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Venezia 74: la metamorfosi di Jim Carrey in Andy Kaufman nel documentario di Chris Smith

Tra gli ospiti internazionali di Venezia 74, il 5 settembre è anche il giorno di Jim Carrey, che porta al Lido il documentario Jim & Andy: the great beyond – The story of Jim Carrey & Andy Kaufman with a very special, contractually obligated mention of Tony Clifton.

Il titolo del film, diretto da Chris Smith, è una raccolta di filmati di repertorio girati sul set di Man on the Moon, il biopic di Milos Forman in cui Carrey ha interpretato Andy Kaufman.

Il progetto, nato per volere dell’attore, mostra un processo di mimesi nel personaggio incredibile, un’immersione totale in quello che era Andy Kaufman, considerato un vero e proprio spirito guida da Carrey stesso.

Per Jim, il documentario è utilissimo per spiegare il suo lavoro, per mostrare al pubblico che non esistono solo le sue faccette nei personaggi, ma anche ogni suo lavoro ha dietro un’anima, una costruzione. “Ogni singolo e più sciocco aspetto del mio lavoro ha un senso ed è molto gratificante che Chris (regista) abbia visto qualcosa in questi filmati, qualcosa di totale.”

Per quanto riguarda la sua preparazione per il ruolo di Kaufman, Carrey ha spiegato: “Era un altro livello di dedizione, psicotica. C’era una grande sceneggiatura su cui basarsi.”

I filmati erano custoditi da Jim in persona, da quasi 20 anni, e lui stesso ha voluto costruirci una storia: “Il vero autore del progetto è Andy, il fatto che era così impegnato, così dedito in quello che faceva, ha reso tutto possibile e mi ha permesso di perdermi in Andy. In questo modo sento di non aver interpretato il personaggio, ma che il film l’abbia fatto davvero lui. Quello che pensavo era che Andy sarebbe tornato a vivere con questo film.”

In merito alla sua personalità esuberante e all’aiuto che questo ha rappresentato nella costruzione della sua carriera, Jim Carey ha detto: “Sento che la mia personalità è stata tutto per me all’inizio di questo incredibile viaggio. Poi ho cominciato a capire che anche io che interpretavo un personaggio ero un personaggio, e questo ha cambiato le cose. Non esiste un me, un io, un mio, ma solo energia e alcuni limiti che ci danno delle indicazioni per cercare di costruire una personalità intorno a noi: la nazionalità, le relazioni. Ma non è quello che siamo, noi non siamo niente, ed è un fottuto sollievo.”

Parlando ancora della sua maschera di comico, il protagonista di The Thruman Show ha detto: “Lo dico nella città delle maschere (Venezia), tutti indossano una maschera e quando qualcuno non lo fa, si comporta con sincerità, diventa molto difficile per chi invece la indossa, continuare con la sua maschera”.

Leatherface: il trailer green band italiano

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Leatherface: il trailer green band italiano

La M2Picture ha diffuso un nuovo green band trailer Leatherface, il film horror appartenente al franchise di Non aprite quella porta, diretto da  Alexandre Bustillo Julien Maury. Nel cast Stephen Dorff, Lili Taylor, Sam Strike e Finn Jones.

Leatherface è l’horror che racconta le origini di una delle figure più terrificanti del cinema, Leatherface appunto o, come meglio lo conosce il pubblico italiano, Faccia di cuoio, protagonista sadico e crudele della saga cinematografica cult Non aprite quella porta.

Leatherface non è un remake o un rehash di Non aprite quella porta ma è una storia originale, un altro tipo di racconto horror, che indaga sull’origine della saga e scava alle radici della nascita del suo iconografico personaggio con una narrazione quasi lirica.

Il film, molto crudo e violento, vuole raccontare attraverso sfumature viscerali, una componente emotiva appassionante, una dimensione di rapporti complessa e forte, le implicazioni psicologiche che hanno portato un ragazzo particolarmente fragile a compiere atti di efferata brutalità diventando il mostro che tutti noi conosciamo.

Leatherface, che vede il coinvolgimento diretto di Hooper in qualità di produttore esecutivo, è diretto da un duo di registi francesi composto da Alexandre Bustillo e Julien Maury che hanno ottenuto un notevole successo di critica con l’horror Inside. Il cast è formato da un gruppo di giovani talenti tra cui Finn Jones, il Loras Tyrell de Il Trono di Spade, e guidato da due attori di grande esperienza e notorietà come Lili Taylor (Maze Runner: La Fuga) e Stephen Dorff (Somewhere).

Leatherface trama

Quattro adolescenti violenti, scappati da un ospedale psichiatrico, rapiscono una giovane infermiera e la portano con loro in un viaggio all’inferno inseguiti da un poliziotto altrettanto squilibrato in cerca di vendetta. Uno dei ragazzi è destinato a vivere eventi tragici e una serie di orrori che distruggeranno la sua mente per sempre trasformandolo in un mostro noto come Leatherface, o Faccia di cuoio.

L’uomo di neve: nuovo trailer del film con Michael Fassbender

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L’uomo di neve: nuovo trailer del film con Michael Fassbender

Universal Pictures International Italy ha diffuso il nuovo trailer italiano di L’Uomo di Neve, il film che vede protagonista Michael Fassbender nell’adattamento del bestseller di Jo Nesbø e diretto da Tomas Alfredson.

Nel cast del film Michael Fassbender, Rebecca Ferguson, Charlotte GainsbourgJ.K. Simmons.

The Snowman è il nuovo film del regista de La Talpa dove protagonista è Michael Fassbender e adattamento del best seller internazionale L’uomo di neve Nesbø. Il primo promo del film mostra un’opera a metà strada tra Lasciami entrare (opera prima del regista) e La Talpa (spy-story). Tra neve, freddo e dannazione, Michael Fassbender interpreta un detective a capo di una squadra speciale che segue con poco successo le tracce di uno spietato serial killer.  Con l’aiuto di una giovane e brillante recluta, Fassbender dovrà legare assieme casi irrisolti vecchi di decenni con questo nuovo e brutale, della speranza di riuscire a smascherare il killer prima della prossima nevicata

Dalle prime immagini viste, il film si presenta come un puro concentrato di tensione e dramma mostrando tutto il talento visionario di Alfredson, che ritorna a dispiegare i suoi movimenti di macchina e la sua fotografia fra scenari innevati, sangue e morti misteriose.

Come nella storia originale al centro del promo mostrato c’è la figura del Detective e il suo personale duello con il serial killer in quello che sembra essere un perfetto thriller giallo che incuriosirà gli appassionati del genere. Tutti questi elementi visti nel promo inedito rendono The Snowman uno dei titoli più attesi dell’autunno.

Mother! recensione del film con Jennifer Lawrence

Mother! recensione del film con Jennifer Lawrence

Darren Aronofsky, autore di Requiem for a Dream (2000), The Wrestler (2008) e Il Cigno Nero (2010) porta alla Mostra del Cinema di Venezia la sua nuova opera folle, delirante, disturbante: Mother! (Madre!). Una violenta riflessione psicotica sulla maternità, sulla creazione, ma anche sull’indifferenza e sull’ego personale.

In Mother! (Madre!) una coppia vive una vita apparentemente noiosa e tranquilla, anche se fin dall’inizio si percepisce qualcosa di tragico, forse avvenuto in passato. Lui (Javier Bardem) è uno scrittore impegnato nella difficoltosa stesura del suo nuovo romanzo, mentre lei (Jennifer Lawrence) si dedica con devozione quasi paranoica al restauro della mastodontica casa. Vivono in un’antica villa coloniale, isolata nel nulla e immersa in una natura apparentemente addomesticata ma pronta a riappropriarsi della radura in cui è stato costruito l’edificio.

Mother!, il film

Jennifer Lawrence in Madre! (2017)

I due hanno evidenti problemi di coppia, cosa certamente non aiutata dal loro volontario isolamento. Ma una sera arriva un ospite inatteso, poi sua moglie, i suoi figli, in un turbine di accadimenti che sfuggiranno completamente da ogni controllo e razionalità.

In partenza la storia contiene tutti gli stereotipi ormai abusati di certi meccanismi tipici del cinema di genere: la casa minacciosa persa nel nulla che cela segreti spaventosi, la coppia in difficoltà, lo scrittore in crisi alle prese con la sua nuova creatura. L’ospite inatteso apparentemente tranquillo e sornione. Poi tutto precipita. Quello che sembrava avviarsi verso l’ennesimo copione visto un’infinità di volte diventa invece un turbine di eventi inaspettati, sempre più violenti, dirompenti, lontani da ogni logica.

Mother! È un film che non può essere affrontato serenamente, la sua visione pone lo spettatore in uno stato d’ansia quasi insostenibile, fin dai primi fotogrammi. Mother! non è racconto, non è storia. Mother! è un’allucinazione continua a occhi aperti, un delirio in costante evoluzione, uno sconvolgente groviglio criptico che cattura, o meglio che sbrana il pubblico, lasciandolo atterrito, sfinito, sanguinante.

Mother! è una parabola, una fiaba metaforica che ha come valore iniziatico il far capire come la troppa considerazione di se stessi, senza voler guardare a tutto ciò che ci accade intorno, possa portare solamente all’annullamento all’autodistruzione. E a nulla vale il crogiolarsi effimero della procreazione o peggio del gioire del creato del proprio intelletto, perché giocare a fare il demiurgo può rivelarsi molto pericoloso, catastrofico.

Javier Bardem e Jennifer Lawrence in Madre! (2017)

Jennifer LawrenceJavier Bardem sono così fastidiosi da risultare perfetti. E anche gli altri personaggi di questa baraonda surreale spiazzano per crudeltà cinismo e naturalezza. Sorprendono per come riescono a spogliarsi nel giro di poche scene di quell’apparente tranquillità con cui si erano presentati. Quando gettano la maschera divengono terrificanti, si mostrano come il doppelganger dell’uomo comune, del vicino di casa, dei nostri familiari.

In Mother! si avvertono innegabilmente gli echi polanskiani di Rosemary Baby, completamente spogliati però di quel barlume di grottesco che caratterizzava quel capolavoro. Si potrebbero ravvisare anche vicinanze con il Lars Von Trier di Antichrist, ma in realtà c’è tanto Darren Aronofsky, quell’Aronofsky degli esordi, quello di π – Il teorema del delirio (1998).

Tre manifesti a Ebbing, Missouri: recensione del film con Frances McDormand

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Arrivato direttamente a una nomination agli Oscar con la sua opera prima (In Bruges, nominato per la migliore sceneggiatura originale), Martin McDonagh si presenta al suo pubblico con il suo terzo lungometraggio, Tre manifesti a Ebbing, Missouri scritto e diretto da lui, secondo abitudine.

In Tre manifesti a Ebbing, Missouri la figlia adolescente di Mildred viene rapita, violentata e uccisa, e dopo sei mesi dall’accaduto la polizia sembra aver smesso di cercare il colpevole. Esasperata dalla sua sofferenza e dall’esigenza di giustizia per il destino di sua figlia, Mildred affitta tre grandi spazi pubblicitari fuori città su cui fa scrivere delle frasi che, con chiaro riferimento alla tragica sorte della figlia, si rivolgono alla polizia locale e allo sceriffo in particolare. Perché nessuno è stato ancora arrestato? L’evento non sarà chiaramente privo di conseguenze e lo spettatore viene catapultato in un intreccio di umanità dolente, in cui ognuno anela alla sua serenità.

