Arrivano tre foto inedite
dall’atteso Star
Wars Gli Ultimi Jedi, il sequel del film di successo
di JJ Abrams che sarà diretto da Rian
Johnson. Nelle nuove immagini Luke, il Leader
Supremo Snoke e Finn Rose.
La sinossi: “In Star
Wars Gli Ultimi Jedi della Lucasfilm, la saga Skywalker continua
quando gli eroi de Il Risveglio della Forza si uniscono alle
leggende della galassia in un’epica avventura che svelerà i misteri
della Forza e le scioccanti rivelazioni del passato risalenti
all’Era antica. Star Wars Gli Ultimi Jedi arriverà nei cinema
USA il 15 dicembre 2017.”
FIRST LOOK –
Carrie Fisher in Star Wars Gli Ultimi Jedi
Il film sarà
diretto da Rian Johnson e arriverà al
cinema il 15 dicembre 2017. Il film racconterà le vicende
immediatamente successive a Il Risveglio della
Forza.
La Warner Bros
dopo mesi di trattative ha finalmente annunciato il regista e
sceneggiatore che darà vita a Suicide
Squad 2, l’annunciato sequel del film campione
d’incassi del 2016.
A prendere l’eredità di
David Ayer in Suicide Squad
2sarà il regista e
sceneggiatore Gavin O’Connor, che ha già
diretto per la Warner Bros The Accountant, oltre ad aver diretto anche film di
successo comeWarrior
e Pride and Glory.
Suicide Squad che ha debuttato nel
DC
Extended Universe l’estate scorsa ha introdotto
molti noti cattivi della DC che hanno da subito conquistato i fan,
come Deadshot (Will Smith), Harley Quinn
(Margot Robbie), Captain Boomerang (Jai
Courtney) e Joker (Jared Leto).
Dalle ultime notizie lo Studios
stava accelerando lo sviluppo del film e questa notizia oggi
conferma la volontà della WB di avere un sequel del film al più
presto nelle sale. Inoltre
Variety riferisce che Warner Bros. spera
che il film inizia la produzione entro la fine del 2017, se così
fosse il film potrebbe essere potenzialmente pronto per una
data di uscita nel 2019/2020.
Suicide Squad
2
Il casting per il regista aveva
coinvolto oltre a O’Connor i nomi del calibro
di con Mel Gibson (Hacksaw
Ridge), Jaume Collet-Serra ( Le
Shallows ), Jonathan Levine (Warm Bodies) e
Daniel Espinosa (Safe House). Al momento il regista stava
lavorando allo sviluppo del sequel di The
Accountant con Ben Affleck, ma ora è
probabile che quel progetto passi in secondo piano.
Alla Warner Bros
c’è grande fermento per il DC
Extended Universe. Infatti sono in sviluppo molti film
tra cui
un film sulle origini del Joker separato dall’Universo
principale, oltre all’annunciato Gotham
City Sirens che dovrebbe sostituire. In
cantiere sono anche i film su Flash Point con Ezna
Miller. The
Batman vedrà protagonista Ben Affleck
nuovamente nei panni di Bruce Wayne e sarà diretto dall’acclamato
regista Matt Reeves. Nel cast ritorneranno Geremy
Irons nei panni di Alfed e J.K. Simmons in quello
del Detective Gordon. Wonder Woman 2, Green Lanter Corps
e Batgirl che sarà diretto da Joss
Whedon.
Nuovo e importante progetto
cinematografico per i THE SWEET LIFE SOCIETY
la band guidata da Gabriele Concas e Matteo
Marini, uno dei pochi esempi di musica italiana da
esportazione che ha suonato nei più famosi festival inglesi –
Glastonbury, Eurosonic, Bestival, Lovebox, Wilderness,
Latitude Boomtown.
Il 7 settembre saranno alla
Mostra del Cinema di Venezia nella sezione
Orizzonti con la soundtrack originale di Brutti e
Cattivi (musiche di Gabriele Concas e Matteo Marini,
edizioni CAM/Gruppo Sugar e BMG Rights Management), film di
debutto di Cosimo Gomez, con un cast di culto, da
Claudio Santamaria a Marco D’Amore. Fa
inoltre parte della colonna sonora anche l’opera “Taggato dal
Signore”, composta dallo stesso regista del film Cosimo
Gomez.
Da anni Gabriele Concas e
Matteo Marini, oltre a girare l’Europa, gli Stati Uniti e
il Canada con i loro concerti, sono attivi nel campo della
produzione musicale con esperienze che vanno dal cinema, al teatro,
alla pubblicità. L’uscita del loro prossimo album è invece
prevista per l’inizio del 2018.
Il 7 settembre dalle 22.30 i
“The Sweet Life Society” saranno live a Venezia
Lido al Pachuka. L’8 settembre alle ore 22, durante la 74
Mostra del Cinema di venezia Kino Venice Nights organizza nel
bellissimo scenario del Lido, Riva di Corinto sulla barca Edipo Re
che fu di Pier Paolo Pasolini, Brutti e Cattivi incontro con Cosimo
Gomez e concerto live di “The Sweet Life Society”, autori delle
musiche del film.
Columbia Pictures & Sony Pictures
hanno diffuso il cortoª “2036: NEXUS DAWN” con JARED
LETO di Blade Runner
2049, il sequel del capolavoro di Ridley
Scott diretto da Denis
Villeneuve, regista di Sicario e Arrival prodotto dallo stesso
Ridley Scott con Ryan Gosling,
Harrison Ford, Robin Wright, Mackenzie Davis, Dave
Bautista e il premio OscarJared
Leto.
Di seguito la prima sinossi del film: “Trent’anni dopo
gli eventi del primo film, un nuovo blade runner, l’Agente LAPD K
(Ryan Gosling), dissotterra un segreto a lungo sepoltoche potrebbe avere il potere
di gettare nel caos quello che è rimasto della società.
La scoperta di K lo guida in una ricerca con lo scopo di trovare
Rick Deckard (Harrison Ford), un ex blade runner della LAPD che è
rimasto nasconsot per 30 anni.”
In Blade Runner
2049 protagonisti sono Ryan Gosling, Harrison Ford, Robin Wright, Ana
de Armas, Sylvia Hoeks, Carla Juri, Mackenzie Davis, Barkhad Abdi,
Dave Bautista, David Dastmalchian, Lennie
James, Hiam
Abbass e Jared
Leto.
La
sceneggiatura del sequel, ambientato diverse decadi dopo
l’originale pellicola del 1982, è affidata a Hampton
Francher e Michael Green e
segue la storia originale scritta da Francher e David
Peoples basata sul romanzo di Philip K.
DickIl Cacciatore di
Androidi.
Produttori esecutivi del film sono Frank Giustra
e Tim Gamble, CEO di Thunderbird Film. Lo stesso
Ridley Scott sarà produttore esecutivo della pellicola così come
Bill Carraro.
Tre anni fa i Manetti
Bros. Avevano stregato pubblico e critica alla
Festa del Cinema di Roma con Song’ e
Napule e stavolta sono decisi a conquistare la Laguna. E’
stato presentato oggi il loro nuovo film, Ammore e
Malavita, che sembra già aver fatto strage di cuori.
La storia si svolge come sempre
nella bella città di Napoli dove il boss Don Vincenzo, dopo aver
subito un’aggressione, sembra deciso a ritirarsi dagli affari
insieme a sua moglie e a lasciare tutte le sue attività in gestione
ai suoi body guard, Ciro e Rosario. La banda decide così di
inscenare la morte del boss ma qualcosa nel loro piano va
storto…
Conosciuti e amati dal pubblico per
la famosa serie tv L’ispettore
Coliandro e per il già citato Song’ e
Napule, che ha avuto un grande successo,
Antonio e Marco Manetti provano a fare il bis
portando il loro film pop e di genere in concorso alla
Mostra del Cinema di Venezia sperando di riuscire
a sbaragliare l’ingombrante concorrenza e fare breccia nel cuore
dei giurati.
Ammore e Malavita, il film
Il boss della malavita napoletana
Don Vincenzo (Carlo
Buccirosso), detto “o’ re do pesce”, dopo essere
sopravvissuto quasi per miracolo ad un agguato, è deciso ad
‘abdicare’ al suo trono e a lasciare tutto in gestione alle sue
Tigri, le temibili guardie del corpo, Rosario (Raiz) e Ciro (Giampaolo
Morelli). Ma per uscire di scena ha bisogno di un
piano strategico che gli viene fornito da sua moglie Maria
(Claudia
Gerini), piano che purtroppo andrà a gambe all’aria a
causa dell’intromissione di Fatima (Serena
Rossi), un’infermiera che si trovava al posto
sbagliato e al momento sbagliato.
I Manetti Bros.
fanno il pieno di applausi qui a Venezia 74 con l’attesissimo
Ammore e Malavita, arruolando lo stesso
meraviglioso cast di attori – più qualche new entry – e presentando
al festival un nuovo ed irresistibile film destinato a diventare un
vero e proprio cult. Un po’ gangster movie e un un po’ action, la
nuova fatica cinematografica dei fratelli Marco e Antonio sembra
stavolta avere una marcia in più; mentre nel precedente Song’ e
Napule si parlava solo di musica, nel caso di Ammore e
Malavita si tratta di un musical a tutti gli effetti.
Le musiche originali di
Pivio & Aldo De Scalzi e le liriche del cantautore
Nelson – vincitore nel 2014 del David di Donatello
per la canzone A’ Verità, scritta a quattro mani
con Franco Ricciardi -, sostituiscono di fatto le
battute dei personaggi che, cantando, rendono la storia molto più
fresca e scorrevole. Ancora una volta dunque i Manetti ci
raccontano di Napoli e della sua malavita in maniera del tutto
originale e irresistibilmente verace; i dialoghi sono pieni di
battute brillanti e le canzoni, in pieno stile neomelodico, sono a
dir poco travolgenti e trasformano il film in una sorta di moderna
sceneggiata napoletana. Non passa infatti inosservata la presenza
del grande Pino Mauro, cantante partenopeo con una
grande tradizione musicale alle spalle.
