti dagli Stati Uniti.
L’ultimo attacco a cui il film si
ispira è infine il massacro verificatosi nell’arco di 25 ore tra il
29 e il 30 maggio 2004. Durante questo, uomini armati dichiaratisi
membri di un gruppo chiamato “The Jerusalem Squadron” hanno ucciso
22 persone e ne hanno ferite 25. I loro obiettivi erano l’edificio
della Arab Petroleum Investments Corporation e l’Al-Khobar
Petroleum Center, nonché un complesso residenziale per lavoratori
stranieri, l’Oasis Compound, nella città del Golfo di Khobar.
Ad essere uccisi sono stati ostaggi
non di fede mussulmana, mentre quelli appartenenti ad essa venivano
rilasciati. Tra le persone uccise, figura anche un italiano. I
terroristi sono infine stati eliminati e gli ostaggi ancora in vita
liberati. Questi tre eventi sono dunque serviti come spunto per il
racconto del film, incentrato proprio su problematiche simili. Il
racconto proposto, però, si discosta volutamente da una
rappresentazione in tutto e per tutto fedele, così da far emergere
ulteriormente una serie di temi e riflessioni riguardo al tema
trattato.
Il trailer di The
Kingdom e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di The
Kingdom grazie alla sua presenza su alcune delle più
popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è
infatti disponibile nei cataloghi di Prime Video e Apple TV.
Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento,
basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento
generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al
meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel
palinsesto televisivo di mercoledì 3 luglio alle
ore 21:00 sul canale 20
Mediaset.
Avevamo già potuto vedere il
trailer di The Kingdom of Dreams and
Madness, documentario di Sunada
Mami(Ending Note) dedicato allo
Studio Ghibli, quasi un anno fa, ma senza poter
capire granchè data la lingua giapponese. Ora è stato pubblicato
online il trailer sottotitolato in inglese, pronto per il mercato
statunitense. Ve lo mostriamo:
TheKingdomofDreamsandMadnessè incentrato su Hayao
Miyazaki, Toshio Suzuki e Isao Takahata, ovvero i tre
co-fondatori dello studio,seguendoli durante le fasi di
progettazione e lavorazione di Kaze
Tachinu(The WInd Rises)
eKaguya-hime no
Monogatari(The Tale of Orincess
Kaguya).
Sunada Mami ha ricevuto inoltre i
complimenti dallo studio Ghibli per essere stata praticamente un
fantasma che non ha minimamente fatto sentire o pesare la sua
presenza mentre lo staff dello studio era al lavoro sulle opere
sopraccitate.
Nei regni catturati dalla nostra
fantasia, le porte non si chiudono mai del tutto. Basta
un’intuizione, un appiglio per drammatizzare un’inquietudine
sotterrata nei meandri del subconoscio o, nel caso di Lars
Von Trier, di un’inquietante ospedale. Dopo un quarto di
secolo, il regista danese è tornato fuori concorso a
Venezia 79 con The Kingdom Exodus,
che costituisce la terza e conclusiva stagione della celebre
miniserie del regista divisa in due parti, The
Kingdom (2004) e The Kingdom 2 (2007).
Von Trier è pronto a scatenare ancora una volta l’inferno
sull’ospedale Riget, in cui ci aveva condotti per la prima volta
nel 1994, cercando di replicare su schermo quello che David
Lynch aveva fatto con Twin
Peaks: ricalibrare le redini della narrazione seriale,
avvicinarle al concetto di visione cinematografica, che sedimenta
grazie a un uso inedito della suspense e del suo ben noto humor
nordico.
Oltre alla protagonista
Bodil Jorgensen, il cast di The Kingdom
Exodus comprende Lars Mikkelsen,
Nikolaj Lie Kaas, Mikael
Persbrandt, Ghita Nørby, Nicolas
Bro, SørenPilmark,
Peter Mygind, Laura Christensen,
Udo Kier, Tuva Novotny e
David Dencik. Alexander Skarsgård figura invece come guest
star. I cinque episodi di The Kingdom Exodus
verranno distribuiti su Mubi.