Tre manifesti a Ebbing, Missouri è stato presentato a Venezia 74 e ha riscosso un successo davvero notevole, diventando in breve tempo il film con la migliore accoglienza al Lido. Basato prevalentemente sui personaggi, la storia mescola a intenzioni narrative elementari i grandi sentimenti che animano la parte più viscerale di ogni uomo e donna: la paura, la sofferenza, la rabbia, ma anche la capacità di perdonarsi e perdonare, l’amore nella sua forma più violenta, l’accettazione. Lungi dal realizzare un ritratto stereotipato di una cittadina americana tipo, Martin McDonagh si avvale di un racconto scarno ed essenziale per diramare il suo sguardo su tre perni principali, costruiti dai tre protagonisti: Frances McDormand, Sam Rockwell e Woody Harrelson.

Attori di sopraffino talento, portano in scena dei ruoli complessi e stratificati, proprio perché mutevoli nel corso della storia. La redenzione, il sollievo, la giustizia (che a un certo punto diventa pericolosamente simile alla vendetta): McDonagh fa tendere i suoi personaggi verso mete apparentemente irraggiungibili, che esigono il passaggio attraverso i luoghi più bui dell’anima, e può farlo soltanto grazie alla totale dedizione dei suoi attori ai ruoli che ha scritto per loro.

Nonostante l’estrema durezza di alcune situazioni messe in gioco, Tre manifesti a Ebbing, Missouri è di una commovente delicatezza nel raccontare anche le fragilità di anime in pena, facendolo continuamente attraverso i toni sardonici e i confronti spietati di umanità allo stadio primordiale.

Abituati alla sua commedia nera, gli spettatori saranno spiazzati da un racconto di profondità e dolore insoliti per il regista di origini irlandesi che, pur giocando sempre con la vita e la morte, si prendeva meno sul serio. Eppure, nonostante i pericoli nascosti dietro alla serietà del racconto, McDonagh si conferma un grandissimo costruttore di caratteri, strutturati, seguendo quello che potremmo definire un realismo magico che li rende da una parte concreti essere umani con colpe, difetti e allo stesso tempo capaci di grandi meraviglie, dall’altra mette in piedi lo spettacolo della “surrealtà” che con ironia e divertimento si insinua in ogni singola battuta, nelle espressioni stanche della McDormand, nelle facce concilianti di Harrelson, perfino nel tormento fumantino del personaggio di Sam Rockwell.

La solida sceneggiatura di Tre manifesti a Ebbing, Missouri gli conferisce una potenza espressiva difficilmente rintracciabile nel cinema contemporaneo, giocando su sguardi, silenzi, complicità, alla ricerca del meglio dell’essere umano, prendendo atto del peggio, eppure perdonandolo.

Una famiglia: recensione del film di Sebastiano Riso #Venezia74

Una famiglia: recensione del film di Sebastiano Riso #Venezia74

Una famiglia è il secondo lungometraggio di Sebastiano Riso, dopo Più buio di mezzanotte (2014). Il tema centrale della vicenda è il mercato sommerso di neonati che vengono venduti dalle madri naturali a genitori adottivi compiacenti e privi di scrupoli, che pur di avere un figlio sono disposti a pagare, ignorando le conseguenze che spesso tale gesto impulsivo ed egoista può comportare.

Vincent e Maria sono una coppia che vive modestamente e regolarmente genera e cede i propri figli in cambio di cospicue somme di denaro. Vivono isolati, in un quartiere popolare di Roma, senza amici e lontano dalle proprie famiglie, con le quali hanno tagliato i legami da molto tempo. Lui in particolare, nato e cresciuto vicino Parigi, sembra essersi gettato alle spalle un passato che vorrebbe dimenticare. Apparentemente sembrano affiatati e innamorati, ma è solo una scorza di superficie, che cela il grande dolore di Maria per la continua costrizione a cui è costretta da Vincent. Arrivata all’ennesima compravendita cercherà di opporsi, nel desiderio di poter avere finalmente una famiglia sua.

venezia 74Una scritta iniziale informa che la vicenda è ispirata a storie vere e purtroppo sabbiamo bene che un tipo di mercato così bieco e spietato esiste, ma nel film, nonostante l’approccio registico volutamente spietato, freddo e di taglio molto realistico, la vicenda risulta assai poco credibile e pian piano che si va avanti si fa grande fatica accettare quello che viene raccontato. Viene naturale porsi domande o esigere delle spiegazioni. Manca completamente una descrizione del fenomeno e la terribile compravendita viene rappresentata solo attraverso poche figure: un medico, un’intermediaria e la coppia in questione. Si sente la necessità di conoscere gli spietati meccanismi di tale mercato e capire quali sono le figure che si muovono nelle sue file, molto numerose e sicuramente vicine ad altre forme di criminalità. Probabilmente si tratta di vere e proprie organizzazioni, ma nel film la vendita sembra procedere in maniera autonoma, come si farebbe per un’automobile usata. Probabilmente l’intento del regista era quello di concentrarsi sull’aspetto emotivo e interiore di scelte così estreme e questo viene avvertito, ma quando si fa riferimento a tematiche reali, oltretutto poco trattate, sarebbe doveroso cercare di indagare, di informare, di sensibilizzare.

Una famiglia ha grandi ambizioni, ma cade miseramente per estrema superficialità. Oltretutto la storia non è sorretta da un adeguata interpretazione degli attori. I protagonisti Patrick Bruel e Micaela Ramazzotti, risultano forzati, caricati e portatori di battute il più delle volte artificiose e didascaliche. Tutti gli altri personaggi, in numerosi casi inutili o meramente di servizio, sono ridotti a una vera e propria macchietta, come nel caso della coppia omosessuale che decide di comprare il figlio che ha sempre desiderato, o il mercante d’armi, o ancora la nuova candidata alla turpe attività.

La fotografia è fredda,  stanca, solamente di supporto tecnico, così come la musica. Anche il lavoro di scenografia e di ambientazione, non rende giustizia alla città di Roma, al suo sottobosco di storie ai margini e di infiniti traffici illeciti. Non basta Ponte Casilino, la Tangenziale, un pontile di Ostia, per dare un idea di tutto questo e oltretutto, quanto mostrato in esterno, stona incredibilmente con gli arredi e i colori ricreati in interno, contribuendo ancora di più a trasmettere una sensazione di straniante finzione.

Big in Japan: di cannibali e whiskey dalla terra del Sol Levante

Big in Japan: di cannibali e whiskey dalla terra del Sol Levante

In questi giorni qui al Lido non si capisce più niente. Ti alzi la mattina e vedi un sole stupendo, così decidi finalmente di mettere quei vestiti moda mare Positano che ti eri portata e non vedevi l’ora di indossare. Appena entri in sala però inizia la crioterapia, ma tu ormai dopo anni di Mostra, sai benissimo cosa devi fare. Quindi tiri fuori dalla borsa un piumone, i paraorecchie e la cuffietta, fai il gesto dell’ombrello agli omini che lavorano in sala e che hai ammorbato per anni sulla temperatura interna e ti godi il film. Alla fine, mentre riponi tutto, prendi gli occhiali da sole ed esci dalla sala in tenuta estiva inizi a capire che il meteo, qui, non esiste. E infatti tira un vento gelido che tu ti chiedi se in sala ce sei davvero stata solo 105 minuti, giusto il tempo di conoscere quell’uomo demmerda protagonista dell’ultimo film di Sebastiano Riso, o ce sei stata 4 mesi. Forse è Natale. Cerco un caldarrostaio ma trovo solo file, file ovunque. File per fa pipì, file per entrare al bar, file per passare da un lato all’altro. Perché ormai siamo in modalità controlli. E se passi settordici volte dallo stesso posto comunque te devono ricontrollà. Che io ormai passo e dico ai tizi dei controlli ‘ciao Mimmo!’, ‘Ciao Giulio!’, ‘Ciao Marinelli!’, e loro me rispondono ‘pure oggi te sei portata tre bustine di oki o una l’hai presa?’. Ieri non trovavo un mazzo di chiavi, volevo chiamarli per chiedergli se si ricordavano se erano nella borsa blu o rossa. Va bene. Ieri sera c’è stato il premio Kineo, una roba piena di Vip e Star tipo Claudia Cardinale e Susan Sarandon, che in verità, se la vedi nei selfie che si sono fatti con lei certi colleghi e che girano su facebook ha la costante espressione di chi ammazzerebbe volentieri qualcuno, compresa sé stessa. Ci eravamo preparati, soprattutto le femminucce, e così ci siamo vestite in lungo come delle autentiche star. Peccato che dopo una giornata di sole, s’è messo a scrosciare che manco in Noah di Aronofsky (che aspettiamo per domani con il nuovo Mother. Vediamo se se mette a piove quando arriva lui, eh), per cui – a non prima che un giapponese mi si avvicinasse e mi chiedesse se glie vendevo una sigaretta (tranquilli gliel’ho regalata, già è giapponese e c’ha i problemi suoi di dimensioni) – siamo scappate a casa. In abito da sera, abbiamo cenato tra di noi, e ci sta. Perché nonostante le cose belle, i film di Virzì, i cocktail alla grappa, gli spritz che non si sa perché ma a me e Chiara ci offrono anche perfetti sconosciuti (chissà perché), una serata casalinga tra amici è quasi un miracolo. Poi se c’è il whisky giapponese, ancora meglio, in quel caso le dimensioni non sono importanti.

A proposito di giapponesi. Ieri sera ero un po’ stanchino e volevo andare a letto presto, così ho cercato una pellicola serale gentile e di breve durata che conciliasse il sonno. Caniba, documentario di Verena Paravel e Lucien Castaing-Taylor è sostanzialmente una lunga intervista a Issei Sagawa, un simpaticone nipponico amante della cucina francese, che nel 1986 alla Sorbona uccise brutalmente e mangiò una sua compagna di classe (francese) dal culotto prosperoso, che costituì la base per il primo boccone. Fin qui cosucce. Ma essendo il figlio di un importante industriale, ar gabbio dove secondo quelli che non sanno reggere gli scherzi dovrebbe stare, ci ha passato tipo un quarto d’ora, ha salutato i secondini, ha scureggiato ed è uscito. Ora c’ha tipo cento anni e vegeta assistito da una badante popputa che si veste come una cameriera sexy ed evidentemente è la conferma del fatto che le donne con le tette troppo grosse non sono intelligenti, ma non vi offendete. Vale solo per le giapponesi. Ora, Sagawa, non potendo lavorare, vive della notorietà dovuta a questa sua simpatica boutade, fa ospitate nei talk show e in discoteca manco avesse fatto il Grande Fratello e pubblica fumetti porno dove racconta esplicitamente i dettagli della sua bravata giovanile. Ma non pensiate che nessuno lo redarguisca, eh. Con lui c’è il fratello – un altro tipo che te lo raccomando – che non fà che dirgli di aver fatto una cosa orribile e che non riesce a capire come sia possibile che gli editori gli abbiano pubblicato quella merda. Poi più avanti nel film si scopre che anche il fratello ha delle simpatiche abitudini, come auto-provocarsi ferite gravissime su un braccio e succhiare il suo stesso sangue ma – come dice spesso – “rispetto a quello che ha fatto mio fratello sono bazzecole”.

venezia 74E che gli vuoi dire, non fa una piega. Oh, se riesci a dormire sereno dopo un film così vuol dire che eri proprio cotto. E io ci sono riuscito, se avessi visto gli Orsetti del Cuore mi avrebbero fatto lo stesso effetto, sfruttando anche il fatto che stamattina non ho proiezioni presto, anche se mi dicono un gran bene di Three Billboards Outside Ebbing, Missouri e che ovviamente sarò maledetto per sempre per non averlo visto qui al Festival, ma io sticazzi, sono troppo felice di aver dormito e non rimpiango nulla, che qui il sonno è come l’oro. A quanto pare sono l’unico al Lido a non avere un selfie con John Landis. Ho provato ad aspettarlo mezz’ora prima della sua conferenza per la riedizione in 3D del Thriller di Michael Jackson (amo Landis per il suo spirito squisitamente vintage. Capito? Il 3D. Quella roba che cinque anni fa cercavano di venderci come il futuro della sala), ma niente. Nemmeno Woody Harrelson ci caga punto ma io mi faccio forte di una foto con la carinissima Sara Forestier che mi tocca la barba. Voi non sapete chi sia Sara Forestier perché siete delle bestie e il cinema francese non lo capite – scusate, era il momento di insultare il pubblico per ottenere attenzione – ma io ne vado fierissimo, soprattutto dopo tutti quegli improperi che mi avete mandato quest’estate su Sarahah dicendomi che sembro Babbo Natale sotto acido. Ah, se ve lo state chiedendo, sì. Solo la barba mi ha toccato. Sempre a pensar male, siete più pervertiti del fratello di Sagawa. Di Sagawa no, è impossibile. Più pervertito di lui c’è solo chi, pur essendo strapieno di lavoro, dopo aver staccato una giornata di proiezioni filate una dopo l’altra, è andato al multisala del Lido per vedere per la seconda volta Dunkirk.