Ottima prima prova anche di
Raiz, all’anagrafe Gennaro Della Volpe, cantante
degli Almamegretta dal 1991, perfetto nella parte
del killer del boss, uno dei personaggi più oscuri del film. Ad un
incredibile Carlo Buccirosso – che potrebbe anche
arrivare a competere per la Coppa Volpi – si
affianca inoltre una straordinaria Claudia Gerini
che, dopo lo splendido film tv diretto da Lina
Wertmüller dal titolo Francesca e
Nunziata del 2002, torna a recitare in un perfetto
dialetto napoletano con una tale disinvoltura da far quasi
dimenticare le sue origini romane.
E come non citare il sempre
affascinante Giampaolo Morelli che stavolta,
svestiti i panni dell’esuberante Lollo Love, si trasforma
in una sorta di killer sociopatico, con l’agilità di un ninja e la
forza di un soldato, capace di far fuori un plotone di sicari
armati fino ai denti in pochi secondi. Non possiamo dimenticare
ovviamente la bella Serena Rossi, protagonista di una delle scene
più epiche del film; nonostante la colonna sonora sia completamente
originale, per la scena in questione i registi hanno pensato di
adattare un testo inedito in napoletano alla melodia di
What a Feeling, da Flashdance,
canzone che segna l’incontro tra Ciro e Fatima, i due amanti
sfortunati del film.
Ammore e Malavita
è un’opera straordinaria, un film che parla di camorra ma che rema
contro la corrente del ‘gomorrismo’, un piccolo capolavoro di
genere che vi farà ridere ed emozionare, cantare e ballare come se
non ci fosse un domani e pianificare una vacanza nella bella
Napoli.
Ultima tappa di un tour mondiale
che lo ha portato in tutti gli angoli del Pianeta, Edgar
Wright arriva a Roma per promuovere il suo ultimo film,
Baby Driver – il genio della fuga, maggior
successo al botteghino per il regista inglese e ritorno al cinema
dopo la difficile esperienza con Ant-Man
e con la Marvel.
Ecco la nostra intervista:
Leggi la recensione di Baby Driver – il
genio della fuga di Edgar Wright
Il film arriverà il 7 settembre nei
cinema italiani e vede protagonisti Ansel Elgort,
Kevin Spacey, Lily James, Jon Bernthal, Eiza González, Jon
Hamm e Jamie Foxx.
Trama: La storia
ruota attorno a un pilota che si presta a fughe criminali e che si
affida al ritmo della sua musica preferita per essere il migliore
nel campo. Costretto a lavorare per un boss, il ragazzo dovrà
prestarsi ad una rapina destinata al fallimento che metterà a
rischio la sua vita, il suo amore e la sua libertà. La vicenda è in
parte ispirata al video musicale “Blue Song” della band Mint
Royale, che Wright diresse nel 2003.
Baby Driver: il nuovo
trailer del film di Edgar Wright
LaÈ stato presentato in Concorso
nella selezione ufficiale della 74° Mostra d’Arte Cinematografica
di Venezia, Ammore e Malavita, il nuovo film dei
Manetti Bros.
Di seguito potete vedere il primo
trailer del film che arriverà in sala il prossimo 5 ottobre. Nel
cast del film Giampaolo
Morelli, Serena
Rossi, Claudia
Gerini, Carlo Buccirosso
e Raiz.
La trama di Ammore e Malavita
Napoli. Ciro (Giampaolo Morelli) è
un temuto killer. Insieme a Rosario (Raiz) è una delle due “tigri”
al servizio di don Vincenzo (Carlo Buccirosso), “o’ re do pesce”, e
della sua astuta moglie, donna Maria (Claudia Gerini). Fatima
(Serena Rossi) è una sognatrice, una giovane infermiera. Due mondi
in apparenza così distanti, ma destinati a incontrarsi, di
nuovo.
Una notte Fatima si trova nel posto
sbagliato nel momento sbagliato. A Ciro viene dato l’incarico di
sbarazzarsi di quella ragazza che ha visto troppo. Ma le cose non
vanno come previsto. I due si trovano faccia a faccia, si
riconoscono e riscoprono, l’uno nell’altra, l’amore mai dimenticato
della loro adolescenza.
Per Ciro c’è una sola soluzione:
tradire don Vincenzo e donna Maria e uccidere chi li vuole
uccidere. Nessuno può fermare l’amore. Inizia così una lotta senza
quartiere tra gli splendidi scenari dei vicoli di Napoli e il mare
del golfo. Tra musica e azione, amore e pallottole.
Da qualche giorno al Lido di
Venezia campeggiano meravigliosamente delle immagini che vanno
oltre la mera pubblicizzazione commerciale di un film. Per
un’inusuale coincidenza, sono state realizzate dallo stesso
artista, per lanciare due dei titoli più forti e discussi in
concorso alla Mostra d’Arte Cinematografica: The Shape of
Water di Guillermo del Toro e
Mother!
di Darren Aronofsky.
L’autore è un bravissimo, quanto
originale, pittore e illustratore Taiwanese, James
Jean.
James Jean nasce a
Taipei nel 1979. Si trasferisce negli USA, dove studia e si diploma
presso la School of Visual Arts di New York nel 2001. Poi
comincia a imporsi realizzando copertine per le pubblicazioni della
DC Comics
raccogliendo sette premi
Eisner, tre premi Harvey consecutivi, due
medaglie d’oro e una d’argento dalla Society of Illustrators of
Los Angeles e una medaglia d’oro dalla Society of
Illustrators of New York. Lavora anche in campo pubblicitario
per clienti prestigiosi, come: Time Magazine,
The New York Times, Rolling Stone,
Playboy, e Prada. Realizza le copertine per la
serie di fumetti Fables e The Umbrella Academy, vincendo sei
premi Eisner come “Best Cover Artist“.
Realizza inoltre copertine per
album musicali, come The Black Parade di My Chemical
Romance, del 2006.
Poi nel 2008 James
Jean decide di ritirarsi dai progetti commerciali per
concentrarsi solamente sulla pittura e incarichi che rappresentino
il suo estro espressivo. Evidentemente i film di Del
Toro e Aronofsky erano tra questi.
Varie volte, in questo spazio e in
altri, ho spiegato perché spesso marino le feste durante i
festival. Ho detto ‘marino’? Davvero? Deve essere la stanchezza.
Intendevo dire ‘piscio le feste’. I soliti: c’ho mal de panza, c’ho
sonno c’ho fame, sono stanco e di solito non ho l’invito – grazie
ar cazzo, non ce vado mai. Te credo che non mi invitano – il che
non sarebbe un problema perché tanto mendicando da una parte
all’altra a entrare si riesce. Solo che se dovevo andare a fare il
mendicante me mettevo all’angoletto della fermata Vittorio Emanuele
e facevo pure più soldi che a venì ai Festival. Tra l’altro, una
delle poche cose che mi piace fare alle feste, non essendo un buon
ballerino e non volendo perdere la voce per fare rapporti di
pubbliche relazioni urlando come un’aquila per sovrastare la musica
demmerda che di solito mettono, è ubriacarmi come un marinaio
marsigliese, e visto come sto messo coi reni, meglio evitare.
Ieri sera però avevo pensato di
affacciarmi alla festa dei ‘Ciak,’ giusto perché ogni tanto vedano
che questa faccia dietro alle cazzate che scrivo esiste davvero.
Quasi ero pronto a uscire, quando purtroppo mi hanno colto delle
gravi allucinazioni che manco Leonardo di Caprio
quando si faceva di Quaalude in The Wolf of Wall
Street.
Mi metto un attimo in
balcone, che devo dire la vista della casa che ho qui al Lido non è
niente male, dà direttamente su uno dei canali principali – per cui
occhio che vi sento, quando parlate male dei colleghi tornando a
casa a tarda notte ubriachi come merde, voi non mi vedete ma io,
dal balcone, sì – in cerca di ispirazione. Magari mi viene voglia
di uscire, hai visto mai.
M’accendo un sigaro. E vedo una
barca passare. E che sarà mai una barca al Lido, direte voi. Solo
che non è una barca normale. È un’automobile. Con un motore per
barca attaccato, che bellamente se ne va in giro sull’acque alla
faccia del ‘dove stiamo andando non c’è bisogno di strade’ di
zemeckisiana memoria. Sgrano un paio di volte gli occhi, me li
stropiccio. E niente. La visione non scompare. Anche abbastanza
preoccupato penso che le traveggole mi vengano dall’abuso di
Toradol o da una sempre più presente stanchezza (e del resto, oggi
si fa il giro di boa della ‘settimana che siamo qui’, ci sta pure)
e mi dico che di andare a fare il cazzone a feste dove manco
m’hanno invitato, a maggior ragione che sto impazzendo, non è il
caso.
La pazzia incombente, però, la
prendo con nonchalance, un po’ come il protagonista del film di
Aronofsky prende l’orrenda esecuzione del figlio appena nato: come
uno scherzo un po’ pesantuccio, ma perdonabile. Ecco, per me la
follia non è che una seccatura, in questo marasma di appuntamenti e
corse. Quindi mi metto a letto pensando che il giorno dopo, dopo
qualche ora di sonno, le allucinazioni spariranno. Stamattina
l’auto-barca sta ancora là, attraccata proprio sotto casa mia. O
era tutto vero, oppure sto definitivamente dando di matto. Ma non
ho tempo per pensarci, devo correre all’alba alla proiezione del
film dei Manetti Bros. , che in qualche modo mi
rincuora.