La trama di The Kingdom
Exodus
Un enorme organismo di carne e
sangue si è materializzato nelle stanze e nei corridoi di
The Kingdom. In una notte buia e tempestosa, la
sonnambula Karen intuisce che qualcosa non va e si
reca al Regno per cercare delle risposte. Al suo arrivo, scopre che
l’ospedale sta soffrendo e che lei è l’unica che può liberare il
Regno dal suo tormento. Nle mentre, il medico svedese Helmer Junior
è stato assunto da poco nell’ospedale e, ben presto, inizia a
percepire un atteggiamento denigratorio da parte dei colleghi
danesi. Essendo svedese, si impunta e lancia nuovi approcci in
reparto, come la totale neutralità di genere, che ha conseguenze
quasi fatali tra lo staff. Ma il male incombe sull’ospedale,
qualcosa di incontrovertibile sta per accadere: l’Exodus.
È ora che gli spiriti che circondano l’ospedale vengano divisi in
chiari e scuri, e che il cancello venga localizzato e aperto. È ora
che l’aria debba essere liberata dal grande gregge che non dorme
mai.
Prendete Scrubs,
celebre successo seriale con Zach Braff
protagonista, e conditelo del grottesco: Riget
Exodus inizia con un’esilarante battuta e, per tutte le
sue cinque ore di durata, continuerà a ironizzare sulla negligenza
del personale dell’ospedale, sul concetto di autorità e
subordinazione, incapsulando il tutto in una strampalata
rivistazione di quella che una volta era la soap opera di prima
serata. Certo, la fruizione dei programmi televisivi è
completamente cambiata, ma Von Trier – e
soprattutto il direttore della fotografia Manuel Alberto
Claro – cercano di riportare lo spettatore indietro nel
tempo, abbracciando il seppia come accompagnamento cromatico di uno
stato dell’essere che descrive tanto i personaggi che abitano il
primo livello di realtà dell’ospedale Riget, quanto i fantasmi del
passato, a cui la signora Karen (Bodil
Jørgensen) cerca in qualsiasi modo di riconnettersi.
Un’ospedale che è anche casa
Karen ha dei conti
in sospeso non solo con il Riget, ma anche con
Von Trier stesso: il suo personaggio è
l’estensione del disappunto dei fan della serie, che hanno dovuto
attendere 25 anni per poter intraprendere di nuovo questo percorso
luciferino. In realtà, perfino Von Trier e il
co-sceneggiatore Niels Vørsel avevano supposto la
futura ideazione di una terza e ultima parte di The
Kingdom, che si configura anche come metaforico successore
del delirante La Casa di Jack (2018). Più esistenze
confluiscono nella trappola narrativa di Von
Trier, specchio in realtà di anime costrette nel
simbolisco incessante, nella raffigurazione distorta del male che
dilaga e che preannuncia conseguenze di natura cosmica per il
Riget.
Tempi morti lunghissimi, improvvisi
cambi di tono e cumuli di informazioni vertiginose, un costante
senso di terrore: forse la vecchia magia del Riget
non risuona forte tanto quanto negli anni ’90, ma con The
Kingdom Exodus Lars Von Trier ci conferma che la
variopinta galleria di vecchi furfanti dell’ospedale può ancora
coinvolgerci e che, forse, la casa che Jack voleva tanto costruire
è stata completata.
Timothée Chalamet
è il protagonista della prima immagine ufficiale di The
King, il film che sarà presentato a Venezia
76 nella selezione del Fuori
Concorso. Il film è diretto da David Michôd ed è l’adattamento
di Enrico IV, Parte prima e Parte seconda ed Enrico V.
La sceneggiatura è stata firmata da
Michôd e Joel Edgerton e racconta dell’ascesa al
potere del giovane Enrico V (Chalamet) alla morte del padre, quando
si trova ad affrontare tumulti e tensioni politiche all’interno del
suo Regno. Nel cast Edgerton interpreta Sir John
Falstaff, Robert Pattinson è Luigi Delfino del
Viennois, Ben Mendelsohn è Enrico IV, Sean
Harris è Michael Williams, Lily-Rose Depp è Caterina di Valois,
Thomasin McKenzie è Philippa d’Inghilterra.