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Venezia 74: Martin McDonagh presenta Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Martin McDonagh, autore di Sette Psicopatici e di In Bruges, torna al cinema con una storia che scrive e dirige, Tre Manifesti a Ebbing, Missouri presentato in concorso a Venezia 74.

Il regista di origini irlandesi ha raccontato il suo film e la sua umanità dolente ma ironica, insieme ai suoi protagonisti, Frances McDormand, Sam Rockwell e Woody Harrelson.

IN Tre Manifesti a Ebbing, Missouri Mildred (McDormand) affitta tre grandi cartelloni pubblicitari (i billboard del titolo originale) in cui si chiede perché non è stato arrestato ancora nessuno per lo stupro e omicidio di sua figlia adolescente, tirando in ballo la polizia e la sua “pigrizia”.

L’idea della storia è arrivata da un manifesto simile che il regista ha visto 20 anni fa. “Ho visto una cosa molto simile anni fa, una cosa violenta e oscura e ho pensato a chi potesse mai fare un gesto del genere. La cosa è rimasta sul fondo della mia testa e alla fine ho deciso che potesse essere una madre. I miei primi due film erano concentrati su uomini, e così ho pensato che dovesse essere ora di portare in scena una donna, una madre, molto molto forte. Poi immaginando Frances McDormand mentre scrivevo, tutto è stato più facile.”

Per la protagonista, una straordinaria Frances McDormand alla sua migliore interpretazione dopo la Maggie di Fargo, ha dichiarato: “La storia è una combinazione di divertimento e malinconia e si tratta dell’elemento migliore che si potesse trovare nello script. C’era una grandissima sceneggiatura, e quando succede questa cosa, quando ti trovi tra le mani una sceneggiatura così, non vieni mai trascinato dalla malinconia dei personaggi ma la cavalchi, ed è quello che è accaduto a tutti noi.”

E Martin McDonagh incalza, spiegando così la scelta dei suoi protagonisti: “Sono i migliori attori della loro generazione, Frances in particolare è così attenta. Uno dei punti fondamentali della storia era che fossero vicini alle persone normali, e loro lo sono. Ho già lavorato con Woody e Sam.”

A chi dice che la Mildred del film possa portare la McDormand di nuovo agli Oscar, Frances risponde: “Mildred è la mia Marge (personaggio di Fargo premiato con l’Oscar, ndr) cresciuta. Il mio personaggio era interessante perché alcuni suoi tratti sono simili a quelli di un personaggio del western. Quando pensavo a delle icone del cinema a cui ispirarmi mi venivano in mente solo uomini, e così ho pensato a John Wayne, riferimento che è stato lasciato fuori dal film perché in un paio di scene avevo anche imitato la sua camminata.”

Ma da dove arriva l’ispirazione per una sceneggiatura così puntuale e dei personaggi così realistici? McDonagh risponde: “L’umanità in ognuno. Il segreto è che nessuno è solo cattivo e nessuno è solo buono. Mildred è la protagonista, ma è un’eroina vuota a volte, mentre Dixon è razzista e folle, ma allo stesso tempo cresce come essere umano. E Willoughby è una persona per bene, ma deve fare i conti con i suoi demoni. Il segreto della sceneggiatura è vedere l’umanità nascosta ma presente in ognuno.”

Woody Harrelson ha già lavorato con McDonagh in Sette Psicopatici (come Rockwell), e conosce il regista da molti anni. Sul suo personaggio spiega semplicemente: “Il personaggio era sulla pagina, erano tutti molto ricchi. E il mio lavoro è stato solo quello di portarlo in vita. Se come interprete non hai gli elementi drammatici non puoi avere nemmeno il talento di far ridere e in questo film le cose si mescolano benissimo, anche perché le mie scene con Frances sono state magnifiche, lei è magnifica. È un piacere lavorare con lei, sei sul ring con una forte, molto forte. È stato divertente.”

Dal canto suo, Sam Rockwell interpreta il personaggio con la crescita personale più marcata; il suo Jason Dixon, poliziotto razzista e violento, subisce la più profonda metamorfosi. Per preparare il ruolo, Rockwell ha fatto un particolare tipo di ricerche: “Ho osservato i poliziotti per prepararmi al personaggio, anche Woody lo ha fatto ed è un grande show, credetemi. Ma è una questione di approccio e abbiamo avuto tanti suggerimenti osservando i modi di fare. Ma, ecco, sono persone, ed è sempre bene osservarle. Sono persone.”

Tre manifesti a Ebbing, Missouri, che almeno per la sceneggiatura e le interpretazioni corre il serio rischio di venire premiato a Venezia 74, uscirà in Italia il prossimo 11 gennaio 2018.

Venezia 74, red carpet: Helen Mirren e Donald Sutherland per The Leisure Seeker di Paolo Virzì

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Helen Mirren e Donald Sutherland sono stati i protagonisti del tappeto rosso della serata di Venezia 74 che ha visto la presentazione di The Leisure Seeker, l’esordio in lingua inglese di Paolo Virzì

Venezia 74: The Leisure Seeker recensione del film di Paolo Virzì

Box Office ITA: Cattivissimo Me 3 batte Dunkirk

Box Office ITA: Cattivissimo Me 3 batte Dunkirk

Cattivissimo Me 3 regge in testa al box office italiano e non si lascia spodestare da Dunkirk, che però ottiene la media per sala più alta della classifica. Forse un po’ a sorpresa, il film d’animazione batte il kolossal d’autore in questo primo fine settimana di settembre. Infatti Cattivissimo Me 3 regge saldamente in testa al box office italiano, incassando 3,6 milioni di euro al suo secondo fine settimana, arrivando a quota 11,2 milioni di euro.

Invece Dunkirk apre in seconda posizione con quasi 3 milioni di euro d’incasso in un numero inferiore di sale (674 contro le 946 di Cattivissimo Me 3). Il film di Christopher Nolan registra la media per sala più alta della classifica, pari a ben 4390 euro. Overdrive perde una posizione con altri 382.000 euro con cui totalizza 991.000 euro, mentre Amityville: Il risveglio conferma la quarta posizione dell’esordio con altri 260.000 euro (totale: 776.000 euro).

Atomica Bionda scende al quinto posto raccogliendo 206.000 euro per un globale di 1,6 milioni di euro. Open Water 3 – Cage Dive debutta in sesta posizione con 192.000 euro ed è seguito da due pellicole in calo: Annabelle 2 (157.000 euro) e La Torre Nera (153.000 euro), giunti rispettivamente a 3,3 milioni complessivi e 2,1 milioni totali. Chiudono la top10 due new entry del fine settimana: Un profilo per due, che esordisce con 89.000 euro, ed Easy – Un viaggio facile facile, che debutta con 55.000 euro.

Venezia 74: Thriller torna al cinema in 3D, la parola a John Landis

Uno degli eventi speciali, nel Fuori Concorso, di Venezia 74, è stata la presentazione del videoclip di Thriller di Michael Jackson, in 3D, il celeberrimo cortometraggio diretto da John Landis. Insieme al video restaurato in stereoscopia, è stato proiettato il documentario del Make-of di Thriller, realizzato da Kenny Kramer.

“Thriller è una cosa di cui sono molto fiero, e avere l’accesso ai negativi e di restaurarlo è stato bellissimo – ha spiegato Landis – E ho avuto la possibilità di restituirlo all’aspetto che doveva avere all’inizio, come lo voleva Michael. Perché su youtube è rovinato.”

Ma per quello che riguarda le sue ragioni più personali, il regista ha detto: “La mia ragione è stata per vederlo di nuovo al cinema, in oltre lo abbiamo rimasterizzato con le tracce originali. È fottutamente magnifico!”

Le idee di Jackson per il cortometraggio erano quelle di realizzare una completa trasformazione in mostro per la star, ma si rese poi conto che sarebbe stato tutto molto complicato in merito alla danza. “Era un fan di Un lupo mannaro, e mi chiese di trasformarlo in un mostro. E da questo è venuto il video. Non era una operazione di marketing, il disco era già stato vendutissimo, il video fu una questione di vanità: perché lui voleva che lo trasformassi in un mostro.”

Landis procede come un fiume in piena, raccontando un aneddoto che lo vide coinvolto al fianco della pop star, l’unico momento, a detta sua, in cui ha veramente avuto paura in tutta la sua vita: “L’unica volta in cui ho a vuto paura è stato con lui, siamo andati a Disneyworld, e appena siamo arrivato in pubblico, abbiamo fatto una foto con Mickey Mouse, e all’improvviso migliaia di persone si sono accorte di lui, e sono venute verso di noi, urlando, da ogni direzione. Ho pensato che volessero mangiarci. È stato davvero spaventoso. E lui salutava tutti, tranquillo. E proprio quando pensavo che saremmo morti, è arrivata una limo, e ha tirato dentro me, lui e Mickey Mouse.”

In merito alla sua morte, John Landis si dimostra ancora una volta sensibile, mettendo in ordine tutte le parole e le priorità giuste: “Una tragedia per i suoi bambini, per la sua famiglia, per il mondo. Una figura brillante e tragica, era davvero un performer incredibile, e sono così rari. Mi fa stare ancora male.”

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Ex Libris: New York Public Library, recensione del doc di Frederick Wiseman

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Così come la città dove è situata, la New York Public Library è uno degli edifici più cari al cinema americano. Teatro di tantissime scene culto, distrutta più volte nei vari disaster movie (e cinecomic) nel corso degli anni, la libreria diventa finalmente protagonista di un lungometraggio. Ex Libris: New York Public Library è l’ultimo documentario di Frederick Wiseman, presentato alla 74esima Mostra del cinema di Venezia in Concorso.