Intendiamoci, sto Ammore e
malavita che presentano qui non è niente di che. Un
musical napoletano misto a Crime Story, come lo era in un certo
senso il precedente Song e’ Napule, e come in
Song e’ Napule – che, detto per inciso, era molto
migliore di questo – ci sono Giampaolo Morelli,
Serena Rossi e vari avanzi da ‘Un posto al sole’
che contribuiscono di molto a rendere la vicenda più partenopea
possibile, con tanto di volute sceneggiate alla Mario
Merola che sono la parte più divertente. Dopo un inizio
scoppiettante, però, il film si siede parecchio e si appoggia su un
fantastiliardo di citazioni messe lì a cazzo, da
Flashdance a 007 a Ritorno al Futuro, che mandano
in visibilio la platea manco stessero vedendo la madonna. Io
intanto mi appisolo, sereno. Perché evidentemente non sono l’unico
che sta impazzendo qua in giro.
Tra la proiezione e la conferenza mi
arriva una soffiata su dove si trova Michael
Caine, e scatta l’operazione selfie. Più che altro perché
è un investimento, dato che lui stesso va in giro a dire “sono
malato e tra poco vi lascio”. Michael, ti stimo e non è pé fa il
coccodrillo, ma sai com’è. Oggi sì, domani non se sa. Purtroppo
l’operazione non mi riesce. Lo portano fuori dalla lounge quattro
gorilla grossi il doppio di Vince Vaughn in
Brawl in Block Cell 99, perché deve andare in bagno e in
effetti molti dei presenti lo hanno beccato proprio al cesso, che è
un grande punto di ritrovo che accomuna star, addetti ai lavori e
comuni mortali inferiori (ogni tanto i lettori vanno sempre
insultati, ricordiamocelo). Dal cesso, tutti ci devono passare.
Però io e Michael siamo gentlemen, e tra noi gentlemen vige la
regola di non bloccare mai per nessun motivo un uomo che va a
pisciare. Quindi niente, me lo vedo passare davanti e basta, anche
perché incombono gli impegni di lavoro e mi devo allontanare. Ok,
la verità è che dovevo pisciare pure io.
Ang
Ieri ho sentito molto la mancanza di
Ang, perché in effetti alle feste ci vado con lo stesso spirito e
quindi siamo solidali l’uno con l’altro. Spesso utilizziamo una
famosa tattica militare che si trova nei testi di politica
internazionale, che si chiama ‘modalità Zoran’,
dal luogo in cui questa strategia fu messa in atto da due
irredentisti macedoni durante una battaglia. In sostanza questi
tipi si fecero vedere mentre brandivano con disinvoltura armi
davanti ai loro colleghi combattenti, e appena tutti erano
impegnati a menà come in un film con la bonanima de Bud Spencer si
sciacquavano allegramente dai coglioni.
Ecco, questa strategia a noi è molto
cara. Ma non perché siamo snob, semplicemente perché siamo due
amanti delle cose semplici (la famosa triade dormì/magnà/fa pipì),
quindi stare a informarci per raggiungere in ginocchio sui ceci un
posto che sta in culo ai lupi e forse riesci ad entrare ci sembra
davvero un’esagerazione. Invece ieri, dicevo, visto che l’invito lo
avevo e visto che per una volta la festa era in un posto
comodissimo, ho fatto un salto.
All’ingresso pronunciando la parola
magica si sono aperte le acque come se fossi Noè e sono entrata in
uno spazio temporale alienante, popolato da gente proveniente da
qualsiasi epoca, ricevendo prova che dio esiste, ma non è
classista. In tutto questo vorrei ricordarvi una cosa importante,
cioè che l’inferno deve essere invece un posto in cui esistono solo
open bar e buffet liberi, perché io mi sono sentita dannata. Sarò
banale, ma ancora rabbrividisco a vedere la gente che agli open bar
fa outing (tacito o palese non importa) sulla propria infanzia
agghiacciante, sul proprio lavoro, sul fatto che dorme ancora con
l’orsacchiotto de peluche. Così come rabbrividisco a vedere gente
normalissima che in quei posti si trasforma.
Per cui ti ritrovi a fare il trenino
su A-E-I-O-U-Y con uno che scrive magari
accanto a te in sala stampa e ti imbruttisce se ricevi una
telefonata mentre lavori, ti trovi a ballare
Flashdance con persone che te urlano
dietro se hai il pass in fila ed entri prima di loro. Perché
diventiamo solo contatto umano, quello che spesso in dieci giorni
di Lido ti manca. Ma di contatto in quei metri quadri ce n’era pure
troppo, tanto che a questo punto mi sono chiesta se non fosse un
trappolone messo in atto dagli autoctoni o da sedicenti registi di
opere prime per fare una marmellata di critici, e riempire i
cornetti del Mulino Bianco (no, non dirò i Buondì
cazzo, almeno io).
E infatti è così e col terrore negli
occhi mi allontano per fumarmi una sigaretta in pace, da sola. A un
certo punto mi si avvicina uno, che mi mitraglia di domande.
Stringo gli occhi e scuoto leggermente la testa, che universalmente
significa: “E’ inutile che ti accolli. Evapora“.
Ma lui non batte ciglio, per cui credo di capire di aver risposto
di sì a una specie di proposta in linguaggio elfico-lagunare
“ofrirajnlaejrvinoohcichetooo?” (ovvero: “bevi?”),
e mi ordina un barile di un liquame stranissimo, che considerando
che sto fumando e tengo la giacchetta dovrei essere un giocoliere
nano scappato dal Circo Togni per farcela, oppure
dovrebbe reggere tutto lui ficcandomi una cannuccia in gola. Sto
mostro della Laguna. Con i soli muscoli che riesco a muovere gli
mimo, diovirzì, che non voglio bere, voglio fumare
e possibilmente poi annà a dormì, da sola. Mi guarda incredulo,
come se tra i due lui brillasse per fascino e la deficiente fossi
io. Decido di evaporare io allora, nel modo più elegante possibile,
trattenendo quell’impeto improvviso di fargli il dito medio mi
avvio verso le mie amiche, barcollando (niente, la dignità non è
più il mio forte già dopo due cocktail) e mi levo dalle palle.
Detto questo visto che
continuavo a sentirmi poco a mio agio e pressata come una fetta di
lattuga in un hamburger mi guardo intorno con orrore, e a un certo
punto ho temuto persino che si fosse imbucato
Aronofsky e al suo tre tutta quella gente
iniziasse a sbranarmi come un pollo allo spiedo, per cui al minimo
cenno delle mie amiche di andarcene scodinzolo come un Labrador. Ci
dormo (male) su. Stamattina me facevano male pure le ciglia ma
decido di andare comunque a vedere i Manetti, e
mentre stavo per rimuovere una frase in particolare mi rievoca
l’esperienza carnaio di ieri, fa più o meno così ‘per loro
l’umanità è come a pummarola ncopp o spaghetto avvongole. Non conta
nu cazz’.
P.S. gli autori ci
tengono a sottolineare che i fatti sono spesso (ma non sempre)
romanzati a partire da cose realmente accadute, questo per
tranquillizzare qualsivoglia fan di qualsiasi attore, regista,
organizzatore di party, protettore di morti di fi*a li legga per
sbaglio, involontariamente, o mentre è al cesso, compreso
Michael Caine.
Chi lo dice che il genere dei
legal drama è un’esclusiva degli americani? Il grande
regista giapponese Kore-Eda Hirokazu presenta in
Laguna la sua ultima fatica cinematografica, The Third
Murder, che esplora il tema spinoso della giustizia e
della ricerca della verità in un’aula di tribunale.
In The Third
Murder dopo essere stato ingiustamente licenziato, il
signor Misumi Takashi (Yakusho Koji), già accusato
e condannato in passato per altri due omicidi, uccide in maniera
brutale il suo ex capo e dà fuoco al cadavere lungo il letto di un
fiume. L’efferatezza dell’assassinio e la confessione spontanea
dell’uomo, che ha già scontato trent’anni per omicidio, lo
riconducono in prigione; a causa del suo passato e quindi
dell’aggravante della recidiva, l’uomo rischia stavolta la pena
capitale. Ma qualcosa nel suo comportamento non convince Shigemori
Tomoaki (Fukuyama Masaharu), il suo avvocato –
figlio del giudice che lo aveva condannato trent’anni prima -, che
farà di tutto per difenderlo e scoprire la verità.
Il nipponico Hirokazu porta in
concorso alla Mostra del Cinema di Venezia un film
decisamente lontano dal suo stile ma non per questo meno incisivo.
Utilizzando come espediente la storia di Misumi, il regista fa una
profonda riflessione su come verità e giustizia oggigiorno non
sempre viaggino sullo stesso binario. All’interno di un carcere e
poi del tribunale, i protagonisti di The Third
Murder discutono non solo di quale sia la punizione adatta
per l’imputato ma anche, indirettamente, di cosa sia eticamente
giusto. Nonostante gli avvocati siano considerati persone senza
scrupoli pronte a tutto pur di far carriera e guadagnar soldi
difendendo anche le persone più abbiette, Shigemori si appassiona
al caso di Misumi e pian piano cerca di ricostruire il puzzle di
quella nefasta notte. Le sue indagini porteranno alla luce drammi
familiari dimenticati svelando segreti ingombranti e riaprendo così
vecchie ferite.
La narrazione è fluida e le due ore
del film scorrono senza intoppi anche se il regista, per creare la
giusta tensione emotiva, si ritrova spesso a giocare con le
inquadrature e con i prolungati silenzi interrotti solo dalla
magnifica musica di Ludovico Einaudi. Sono molte
infatti le scene di confronto tra Misumi e Shigermori in carcere i
quali, divisi solo da un vetro, passano il loro tempo a studiarsi a
vicenda più che a discutere davvero della strategia giusta per il
processo. I due protagonisti rappresentano infatti verità e
giustizia e sono le due facce della stessa medaglia; durante i
colloqui il riflesso sul vetro del viso dell’uno si sovrappone e
quasi si confonde con quello dell’altro, un espediente fin troppo
banale ma di grande effetto.