Il film verrà distribuito da
Netflix nei prossimi mesi.
La prima immagine di The King
The King – Steven Elder, Timothée Chalamet, Sean Harris – Photo
Credit: Netflix
The King è una
libera rilettura di una delle tante opere di William
Shakespeare, l’Enrico V. È un film con un cast di
attori giovanissimi, tra i quali spicca per bravura e intensità
Timothée Chalamet.
In The King la
storia è quella inventata dal Bardo elisabettiano, che come un
arcaico Tarantino si dilettava nel comporre poesia
cruenta, fatta di girandole d’intrighi, lotte di potere, inganni,
violenza e sangue. Il protagonista è Hal, principe
d’Inghilterra ed Erede al trono, ma ribelle per sua natura e
contrario al modo di governare dell’ingiusto padre. I dissidi con
il genitore lo hanno portato lontano dalla corte, a vivere nel
borgo insieme alla povera gente. Quando il padre muore,
Hal viene incoronato Re d’Inghilterra, prendendo il posto
del fratello ucciso in battaglia. Il suo nome da sovrano è
Enrico V. Inizia per lui una dura lotta per difendersi da
tranelli e tradimenti che lo trascineranno a entrare in guerra con
la Francia. Unico fidato amico è un burbero cavaliere di nome
Falstaff.
The King, il film
Il cinema ci ha abituato ormai a
continue riletture dei drammi shakespeariani, con risultati
originali e magnificamente riusciti, come il
Macbeth di Roman Polanski,
The Tempest di Derek Jarman, o
Romeo+Giulietta di Baz Luhrmann,
o ancora Titus di Julie Taymor,
ma non mancano progetti discutibili, che certamente non meritano di
essere ricordati. The King si pone tra le
trasposizioni oneste e ben condotte, senza abbondare con
l’originalità o le invenzioni, rimanendo saldamente ancorato a una
messinscena storicamente credibile e ai limiti della ricostruzione
storica, se non per qualche modernizzazione di costume e taglio di
capelli. La trovata originale e vincente consiste nell’abbassare
l’età ai protagonisti della sanguinosa vicenda, rendendo
filologicamente giusta la durata della vita a quei tempi e
attualizzando il gioco di potere tra ragazzi poco più che
adolescenti.
Nonostante la grandezza dei mezzi
produttivi, molte sequenze di battaglia risultano contenute, così
come appaiono poco credibili alcune decisioni strategiche. Ma
probabilmente si tratta di soluzioni adatte al palcoscenico
teatrale, presenti nel canovaccio originale barocco, che una volta
trasportate in un contesto cinematografico stentano a mantenere una
giusta coerenza.
I personaggi sono ben dipinti, dai
protagonisti fino alle tante comparse. Timothée Chalamet è perfetto nel ruolo di un
giovanissimo Enrico V, con il suo piglio orgoglioso, il
suo sguardo sincero e la sua energica foga di combattere,
nonostante la sua stazza gracile e inadatta al pugnare. Non basta
una cotta di maglia e un’armatura a renderlo un feroce cavaliere
pronto a uccidere, ma è proprio questa la forza dirompente del suo
personaggio. Anche Joel Edgerton, tra l’altro sceneggiatore del
film, è a suo completo agio con spade e asce, facendo da robusto e
maturo contraltare al piccolo Re. Lily-Rose Depp ha un ruolo piccolo ma
determinante nello svolgimento finale della storia. Con poche
inquadrature e battute fondamentali riesce a imporre la sua bravura
e a rimanere impressa nella memoria.
Nel ripercorrere liberamente i
versi di Shakespeare, con The King,David Michôd costruisce The King,
un film che regala una riflessione profonda sulla brama di potere e
sulla guerra, magnificamente interpretato da un manipolo di attori
giovanissimi e godibile anche da chi non andrebbe mai a teatro per
assistere a un sanguigno dramma elisabettiano.