Uno dei più grandi cineasti viventi si addentra nel sontuoso edificio di marmo bianco per raccontare la libreria in tutta la sua vitalità. Non solo scaffali di tomi polverosi e vecchie bibliotecarie. L’immaginario collettivo viene completamente svecchiato e il pubblico, o almeno coloro che non hanno mai frequentato la biblioteca, viene messo a parte di una realtà brulicante di iniziativa, attività, aspetti.

Ex Libris: New York Public Library

Gli unici personaggi ricorrenti nel lungo documentario, oltre tre ore, sono i responsabili, impegnati nelle loro attività professionali, ma il resto del film si snoda in una specie di successione di cortometraggi che raccontano sezioni della vita dell’edificio. Conferenza, lezioni, progetti di digitalizzazione: ogni attività è osservata da vicino e raccontata con il solo espediente della manifestazione. Wiseman guarda con curiosità una stanza, una conferenza, e poi, come se fosse annoiato o curioso di altro, passa oltre, concentrandosi su un’altra iniziativa.

Il risultato è un flusso di piccoli racconti, piccole parentesi che mettono a parte lo spettatore di argomenti disparati, toccati con grande puntualità e competenza perché ripresi dagli esperti che nella biblioteca tengono incontri e lezioni aperte al pubblico. Ex Libris: New York Public Library si pone l’intento di raccontare un mondo vasto e complesso attraverso il linguaggio del cinema un luogo che proprio con il cinema è entrato nell’immaginario collettivo. Il risultato è un documento di straordinario interesse, basta avere la pazienza di goderlo fino in fondo.

Venezia 74: presentato il premio MATTADOR

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Venezia 74: presentato il premio MATTADOR

Il Premio MATTADOR ha presentato alla Mostra del Cinema di Venezia la propria attività e le iniziative in cantiere. Il Premio internazionale di sceneggiatura è stato illustrato all’Hotel Excelsior del Lido, nello Spazio della Regione del Veneto, in un incontro, aperto al pubblico, patrocinato dalla Regione del Veneto.

Alla presentazione, coordinata dal giornalista Pierluigi Sabatti, sono intervenuti, Pietro Caenazzo, presidente dell’Associazione Mattador, Gianluca Novel, responsabile della Friuli Venezia Giulia Film Commission, Stefano Bessoni, regista, illustratore e insegnante di stop motion, Giulio Kirchmayr, coordinatore del Progetto CORTO86.

E’ intervenuto per la Regione del Veneto Cristiano Corazzari, Assessore regionale alla Cultura; ha portato i saluti del Comune di Venezia, Paolo Romor, Assessore alle Politiche educative e Prosindaco del Lido di Venezia.

Sabatti ha ricordato che il Premio è dedicato a Matteo Caenazzo, giovane triestino formatosi all’Università Ca’ Foscari, scomparso prematuramente nel giugno 2009. Nato dal pensiero e dalle passioni di Matteo, con l’obiettivo di far emergere nuovi talenti dai 16 ai 30 anni, Mattador continua nella formazione di giovani sceneggiatori, registi ed illustratori: accanto ai premi in denaro offre qualificati percorsi di formazione dedicati allo sviluppo dei loro progetti – dalla sceneggiatura alla regia, dallo storyboard alla stop motion – svolti insieme a tutor professionisti di livello nazionale ed internazionale. L’iniziativa è resa possibile grazie al contributo di Mibact, Regione Friuli Venezia Giulia, Regione del Veneto, Comune di Trieste, Fondazione Casali di Trieste, alle donazioni private e quote associative.

Sono stati illustrati le recenti collaborazioni e i nascenti progetti con importanti realtà nazionali del cinema. La più recente quella con Genova Liguria Film Commission e Land di Maia Associazione Culturale, che vedrà l’Apertura della nona edizione del Premio Mattador a Genova, il prossimo 6 ottobre.

Si è parlato quindi dei libri che Mattador ha generato a partire dal 2010 insieme alle Edizioni Università di Trieste e sono stati anticipati i contenuti del sesto volume, ora in lavorazione, della collana “Scrivere le immagini. Quaderni di sceneggiatura”. Inoltre è stata anticipata la programmazione dei Mattador Workshop, previsti come ogni anno ad ottobre all’apertura della nuova edizione, con un focus sul seminario di animazione stop motion. Tra le novità del programma, ha particolare spicco la sede del percorso formativo Dolly “Illustrare storie per il cinema” che quest’anno si svolgerà a Los Angeles, nello studio del tutor Daniele Auber.

Ampio spazio è stato dato al Progetto CORTO86 dedicato alla migliore sceneggiatura per cortometraggio: sono state illustrate le fasi di produzione del corto “Ascolta i tuoi occhi” di Marcello Pedretti, tratto dalla sceneggiatura vincitrice della sezione CORTO86 2016, prodotto da Mattador in coproduzione con Fantastificio, Pianeta Zero, Pilgrim, Incandenza, con il supporto di FVG Film Commission. L’incontro si è concluso con la proiezione del cortometraggio, protagonisti gli attori Mily Cultrera di Montesano e Mirko Artuso, presente all’evento assieme all’autore.

Il Progetto CORTO86 2017, vinto dalla sceneggiatura “La serata perfetta” di Daniele Napoli di Catania, inizierà a breve la produzione nella regione Friuli Venezia Giulia.

I vincitori dell’ottava edizione del Premio sono stati premiati il 17 luglio scorso nelle Sale Apollinee del Teatro La Fenice dalla Giuria composta da Pupi Avati, Marina Zangirolami Mazzacurati, Salvatore De Mola, Emilia Bandel, Stefano Bessoni. Mattador mette in palio 5.000 euro alla migliore sceneggiatura per lungometraggio; 1.500 euro al migliore sviluppo del soggetto: i finalisti della sezione soggetto sono accompagnati da sceneggiatori in un percorso di sviluppo dell’idea e della struttura narrativa dei loro lavori; i vincitori della sezione DOLLY “Illustrare storie per il cinema” sono affiancati da concept designer nello sviluppo narrativo della loro storia raccontata per immagini; il vincitore di CORTO86 è accompagnato da tutor e troupe tecnica nelle fasi del processo produttivo del suo cortometraggio, di cui può firmare anche la regia. Infine, le migliori sceneggiature e storie disegnate vengono pubblicate nei volumi della collana dedicata al cinema (Edizioni EUT/Mattador).

 

Il Soldato d’Inverno: diversi look per Bucky Barnes – concept

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Il Soldato d’Inverno: diversi look per Bucky Barnes – concept

Arrivano da Reddit nuovi concept art che raffigurano il Soldato d’Inverno, ovvero Bucky Barnes, protagonista del Marvel Cinematic Universe e trai possibili “successori” di Steve Rogers al ruolo di Captain America.

Winter Soldier Concept Art from marvelstudios

Vedremo il personaggio, interpretato da Sebastian Stan, in Avengers Infinity War.

Avengers Infinity War: il primo teaser dal Comic Con [LEAK]

La sinossi: Mentre gli Avengers continuano a proteggere il mondo da minacce troppo grandi per un solo eroe, un nuovo pericolo emerge dalle ombre cosmiche: Thanos. Despota di intergalattica scelleratezza, il suo scopo è raccogliere le sei gemme dell’Infinito, artefatti di un potere sconfinato, e usarle per piegare la realtà a tutto il suo volere. Tutto quello per cui gli Avengers hanno combattuto ha condotto a questo punto – il destino della Terra e l’esistenza stessa non sono mai state tanto a rischio.

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Avengers Infinity War arriverà al cinema il 4 Maggio 2018. Christopher Markus e Stephen McFeely si occuperanno della sceneggiatura del film, mentre la regia è affidata a Anthony e Joe Russo.

Il cast del film al momento è composto da Cobie Smulders, Benedict Cumberbatch, Chris Pratt, Vin Diesel, Scarlett Johansson, Dave Bautista, Karen Gillan, Zoe Saldana, Brie Larson, Elizabeth Olsen, Robert Downey Jr., Sebastian Stan, Chris Hemsworth, Chris Evans, Tom Holland, Bradley Cooper, Samuel L. Jacksson, Jeremy Renner, Paul Rudd, Peter Dinklage, Mark Ruffalo, Josh Brolin, Paul Bettany, Benedict Wong, Pom Klementieff e Chadwick Boseman.

Star Wars Gli Ultimi Jedi: Leia, Rey e molti altri nei nuovi artwork

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Ecco dei nuovi artwork dedicati a Star Wars Gli Ultimi Jedi realizzati da Brian Rood  in occasione del Force Friday. Ecco di seguito i pezzi d’arte che raffigurano i personaggi della nuova trilogia.

The Last Jedi art by Brian Rood


Star Wars Gli Ultimi Jediun esclusivo backstage dal D23

La sinossi: “In Star Wars Gli Ultimi Jedi della Lucasfilm, la saga Skywalker continua quando gli eroi de Il Risveglio della Forza si uniscono alle leggende della galassia in un’epica avventura che svelerà i misteri della Forza e le scioccanti rivelazioni del passato risalenti all’Era antica. Star Wars Gli Ultimi Jedi arriverà nei cinema USA il 15 dicembre 2017.”

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FIRST LOOK – Carrie Fisher in Star Wars Gli Ultimi Jedi

Il film sarà diretto da Rian Johnson e arriverà al cinema il 15 dicembre 2017. Il film racconterà le vicende immediatamente successive a Il Risveglio della Forza.

In Star Wars Gli Ultimi Jedi torneranno Mark Hamill, Carrie Fisher, Adam DriverDaisy RidleyJohn BoyegaOscar IsaacLupita Nyong’oDomhnall Gleeson, Anthony Daniels, Gwendoline Christie e Andy Serkis. Gli altimi attori unitisi al cast sono Benicio Del ToroLaura Dern Kelly Marie Tran.

Avengers Infinity War: ecco una nuova foto di Nebula

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Avengers Infinity War: ecco una nuova foto di Nebula

Karen Gillan ha condiviso una nuova foto di Nebula dal backstage di Avengers Infinity War, o meglio, una specie di foto di Nebula, come possiamo vedere di seguito.

Nella didascalia leggiamo infatti: il volto di Nebula alla fine della giornata. Si tratta del trucco prostetico del personaggio, che ogni giorno, sul set, indossa la Gillan.

Avengers Infinity War: il primo teaser dal Comic Con [LEAK]

La sinossi: Mentre gli Avengers continuano a proteggere il mondo da minacce troppo grandi per un solo eroe, un nuovo pericolo emerge dalle ombre cosmiche: Thanos. Despota di intergalattica scelleratezza, il suo scopo è raccogliere le sei gemme dell’Infinito, artefatti di un potere sconfinato, e usarle per piegare la realtà a tutto il suo volere. Tutto quello per cui gli Avengers hanno combattuto ha condotto a questo punto – il destino della Terra e l’esistenza stessa non sono mai state tanto a rischio.

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Il cast del film al momento è composto da Cobie Smulders, Benedict Cumberbatch, Chris Pratt, Vin Diesel, Scarlett Johansson, Dave Bautista, Karen Gillan, Zoe Saldana, Brie Larson, Elizabeth Olsen, Robert Downey Jr., Sebastian Stan, Chris Hemsworth, Chris Evans, Tom Holland, Bradley Cooper, Samuel L. Jacksson, Jeremy Renner, Paul Rudd, Peter Dinklage, Mark Ruffalo, Josh Brolin, Paul Bettany, Benedict Wong, Pom Klementieff e Chadwick Boseman.