Ma quello che destabilizza è di
sicuro il finale che ci lascia sommersi dai dubbi; le dichiarazioni
dell’imputato continuano a depistarci e a non trovare riscontro
nelle scoperte fatte durante le indagini dal suo avvocato che, come
lo spettatore, non riesce a rassegnarsi all’idea di perdere in
aula, condannando così un uomo a morte certa. Ma del resto, come
dice proprio Shigemori all’inizio del processo ad uno dei suoi
associati, lo scopo di un bravo avvocato “non è trovare la
verità ma la sua versione più convincente”. Una storia, quella
di The Third Murder, dolceamara, piena di pathos e
colpi scena che aiuta a riflettere ma che ci lascia con l’anima a
brandelli.
Sky arte HD e Viva film hanno
prodotto Diva!, dedicato a Valentina
Cortese, una delle più importanti attrici italiane ancora
in vita, che ha lavorato con Fellini, Truffaut e per molti anni per
a Hollywood. 8 attrici, Barbora Bobulova, Anita Caprioli,
Carolina Crescentini, Silvia d’Amico,
Isabella Ferrari,
Anna Foglietta, Carlotta Natoli, Greta Scarano danno
voce all’autobiografia dell’attrice, scritta qualche anno fa
“Quanti sono i domani passati” in cui ripercorre andando a ritroso,
la sua vita sul set, sul palcoscenico e quella sentimentale, negli
Stati Uniti e in Italia dove ebbe una relazione burrascosa con
Giorgio Strehler.
Il documentario inizia con quella
che è forse la sua interpretazione più famosa: l’attrice italiana
nel film Effetto notte di François
Truffaut, di cui ci vengono raccontati degli aneddoti
interessanti. La vita professionale e personale ricca di colpi di
scena che viene raccontata nel libro viene riproposta sullo schermo
incarnata nelle attrici contemporanee, forse anche per testimoniare
quanto Valentina Cortese fosse molto avanti con i
tempi, curiosa e coraggiosa. L’amore per la recitazione, per il suo
mestiere emerge già dalla giovane età quando abitava a Stresa sul
lago Maggiore, organizzando spettacoli teatrali con le sue
amiche.
Il film Diva! è
vorticoso come la vita della Cortese, diva anzitempo, donna
testarda, amata da uomini forti, come Jules Dassin
e appunto Giorgio Strehler che in questo film è
interpretato da Michele Riondino che legge una
lettera che il regista del Piccolo scrisse a Valentina
Cortese e che testimonia come la loro fosse una relazione
tra due persone di carattere forte un tiro alla fine in cui i
compromessi erano essenziali per restare in equilibrio e andare
avanti.
Il regista Francesco
Patierno che debuttò nel 2002 al Festival di Berlino con
Pater Familias da tempo si dedica al documentario,
ha realizzato La guerra dei vulcani sulla storia
di amore e tradimento del triangolo Rossellini-Magnani-Bergman e
l’anno scorso ha portato alla Festa del cinema di Roma il
documentario d’archivio Napoli ‘44 sul
bombardamento della città partenopea realizzato con la
collaborazione di Benedict Cumberbatch. Dal 2012 è presidente di
Venezia Classici, la sezione del Festival dedicata ai restauri dei
film classici. Diva! è stato presentato come
proiezione speciale al Festival del cinema di Venezia 74 e sarà
mandato in onda su Sky Arte HD a dicembre.
Sweet country, un
western lentissimo, con tutti i canoni di questo genere, ma
trasportato nella terra dei canguri. Una vicenda di razzismo,
intolleranza e ignoranza, non troppo distante in fondo da quello
che succede ai nostri giorni.
Sweet country, la trama
Nel 1929, in una regione brulla e
inospitale del nord dell’Australia, i nativi aborigeni vengono
sfruttati e impiegati per lavori umili e massacranti a supporto dei
coloni bianchi, degli stolti bifolchi che vivono di bestiame. Uno
di questi aborigeni, Sam, uccide per difesa della propria
famiglia un proprietario terriero bianco, Harry March. Si trova
così costretto a fuggire insieme alla moglie Lizzie. Ma dopo un
lungo periodo di latitanza scopre che la donna aspetta un bambino,
in conseguenza dello stupro subito dall’uomo da lui ucciso. Per
proteggerla si consegna alla giustizia, affrontando un lungo
processo affidato al giudice Taylor.
Warwick Thornton
il regista, spiega che il film non è frutto di fantasia: “Il
film è basato su una vera storia, raccontatami dallo scrittore
David Tranter, dell’aborigeno Wilaberta Jack, che negli anni venti
fu arrestato e processato per l’omicidio di un uomo bianco nella
Central Australia. Wilaberta Jack è Sam, diventato un personaggio
indipendente, con una sua storia. Se Sam è il cardine della trama
su cui tutto ruota, la vicenda riguarda anche Philomac, giovane
aborigeno di quattordici anni, che vive in una fattoria e sta per
diventare adulto, mentre si ritrova coinvolto nella rivoluzione
sociale e nel conflitto culturale della vita di frontiera nella
Central Australia degli anni venti.”
Sweet Country
girato nella catena montuosa delle MacDonnell Ranges, vicino ad
Alice Springs è un western tipico, caratterizzato da tutti quegli
elementi che rendono riconoscibile il genere: la terra di
frontiera, la sopraffazione delle popolazioni indigene locali,
l’arroganza e la sfrontatezza dei colonizzatori, i panorami
mozzafiato che caratterizzano una terra bellissima quanto ostile,
il continuo confronto con la natura.
E il regista afferma di
aver voluto costruire proprio un western per cercare di avvicinare
di più il pubblico alla storia e ai contenuti che voleva
sottolineare, creando una sorta di favola per descrivere
l’oppressione e la sopraffazione di un popolo.
Sweet Country
purtroppo non presenta nulla di originale, ha dei tempi
estremamente dilatati e non riesce mai a coinvolgere completamente,
avanza in maniera stanca verso il processo finale, raccontando
fatti ormai già visti e abusati nel cinema. Non basta sapere che si
tratta di una storia vera, per quanto ingiusta e tragica possa
essere, per mantenere alta l’attenzione.
Netflix ha diffuso il trailer
di Mudbound, il nuovo film originale diretto
da Dee Rees presentato al Sundance Film
Festival 2017. Nel cast Carey Mulligan, Jason
Clarke, Rob Morgan, Mary J. Blige e Garrett
Hedlund.
Mudbound sarà disponibile
in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo a partire dal
17 Novembre 2017.
Mudbound, trama
Ambientato tra le campagne degli
Stati Uniti meridionali durante la Seconda Guerra Mondiale,
Mudbound è la storia epica di due
famiglie, messe l’una contro l’altra da una gerarchia sociale
spietata, eppure legate dalla terra che lavorano: il Delta del
Mississippi.
Mudbound
segue le vicende della famiglia McAllan, che si è da poco
trasferita in Mississippi dalla tranquilla città di Memphis e non è
preparata alle difficoltà della vita di campagna. Nonostante i
sogni grandiosi di Henry (Jason Clarke), sua moglie Laura (Carey
Mulligan) continua a credere nei progetti senza speranze di suo
marito.
Nel frattempo, Hap e Florence
Jackson (Rob Morgan, Mary J. Blige) – mezzadri che hanno lavorato
la terra per intere generazioni – lottano con coraggio per
realizzare i propri sogni nonostante le rigide barriere sociali che
devono affrontare.
La guerra stravolge i piani di
entrambe le famiglie, mentre i loro cari appena tornati, Jamie
McAllan (Garrett Hedlund) e Ronsel Jackson (Jason Mitchell),
stringono un’amicizia difficile, che sfiderà la brutale realtà in
cui vivono: il Sud delle Leggi Jim Crow.
Esce il prossimo 7 settembre
Miss Sloane – giochi di potere, film diretto
da John Madden, il regista del film premio
Oscar Shakespeare in Love (1998). La pellicola sceglie di
raccontare l’inusuale mondo delle lobby politiche, ponendosi a metà
strada tra il genere del politic drama e quello del thriller
imprevedibile.
Elizabeth Sloane (Jessica
Chastain) è una lobbista di Washington abituata a
vincere le sue cause con qualsiasi mezzo possibile. Algida e
cinica, non prova troppi rimorsi nell’utilizzare i sentimenti delle
persone affinché possano servire ai suoi scopi. Proprio per la sua
freddezza, le viene fatta un’offerta vantaggiosa
nientepopodimeno che dalla lobby delle armi, affinché promuova la
loro causa tra l’elettorato femminile. Più per sfida che per motivi
etici, Miss Sloane deciderà di schierarsi con
l’opposizione, lavorando per una società che sta cercando di far
approvare un disegno di legge che ponga un più severo controllo
sulle armi.
Il ruolo, a detta del
regista, è stato pensato appositamente per la Chastain, che difatti regge su di sé l’intero
film. L’attrice è riuscita a rendere in maniera perfetta questa
figura di donna in carriera “assolutista”, che non contempla i
sentimenti o il rispetto altrui non tanto perché non è capace di
provarli, quanto perché li considera un cattivo investimento.
Elizabeth Sloane è una stratega, e in quanto tale prevede e
anticipa le mosse degli avversari. Talmente bene che l’apparente
impossibilità di opporsi alla lobby delle armi, è una sfida alla
quale non può sottrarsi. Nonostante i rischi che questa comporti e
che infatti metteranno a repentaglio la sua carriera.
Il punto debole del film risiede
nella scelta avventata di aver dato carta bianca ad un solo ed
inesperto sceneggiatore: l’inglese Jonathan
Pereira. Al suo primo copione, Pereira
concepisce una storia che prende spunto da un avvenimento di
cronaca reale, quello di un lobbista finito in prigione per un
illecito. Il suo limite sta nel voler strafare. Lo sceneggiatore
mette troppa carne al fuoco, infarcendo il film di paroloni tecnici
e svariate sotto-trame che male si conciliano col ritmo
serratissimo, tipico dei film di spionaggio.
Per i primi venti minuti si segue
una storia, quella dell’andamento di mercato relativo all’olio di
palma, che apparentemente non c’entra nulla con le restanti due
ore. Il tono del film è altalenante: inizialmente
scende nel tedio delle tematiche burocratico-politiche, poi
si fa più incalzante, quasi frenetico, nel seguire le lotte tra
speculatori a suon colpi di scena (telefonatissimi).
Il più grande difetto di
Miss Sloane – giochi di potere è di essere un film
che parla un suo linguaggio e non si preoccupa che questo possa
essere compreso da altri. Ammesso e non concesso che lo spettatore
mastichi termini di macroeconomia ( più o meno universalmente
riconosciuti), non è plausibile che si conosca altrettanto bene la
scienza politica made in USA, costante imprescindibile di queste
due ore di film. E se nonostante ciò è encomiabile il labile
tentativo di critica nei confronti dell’ormai vetusta costituzione
americana (su tutti, il secondo emendamento, che sancisce il
diritto di possedere armi), rimane lampante l’ambiguitá
tipica statunitense che giustifica e promuove leggi scritte due
secoli fa.
Così Miss Sloane,
che vorrebbe parlare – se non provocare – riguardo al tema della
libera detenzione delle armi e delle stragi fatte in sua
causa, in realtà si esprime in termini volutamente poco
comprensibili. Su un tema analogo si veda il più accattivante e,
nella sua irriverenza, azzeccato Thank You For
Smoking (2005).
Ecco il primo trailer
di The Man Who Invented Christmas, biopic con
Dan Stevens nei panni di Charles
Dickens. Di seguito il video:
La pellicola, la cui
sceneggiatura è firmata da Susan
Coyle (Mozart in The
Jungle) racconta la figura di Charles
Dickens da un punto di vista più umano e
complesso.
Queste le dichiarazioni
di Stevens sulla pellicola:
“È qualcosa di intrigante e
divertente. Ho pensato che fosse una ventata di aria fresca,
soprattutto in Inghilterra dove Dickens è posto su un piedistallo.
Ma il ragazzo era in alcuni momenti infantile e giocoso e in
altri un po’ oscuro e poco piacevole.”
Ecco la prima immagine ufficiale di
Rami Malek nei panni di Freddie
Mercury per il biopic Bohemian
Rhapsody, che sarà diretto da Bryan
Singer.
A dirigere Bohemian
Rhapsody è stato chiamato Bryan
Singer, che conferma ufficialmente la sua partecipazione
al progetto dopo una lunga trattativa. Bryan
May e Roger Taylor, membri
dei Queen, saranno i produttori esecutivi.
Questo coinvolgimento potrebbe portare dei problemi di lavorazione,
data la vicinanza emotiva dei due al materiale originale.
Il ruolo di Freddie
Mercury, per molto tempo passato dalle mani di
Sacha Baron Cohen a quelle di Ben
Wishaw, è arrivato adesso all’attore che forse riuscirà a
rendere giustizia alla grande personalità del cantante e musicista
prematuramente scomparso nel 1995. Rami Malek ha
raggiunto la notorietà grazie a Mr. Robot, serie
premiata e arrivata alla terza stagione. Oltre a Rami Malek, che
interpreterà Freddie Mercury, in Bohemian
Rhapsody ci saranno Ben Hardy, che
sarà il batterista Roger Taylor, Gwilym
Lee il chitarrista Brian May e
Joe Mazzello sarà invece il bassista John
Deacon. Il film è diretto da Bryan
Singer.
Bohemian Rhapsody, recensione del film
con Rami Malek
Sono state diffuse nuove immagini da
Miss Sloane, il film con Jessica
Chastain in arrivo al cinema il 7 settembre prossimo.
Eccole di seguito: [nggallery id=3166]
John
Madden ha diretto successi cinematografici internazionali,
come “Ritorno al Marigold Hotel”, “Il Mandolino del Capitano
Corelli” e “Shakespeare in Love” per il quale è stato candidato al
Premio Oscar come miglior regia nel 1999.
Nel mondo dei power-broker
e dei mediatori politici, dove le poste in gioco sono altissime,
Elizabeth Sloane (Jessica Chastain) è una lobbista straordinaria,
la più ricercata a Washington. Famosa per la sua astuzia e una
lunga storia di successi, ha sempre fatto qualsiasi cosa per
vincere, ma quando deve affrontare l’avversario più potente della
sua carriera, scopre che la vittoria può costarle un prezzo troppo
alto.
Dopo Miller e Lord,
che hanno lasciato la regia di Han Solo a produzione inoltrata,
anche Colin Trevorrow lascia un progetto alla
Lucasfilm: Star
Wars Episodio IX.
Il regista era stato scelto per
dirigere il capitolo conclusivo della nuova trilogia, ma un
comunicato della Studio ha annunciato che entrambe le parti sono
state d’accordo a togliere la regia del film a Trevorrow a causa di
“differenti visioni per il progetto”.
Colin Trevorrow lascia la regia di
Star Wars Episodio XIII
Al momento le riprese sono previste
per Gennaio 2018, ma a questo punto ci aspettiamo uno slittamento.
Intanto già fioccano i nomi per sostituire Trevorrow e tra questi
spiccano JJ Abrams e Rian
Johnson, i registi di Episodio VII e VIII.
Il prossimo appuntamento con la saga
è a dicembre con l’Episodio VIII. Il
filmsarà diretto da Rian
Johnson e arriverà al cinema il 15 dicembre 2017. Il film
racconterà le vicende immediatamente successive a Il
Risveglio della Forza.
Non solo film e sezioni, ma anche
abiti, ospiti, eleganza e originalità. Anche questo è
Venezia 74 e ve lo mostriamo in alcuni scatti
realizzati durante la Mostra sul tappeto rosso che porta alla
Sala Grande, dove viene presentata la magia del
cinema. [nggallery id=3163]
Esce venerdì 8 settembre The
Devil’s Candy, un nuovo film prodotto dalla
Midnight Factory. Questa piccola casa di
distribuzione, nata da una cellula della Koch Media
Italia, è relativamente nuova nel settore, ma vanta il
merito di avere come obiettivo primario quello di portare in Italia
film poco conosciuti, pellicole indipendenti e classici del passato
rimasterizzati… il tutto, rigorosamente di genere horror.
Grazie alla Midnight
Factory abbiamo potuto godere anche in Italia di ottime
opere come Babadook, ItFollows, The Invitation,
Somnia e molti altri. Questo autunno ci porta sui
grandi schermi The Devil’s Candy, nuovo film di
Sean Byrne, qui alla sua seconda opera dopo il
discreto The Loved Ones (2009).
La storia gira attorno ad una
famigliola americana piuttosto sui generis. Mamma, papà e
figlioletta sono infatti fan sfegatati della musica heavy metal,
genere di per sé poco rilassante. Sulle note vibranti di
Killing Inside dei Cavalera
Conspiracy si recano a comprare la loro nuova casa. Che
manco a dirlo risulta avere qualcosa che non va, e li farà
imbattere in strani avvenimenti provocati dall’inquietante ex
inquilino della magione (Pruitt Taylor Vince).
Il suono ha una parte
molto importante. La pellicola si apre con accordi sconnessi ma
assordanti di una Gibson Flying V (la chitarra più
amata dai musicisti “dannati”: da Jimi Hendrix ad Eddie Van Halen,
passando per Keith Richards), che per altro riveste un ruolo
simbolico piuttosto interessante. Lo strumento, nella sua variante
rosso fuoco, è spesso accostato al crocifisso capovolto, lungo
tutta la durata del film.
Sembra che la trama sia stata in
parte ispirata alla leggenda secondo cui il musicista Robert
Johnson avesse fatto un patto col diavolo per diventare il miglior
chitarrista vivente.
Contrariamente a quanto vuole a
tutti i costi dimostrare, The Davil’s Candy non è
un film particolarmente innovativo. Classico horror su una casa
stregata, risulta essere piuttosto un Amityville in salsa metal.
Non brilla per colpi di scena o per trovate narrative, ma nella sua
prosaicità è comunque un prodotto dignitoso.
È apprezzabile lo sforzo di questo
piccolo film indipendente, per esempio nell’uso di un linguaggio
visivo simbolico: un protagonista dannato con le fattezze del
Messia; l’uso frequente del colore rosso come riferimento alla
tentazione e al peccato; la pittura come mezzo attraverso cui parla
la nostra anima.
Ma la sensazione che l’uso di una
colonna sonora così particolare sia solo uno specchietto per le
allodole (per attirare quella particolare fetta di fan), è forte e
persistente.
Per chi ama questo genere di musica,
o per chi ama la musica e basta, si veda la commedia
Tenacius D e il Destino del Rock.
Lucky Red ha diffuso il trailer
ufficiale di L’incredibile vita di Norman, il
film di JOSEPH CEDAR con protagonisti
nel cast Richard Gere, Steve Buscemi,
Charlotte Gainsbourg, Lior Ashkenazi e Michael Sheen.
Se chiedi a Norman Opphennaimer
quale sia il suo mestiere la risposta sarà “se le serve qualcosa io
gliela trovo!”. Con una delle migliori interpretazioni di sempre,
Richard Gere è Norman, un navigato affarista di New York alla
disperata ricerca di attenzioni e amicizie che possano cambiargli
la vita. La sua è una corsa continua a soddisfare i bisogni degli
altri nella speranza di trovare un giorno rispetto e riconoscimento
da sempre desiderati. Quando viene eletto Primo Ministro un uomo a
cui anni prima Norman aveva fatto un favore, quel giorno che
tanto aveva desiderato sembra finalmente arrivato. Ma sarà davvero
come lo immaginava?
L’incredibile vita di
Norman è una commedia intelligente e profonda
sull’importanza delle relazioni e sul bisogno di contare
col quale prima o poi tutti nella vita facciamo i
conti.
Intrappolati nel tempo e nello
spazio, si muovono tra le stanze e il giardino di quello che era un
ex orfanotrofio, come se qui si consumasse tutta la vita,
dall’infanzia alla morte, come se non ci fosse luogo più
accogliente al mondo di quello che li ha visti prigionieri
nell’infanzia. Dal passato riappare Gertrud, una vecchia signora
dai modi gentili; tutto sembra precipitare, il nastro dell’orrore
sembra riavvolgersi.