Venezia 74: Martin McDonagh in Concorso con Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Dopo In Bruges e Sette Psicopatici, Martin McDonagh torna alla regia con Tre manifesti a Ebbing, Missouri, film che sarà presentato oggi, 4 settembre, nell’ambito del Concorso di Venezia 74.

Come al solito, McDonagh si avvale di un cast variegato e ricco di star dai volti caratteristici, tra cui Frances McDormand, Woody Harrelson, Caleb Landry Jones, Abbie Cornish, Kathryn Newton.

Ecco la trama di Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Mildred Haynes cerca senza sosta di trovare il colpevole dell’omicidio di sua figlia ma dopo alcuni mesi decide di fare un gesto audace: dipinge tre cartelloni che sembrano un messaggio diretto a William Willoughby, l’ammirato capo della polizia della sua città. Quando nel caso viene coinvolto anche Dixon, vice del capo della polizia e molto incline a usare la violenza, lo scontro tra Mildred e William sull’applicazione delle leggi diventerà sempre più complesso.

Segui il nostro speciale di Venezia 74

Venezia 74: Sebastiano Riso con Una famiglia in Concorso

Venezia 74: Sebastiano Riso con Una famiglia in Concorso

Alla seconda settimana di festival, Venezia 74 ci offre un altro italiano in Concorso. Oggi sarà presentato Una Famiglia, di Sebastiano Riso.

Il film drammatico, vede nel cast Micaela Ramazzotti, Patrick Bruel, Fortunato Cerlino, Marco Leonardi, Matilda De Angelis, Ennio Fantastichini.

La trama di Una Famiglia:

Vincent è nato cinquant’anni fa vicino a Parigi, ma ha tagliato ogni legame con le sue radici. Maria, più giovane di quindici anni, è cresciuta a Ostia, ma non vede più la sua famiglia. Insieme formano una coppia che non sembra aver bisogno di nessuno e conducono un’esistenza appartata nella Roma indolente e distratta dei giorni nostri, culla ideale per chi vuole vivere lontano da sguardi indiscreti. In più, Vincent e Maria sono bravi a mimetizzarsi: quando prendono il metrò, si siedono vicini, teneramente abbracciati. A volte cenano al ristorante, più interessati a guardarsi negli occhi che al cibo nei loro piatti. Quando tornano a casa, fanno l’amore con la passione degli inizi, in un appartamento di periferia che lei ha arredato con cura. Eppure, a uno sguardo più attento, quella quotidianità dall’apparenza così normale lascia trapelare un terribile progetto di vita portato avanti da lui con lucida determinazione e da lei accettato in virtù di un amore senza condizioni. Un progetto che prevede di aiutare coppie che non possono avere figli. Arrivata a quella che il suo istinto le dice essere l’ultima gravidanza, Maria decide che è giunto il momento di formare una vera famiglia. La scelta si porta dietro una conseguenza inevitabile: la ribellione a Vincent, l’uomo della sua vita.

Venezia 74: Franco Colomba interpreta Árpád Weisz in Nobili Bugie, l’intervista

“L’incursione nel mondo dello spettacolo è stata particolare, sono stato piacevolmente impressionato” Così ha esordito Franco Colomba, ex calciatore del Bologna FC e interprete, in Nobili Bugie, di Árpád Weisz, allenatore della stessa squadra, tragicamente morto nelle camere a gas di Auswitz nel 1944.

“Ho girato una piccola parte e anche in quella mi sono reso conto dell’impegno che ci vuole per quelle poche scene è notevole, per tantissime persone. Si tratta di un lavoro di tanti mesi che serve a mettere in piedi un film di un paio d’ore.”

Il film è stato presentato alla 74° Mostra di Venezia, dove ha ricevuto il premio Kinèo. In questa occasione abbiamo incontrato Colomba che ha commentato così l’importanza di Weisz nella storia del calcio e del Bologna soprattutto: “Essendo di Bologna e avendo giocato e allenato il Bologna e avendo avuto come allenatori da ragazzino i giocatori di quell’epoca, ero già abbastanza documentato su quello che è stato Árpád Weisz. Un allenatore che ha vinto due scudetti, una coppa campioni che a quei tempi aveva il valore della Champions League adesso, quando mi ricapitava di vincere due scudetti e una coppa? Ho accettato subito. Anche perché ha sofferto moltissimo, era sulla cresta dell’onda quando è morto. Si è trovato perseguitato con la famiglia, nella noncuranza del mondo dello sport che si è dimenticato di lui. E questo si vede nel film, nella piccola parte che interpreto. Tengo a precisare che tutto è accaduto nella dimenticanza.”

Colomba ci tiene anche a ricordare il libro di Matteo Marani, Dallo scudetto ad Auschwitz: vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo: “Un paluso va a Marani che ha scritto un libro su di lui e che ha permesso alla storia di XX di venire fuori. Altrimenti tutti lo avremmo dimenticato.”

Ambientato durante la seconda guerra mondiale sui colli bolognesi, Nobili Bugie racconta di una famiglia di nobili decaduti sopravvissuta al proprio declino economico nell’unico luogo che ancora possiede: la tenuta di Villa La Quiete. Il Duca Pier Donato Martellini e la Duchessa Romola Valli, stanchi e avviliti, risiedono nel loro podere con la servitù ormai ridotta ai minimi termini: un giovane giardiniere cieco e un maggiordomo sordo, entrambi reduci di guerra; e Giovanna, la cuoca costantemente arrabbiata ed eternamente innamorata. Come se non bastasse devono prendersi cura del figlio Jean-Jacques, un immaturo cinquantenne che passa le sue giornate a comporre poesie con un unico tema ricorrente: il Bologna FC. La soluzione a tutti i problemi si presenta alla villa in un pomeriggio qualsiasi: un uomo e due donne in fuga, chiedono rifugio ai Duchi. Sono ebrei, si chiamano Beniamino, Anna e Stefania. Sono disposti a pagare con un lingotto d’oro ogni mese di permanenza e promettono di migrare altrove subito dopo la fine della guerra.

Il Festival di Venezia 2017 si svolge al Lido dal 30 agosto al 9 settembre.

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Balla, balla, ballerina (di Lapo Elkan)

Balla, balla, ballerina (di Lapo Elkan)

Quando sono arrivato qui vent’anni fa – o dieci, o un mese o sei giorni, non fa più differenza – mi sono reso conto di aver dimenticato a Roma le ciabatte. “E che sarà mai – mi son detto – a parte che a casa non ci sto mai, quanto vuoi che mi servano? Poi alle perse si comprano. Mica stiamo nell’Africa nera”. No, infatti. Perché nell’Africa nera qualche sciamano che te rimedia du ciavatte che non siano fottute infradito per duecento euro lo trovi. Qui no. E io odio le fottute infradito. Per tutto il tempo che sono stato qui ho resistito. Per una questione di principio, sarei stato disposto a camminare a piedi scalzi pure sulle pietre roventi, per non comprarle. Ma non a smettere di fumare il sigaro sul balcone, con le tempeste perfette che si son messe su questi giorni, senza ciabatte, era impossibile. Indovinate com’è andata a finì? Per fortuna viene in mio aiuto l’amico Lapo Elkann che, eccentrico com’è, si presenta sul red carpet non si sa per quale motivo con delle ballerine con tanto di fiocchetto. Non ridete. Non sto scherzando, adesso.

Mi sento sollevato perché al cospetto le mie infradito fosforescenti sono più mascoline che spaccare la legna in camicia a quadri con le maniche arrotolate e il deltoide in evidenza e più stilose di Orson Welles che fuma la pipa in smoking. Inoltre, non ci farei mai un dannato red carpet. Ma si sa, lui le cose le fa a cazzo di Elkann.

Oggi è il giorno di Virzì, l’uomo che quando ero ragazzino mi faceva morir dal ridere con il tizio che diceva ‘Wyoming’ a rutti in ‘Ovosodo’. Ho proprio voglia di un filmetto allegro. Esco che piango come ‘na fontana, mortacci sua.  The Leisure Seeker è una storia di vecchi che si amano e ancora fanno sesso (e te credo, Helen Mirren è bona come il pane pure all’età sua. Lui invece è Donald Sutherland, gravemente rincoglionito e diciamo che il ruolo gli calza. Calcolando la differenza di resa estetica tra i due, direi che gli va benone) ma decisamente meno zuccherosa dei cicì ciciò con cui ci hanno trastullato Jane Fonda e Robert Redford direi a occhio e croce sei anni fa (o due settimane, o due giorni, non conta. Qui il tempo non esiste). Sti vecchi prossimi alla fine a un certo punto rubano un camper al figlio e si mettono in viaggio per l’America. Il finale lo possiamo immaginare ma restate dopo i titoli di coda.

SPOILER……………………………………………. appare Thanos.

Ang

The Leisure SeekerIo questa mattina ho appuntamento per trucco e parrucco, e non perché ce ne sia particolarmente bisogno qui (come diceva Ang  passiamo le giornate tra persone vestite come DiCaprio in The Revenant a quelli vestiti da pinguini che se vengono solo a fà i selfie tra cinesi fuori dal red carpet), ma perché dopo due giorni di pioggia, ma di quelle monsoniche che pensi ti abbia mandato qualche ex fidanzato solo per romperti i coglioni e farti uscire vestita come una foca monaca, ero impresentabile pure per il Selvaggio Lido. Per cui realizzo che forse è il caso di rendermi un’umana e decido anche di farmi truccare, almeno per coprire le occhiaie da ore di sala al buio che ci rendono tanto truci, che poi sembriamo sempre incazzati col mondo andando ad alimentare l’orrendo cliché secondo cui i critici sarebbero sempre incazzati perché in verità volevano fare i registi ma erano pippe ar sugo.  Orrendo, ovviamente, in quanto vero, nel 90%. Ora uno che non lo sa pensa: ‘E che ce vò, vai, te mette un po’ di ombretto, mascara, rossetto, 5 minuti e via’. Colcazzo, miei amati ventiquattro lettori. Arrivo coperta con un foulard e gli occhiali come Mata Hari per la vergogna di mostrare le ore di sonno perse, e ti trovi davanti questo Dio che uccide le imperfezioni, bellissimo già alle nove del mattino, che ti scruta con calma, ti studia, e poi inizia a pulire i pennelli. Tu osi dirgli ‘guarda, una cosa veloce giusto per nascondere le occhiaie’ e quello emette un ultrasuono, simile forse a quello dei delfini in un delfinario quanto non acchiappano al volo er pescetto – o se preferite, a quello emesso del Mostro della Laguna nel film di delToro quando gli danno scosse elettriche sulle palle, e con buona ragione – e mentre tu cerchi di sdrammatizzare e intanto te copri le orecchie per non avere le convulsioni lui ha già sfoderato un porta arnesi che simile forse l’hai visto in un film di Tarantino, e conteneva cose non proprio piacevolissime, e inizia a lavorare. Con una cura meticolosa e sprezzante verso le lancette che io guardo con la coda dell’occhio mi tortura per circa mezz’ora – roba che al cospetto le ossa spezzate e le sevizie di Brawl in Cell Block ’99 sono scherzi al telefono che finiscono con ‘stocazzo’ – e  vi assicuro sono cose che pure io che faccio pipì in testa a Clio Make up non avevo mai visto fare. Dopo tutto questo lavoro, felice finalmente di potermi fumare una sigaretta, entrare in sala e godermi il film mi metto in coda per vedere Virzì. Non l’avessi mai fatto. Pure io ho pianto in maniera imbarazzante, scambiandomi kleenex col mio vicino di posto che a un certo punto, se non avesse tirato fuori una banana per far merenda (e io odio l’odore di molte cose, tra cui quello) avrei abbracciato. Poi il pensiero è andato al mio trucco, e al Dio dei pennelli e fortunatamente prima di uscire dalla sala sono passata dal bagno, che è sempre un piacere incontrare durante il festival, e ho cercato di ripulirmi senza sembrare Pierrot. In tutto questo incontro una ragazza che piagne pure lei, le faccio un cenno di intesa, le dico ‘Virzì eh’, me dice ‘no m’ha mollato quel gran figlio di una bòna donna del mio fidanzato, ora che torno lo ammazzo’. Bene, come non detto, pietra sopra. Finale con le feste, che non sempre sono una cosa bella. Perché il tipo di feste varia da quelle in cui invitano anche i cavalli di fronte al red carpet, a quelli in cui per entrare devi superare prove di sopravvivenza. Ad esempio ieri io e Ang abbiamo dovuto indossare una calzamaglia colorata e saltare su un tetto in un posto indicatoci da una mail anonima. Su quel tetto, dopo aver dato prova di saper stare 5 minuti nella posizione del Guerriero tipica dello Yoga Asana. Dopo questa prova, ci siamo calati dal tetto e io ho dovuto fare il bagno nella fontana davanti alla biglietteria, che ora copre la famosa buca della darsena, urlando ‘Ang, Ang, came here!’. E solo allora, finalmente, un ragazzo rasato vestito da Borghi ci ha consegnato 2 biglietti per andare alla festa. Com’è stata? Non lo sappiamo. Siamo annati a cena da Tiziano, ristoratore amabile che ce tiene il posto a qualsiasi ora, perché le cose troppo complicate ci stanno sul cazzo a prescindere. Ci vediamo domani, voi intanto fate 10 flessioni.

Venezia 74: Paolo Virzì presenta The Leisure Keeper

Paolo Virzì ha presentato in concorso alla 74° Mostra d’Arte cinematografica di Venezia il suo nuovo film The Leisure Keeper che uscirà in Italia il 25 gennaio con il titolo Ella e Jonh. Lo abbiamo incontrato e ascoltato raccontare particolari su questo progetto interamente girato negli USA, in lingua inglese e con due grandissimi attori: Helen Mirren e Donald Sutherland.

Virzì inizia confessando la sua grande emozione nel trovarsi oggi a Venezia con il suo film americano in concorso. Dice di essere molto più emozionato oggi, rispetto a vent’anni fa, quando presentò al Lido Ovosodo, e di aver passato una notte insonne, sentendosi piccolo, fragile e disperato.

Poi parla dei suoi due protagonisti e della paura che naturalmente aveva nell’affrontare una grossa produzione americana. Sparò due autorevoli nomi, quasi nella speranza di usare la loro rinuncia come scusa per ritirarsi (sorride sornione), ma poi si trovò costretto ad accettare quando Donald Sutherland e Helen Mirren si dimostrarono ben felici di salire a bordo. Lui con entusiasmo e senza timori, lei invece volle qualche rassicurazione in più e chiese di vedere i suoi film precedenti. Ma poi si aprì completamente affidandosi alla sua guida e dimostrando grande entusiasmo e affiatamento. Erano comunque i due attori ideali che aveva immaginato fin dall’inizio e lavorare con loro ha permesso di costruire la coppia di anziani coniugi esattamente come avrebbe voluto.

Per Helen Mirren Virzì confessa che ha sempre provato ammirazione e devozione e racconta di essersi trovato felice come un bambino quando insieme a lei oggi ha incontrato Stephen Frears, scattando ai due una fotografia ricordo. Di Donald Sutherland aveva scolpita nella mente la sua immagine come professore in Animal House e immaginava quell’insegnante in vecchiaia, un uomo che ha studiato una vita e finito intrappolato nelle pagine di letteratura che ha sempre studiato e amato.

Venezia 74: The Leisure Seeker recensione del film di Paolo Virzì

Dice di nutrire simpatia di tutti quei cineasti vagabondi che girano film su strada e lui si sente un po’ uno di loro, ma chiede di cercare da soli il vero Virzì, perché quando un film è finito e proiettato non è giusto spiegare troppo, ma è bello sentire o leggere quello che ognuno trova.

Quello che lui ha fatto per approcciarsi meglio al progetto è stato tradire alcuni elementi troppo americani che erano presenti nel romanzo omonimo da cui è tratto il film, come il viaggio verso Disneyland o la Route 666, lui voleva dare l’idea di luoghi che potessero per assurdo somigliare alla sua maremma o alle coste toscane. Non voleva assolutamente cadere nei cliché. Tutta sua l’aggiunta dell’ossessione per la gelosie e il tradimento, un sentimento tipicamente italiano. Parlandone con i due attori gli ha mostrato anche dei capolavori della cinema italiano, imperniati su questo tema. In particolare ha fatto vedere a Helen Mirren alcune interpretazioni di Monica Vitti. Ernest Hemingway non è tra i suoi scrittori prediletti, nonostante chiaramente nutra per lui una grande ammirazione, ma per esigenze di storia la scelta è stata quasi obbligata, visto che il viaggio conduce alla sua casa, ormai trasformata in attrazione turistica.

Alla domanda se preferisce mutande o boxer, una delle battute contenute nel film, alla quale Sutherland risponde di preferire le mutande per avere più controllo, lui risponde che per tutta la lavorazione ha sempre indossato slip. Questo gli ha permesso di controllare meglio gli attori. Ma dice anche che, scherzi a parte, la fiducia era reciproca e che da subito si è sentito tranquillo. Dopo ogni “azione” si sedeva e si godeva lo show, molte volte senza dare lo “stop”,  lasciandoli liberi di improvvisare. Virzì dice di amare il regista invisibile, non invadente e fa di tutto per esserlo. Quello che ha cercato è stato di dare più importanza ai silenzi, ha voluto imprimere alla narrazione un passo lento, languido, delicato, come quello di alcune ballad di Janis Joplin o di David Crosby.

Quando gli viene detto che in questo film si sente meno cinismo e una vena assai più romantica, inteso anche come grande miglioramento, Virzì si sente lusingato e ribatte che è la normale conseguenza della vita, delle ferite personali, del riflettere sulla vita e sulla morte. In poche parole forse è l’affacciarsi della maturità.

Infine ha annunciato che per il momento non prevede altri progetti oltreoceano, ma che in futuro si vedrà. Per ora sta per iniziare la lavorazione di un nuovo film a Roma.

Venezia 74: Stephen Frears e Judi Dench presentano Victoria and Abdul

Questa quinta giornata di festival ha visto la Laguna riempirsi di leggende del cinema; ad aprire le danze questa mattina è stato il nuovo film di Stephen Frears dal titolo Vittoria e Abdul, con una straordinaria Judi Dench protagonista. Si tratta di un’adorabile commedia in costume che racconta della bizzarra amicizia nata tra la Regina Vittoria d’Inghilterra e un giovane indiano di umili origini di nome Abdul Karim, capitato a corte quasi per uno scherzo del destino.

Dopo il successo di Florence Foster Jenkins, Stephen Frears torna ad occuparsi delle sue meravigliose regine e la bellissima Judi Dench torna a vestire dopo venti anni i panni di Vittoria in un momento assai diverso della sua vita. “Non ho mai neanche lontanamente immaginato che un giorno avrei interpretato di nuovo Vittoria – ha dichiarato la Dench – ma quando Stephen mi ha proposto lo script non ho potuto rifiutare: la sceneggiatura era davvero brillante”. È proprio questo infatti uno dei tanti punti di forza del film di Frears, la sceneggiatura, pregna di un’inedita e brillante comicità. “In tanti mi hanno chiesto se il tono del film dovesse essere davvero questo. Ebbene, era proprio così che io e Lee [si riferisce a Lee Hall, sceneggiatore del film e autore anche di Billy Elliott] avevamo sempre immaginato Victoria and Abdul. Volevo portare sullo schermo qualcosa che fosse davvero divertente e allora mi sono chiesto quale film Trump avesse voluto vedere [ride]. A quelli che mi chiedono perché ho deciso di fare un altro film su di una regina risponderò molto sinceramente: la sceneggiatura era eccezionale. Magari fossi sempre così fortunato!”.

leggi anche: Venezia 74: Victoria and Abdul recensione del film di Stephen Frears

Il riferimento alla politica e nello specifico a Trump fa un po’ sorridere se si pensa che Stephen Frears è un regista britannico ma in effetti il film affronta, grazie alla storia tra Vittoria e Abdul, delle tematiche molto scottanti e attuali. La storia d’amicizia e quasi d’amore tra i due è stata osteggiata dai figli della sovrana e dall’intera corte che non vedeva di buon occhio questo ragazzo di colore, sempliciotto e ‘selvaggio’, persone che hanno fatto di tutto pur di separarli e che per secoli ha tenuto nascoste al mondo le prove di queste relazione. C’è chi ha definito ambiguo il rapporto tra Vittoria e Abdul ma i due protagonisti a riguardo hanno idee molto diverse. “È proprio l’amore – ha ammesso Judi Denchche rende la storia così intrigante. Non si tratta di amore romantico ma di quel sentimento d’affetto che rende più piacevole la vita e che nel film permette alla Regina Vittoria, sempre sorvegliata dalla sua corte, di godere di piccoli momenti di autentico relax”. Il co-protagonista della Dench, il talentuoso ed affascinante Ali Fazal, ha poi aggiunto: “C’è qualcosa di molto spirituale nella loro relazione […] Non si tratta di semplice amore romantico […] Sono intellettualmente stimolati l’uno dall’altra e godono ogni giorno del piacere reciproco della scoperta. Trovo il loro rapporto molto misterioso e poetico”.

Durante la conferenza stampa di Vittoria e Abdul, gli interpreti e il regista hanno anche raccontato com’è stato girare insieme sul set e utilizzare la straordinaria location di Osbourne House. “Era la prima volta che qualcuno utilizzava la Osbourne House come set per un film ed è stato un grande onore poter usufruire di una location così prestigiosa” ha dichiarato lo sceneggiatore Lee Hall. Quanto alle riprese, pare ci sia stata una particolare attenzione per la creazione degli abiti di scena; i costumi, soprattutto nel caso di Judi Dench, dovevano poter dare l’illusione che l’attrice fosse fisicamente simile alla vera Regina Victoria. “I vestiti – ha dichiarato la Dench – sono stati un vera sfida. Tanto per cominciare io sono molto più alta di Vittoria e anche meno in carne […] Dopo la morte prematura del marito, il Prince Albert, Vittoria cadde in una profonda depressione e utilizzava il cibo come compensazione; è per questo motivo che in tutti i suoi ultimi ritratti appare sempre i sovrappeso”.

Ma se i costumi hanno fatto penare non poco Miss Dench, per Ali Fazal sono stati invece d’aiuto per la costruzione del suo personaggio. “I costumi erano fantastici, con quelle stoffe così riccamente decorate e dai colori sgargianti […] indossarli mi ha aiutato ad entrare meglio nel personaggio e a perfezionare la mia postura poiché nel film sto spesso in piedi in posa affianco alla regina. Ovviamente per prepararmi non è stato sufficiente indossare un bel vestito. Ho dovuto iniziare molti mesi prima che le riprese cominciassero a documentarmi sulla storia di Vittoria e Abdul. Nessuno prima d’ora aveva mai parlato di questa storia ma Abdul è stato davvero un personaggio importante per la Regina, forse il più importante della sua vita”.