Il male è bianco, come il camice
di Gertrud, come le pareti dell’ala ovest, la zona delle torture.
L’istituto perde dunque i contorni attuali e torna ad essere ciò
che era; ricovero crudele di bambini jenisch sottratti alle
famiglie, tempio di un progetto di eugenetica capitanato proprio da
Gertrud. Anna, schiava di quel luogo e di un’infanzia dolorosa che
non termina mai, riprende con forza le ricerche di Franziska, amica
amata di una vita della quale ha perso le tracce molto tempo prima
e che cerca ovunque e senza sosta. Ispirato a una storia vera, a
settecento storie vere.
King Arthur – Il
potere della spada, nuova versione cinematografica
della storia di Re Artù, è disponibile dal 23 agosto su tutte le
piattaforme digitali e dal 6 settembre in DVD, Blu-Ray, Blu-Ray 3D
e 4K Ultra HD distribuito da Warner Bros. Entertainment Italia.
Il poliedrico regista Guy Ritchie (Sherlock
Holmes) imprime il suo inconfondibile stile dinamico e
pieno d’azione al genere epico fantasy, proponendo una versione
irriverente del classico mito di Excalibur, che segue il tumultuoso
percorso di Arthur dalla strada al trono. Nel cast, Charlie Hunnam (Sons of Anarchy,
Crimson Peak) il candidato all’Oscar Jude
Law (The Young Pope, Il talento di Mr. Ripley,
Ritorno a Cold Mountain), Astrid
Bergès-Frisbey (Pirati dei Caraibi: Oltre i confini
del mare), il candidato all’Oscar Djimon
Hounsou (In America – Il sogno che non c’era, Blood
Diamond – Diamanti di sangue,
Fast & Furious 7), Aidan Gillen (Il Trono di
Spade, Queer as Folk, The Wire) e Eric
Bana (Hulk, Star Trek, Troy).
King Arthur – Il potere della spada
SINOSSI
Quando il padre del piccolo Artù
viene assassinato, suo zio Vortigern si impadronisce del trono.
Privato dei diritti che gli spetterebbero per nascita e senza
sapere chi sia realmente, Artù riesce a sopravvivere nei vicoli
oscuri della città e solo quando estrae la mitica spada dalla
roccia la sua vita cambia radicalmente ed è costretto ad accettare
la sua vera eredità… che gli piaccia o meno.
King Arthur – Il potere della
spada DVD
Durata: 121 min.
ca.
Lingue: Dolby
Digital: Italiano 5.1, Inglese 5.1, Francese 5.1, Tedesco 5.1.
Sottotitoli:
Francese, Olandese. Non udenti: Italiano, Inglese, Tedesco.
Contenuti
speciali: Arthur with Swagger – Charlie Hunnam è un
gentiluomo, bel fusto e un tipo tosto.
King Arthur BLU-RAY
Durata: 126 min. ca.
Video: 1080p High Definition 16×9 2.4:1
Lingue: DTS-HD Master Audio: Italiano 5.1.
Dolby Atmos True HD: Inglese. Dolby Digital: Inglese 5.1, Spagnolo
5.1, Francese 5.1.
Contenuti speciali: possono essere in Alta
Definizione. Lingue e Sottotitoli possono variare:
Arthur with Swagger –
Charlie Hunnam è un gentiluomo, bel fusto e un tipo tosto.
Sword from the Stone –
Guy Ritchie porta il 21esimo secolo in una delle leggende inglesi
più iconiche nella realizzazione di Camelot per un nuovo
pubblico.
Parry and Bleed – Charlie
e il resto del cast frequentano un corso intensivo di scherma in
stile vichinghi contro sassoni.
Building on the Past –
Londinium riprende vita con un nuovo design da città urbana
medievale, costruita dal nulla.
Inside the cut: the Action of
King Arthur – la stunt coordinator Eunice Huthart insieme al
regista Guy Ritchie ricreano insieme le strabilianti sequenze di
azione in King Arthur.
Camelot in 93 Days –
Amicizia e amore si rinforzano e si indeboliscono mentre il set
prende vita in 93 giorni.
Legend of Excalibur – La
spada più famosa del mondo viene ricreata per una nuova
generazione.
Scenic Scotland – Una
grandiosa produzione avvolta nella gloriosa location della
Scozia.
King Arthur – Il potere
della spada BLU-RAY 3D
Durata: 126 min.
ca.
Video: 1080p High
Definition 16×9 2.4:1
Lingue: Dolby
Digital: Italiano 5.1, Inglese 5.1, Spagnolo 5.1, Portoghese 5.1,
Francese 5.1., Ceco 5.1, Ungherese 5.1, Turco 5.1. DTS-HD Master
Audio: Inglese 5.1, Tedesco 5.1.
Baby Driver – Il genio
della fuga, al cinema dal 7 settembre diretto da
Edgar
Wright, distribuito da Warner Bros. Entertainment
Italia in 350 copie. Il cast è composto da Ansel Elgort,
Lily James, Jon Bernthal, Eiza González, Jon Hamm e dagli
attori premio Oscar Kevin
Spacey e Jamie Foxx. Il film, presentato lo scorso
marzo al South by Southwest Festival di Austin e celebrato dalla
critica internazionale, campione d’incassi al Box office
americano. Baby Driver – Il genio della
fuga è una commedia che mescola crimine ed
inseguimenti in auto arricchita da una colonna sonora elettrizzante
composta da canzoni di generi musicali diversi e di differenti
epoche.
“Il film si apre con il sogno del protagonista di essere un
driver ma si trasforma ben presto nell’incubo di essere un
criminale – racconta Edgar Wright, regista del film e già autore
della Trilogia del Cornetto, che aggiunge – All’inizio va tutto per
il meglio, poi rapidamente le cose iniziano a peggiorare con tutte
le conseguenze che ne derivano”. Protagonista del film nel
ruolo di Baby è Ansel Elgort che sul primo incontro con il regista
Edgar Wright racconta: “Ci siamo incontrati a
Los Angeles per un pranzo e abbiamo parlato di musica per più di
due ore. Quel giorno non sapevo ancora molto sul film ma io e Edgar
abbiamo condiviso il nostro grande amore per la musica”.
Baby Driver – Il genio della fuga, Kevin Spacey è
Doc
“Ho scelto questo ruolo per il
viaggio che compie il mio personaggio durante il film. Amo
interpretare personaggi nei confronti dei quali il pubblico è
portato a mutare il proprio giudizio – dichiara l’attore Premio
Oscar, che sul suo personaggio aggiunge – Non mi piacciono le
figure in bianco o in nero, buone o cattive, piuttosto mi piace
lavorare in quello spazio più grigio, come accaduto in Baby
Driver – Il genio della fuga“.
Sinossi:Un giovane pilota si presta a fughe
criminali, affidandosi nella guida al ritmo incalzante della sua
musica preferita, per essere il migliore nel campo. Costretto a
lavorare per un boss, metterà a rischio la vita, la libertà ed il
suo amore a causa di una rapina destinata al fallimento.
In dubious battle è
stato presentato l’anno scorso nella sezione Cinema in giardino del
Festival di Venezia, e ora esce in sala a
partire dal 7 settembre.
Jim Nolan (Nat
Wolff) aderisce al partito comunista della sua cittadina,
e trova in Mac Mc Cloud (James Franco) un mentore
da seguire e da cui farsi ispirare. Mc Cloud sta cercando di
organizzare uno sciopero di raccoglitori di mele, il cui salario
viene ridotto arbitrariamente dai datori di lavoro.
Grazie alle parole di Mc Cloud, ma
anche all’aria onesta di Nolan, molti dei raccoglitori si
convincono che lo sciopero sia la soluzione migliore, anche se
costerà loro ulteriori sacrifici.
Una volta mescolatosi con i
raccoglitori, il giovane Jim Nolan non può che empatizzare con loro
e innamorarsi di Lisa (Selena Gomez), tutti
fattori che alimentano i dubbi sulla sincerità dell’operato del
partito e di Mac McCloud.
Nuova prova di regia per James
Franco, che adatta nuovamente un grande autore americano per il
cinema, dopo aver portato sullo schermo Faulkner (As I lay
Dying) e Mc Carthy (Child of God),
avvicinandosi così, sia per lo stile di regia che per i contenuti a
John Ford.
In dubious battle è
infatti l’adattamento di un’opera di John Steinbeck, autore di
Furore, portato sul grande schermo appunto da
Ford. Come molte delle opere di Steinbeck, e le prime di Ford, il
focus è sui lavoratori e gli operai che contribuiscono a far
crescere gli Stati Uniti ma che spesso sono sfruttati da datori di
lavoro interessati più al profitto che al benestare dei propri
dipendenti.
James Franco parla
di un argomento che da sempre è tabù o di difficile discussione
negli Stati Uniti: i sindacati e i diritti dei lavoratori, e lo
spettro, se così si può chiamare, di comunismo che questa parola
porta con sé.
Quello che emerge però nella messa
in scena del regista, è l’ipotesi della correttezza dell’operato
degli attivisti nei confronti dei lavoratori; il film si mantiene
in equilibrio tra il bene e il male, tra il sospetto che il partito
usi qualsiasi mezzo per portare avanti le sue posizioni e le sue
azioni e la certezza che lo faccia per il bene dei lavoratori.
In questa sospensione si mantiene la
pellicola per tutta la sua durata, così come il suo protagonista
Jim, che non riesce ad amare completamente il suo mentore, ma non
riesce neanche a contestarlo, neanche di fronte alle azioni più
turpi.
Per In dubious
battle, Franco mette poi insieme un cast eterogeneo, che
probabilmente punta ad attirare un pubblico più possibilmente
variegato: da un lato mostri sacri come Ed Harris
e Robert Duvall, oltre che il recentemente
scomparso Sam Shepard; dall’altro alcuni idoli
“pop” tra cui lui stesso, che si ritrova, come il suo film, in
bilico tra le commedie demenziali con Seth Rogen e
l’impegno in teatro e nelle università con i classici dei grandi
autori americani, Nat Wolff, visto in
Paper Towns al fianco di Cara
Delevingne, e Selena Gomez, diva di
Instagram, già però utilizzata in un ruolo distante dalle sue corde
da Harmony Korine in
Springbreakers.