Victoria and Abdul: recensione del film di Stephen Frears

Victoria and Abdul: recensione del film di Stephen Frears

Ci sono storie dimenticate, storie piene d’amore e grazia che meritano di essere raccontate ed è così che il grande Stephen Frears, a meno di un anno di distanza dalla sua stonata ma meravigliosa Florence Foster Jenkins, torna ad incantare il suo pubblico con un nuovo piccolo gioiello dal titolo Victoria and Abdul.

Ormai vecchia e affaticata, arrivata agli ultimi anni del suo governo, la Regina Vittoria riceve a corte un ospite inaspettato. Con la conquista dell’India da parte dell’Impero Britannico, ora la monarca inizia a sentire il peso delle troppe responsabilità governative, degli anni che passano, della solitudine e a non sopportare più la vita di palazzo. Ma il suo umore cambia drasticamente quando a corte arriva il misterioso ed esotico Abdul Karim.

Victoria and Abdul - Stephen Frears

Grazie a Frears, la straordinaria Judi Dench torna ad interpretare, dopo ben venti anni, la burbera e triste Regina Vittoria stavolta raccontata dal famoso regista di Le Relazioni Pericolose, sotto una luce diversa. Si parla infatti dei suoi ultimi anni di vita e della sua finora segreta storia d’amicizia e quasi d’amore con un comune ragazzo indiano capitato a corte quasi per sbaglio. Si tratta di una relazione di cui si era persa ogni testimonianza, una storia che Stephen Frears ha finalmente portato allo scoperto.

Victoria and Abdul, il film

E’ il 1887 quando la Regina Vittoria (Judi Dench) riceve a corte due ragazzi indiani provenienti dalla città di Adra arrivati in Inghilterra per rendere omaggio alla loro nuova sovrana. Il loro compito è molto semplice: dovranno comparire al cospetto della regina portando in dono un’antica moneta indiana come segno della loro devozione. Ma qualcosa durante la cerimonia va storto e uno sguardo fugace tra Vittoria e il giovane Abdul Karim (Ali Fazal), in barba al protocollo di corte, dà inizio a qualcosa di straordinario e quasi sconveniente. Rapita da quegli occhi magnetici, dall’avvenenza del ragazzo e attratta da quella che sembra una strana complicità, la regina apre le porte della sua corte ad Abdul che si ritrova catapultato in un mondo pieno di splendore e insidie.

Victoria and Abdul - Stephen Frears

Dopo la gloriosa Meryl Streep, interprete della cantante più dolce e stonata del mondo, Stephen Frears chiama a sé un’altra leggenda del cinema, la grande Judi Dench, per il suo nuovo film, Victoria and Abdul, presentato fuori concorso alla 74° Mostra del Cinema di Venezia. Negli anni molte persone hanno definito Frears un regista poco coraggioso, che non ama osare e fedele solo ad un certo tipo di cinema; ebbene, pur non snaturando il suo stile personale, stavolta Frears si spinge un po’ oltre la sua comfort zone e regala al pubblico qualcosa di un tantino differente.

Grazie alla superba sceneggiatura di Lee Hall – sceneggiatore anche del famoso film Billy Elliott -, che ha adattato per il cinema il libro Victoria & Abdul: The True Story of the Queen’s Closest Confidant di Shrabani Basu, il regista imbastisce quella che potremmo definire una commedia in costume che strizza l’occhio al genere del biopic, molto in voga negli ultimi anni. Victoria and Abdul racconta la storia dimenticata di questa strana e, per certi versi, ambigua amicizia tra la regina Vittoria e un umile ragazzo indiano diventato poi suo maestro e confidente. Essendo rimasta vedova molto presto, la sovrana si è trovata a dover gestire il suo regno senza l’appoggio di nessuno e a tenere a bada le sanguisughe di corte sprofondando così in una terribile depressione. Proprio quando si era ormai rassegnata all’idea di morire ed invecchiare da sola rinchiusa in quella gabbia dorata, la regina incontra Abdul, un giovane pieno di energia, entusiasta e sempre disposto a compiacere i suoi desideri: Vittoria è affamata di conoscenza e Abdul è un cantastorie perfetto.

Victoria and Abdul - Stephen Frears

Con estrema grazia e semplicità Stephen Frears racconta la nascita e l’evoluzione di questa bizzarra e dolcissima relazione d’amore, un sentimento puro che guarda al di là del protocollo di corte, degli obblighi politici, delle differenze sociali, razziali e religiose. Anche questo di Frears, come molti altri film già visti quindi a Venezia 74, affronta quindi la difficile tematica dell’intolleranza e lo fa raccontando con ironia la storia di questa improbabile coppia di amici. A conquistare sin dalla prima inquadratura sono la sempre mitica Judi Dench, nei panni di una perfetta regina brontolona, e lo sferzante humor inglese che rende la prima metà del film assolutamente irresistibile. Ma le risate ben presto lasciano il posto all’amarezza, alle lacrime e ad un odio così violento e gratuito da colpire lo spettatore quasi come un pugno nello stomaco; il cambio di registro è graduale ma non per questo meno traumatico e ci accompagna per mano verso un finale commuovente e quasi catartico.

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Avengers Infinity War: Thanos con il Guanto completo nella nuova promo art

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Stando a quanto ci suggerisce la nuova promo art di Avengers Infinity War, Thanos riuscirà a completare la sua ricerca delle Gemme dell’Infinito nel film diretto dai fratelli Russo.

Nell’immagine, il Titano Pazzo compare infatti in piedi, con la mano guantata dal potente oggetto, completo di tutte le sue Gemme.

Avengers Infinity War: il primo teaser dal Comic Con [LEAK]

La sinossi: Mentre gli Avengers continuano a proteggere il mondo da minacce troppo grandi per un solo eroe, un nuovo pericolo emerge dalle ombre cosmiche: Thanos. Despota di intergalattica scelleratezza, il suo scopo è raccogliere le sei gemme dell’Infinito, artefatti di un potere sconfinato, e usarle per piegare la realtà a tutto il suo volere. Tutto quello per cui gli Avengers hanno combattuto ha condotto a questo punto – il destino della Terra e l’esistenza stessa non sono mai state tanto a rischio.

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Avengers Infinity War arriverà al cinema il 4 Maggio 2018. Christopher Markus e Stephen McFeely si occuperanno della sceneggiatura del film, mentre la regia è affidata a Anthony e Joe Russo.

Il cast del film al momento è composto da Cobie Smulders, Benedict Cumberbatch, Chris Pratt, Vin Diesel, Scarlett Johansson, Dave Bautista, Karen Gillan, Zoe Saldana, Brie Larson, Elizabeth Olsen, Robert Downey Jr., Sebastian Stan, Chris Hemsworth, Chris Evans, Tom Holland, Bradley Cooper, Samuel L. Jacksson, Jeremy Renner, Paul Rudd, Peter Dinklage, Mark Ruffalo, Josh Brolin, Paul Bettany, Benedict Wong, Pom Klementieff e Chadwick Boseman.

Fonte: SaviiMCU Exchange

La Villa: recensione del film di Robert Guédiguian #Venezia74

La Villa: recensione del film di Robert Guédiguian #Venezia74

I tre figli di un anziano uomo colpito da un ictus sono accanto al padre, completamente immobilizzato. La villa in cui lo assistono è sul mare, a La calanque de Méjean, una splendida baia nei dintorni di Marsiglia. C’è Angèle, che vive a Parigi e fa l’attrice di teatro, Joseph perso d’ amore dietro una ragazza estremamente più giovane di lui e perennemente depresso e insoddisfatto e Armand, proprietario di un modesto ristorante a pochi passi dalla villa, l’unico della famiglia rimasto a vivere nella zona. C’è poi un pescatore sognatore e colto, invaghito fin da bambino di Angèle, un giovane medico e i suoi ostinati genitori e dei militari che pattugliano la costa alla ricerca di migranti.

L’occasione forzata che li costringe a riunirsi è chiaramente il naturale spunto per fare i bilanci di una vita,  riflettere su scelte, sbagli e tragedie che hanno segnato il loro passato. Poi, un giorno, arrivano dei profughi a bordo di un gommone, tre bambini.

La villa, il film di Robert Guérdiguian

Robert Guérdiguian, di madre armena e padre tedesco, ha già diretto numerosi film di successo, tra i quali Marius e Jeannette (1997), Marie-Jo e i suoi due amori (2002), Le passeggiate al Campo di Marte (2005) e Le nevi del Kilimangiaro (2011). Spesso ha messo la città di Marsiglia, dove è nato, e i suoi bellissimi dintorni al centro delle sue storie. Ha sempre pensato a La Calanque de Méjean come a un teatro naturale, dove il mare sembra il fondale di tela dipinta e, soprattutto in inverno, quando non c’è più nessuno, assume quel sapore di abbandono bellissimo e malinconico,  un set ideale.

Ama definire “bolla all’aria aperta” la situazione che abilmente crea intorno ai suoi personaggi, una bolla dove “alcuni fratelli e sorelle, padri e madri, amici e amanti si confrontano sugli amori del passato e sugli amori che verranno. Tutti questi uomini e tutte queste donne condividono gli stessi sentimenti: sono in una fase della vita in cui si ha profonda consapevolezza del tempo che passa e dei cambiamenti del mondo. Le strade che hanno a lungo spianato si stanno gradualmente ricoprendo e devono essere costantemente mantenute, altrimenti se ne dovranno creare di nuove

Nonostante lo sguardo sia concentrato sui tre fratelli protagonisti, il film affronta, in maniera per niente marginale, il problema dei profughi. Quando fa riferimento  a questo, Guérdiguian sostiene “Per quanto possa sembrare un’esagerazione, mi sento di affermare che oggi non potrei fare un film senza fare riferimento ai profughi: viviamo in un mondo in cui le persone annegano in mare quotidianamente. Ho scelto intenzionalmente la parola “profughi”. A prescindere che sia da imputare ai cambiamenti climatici, ad altre ragioni, o a una guerra, queste persone sono alla ricerca di un rifugio, di un focolare”.

La villa è una continua riflessione sul tempo che scorre, sulla caducità della vita, sulla casa, sulla famiglia e sulla propria appartenenza. Ognuno dei personaggi cerca di fare i conti con questo. Gli attori sono tutti bravissimi, perfettamente calati nelle rispettive parti e assolutamente credibili come fratelli che hanno fatto scelte differenti che li hanno portati a vivere lontani l’uno dall’altro. L’attrice che interpreta con grande delicatezza e introspezione Angèla è la moglie del regista, Ariane Ascaride, già apparsa in altri suoi lavori. Molto struggente è un vecchio filmato in S8, inserito come flashback, dove si vedono i protagonisti giovani e spensierati, ancora spavaldi nei confronti della vita che verrà. La scrittura risulta assai efficace, estremamente naturale e mai forzata, abilmente punteggiata da momenti ironici che si contrappongono invece alla drammaticità degli eventi.  La regia è delicata, intima, umana, mai invadente.

Il finale di La villa è incantevole, affatto scontato. È il degno coronamento di un film come solamente i francesi sanno fare.

The Leisure Seeker: recensione del film #Venezia74

The Leisure Seeker: recensione del film #Venezia74

Due anziani coniugi, Ella (Helen Mirren) e John (Donald Sutherland) decidono di sfuggire dalle attenzioni apprensive-oppressive dei figli per compiere un lungo viaggio attraverso l’America a bordo di un camper con cui andavano in vacanza negli anni settanta. The Leisure Seeker è il nome che hanno affettuosamente dato al veicolo. Lui è malato di Alzheimer, la memoria lo abbandona di continuo, mettendolo nelle condizioni di dover essere sorvegliato continuamente, anche se il suo fisico è ancora forte. Insieme però riescono ad andare avanti, compensandosi e completandosi, come fossero una persona sola. Il viaggio sarà l’occasione per conoscersi ancora meglio e colmare quelle lacune e tutte quelle cose in sospeso, piccole e grandi, che ineluttabilmente si accumulano dopo una vita vissuta assieme. The Leisure Seeker è per Paolo Virzì il primo film interamente girato negli USA in lingua inglese, anche se in passato aveva già compiuto un’incursione sul suolo americano con My Name is Tanino (2002). È tratto dal romanzo omonimo di Michael Zadoorian.

Virzì dirige due autentici mostri sacri, due attori del calibro di Helen Mirren e Donald Sutherland. Lo fa con mano ferma e grande sensibilità, costruendo una coppia di navigati anziani coniugi in grado di passare disinvoltamente e con grande intelligenza da un registro recitativo all’altro, commuovendo, divertendo, facendo riflettere, creando apprensione e grande empatia. Il film è tutto sulle loro spalle, per quasi due ore, e lo sostengono con vigore, non lasciando mai trasparire fatica o forzature.

The Leisure Seeker

Paolo Virzì dice: “Mi sembra che ne sia venuto fuori un road movie sulla libertà di scegliere ogni istante della propria vita, con la semplicità di una canzone. Una ballad buffa e triste, con qualcosa di irragionevole e di pazzoide, ma vitale e felice”. E in questo è assolutamente riuscito, senza ombra di dubbio. Il film è perfetto, un vero ricettacolo di emozioni e sentimenti. Ma la sensazione finale è comunque strana, è come se il film lasciasse in una condizione di irrisolto, come se si volesse qualcosa di più, ma non si riuscisse bene a capire cosa. Semplicemente latita uno sguardo personale, una caratterizzazione maggiore, cosa che comunque potrebbe anche essere una scelta strategica, vista la sua prima prova con un sistema produttivo differente e così esigente. Nonostante la sua altissima professionalità, la sua regia ineccepibile, l’ orchestrazione perfetta di tutto il cast artistico e tecnico, manca quello sguardo personale con il quale l’autore livornese si è imposto fin dall’inizio, film dopo film. Certo, il cinema di Virzì e le sue relative caratterizzazioni  autoriali sono fortemente legate a un contesto italiano, ma dove sono quegli stilemi che aveva cominciato a disseminare a partire da La bella vita (1994) passando per  Ovosodo (1997) e Caterina va in città (2003), fino ad arrivare a Tutta la vita davanti (2008), La prima cosa bella (2010) La pazza gioia (2016)?

In The Leisure Seeker manca un po’ di Paolo Virzì in più.

Venezia 74: Suburra di Netflix infiamma il red carpet

Venezia 74: Suburra di Netflix infiamma il red carpet

Ieri a Venezia, si è tenuta la première di Suburra, la serie, la prima serie TV italiana originale Netflix presentata fuori concorso alla 74a edizione del Festival del Cinema di Venezia.

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Hanno partecipato alla première gli attori Alessandro Borghi, Filippo Nigro, Claudia Gerini, Giacomo Ferrara, Eduardo Valdarnini e Francesco Acquaroli, i registi Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi, i produttori Gina Gardini e Riccardo Tozzi e Erick Barmack, vice presidente degli International Originals Netflix.

Suburra, la serie sarà disponibile su Netflix in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo a partire dal 6 Ottobre 2017.

Sinossi:

Suburra, la serie, la prima serie originale Netflix italiana, debutterà il 6 Ottobre 2017 e raggiungerà 100 milioni di abbonati nei 190 Paesi in cui il servizio è attivo, rendendo la produzione originale Netflix disponibile per un pubblico globale.

Diretta da Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi, Suburra, la serie, è un crime thriller ambientato a Roma, che descrive come la Chiesa, lo Stato e la criminalità organizzata si scontrano, confondendo i limiti della legalità e dell’illecito nella loro feroce ricerca del potere.

Al centro della storia troviamo tre giovani uomini: Numero 8 (Alessandro Borghi), Spadino (Giacomo Ferrara) e Lele (Eduardo Valdarnini), diversi per origine, ambizioni e passioni, che saranno chiamati a fare alleanze per realizzare i loro più profondi desideri.

Gli altri personaggi includono Sara Monaschi (Claudia Gerini), Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro), Samurai (Francesco Acquaroli) e Manfredi Anacleti (Adamo Dionisi). Prodotta da Cattleya.

Venezia 74: oggi Sienna Miller con The private life of a modern woman

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Sarà presentato fuori concorso a Venezia 74 The private Life of a modern woman, il film di James Toback con protagonista Sienna Miller.

The private life of a modern woman racconta di Vera Lockman, un’attrice di successo che vive da sola in un favoloso loft newyorkese, si agita nel suo letto durante un incubo nel quale lotta con Sal, il suo spacciatore ed ex ragazzo, prima di sparargli e ucciderlo. Svegliatasi di soprassalto, scrive nel suo diario che l’omicidio dell’incubo è effettivamente avvenuto il giorno prima e che Sal giace morto in un baule in soggiorno. Leon, amante di Vera, arriva e viene congedato, definitivamente.

Franklin, un amico cineasta, passa a farle visita, preoccupato. Mette Vera sotto torchio, lasciandola confusa e un po’ spaventata. Vera trasporta con l’auto il baule in una zona isolata e lo fa rotolare dentro a un lago. Torna nel suo loft, e trasalisce alla vista di un detective della narcotici, McCutcheon, venuto a farle delle domande su Sal. Vera pensa che Mc Cutcheon abbia creduto alla sua falsa storia. Vera serve la cena al suo amato e malandato nonno, Arthur, e a sua madre, Elaine. Successivamente, Carl Icahn, ex compagno di classe di Arthur, passa a trovarli. Vera e Carl sono emotivamente in sintonia. Il giorno dopo Vera, per la prima volta calma, scrive. Il suo umore è turbato da un crescendo di sirene della polizia. Si precipita alla finestra e vede McCutcheon. I loro sguardi si incrociano. Le manette la attendono.

James Toback ha così commentato “Ho concepito e scritto The Private Life of a Modern Woman per Sienna Miller. Il nucleo tematico del film è costituito dalle mie personali fissazioni: l’affermazione del sé, l’impulso a creare, la tensione irrisolta tra rabbia e amore, l’onnipresente consapevolezza della morte. Strutturalmente, ho tentato di aderire (con licenza poetica) alle unità aristoteliche di tempo, luogo e azione: la struttura della tragedia greca. Volendo fare un’analogia letteraria, il film è una novella, piuttosto che una storia breve o un romanzo. Come sempre, mi sono sentito in dovere di inserire nella pellicola opere d’arte che hanno arricchito la mia vita ovunque potessero valorizzare il film: il Requiem tedesco di Brahms, la Settima Sinfonia di Shostakovich, la Messa in Si minore di Bach, la versione dei Cleftones di Please Say You Want Me e il Giardino delle delizie di Bosch.”

Venezia 74: Victoria & Abdul con Judi Dench

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Venezia 74: Victoria & Abdul con Judi Dench

Sarà presentato oggi fuori concorso Vittoria e Abdul, il nuovo film di Stephen Frears e che vede protagonista Judi Dench nei panni della Regina Victoria.

Victoria & Abdul racconta la vera, straordinaria storia dell’incredibile amicizia tra la regina Vittoria e il giovane segretario Abdul Karim, diventato suo precettore, consigliere spirituale e devoto amico. Nel 1887, Abdul parte dall’India per donare alla regina una medaglia in occasione dei festeggiamenti per il Giubileo d’oro, ma inaspettatamente entra nelle grazie dell’anziana sovrana. L’inaudito e incredibile legame scatena una rivolta all’interno della famiglia reale, ma la regina si oppone a corte e parenti. Victoria & Abdul esplora con ironia tematiche come razza, religione e potere, mettendo in scena le assurdità dell’impero alla luce di un’amicizia insolita e profondamente commovente.

Stephen Frears ha così commentato il film: Non conoscevo la storia della regina Vittoria e di Abdul, non sapevo dell’affetto che la sovrana provava per il servitore indiano. Lee Hall ha scritto una sceneggiatura brillante, divertente, attuale e romantica, su diversità e classi sociali, sulla donna più potente del mondo e su un servitore musulmano. Per me era più riconducibile a The thief of Bagdad (Il ladro di Bagdad) che ai film britannici sull’impero anglo-indiano; ho detto che l’avrei realizzato soltanto con Judi Dench, e con mia immensa fortuna, lei ha accettato

Venezia 74: il giorno di The Leisure Seeker di Paolo Virzì

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Venezia 74: il giorno di The Leisure Seeker di Paolo Virzì

Sarà presentato in concorso il nuovo film di Paolo Virzì The Leisure Seeker, con protagonisti Helen Mirren, Donald Sutherland e tratto dall’omonimo romanzo di Michael Zadoorian.

The Leisure Seeker è il soprannome del vecchio camper con cui Ella e John andavano in vacanza coi figli negli anni settanta. Per sfuggire a un destino di cure mediche che li separerebbe per sempre, la coppia sorprende i figli ormai adulti e invadenti salendo a bordo di quel veicolo anacronistico per scaraventarsi avventurosamente giù per la Old Route 1, destinazione Key West. John è svanito e smemorato ma forte, Ella è acciaccata e fragile ma lucidissima: insieme sembrano comporre a malapena una persona sola. Quel loro viaggio in un’America che non riconoscono più – tra momenti esilaranti e altri di autentico terrore – è l’occasione per ripercorrere una storia d’amore coniugale nutrita da passione e devozione, ma anche da ossessioni segrete che riemergono brutalmente, fino all’ultimo istante.

Commento del regista: Non avevo previsto che un giorno avrei diretto un film ambientato del tutto in un altro Paese. Finora mi ero sempre sottratto a progetti americani dei quali mi era stata offerta la regia. Mi hanno convinto a provare almeno a scrivere una sceneggiatura e ho promesso ai produttori: se Helen Mirren e Donald Sutherland interpretano Ella e John, faccio il film. Era solo un modo per spararla grossa e mettere le mani avanti. Il destino però mi ha spiazzato: imprevedibilmente Mirren e Sutherland hanno accettato. Poche settimane dopo facevo i bagagli per attraversare l’oceano: non potevo privarmi del godimento di condividere un’esperienza con due attori così geniali e leggendari. Ma senza alcun intento di diventare “un regista americano”. Mi sento figlio del cinema italiano, seppure ormai la condivisione globale di storie e visioni renda labili e obsoleti i confini territoriali. Anche sulla East Coast americana ho cercato di non rinunciare alle mie consuetudini di regista nato in Italia, anzi a Livorno, per usare ingredienti che ho a cuore da sempre: verità, umanità, ironia, provando a mescolare commedia e tragedia, disavventure comiche e istanti di gioia pura. Mi sembra che ne sia venuto fuori un road movie sulla libertà di scegliere ogni istante della propria vita, con la semplicità di una canzone. Una ballad buffa e triste, con qualcosa di irragionevole e di pazzoide, ma vitale e felice.

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