Un magnifico abito Dior l’ha
accompagnata sul red carpet di Venezia 74 e lei, Jennifer
Lawrence, non si è affatto risparmiata; tra fan che
avevano trascorso la notte all’aperto per lei e fotografi affamati
di scatti perfetti la giovane diva è stata la regina per una notte
del tappeto rosso della Mostra.
L’attrice premio oscar è stata al
Lido per presentare Mother!, film in cui è diretta
da Darren Aronofsky, suo attuale compagno, e in
cui recita al fianco di Javier Bardem e
Michelle Pfeiffer, anche loro a Venezia. Il film è
stato presentato nella sezione Concorso Ufficiale.
https://www.youtube.com/watch?v=0PAk_N0sPo0
Venezia 74: Mother!
recensione del film
con Jennifer Lawrence
La Disney ha regalato
all’immaginario collettivo una precisa versione di Cenerentola, ma
quello che in molti non sanno è che l’originale storia, macabra e
oscura, viene dal ventre di Napoli, da quel Seicento letterario,
ferbido di arte, che ha visto nascere La Gatta
Cenerentola di Giambattista Basile,
compresa in Lo Cunto de Li Cunti (stessa ispirazione
letteraria de Il Racconto dei Racconti di Matteo Garrone).
Grazie a Alessandro Rak,
Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario
Sansone la storia riceve una nuova rilettura animata,
lontana da ogni altra versione mia arrivata al grande pubblico e
lontana anche dall’originale letterario, nonostante la chiara
ispirazione.
Mia è rimasta orfana dopo che
Salvatore ‘o Rre, capoclan del riciclaggio, ha ammazzato suo padre,
don Vittorio Basile, uomo di grande ingegno che aveva il progetto
di trasformare Napoli in una virtuosa città della scienza.
Costretta a vivere in una nave da crociera dismessa nel porto con
la matrigna e le sorellastre, viene chiamata Gatta Cenerentola
dalle stesse, per cui è costretta a lavorare. Il ritorno di
Salvatore rivoluzionerà la sua posizione, mentre verrà a conoscenza
di un segreto a lungo ignorato.
Ambientato in una Napoli
di cenere, Gatta Cenerentola coniuga toni e temi, tuffandosi nel
torbido di una città distopica, in cui il Vesuvio ha ricoperto
tutto di un grigio strato che soffoca colori e speranze. In questo
tragico e triste scenario si muove il Principe, Primo Gemito, la
speranza, o forse, meglio, l’ostinazione nel trovare una via
d’uscita dall’impero della malavita rappresentato da Salvatore ‘o
Rre.
Sangue, droga e cenere sono gli
elementi intorno a cui ruota il racconto che si pregia di momenti
musicali dal grande potere evocativo e che rappresentano le battute
d’arresto di una storia altrimenti fluida e solida. I colori freddi
della città cozzano con l’immaginario napoletano nel mondo e
contrastano con i toni invece caldi che vengono utilizzati per i
personaggi e le scenografie all’interno della nave da crociera,
principale scenario delle vicende legate a Gatta
Cenerentola.
Una lettura non convenzionale quella
di Rak e compagnia che anche da un punto di vista della narrazione
vera e propria sceglie di tagliare il racconto, privando lo
spettatore di un finale esaustivo, regalando una piccola speranza
di lieto fine senza la certezza che questo ci sia effettivamente
per Mia e Primo.
Una fiaba dark, moderna, violenta e
sanguigna, come i personaggi che racconta, come la città in cui è
ambientata. Gatta Cenerentola è stato presentato
in Concorso nella sezione Orizzonti della 74° Mostra d’Arte
Cinematografica di Venezia.
Nella ricca sezione di documentari
che è stata selezionata per Venezia 74, il fuori
concorso offre un delizioso lavoro diretto da Chris
Smith e dal titolo improbabilmente lungo e con
protagonista Jim Carrey: Jim & Andy: the
great beyond – The story of Jim Carrey & Andy Kaufman with a very
special, contractually obligated mention of Tony
Clifton.
Il film, composto da filmati di
repertorio e un’intervista a
Carrey, è il racconto del backstage di Man on the
Moon, il film biografico in cui l’attore interpreta
Andy Kaufman, diretto da Milos
Forman. Il ruolo di Kaufman ha fatto conquistare a
Jim Carrey il suo secondo Golden Globe (il primo
era arrivato per The Truman Show) e gli è costato energie e
impegno, un lavoro di immedesimazione che traspare dal materiale
d’archivio e che fa letteralmente paura.
I filmati, alternati con i numeri
di Kaufman e l’intervista a Carrey, sono stati registrati nel 1998,
durante la lavorazione del film, e custoditi per quasi vent’anni
dallo stesso Carrey, che ha scelto di renderli pubblici con questo
documentario grazie all’aiuto di Smith.
Le immagini mostrano un
giovanissimo Jim, star mondiale grazie all’enorme successo dei suoi
film quali The Mask e Ace
Ventura, alle prese con una immedesimazione nel
personaggio totale. Lo stesso Forman ha più volte detto che era
frustrante quanto Carrey si fosse trasformato in Andy non solo
durante le riprese, ma sempre, continuando a rimanere nel
personaggio anche a casa sua, e rendendo le comunicazioni con
l’attore molto difficili.
Non sono mancati litigi sul
set, e comportamenti davvero straordinari da parte della famiglia
di Kaufman, che all’epoca assecondò la digressione di Carrey in
Andy, arrivando a trattarlo come un figlio. Celebre anche l’alterco
con il wrestler Jerry Lawre, che partecipò al film
e finì per picchiare sul serio Carrey, che non riusciva ad uscire,
letteralmente, dai panni di Andy. Altre scene esilaranti dal
backstage mostrano Jim, calato nei panni di Andy, calato a suo
volta in Tony Clifton, personaggio famosissimo di Kaufman, presunto
cantante di Las Vegas, che venne anche interpretato dal suo amico e
collaboratore Bob Zmuda (Paul
Giamatti nel film).
Quello che viene prepotentemente
fuori da Jim & Andy: The Great Beyond non è soltanto l’amore
incondizionato e la devozione di Jim Carrey verso Andy
Kaufman, non solo un quadro strampalato, per alcuni versi
spaventoso di un processo di immedesimazione che non ha nulla a che
vedere con quello dei grandi attori di metodo (e di cinema
“serio”), ma anche un delicato ritratto di Jim, il volto dietro
alle numerose maschere del comico.
Jim Carrey racconta con assoluta sincerità un
momento della sua carriera in cui tutto era possibile, in cui ha
compiuto la missione di regalare un altro po’ di vita al geniale
Kaufman, ma coglie anche l’opportunità di raccontarsi, come
sognatore, come artista, come inseguitore di sogni.
L’anno scorso, e precisamente qui, vi
raccontammo la storia surreale e shockante della giornata
Fassbender, con degradanti visioni non adatte a un
pubblico di persone sensibili sulla perdita di dignità del comparto
femminile lidense al fine di ottenere attenzioni dal noto divo
irlandese di origine tedesca.
Gente abbarbicata sul muretto
adiacente il red carpet fin dalle prime ore del mattino,
scottandosi la pelle sotto al sole cocente, rischiando il collasso,
urlando istericamente senza motivo pure quando usciva l’addetto
alla sicurezza – alle due del pomeriggio. Che cazzo te urli, che i
red carpet so’ alle 19.00? – il tutto al fine di ottenere cosa?
Piccole cose. Quello che ogni fan si aspetta dal suo beniamino. Un
selfie, un sorriso, uno sguardo, trenta centimetri di minchia.
Oggi è uguale, ma in versione
maschile. L’oggetto del desiderio è Jennifer
Lawrence, che arriva qui per presentare Mother! di
Aronofsky, di cui tra poco parliamo perché fa ride per un sacco di
motivi. Individui sudaticci delle età più svariate, sexy come uno
stronzo fuoriuscito dal vaso ed educati come un galeotto portato in
uno strip-club alla sua prima notte libera, si accalcano nelle zone
‘di probabile incontro’ – dalla terrazza dell’Excelsior alla
darsena del Casinò, ribattezzata, per questo motivo, darsena del
casino – scambiandosi ammiccamenti e battute della finezza di un
salame di cioccolato sulle modalità in cui si accoppierebbero
ripetutamente con la bionda interprete di Hunger
Games.
Urlano sguaiati e profumano come
caprini stagionati, e poi si lamentano se lei non si ferma. “Se la
tira”, dicono. E te credo, che se la tira, che se ve la tira a voi,
come minimo si deve fare lavande vaginali per sei anni. Non aiuta
l’invidia. Infatti, nel film, che abbiamo visto stamattina, fin
dall’inizio si capisce che accadranno cose inquietanti, la
più spaventosa delle quali è che Jennifer, giovane attraente e con
le puppe a pera, sta con un vecchio panzone impotente come
Javier Bardem.
Alt, fan di Javier
Bardem, che già vi vedo nervosetti e non vorrei che vi
partisse la brocca come l’altro ieri a quelli di Lapo Elkann,
che ci hanno scritto inviperiti manco gli avessimo insultato la
mamma. Non stiamo dicendo che Javier Bardem è un
vecchio panzone impotente, ma che è molto bravo a interpretare quel
ruolo. Forse perché gli calza a pennello. (Ok, stiamo dicendo che
Bardem è un vecchio panzone impotente – si chiama ironia – ma in
questo modo vi confondiamo così se siete dei cacacazzi che non
capiscono l’ironia avete già smesso di leggere e non ci romperete
le palle con le vostre proteste. Se invece siete intelligenti
continuate).
E poi niente, un incubo lucido,
gente inquietante che ti bussa alla porta, pestaggi, cannibalismo
(aridaje, dopo il giapponese di ieri), cuori strappati, corpi
bruciati, pavimenti che perdono sangue, rituali occulti, cani e
gatti che vivono insieme. Ora. Sono tutte cazzate. Ma col botto
proprio. Che a ripensarci ti scappa su da ridere. Eppure negli
incubi succede così: che lì per lì ti spaventi e poi dici, come in
un flusso di coscienza che ci permetterà di citare coltamente Joyce
e L’Ulisse:
“Oddiomachecazzodesognomesoimmaginatachevenivagenteinquietanteincasaederasempredipiùepoichiedevoaiutoamiomaritomaluieracattivononmesecacavaedavarettaastistronziepoieroincintaeceralaguerraequestisemagnavanoilbambinomachecazzodisognomacheèstatalapeperonatadeierimalimortaccisualosapevochenonladovevomagnàahahahahahahmadòchecazzatamoceridomastanottemesosvejatacollansia”.
Inoltre, mi dovete spiegare perché
il film de quella che se trasformava in cigno – in cigno, che cazzo
– spezzandosi letteralmente le ossa e spargendo tendini sul
pavimento come nel più truculento degli ‘straight to video’ Troma
anni ’90 era stato accolto come una sottile metafora sul sacrificio
nella ricerca della perfezione, mentre questo, che poi alla fin
fine non è altro che una metafora della creazione letteraria (pure
abbastanza scorreggiona, ma non meno dell’altra) non ve va bene.
Perché in sala ci sono stati parecchi ‘buuu’ e fischi. Pure qualche
applauso a dirla tutta. Siccome a me piace che Aronofsky riesca a
far passare per capolavori delle cazzate colossali e anche il
contrario, un po’ fischio, un po’ applaudo, e un po’ dico volgarità
a caso, perché trovo divertente dire volgarità a caso mentre c’è
casino e la gente non sente, un po’ come quando da ragazzino
nel coro dell’oratorio bestemmiavo. Dio mi perdonerà, rideva
pure lui.
Tornando a Jennifer – intanto
Aronofsky se la tromba e voi no, rifletteteci. Magari avrà fatto un
film di merda ma ha scoperto il sapone – sia chiara una cosa: io
pure il mio tentativo di selfie l’ho fatto, ma vista com’era la
situazione ho fatto due conti e ho pensato che quell’ora e mezza
passata ad aspettare dietro ad altre diecimila persone la potevo
investire in piscia e spesa e ho rinunciato. Un quarto d’ora, per
la figa, vale la pena spenderlo, di più no, anche perché non è che
alla fine te la dà. Anzi, spesso nemmeno il selfie riesci a fare e
ti ritrovi a consolarti con una foto abbracciato ai puzzolenti
omaccioni di cui sopra, tutti uniti nel dolore della sconfitta come
se avesse perso la squadra preferita.
Ad ogni modo, lisciare la Lawrence
non mi fa tanto male come l’altro mio grande fallimento personale
di questa Mostra. John Landis continua a non
cagarmi, sebbene mi sia fatto una corsa a perdifiato per la sua
proiezione di Thriller 3D perché avevo letto sul
programma 23.15 e invece era un’ora prima. Arrivo per il rotto
della cuffia e lui è in ritardo. Vedo il film (bellissimo, con
tanto di making of sui trucchi di Rick Baker. Altro che ste cagate
digitali che ci propinano ora) poi esco e lo aspetto fuori dalla
sala per proporre una simpatica foto insieme. Niente da fare:
“autografi sì, foto no”, dice. E mi sta bene, ma perché poi la foto
se la fa con tutti gli altri presenti qui a Venezia, tra un po’
pure co’ Brunetta, e a me no? Che t’ho fatto, Landis? Eppure, ero
in missione per conto di Dio.
Ang
Devo dire che dopo aver
letto il resoconto di oggi di Ang non me la sentirei quasi di
aggiungere nulla, un po’ perché so scoppiata a ride in sala stampa
e m’hanno bevuto (sì i post io e Ang non li scriviamo vicini
digitando a quattro mani come dei poliponi, ma ce li passamo da una
sala stampa all’altra, lui ovviamente sta in quella Vip, io in
quella dei morti di figa, per restare in tema) un po’ perché ho
visto anche io Aronofsky e credo di essere stata l’unica persona
che ha pianto, e non perché ha trovato orrendo il film. Quindi sono
un po’ provata. Ma devo dire che due parole sull’inciviltà durante
le proiezioni vanno spese.
Qua al Lido siamo costretti a
convivere con gente orrenda, sconosciuti che tu non ci staresti
vicina nemmeno in coda dal fruttarolo che invece qui ti trovi sulla
poltrona accanto, per capirci. Un’umanità così variegata che ormai
non ti chiedi più niente, cosa ha senso e cosa no, perché la
vecchia che te vede in coda deve sguscià davanti, quella seduta
accanto a te e tiene otto posti con le borse ti imbruttisce se le
chiedi a film iniziato di liberarne uno, perché, ad esempio, la
gente entra in sala a 20 minuti dalla fine. Perché so più i
vaffanculo che prendi che quelli che dai, ad esempio, come dovrebbe
essere perché sei una persona educata e il resto del mondo no.
Dopo tutto st’ambiente demmerda,
dopo le cose surreali alle quali assisti, uno invece – giustamente
– non può accettare di non cogliere immediatamente il senso di una
pellicola di un regista visionario come Aronofsky, e se sente in
dovere de fischià. Vorrei dire a queste persone che rompono il
cazzo anche appunto se in sala stampa te vibra il cellulare, o se
fumi mentre sei in coda con loro, che invece urlare ‘cretino’ o
‘vergogna’ durante la visione di un film li rende in effetti dei
veri gentiluomini, dei veri cazzutissimi esseri. E ricordare loro
che almeno Aronofsky fa i film, voi non siete in grado manco de
piscià centrando il buco, me lo ha detto la donna delle pulizie,
anzi pure per questo vergognatevi.
Intanto spero che la Lawrence sputi
sul red carpet come un lama, è quello che ve meritate.
Darren Aronofsky
racconta del suo nuovo film Mother!,
presentato oggi in concorso alla Mostra del Cinema. Un’opera molto
discussa, che ha diviso nettamente critica e pubblico, infervorando
gli animi e dando luogo a discussioni, spesso anche furiose. In
poche parole, in giro per la mostra da qualche ora non si parla
d’altro. Il regista è accompagnato da uno dei produttori, dal
protagonista Javier Bardem e dalle due splendide
interpreti Jennifer Lawrence e
Michelle Pfeiffer, arrivate in un tripudio di
fans, accampati fuori del Palazzo del Cinema dall’alba, nella
speranza di scattare una fotografia o ottenere un autografo. E’
paradossale, perché riportano la mente ad alcune situazioni
descritte nel film.
Darren
Aronofsky dice che la prima stesura della
sceneggiatura l’ha buttata giù d’istinto, in soli cinque giorni.
Dalla prima fase di scrittura ha sempre voluto creare qualcosa dove
il pubblico non si sentisse mai al sicuro, ma fosse dominato da una
straniante sensazione di disagio, di pericolo, esattamente come si
sente la protagonista.
Il cuore pulsante di Mother!
è il mistero. Il film deve apparire e deve essere percepito come un
continuo mistero.
Jennifer Lawrence
sostiene di aver interpretato un personaggio completamente
differente da tutto quello che ha fatto fino a questo momento nella
sua carriera. Ma anche una donna molto diversa da se stessa, da
quello che lei è nella vita di tutti i giorni. Ha lavorato
duramente per allontanarsi, anche con l’aiuto del regista, che l’ha
indirizzata nella direzione da seguire, facendola entrare in
contatto con una parte sconosciuta di lei, portandola in
superficie.
A lei e a Michelle
Pfeiffer viene chiesto come vivono l’assedio costante dei
fans. Se lo avvertono, soprattutto ora dopo aver vissuto
l’esperienza di Mother!
come una possibile minaccia. Entrambe rispondono che lavorano per
loro, che sono grate del loro entusiasmo, quando questo non diventa
naturalmente morboso e tenda a invadere le sfere private della loro
vita. I fans alimentano l’ego dell’artista e caricano di necessaria
carica vitale per continuare a fare questo lavoro. Jennifer
Lawrence li definisce un umanità vitale e insaziabile ed è
felice di loro. Si parla di allegoria del narcisismo, del bisogno
carnivoro di nutrire il proprio ego artistico, del rapporto
sacrificale musa-artista. Javier Bardem concorda
con tutto questo e parla di una sorta di vampirismo di chi è
impegnato in un atto creativo, di qualsiasi natura questo sia.
Sottolinea che il film è un apparato estremamente complesso,
composto di tanti strati e infiniti livelli di lettura.
Vengono chiesti dei riferimenti
letterari o visivi. Ne vengono citati molti, alcuni dei quali
sconosciuti al regista e agli interpreti, ma in particolare
Darren Aronofsky nomina alcuni
racconti di Edgar Allan Poe, Barbablù e tanti libri illustrati per
bambini. Dice di essere stato influenzato da opere che ha trovato
intrise di un mondo febbrile da sogno. Parla poi anche di
femminismo ambientalismo, di un America schizofrenica nella quale
stenta a riconoscersi. Si definisce comunque un ottimista.
Gli si chiede del ciclo di vita e
morte che ha creato nella sua opera e lui risponde semplicemente
che ha continuato a ragionare su un discorso che aveva già aperto
con The Fountain. Anche se afferma che quel suo
film era già esaustivo e dava molte risposte sul suo modo di
pensare.
Quando gli viene fatto notare che
il film è stato accolto da molti fischi e critiche negative,
Darren Aronofsky risponde in grande
semplicità, che sa bene come funziona, che fa parte del gioco, che
accetta le critiche e ne fa tesoro. Avverte però che non è un film
per tutti, che bisogna essere aperti e ben disposti. E’ come andare
sulle montagne russe.